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Autore: cartacciabianca    19/04/2009    2 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Amici tremendamente confusi











Sopra di loro si apriva un cielo magnifico, limpido, e i loro cavalli saettavano nel vento galoppando sulla terra, mentre il fruscio delle loro vesti si confondeva a quello delle fronde degli alberi.
Era un sentiero angusto che traversava un montarozzo di una leggera pendenza. Il bosco di folti ulivi li contornava, e tutt’attorno vi era solo il suono della natura. Se un tempo quelle strade erano state battute da uomini in marcia verso la Guerra, ora questi uomini marciavano verso la pace che, di lì ad una settimana, avrebbe preso piede con l’incoronazione del nuovo Regno di Gerusalemme, al trono del quale avrebbe seduto Corrado al fianco della Regina Isabella. Ma qualcuno avrebbe impedito che tutto ciò accadesse, e quel qualcuno aveva il volto celato sotto un cappuccio bianco, e al suo fianco correva il cavallo del suo maestro. Egli vestiva di una lunga mantella grigia e teneva corte le redini dall’alto della sella.
Erano in due, ma avrebbero fatto i danni di un esercito. Bastava una sola lama per privare il mondo di una delle sue mille pecore nere e a breve, Elena avrebbe sgozzato con gusto quell’agnello. Quanto aveva atteso questo momento? Non solo per suo padre, ma per la gente oppressa che era morta sotto il dominio di Corrado e soprattutto di suo padre che per primo aveva firmato l’alleanza che c’era tra lui e i vari rappresentati della Guerra! Era una sola grande battaglia che si sarebbe protratta nei secoli, ma tanto valeva combattere per raggiungere i propri scopi in minima parte. Come Corrado aveva combattuto per quel trono, Elena di Acri avrebbe lottato per la sua morte.
La Dea si sporse in avanti allungandosi sul collo dell’animale per alleggerire la fatica. Risalirono il pendio trovandosi ben presto in cima, dove piccoli ciuffi di erba verde si confondevano alle sabbie del deserto e alle felci rinsecchite e sciupate dall’assenza di acqua.
Si fermarono sul cucuzzolo della collina e arrestarono quella corsa contro il tempo che sfociò in un cumulo di polvere sollevato dai possenti zoccoli che picchiavano la terra.
La ragazza tirò le briglie, irrobustì la presa delle gambe, ma in fine la videro.
Era Gerusalemme, che all’alba di quella mattina dopo ore di galoppo ininterrotto li accoglieva dei suoi mille rumori caotici. Altissime mura in pietra si levavano verso l’alto e finivano a picco in un crepaccio roccioso da un lato e nel mezzo del deserto dall’altro. L’immenso portone dai battenti spalancati era controllato da una dozzina di guardie; ma quello era nulla in confronto alle centinaia di tende montate attorno ad esso. Era sorto un vero e proprio accampamento, con tanto di cavalieri crociati e Templari che, senza sosta, muovevano le loro truppe a destra e a manca dentro e fuori la città. Il traffico dei contadini era stato deviato verso gli ingressi secondari, e le bancarelle che correvano lungo le mura erano state abbandonate per dar spazio per intero all’insediamento francese.
I fumi della cittadella si annebbiavano in un sottile strato appena sopra i tetti. Erano magnifiche le sue cupole e le sue Moschee, assieme a quelle monumentali torri intarsiate d’oro e di colori brillanti che, alla luce del sole del mezzogiorno, luccicavano. Era la Città Santa, che con il solo osservarla da lontano incantava il pellegrino confondendolo in quale, delle tre maestosissime Religioni che vi dimoravano, intraprendere.
Un’improvvisa folata di vento le scompigliò i capelli e il cappuccio le cadde sulle spalle. Elena inspirò a pieni polmoni, osservando Rashy allontanarsi nel cielo, mentre la sua ombra si proiettava sulle tende e batteva l’accampamento. C’era in trambusto di armi, grida di ordini e contrordini. Nitrii di cavalli e ancora grida.
-Bhé- proruppe Elena ad un tratto, ed Altair si voltò a guardarla. -Non abbiamo sorteggiato l’ingresso migliore, eh?- ridacchiò l’allieva.
L’ombra sotto il cappuccio di lui si allungava sino al suo mento. -È troppo tardi per prendere un’altra strada- proferì serio. –Questo è il nostro unico accesso alla città- mormorò squadrando tenda dopo tenda dell’avamposto attorno alle mura.
-Cosa facciamo? Attendiamo che si cali la notte?- suggerì la ragazza.
-Non abbiamo tempo neppure fino a questa sera, Elena. Siamo in ritardo, terribilmente in ritardo con le indagini- dichiarò levando i talloni dalle staffe. -Lasceremo i cavalli qui e ci sposteremo tra le tende. Spero vivamente che gli eruditi del piccolo cimitero ci siano ancora- borbottò smontando dalla sella e abbandonando le briglie.
-Eruditi?- domandò ella confusa.
-Monaci. Pensavo di averti dato qualche ripasso teorico di mimetizzazione- sorrise Altair facendole strada, e i due si calarono giù dal pendio roccioso.
-Ma il vostro mantello è grigio- commentò la ragazza. -So che gli Eruditi si vestono di bianco, e sì- arrossì cogliendo l’imbarazzante ed inevitabile doppio senso di quelle parole. –mi avete dato un ripasso più che teorico!-.
-Sì, infatti- borbottò lui aiutandola a saltare giù da un masso. –Ma non preoccuparti per me. Io prenderò un’altra strada e ci divideremo. Tu andrai con i Monaci, e una volta all’interno della città, dovrai spostarti con cautela e raggiungere un posto isolato– si chinarono celati dietro una felce. -Dopodiché- riprese l’assassino accompagnandola al suo fianco. –in un qualche modo ti troverò e raggiungeremo assieme la Dimora. Non mi placa l’animo l’idea che tu vaghi per le strade quando è in atto l’Incoronazione della Terra Santa. Chissà quante guardie- bofonchiò assorto facendo mente locale.
-Ma maestro, voi!- provò a controbattere, ma Altair le serrò le labbra poggiando una mano su di esse.
-Che c’è, non ti fidi di me?- alzò un sopracciglio.
Elena scosse appena la testa. –No, ma…-.
Il grido di Rashy squassò il silenzio della valle, e Altair alzò il mento osservando il cielo. –Non ci rimane altro tempo. Presto!- la tirò a sé abbracciandola e, insieme, si gettarono da una decina di metri dritti in una balla di fieno.
Le sue braccia la stringevano ancora al suo petto, e la sua mantella grigia era andata ad intrecciarsi alle sue gambe così da tenerli entrambi stretti l’uno all’altra. –Sollevati piano e va subito a destra- le sussurrò Altair all’orecchio.
La ragazza annuì, obbedì e sbucò fuori dal fieno. Subito a destro trovò ad attenderla una roccia abbastanza grande, si nascose di dietro ad essa e attese che il suo maestro le fu di nuovo accanto.
-E adesso?- balbettò Elena contando almeno un cinquantina di tende e un centinaio di crociati.
-Il cappuccio, Elena- le rammentò il suo maestro, e lesta la ragazza se lo rialzò sul volto.
-Scusate- mormorò pentita.
-La tua identità è tutto ciò che ti resta quando si tratta di fuggire. Già è un male che tu abbia degli occhi così…- si voltò a guardarla.
Elena si strinse nelle spalle. –Così come?- domandò timidamente.
Altair scosse la testa. -Così difficili da dimenticare- sospirò tornando a controllare gli spostamenti dei soldati.
-Grazie-.
-Resta concentrata, per favore-.
La ragazza annuì e si guardò attorno. –Dove sono gli Eruditi?- chiese.
Altair le indicò un punto dell’accampamento, ma il suo sguardo volò oltre ed Elena lo seguì, andando ad incontrare le figure poco chiare di quattro uomini seduti su una sola panchina vicino alle mura.
-Ti accompagno lì, ma qualsiasi cosa succeda, sappi che i monaci ti scorteranno nel bene o nel male fin oltre quella soglia, hai capito?-.
Elena rabbrividì. –Cosa intendete per… “nel male”?-.
Altair ignorò la domanda. –Fa’ come ti ho detto e nulla andrà storto- proferì serio. –Adesso vieni- la prese per mano e la tirò fuori dal loro nascondiglio.
Aggirarono il piccolo accampamento e capo chino, ed Elena gli camminò affianco con passi piccoli e stretti. Gli sguardi dei soldati non si soffermavano su di loro se non per pochi secondi, giusto il tempo per adocchiare il colore sfumato della mantella del suo maestro.
Rashy gridò ancora, e a quel sibilo gli Eruditi seduti sulla panca si guardarono attorno smarriti. Uno di loro si alzò in piedi dal seggio di pietra e gli venne incontro giungendo le mani in forma di preghiera, e a questo si unirono presto anche gli altri tre.
Si muovevano lentamente, cantilenando una litania in latino che risuonava ben oltre il frastuono di armi e cavalli.
-Va’- Altair l’allontanò piano da lui, ma Elena, prima che il bianco della sua veste da assassina potesse confondersi con le tuniche dei monaci, strinse con maggior vigore le dita del suo maestro.
-Elena, avanti!- strinse i denti lui, ma la ragazza non mollò la presa.
-Forza, messere- la chiamò un uomo di chiesa. –le attenzioni si volgono a noi, dobbiamo fare in fretta!- sibilò questo.
Elena si scostò dagli Eruditi scagliandosi al collo del suo maestro, abbracciandolo con foga e nascondendo il viso nel suo mantello. Rimasero immobili per alcuni istanti, fin quando una guardia non adocchiò la situazione con una certa curiosità.
-Andrà tutto bene, avanti- le sussurrò lui poggiando una mano sulla sua schiena, accarezzandole dolcemente la linea dei fianchi.
La ragazza svolse le sue braccia dalle sue spalle con un certo rammarico, profondamente turbata. Si voltò, raggiungendo quasi di corsa i monachi che erano già a metà strada. Si confuse tra di essi, accogliendo il loro fare silenzioso e assimilando l’andatura tranquilla dei loro passi. Pregò per il suo maestro, pregò che niente andasse come l’ultima volta, pregò perché filasse tutto come l’olio. Lanciò diverse occhiate dietro di lei, e Altair era sempre là che la fissava da sotto il grigio cappuccio. La osservava, ammirava i suoi movimenti e tentava di infonderle coraggio perché non si lasciasse distrarre proprio in quel frangente.
Varcarono l’arco in pietra, i monaci la circondavano da tutti e quattro i lati e lei si sentiva protetta. Quando si voltò, il suo maestro si era volatilizzato nel nulla.

Gerusalemme era terribilmente caotica. Le sue strade, anche quelle scure e appartate, erano attraversate da una marea di gente che non sapeva astenersi dall’urlare ai quattro venti tutto ciò che poteva essere messo a buon mercato. Non mancavano dunque le bancarelle, le donne radunate attorno alle fontanelle con in grembo vasi di ceramica e caraffe da riportare nelle proprie case. Ma anche guardie, che si fermavano ai lati della via principale chiacchierando spensierate del più e del meno. I vecchi seduti alle panche, gli arcieri sui tetti. Le mendicanti agli angoli degli edifici, e i palazzi stessi, alle finestre dei quali erano affacciate le donne che sbattevano tappeti e appendevano i panni al sole.
-Siate prudente- le spifferò un Eredito mentre si allontanava col suo gruppo.
Elena gli sorrise benevola. –Grazie ancora- mormorarono le sue labbra.
Egli chinò il capo e condusse i suoi fratelli in un vicolo buio che girava attorno alla piccola chiesa lì vicino.
La ragazza si guardò attorno e sedette poi disinvolta su una panchina. Si prese comodamente il tempo necessario per sfuggire agli sguardi delle guardie e, quando fu certa che nessuno la stesse guardando, scattò via dalla sua posa mimetica e s’infilò in un cunicolo stretto e buio. Lo percorse fino al capo opposto che si gettava nel corso principale della città, quello che passava tutto il distretto ricco e raggiungeva il confine con quello medio. La ragazza si mescolò alla folla e ne percorse un gran tratto.
Non conosceva un vicolo di quella stupenda città. In tutta la sua vita, mai una Moschea di Gerusalemme aveva avuto l’onore di vedere, ed ora, quelle strade la incantavano lasciandola senza parole, con la bocca aperta anche sotto l’ombra profonda del cappuccio.
Trovò una piazza tranquilla nella quale aspettare il suo maestro che, condotto da Rashy che vegliava esattamente sopra di lei, l’avrebbe, sperò, presto raggiunta.
Sedette su una panca, all’ombra di una palma. Accanto a lei c’era una donna con in braccio il suo bambino di pochi mesi. Lo cullava amorevolmente e le guance arrossate e pacioccose del bimbo erano tirate in un sorriso in preda alla gioia.
Distolse lo sguardo, pensando chissà cosa nella sua testa che troppe volte aveva immaginato e sbagliato ad immaginare. Restò lì ad attendere in silenzio, col solo suono della grande Gerusalemme che le rimbombava nelle orecchie.
Contò una dozzina di drappelli di guardie che si sbattevano da parte a parte della città, e molte di questi erano crociati, belli e fieri della loro casacca che luccicava d’oro della casata del Monferrato.
A quella sola svista, in lei ribollì l’amata rabbia, mentre l’impazienza di cominciare immediatamente le indagini la costringeva a stringere i pugni e conficcarsi le unghie nella pelle dei palmi stretti.
Corrado stava racimolando troppo tempo, si disse. Doveva morire subito! Subito! Gridò, ma qualcosa la implorò di darsi un contegno, di ascoltare e rimuginare sugli insegnamenti che più persone le avevano dato. Eppure, i principi di un assassino non includevano: “porta pazienza ai tuoi incarichi”. Ma la terza legge, non compromettere mai la confraternita, era un modo riassuntivo che in sé inglobava ciascuna azione insulsa e avventata.
D’un tratto, un ombra calò dal tetto della casa vicina e in una frazione di secondo Elena ascoltò il fruscio di un mantello. Altair sedette in fine, leggero e dal respiro regolare, accanto a lei nel posto vuoto sulla panca.
Neppure quella donna si era accorta che quest’essere dalla casacca grigia era comparso da nulla. Ella continuava a coccolare il suo bimbo nascondendogli il naso tra due dita.
-Aspettiamo che passino quelle guardie e lasciamo questo cortile. Andiamo a sinistra, ma passeremo una zona comunque parecchio sorvegliata. Devi restarmi vicina- sibilò l’assassino con lo sguardo basso. Il cappuccio ne copriva il volto per intero. Il mantello era talmente lungo da celare ogni parte della sua veste.
-Sto bene, grazie per l’interessamento- bofonchiò Elena.
-Non nego di essere alquanto stupito- fece allegro. -Mi aspettavo che come minimo ti stessero dietro una cinquantina di uomini- ridacchiò.
La ragazza tacque incrociando le braccia al petto. -Se anche fosse, ammazzerei quel bastardo prima di dare a Corrado il tempo sufficiente di scappare per via delle campane-.
-Così ti voglio, e ora andiamo- disse lui alzandosi, ed Elena lo seguì.
Si mescolarono alla folla, sgattaiolarono in stradine piccole e anguste, traversarono piccoli mercati coperti e si inoltrarono nei più prestigiosi Suk del distretto nobiliare.
La Dimora sorgeva sul confine tra i tre quartieri della città. Una piccola e bassa cupola accompagnata a delle impalcature. Strette finestre, e un tetto ampio.
-Dove sono le guardie?- domandò la ragazza issandosi sulla scaletta di legno che li condusse sopra l’edificio.
Quando furono in cima, Altair si guardò attorno abbassandosi il cappuccio sulle spalle. –Molti dei crociati sono appostati più ad ovest, nei pressi del tempio. È lì, nell’accampamento crociato oltre dietro il palazzo che presiede Corrado coi suoi uomini. E se ci brigheremo, sarà lì che colpiremo- pronunciò assorto.
Elena annuì compiaciuta, e i due assassini si calarono nella Dimora.

La Dea si piegò sulle ginocchia ed ebbe solo il tempo di raddrizzare la schiena e le gambe.
-Razza d’imbecille! Ti avevo detto di passare da dietro!- sbottò una voce rabbiosa proveniente dall’altra stanza.
Un ragazzo dal cappuccio grigio inciampò sul tappeto, si rialzò e si diresse di corsa verso l’uscita della Dimora. Un piatto di ceramica si andò a frantumare in tanti pezzetti volando fuori dalla stanza. -Sei un buono a nulla, Rauf!- gridò ancora quella voce.
-È pazzo, è pazzo!!!- gridava disperato e in preda al panico il giovane assassino. Tentò di arrampicarsi sulla parete saltando agilmente sulla fontana, ma Altair lo afferrò per il cappuccio intimidendolo a restare nell’edificio.
-È pazzo!- ripeteva quello, anche quando l’assassino di alto rango lo sbatté a terra inchiodando la sua fuga. Il giovane strisciò tirandosi su, in viso aveva l’espressione di chi aveva visto un fantasma. –È pazzo, è…- s’interruppe improvvisamente, e da sconforto, gli occhi neri gli s’inumidirono di gioia. -Dio esiste!- strillò il ragazzino abbracciando d’un tratto il suo maestro, ed Elena si scostò interdetta.
-Maestro Altair! Che il cielo sia lodato!- gemé Rauf inginocchiandosi. –Meno male che siete qui, maestro! Allah, Cristo! Quale dei due devo ringraziare…-.
Altair aggrottò la fronte ma non disse nulla.
-Razza di codardo, torna subito qui!- la voce che veniva dall’altra camera si fece più vicina. –Con che coraggio fuggi, novizio!?! Torna indietro, o giuro che il dito te lo taglio di persona anche all’altra… mano… e…-.
Il Rafik senza un braccio comparve sull’uscio della stanza. Il suo sguardo color nocciola si spostava svelto da un assassino all’altro, prima indugiando sul novizio dal cappuccio grigio che aveva tentato la fuga dalla sua collera, ed in fine sul sorriso sbigottito di Altair che mosse un passo in avanti.
-Posso sapere che cosa succede, Malik?- domandò ridendo.
-Tu…- sibilò il Rafik. –Tu… e…- Malik la notò, ed Elena si abbassò il cappuccio in segno di rispetto. –Tu e lei!- digrignò egli. –Sareste dovuti essere qui due mattine fa! Cosa vi ha trattenuti, se è da una settimana che Corrado muove i suoi uomini in questa direzione!- gridò ancor più rabbioso.
Altair e la ragazza si cambiarono un’occhiata complice alla quale, però, Elena non seppe resistere allungo così da abbassare svelta lo sguardo sul pavimento.
-Ci sono stati degli…- cominciò Altair ammirando la malinconia della sua allieva un’ultima volta. –Ci sono stati degli imprevisti- ribadì serio.
-Imprevisti!?- Malik gli fu di fronte con solo tre passi. –Imprevisti?! Altair, Corrado riceve la sua nomina domani all’alba! Mi stavo caricando del fardello di affidare l’incarico a Rauf e Abbas perché voi non vi eravate presentati!- proruppe terribilmente angosciato.
Elena si fece da parte, stringendosi contro la parete dell’ingresso, appoggiandosi di seguito al bordo della fontana sulla quale sedeva anche Rauf che sorrideva beffardo, quasi divertito.
Altair si guardò attorno. –Avresti mandato Rauf e Abbas al nostro posto?- domandò incredulo.
Malik annuì. –Chi altri, io?!- ribatté sarcastico alludendo al suo braccio mancante. –Il tempo stringe, le loro indagini li hanno condotti a buon punto, ma questo stupido!- indicò l’assassino dal cappuccio grigio seduto accanto a lei. –Questo stupido ha tentato di intrufolarsi nel Tempio passando dall’ingresso principale! Guardalo, ti prego!- Malik si avvicinò al ragazzo e gli afferrò con violenza il volto. Questo non si ribellò, ma nelle venne prese a scorrergli la paura che si riversò nei suoi muscoli cominciando a farlo tremare come una foglia. -Guarda come ride, questo bastardo fuori di testa! Il consenso gliel’avevo dato, ma ha perduto persino la piuma oltre alle sue armi!- con uno strattone, gli lanciò il mento.
Rauf rimase dov’era incrociando le braccia al petto e sprofondando nel cappuccio nascondendo il suo profondo rammarico.
-Rauf- lo chiamò Altair, e il ragazzo si voltò. –È vero che hai perduto la piuma? E le armi?- chiese.
Egli annuì.
Il maestro della Dea, che nel frattempo si era isolata in uno dei quattro angoli del loca accanto ad una pianta, si adombrò. –Perché lui e non Abbas? C’è una differenza di rango piuttosto esaltante, non trovi?!- gli rinfacciò, e il Rafik tacque alcuni istanti.
-Ah!- rise improvvisamente il capo sede. –Credi che se non ci fosse un motivo plausibile, prenderei certe decisioni azzardate?!-.
-Maestro Altair!- chiamò una terza voce nuova, proveniente dalla stanza accanto.
Elena fu la prima ad adocchiare un ragazzo seduto tra i cuscini nell’altro locale. Era più vecchio del capo sede stesso che invece pareva avere la medesima età del suo maestro. Quell’uomo steso a terra con una gamba stretta in uno spesso bendaggio era Abbas, che dalle vesti mostrava lo stesso alto rango di Altair.
Altair e Malik si spostarono nella seconda camerata e, con grande stupore del primo, Malik aggiunse: -Stavano facendo delle indagini alla porta nord. Un bravo arciere che mirava alle gambe- borbottò collerico.
Elena si avvicinò al bancone e stesse in disparte accanto a quello. Rauf si alzò dalla fontana e rimase in piedi in un angolo della camera.
Altair si chinò al fianco del ferito. -Fratello, cosa l’ha permesso?- chiese.
Abbas, senza pensarci due volte, spostò lo sguardo sul novizio dal cappuccio grigio.
Rauf sgranò gli occhi, mentre quelli dei presenti si puntavano tutti su di lui.
-È stato un incidente!- si difese il ragazzo stringendosi nelle spalle. -Ci accerchiavano, ed è già molto se sono riuscito a riportarlo qui vivo!- gridò.
-Sì, certo! Già è molto se ti sei accorto che ti gridavo di tornare indietro a riprendermi, dato che correvi come un forsennato e mi hai lasciato steso a terra senza neppure degnarmi di uno sguardo se non cento metri più avanti! Quand’eri nascosto in un giardino pensile!- proruppe Abbas inferocito.
-Basta!- strillò Malik, che tra tutti aveva cominciato quello scempio per primo scagliando quel vaso.
-La questione è molto più seria di quanto possiamo immaginare- si diresse dietro il bancone sul quale era distesa una cartina dettagliata del solo distretto medio. Su di questa vi erano puntati alcuni spilli che stavano ad indicare le zone maggiormente controllate riportate dalle indagini a poco svolte.  
Altair si avvicinò al tavolo ed Elena con lui, voltando le spalle agli altri due assassini.
Malik sollevò la sua attenzione dalla carta alla ragazza. -Mi spiace dover convenire ai saluti in questo modo, Dea, ma come vedi…-.
Elena annuì silenziosamente.
-Bene- sospirò il Rafik volgendo il suo sguardo sul maestro della giovane. –Sarò pronto a consegnarti la piuma, fratello, dopo che avrai prestato attenzione alle informazioni che abbiamo ricavato dalle indagini. Ma temo di dover confessare che il tentativo di Rauf di questa mattina, ha mandato a rotoli i nostri piani. Per tanto, molto del ricavato potrà esserci ancora utile, ma l’omicidio è dovuto essere posticipato alla data stessa dell’Incoronazione. Ovvero, domani all’alba- pronunciò schietto e contenuto.
-Malik, pensavo che Tharidl ti avesse informato-.
-Di cosa?-.
Altair le volse un’occhiata ed Elena prese fiato.
-È a me che dovete consegnare la piuma- disse la ragazza.
Malik tacque allungo interdetto. –Perché non ne sapevo nulla?!?!-.
Altair alzò le spalle.
-Quel vecchio pazzo se la vedrà con me un’altra volta! Ma come? È assurdo, inconcepibile… Altair, non possiamo rischiare che…-.
-Mi fido di lei. Così come si fida Tharidl, e di come ti fiderai tu. Ora esponi- dichiarò serio il suo maestro.
Malik si scostò dal bancone indietreggiando. –No!- strillò. –È una decisione alla quale avrei dovuto prendere parte pur io! Come Rafik, ma ancor prima come tuo compagno! Non se ne parla, è una ragazza, una Dea! Non posso credere alle tue parole, fratello! Non è arrivata nessuna colomba che spiegava ciò!-.
-Impossibile- intervenne lei.
-Mah- bofonchiò il Rafik.
-Malik, è assurdo che tu non ne sappia nulla, ma c’è una spiegazione plausibile-.
-Come Rafik sta a me giudicare! Ma se c’è un motivo per il quale non ne sono stato informato, bhé parla!- ruggì irritato.
-Probabile che molti dei nostri piccioni viaggiatori siano stati intercettati. Non c’è altro modo. Ho assistito Tharidl nel mente liberava la colomba dal suo studio, dopo aver letto con lui la lettera! Temeva che sarebbe potuto succedere, così ha voluto che fosse la mia parola a lottare con la casualità dell’evenienza! Malik, devi credermi!- digrignò allungandosi sul tavolo. –Può farcela, ne è in grado! Non come Dea, ma…- si volse a guardarla, ed Elena chinò il capo. –Ma come mia allieva- pronunciò più cauto tornando con gli occhi su di lui, ma Malik restò rigido.
-Non la conosco abbastanza. Come posso giudicare le sue capacità se le indagini le sono già state svolte, eh? Dimmi questo- proruppe.
-Non ti serve conoscere lei- proferì Altair in tono calmo.
Malik assentì sbuffando.
-Ti basti conoscere me, e sapere che io mi fido di lei- ribadì. –E so bene che questo basta e avanza- sorrise armonioso.
Il capo sede distolse lo sguardo assorto nei suoi macabri pensieri. Il broncio sul suo visto si calcò oltremodo quando Altair aggiunse:
-O preferisci che sia Rauf a ritentare, domani?-.
-No- Malik sedette allo sgabello dietro il banco. –Va bene- sospirò soffermandosi su di lei, ed Elena accolse la sua occhiata sorridendo.
-Ma voglio che non sia sola- dichiarò il Rafik allungando l’unico braccio verso la libreria alle sue spalle ed afferrandovi un tomo bianco che poggiò sul tavolo. Intinse una piuma nel calamaio e prese a scrivere, mentre un ghigno ancora insoddisfatto si stagliava sulle sue labbra.
-In che senso?- domandò Altair.
-Domani voglio che prenda parte anche tu alla cerimonia. Devi essere lì con…- indugiò rabbrividendo. -Con Rauf per qualsiasi evenienza-.
-E sia- annuì il suo maestro.
Malik lo fulminò con un’occhiataccia. –Che è successo alle tue vesti?- domandò continuando a scrivere.
Altair si trattenne dal ridere. –Ah, vedi… uno dei nostri imprevisti è stato un Templare piuttosto intransigente-.
-Sei ferito?- chiese ancora poggiando la penna.
-Lo ero- mormorò l’assassino. –Mi servono solo delle nuove vesti- si guardò attorno.
-Sul soppalco. Secondo baule- gli disse Malik.
Altair si avviò sulla scaletta di legno e scomparve sul ripiano in legno.
-E tu- la chiamò ad un tratto, ed Elena si voltò a guardarla. –Elena, giusto?-.
Lei annuì.
-Mi spiace essere così diffidente, ma spero che tu comprenda la situazione e…-.
La ragazza lo anticipò rincuorandolo ancora una volta. –Sì, lo comprendo-.
-Ottimo. Quindi, sarà la tua la lama- commentò poggiando l’unico braccio sul tavolo.
Chinò la testa. –Sì-.
-Se posso, perché Altair confida tanto in te- alzò un sopracciglio, ed Elena non riuscì a trattenere un sorriso schiavo dell’imbarazzo.
-Credo di aver ottenuto alcune conferme- rise il capo sede.
Rauf e Abbas, intanto, chiacchieravano rumorosamente dalla stanza accanto.
-Sei un dannato! Questa me la paghi!-.
-Ne avevamo già scusso! E non è colpa mia se hai voluto che prendessimo quella strada!-.
-Mi riferivo ad oggi! Perché non hai ubbidito alle indicazioni del Rafik!?- ruggì quello da una gamba ingessata.
-C’erano troppe guardie pure da quella parte!-.
-Cretino! Perché, se passi dall’ingresso principale non ce ne sono?!-.
-No non ce n’erano!-.
-Buffo, ma non ti credo!-.
-Fa’ come vuoi!- sbuffò Rauf, e proseguirono ben oltre.
Altair tornò giù dal soppalco con la maglia bianca pulita e si spogliò della mantella grigia.
-Non metterle adesso!- gli suggerì Malik sistemando il tomo che aveva sul tavolo tra gli scaffali.
-Come mai?- domandò interrogativo l’assassino.
Malik sorrise ad entrambi i nuovi arrivati. –Se permetti, vorrei dare un’occhiata e controllare che non si sia infettato nulla. Ma come seconda cosa sarete stanchi, affamati e sporchi.
Altair si privò della parte superiore della tunica che, in quel punto, era tranciata da una decina di colpi di spada e si avvicinò al bancone. -Va bene, ma non abbiamo tempo per…- provò a dire.
-Se confidi così bene in lei, sarai tu ad occuparti delle ultime indagini- intervenne Malik avviandosi in un buio stanzino alle spalle del tavolo. -Mentre Elena avrà modo di prepararsi a dovere. Non preoccuparti, è in buone mani- gli arrise tornando nella stanza con una sacca che poggiò sul banco.
Altair annuì per niente certo.
Elena si sistemò al tavolino degli scacchi e cercò di osservare il meno possibile ciò che Malik fece alla pelle bronzea del suo maestro. Tentò persino di giocare da sola, fin quando il capo sede non chiamò Rauf che, sotto suo ordine, le fece compagnia.
Elena perse due volte di seguito mosse appena le venti pedine. Non era che non le andasse di giocare, era semplicemente distratta. Sì, distratta da quel corpo a torso nudo seduto accanto al bancone del Rafik che si apprestava a controllare ciascun taglio, come quella volta ad Acri.
Provò un incredibile rimorso, ma non seppe spiegarsi il perché. A breve Altair avrebbe svolto per lei le indagini mancanti perché la sua allieva potesse infiltrarsi a palazzo e partecipare all’Incoronazione attivamente per poi infierire sulla vita del festeggiato. Quei tasselli Altair li avrebbe scoperti vagano a vuoto per la città, arrampicandosi sui muri e saltando da tetto a tetto traversando il vento. Elena avrebbe voluto essere lì con lui, ma Malik aveva parlato di “preparativi” differenti per quanto la riguardasse. Non poté far altro se non interrogarsi su che genere di preparativi si trattassero.

-A sta sera, dunque- disse Altair finendo di allacciarsi la cintura di cuoio.
Elena, spaventata, si alzò dallo sgabello d’un tratto, attirando impacciata l’attenzione di Rauf e Malik, oltre che del suo maestro.
-Sì, ecco… meglio che mi sto zitta- si risedette lentamente.
Altair e il capo sede si scambiarono un’ultima occhiata, poi l’assassino si volatilizzò fuori dalla Dimora.
-Elena- la chiamò Malik qualche istante di silenzio più tardi. Il ragazzo si apprestò a risistemare i medicinali e le garze pulite nella sacca, gettando invece quelle usate in un cesto sotto il bancone.
La ragazza tornò in piedi e si avvicinò a lui. -Sì, Rafik-.
Malik le sorrise benevolo avviandosi nello stanzino. -Seguimi- ed ella obbedì.
C’era una scaletta stretta e di legno che scendeva fino ad una saletta del seminterrato dove, Elena notò bene, vi era un salotto più grande che al centro ospitava una vasca che faceva concorrenza a quelle che ricordava negli appartamenti delle Dee.
Riempita fino all’orlo di acqua cristallina e contornata di cuscini sui quali vi erano adagiati degli asciugamani, era tanto, tanto invitante.
-Spero non ti dispiaccia se è a temperatura ambiente, ma vi aspettavamo parecchio tempo fa- ridacchiò l’uomo senza un braccio.
-No, non è… nulla- mormorò Elena guardandosi attorno.
-Bene. Prenditi tutto il tempo che ti serve, per qualsiasi cosa sono di sopra- disse e si avviò risalendo la scala.
Elena esitò una manciata di minuti a fissare la vasca senza accennare un movimento. Quasi non le andasse di lavarsi, quasi volesse scappare come faceva da piccola, esitò quello che le parve un tempo troppo breve.
Si spogliò lentamente, entrò in vasca e fu sorpresa di trovarvi l’acqua ancora abbastanza calda e ospitale.
E, inevitabilmente, chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, pensando a qualcosa o qualcuno che non riguardasse né Corrado, né Marhim e il momento in cui l’avrebbe rivisto, né il suo maestro.
In conclusione, pur di lasciar correre il tempo, preferì addormentarsi.

La lama penetrò nella carne, all’altezza del petto. Fu un istante infinito quello in cui i suoi occhi neri si persero in quelli azzurri di lei che, pur di liberarsi dalla stretta, iniziò a strillare disperata. Il suo nome, quello che non avrebbe mai dovuto rivelare a nessuno dei cavalieri presenti alla cerimonia. Il nome di un assassino, il nome dell’uomo che aveva amato, il nome del suo maestro. Era questo che gridava, strattonandosi e tentando di divincolarsi. Ma il nero di quegli occhi si spense in un barlume grigiastro, ed infine calarono le palpebre, chiuse come stesse dormendo. E Corrado rise.

Si svegliò d’un tratto, agitando appena le braccia nell’acqua e irrigidendo i muscoli.
Quello che aveva immaginato o sognato fugacemente era stato orribile, da gettare nel dimenticatoio e da non prendere neppure in considerazione.
Alquanto interdetta di aver solo chiuso occhio ed essersi svegliata in piena serata, Elena si guardò attorno spaurita. Si accorse che nel bagno erano state accese delle candele e ne contò una quindicina, mentre dal piano di sopra venivano delle urla…

Altair piegò le ginocchia per attutire il colpo, ma una fitta di dolore lo pervase su tutto il fianco sinistro. Strinse i denti, ma tentò di non darlo a vedere ai due assassini seduti agli scacchi.
-Era ora! È notte fonda, fai rapporto- sibilò Malik senza neppure salutarlo, e quel suo atteggiamento lo lasciava terribilmente confuso.
Ma dopo la morte di Al Mualim non avevano fatto pace? Si chiese.
Gli raccontò per filo e per segno cosa aveva fatto in tempo a fare. Si erano tratti per la maggior parte di piccoli lavoretti sul confine del distretto medio con tanto di alcuni interessanti borseggi.
L’assassino si appoggiò di spalle alla parete, accanto a lui si ergeva lo stendardo della setta.
-Di guardie ne ho eliminate a più non posso, ma il lato nord del palazzo è ancora coperto dalle pattuglie che, fortunatamente, non sostituiranno fino alla sera di domani dato che diffidano nei cambi di turno. Ma è qui che si sbagliano; se non manderanno nessuno a prendere il posto degli uomini che ho ucciso, non si accorgeranno che quelle zone sono vuote. Così Elena avrà via libera. Ma ti ripeto, il lato nord è ancora occupato. Ero troppo stanco e… sono tornato indietro-.
-Troppo stanco?- lo derise Malik.
Lui annuì, sperando che non se la prendesse troppo. Ma dopotutto, a rimetterci erano tutti quanti se Altair aveva sbagliato qualcosa. E scommesse con se stesso che Malik avrebbe adottato quel genere di ramanzina, facendogli pesare sulla coscienza che non era il solo a rimetterci.
-Non m’importa, avresti dovuto fare tutto il possibile per sbarazzartene!- sbottò Malik.
Altair si stanziò dalla parete incrociando le braccia al petto. –E l’ho fatto. Almeno la metà delle guardie sulle mura sono cadute a precipizio dall’altra parte. Il tetto sud del Tempio è pulito, e prima che qualcuno se ne accorga, domani mattina all’alba io, Elena e Rauf saremo già alla cerimonia-.
-Non potete passare dal tetto. Hanno dei soldati appostati sulle torri del palazzo, vi vedranno- pronunciò nervoso il capo sede.
-E chi ti dice che non abbia pensato anche a quelli?- ridacchiò l’assassino.
-Cosa ci trovi di tanto divertente?! Qui ne vale in gioco la tua, la mia, la sua- indicò lo stanzino alle sue spalle alludendo alla Dea che era di sotto –e la vita di quei poveri cristi!- puntò l’unica mano nella camera accanto dove Rauf e Abbas si sfidavano a scacchi. –Scusami tanto, ma ancora non colgo l’ilarità di tutto questo!- ruggì.
Altair si voltò di profilo abbassando lo sguardo.
-Come credevo- disse Malik tornando lentamente seduto dietro il bancone.
-Perché mi tratti ancora così?-.
-Perché sei un irresponsabile! Ti ostini a voler fare come sempre di testa tua, e guarda che cosa hai combinato! Corrado deve morire prima di diventare Re, hai capito?! Prima! Si può sapere cos’altro ha ritardato il vostro arrivo oltre quel maledetto Templare che giuro, se è ancora vivo, lo ammazzo di persona!- strillò alzando gli occhi al cielo.
-Mi spiace deluderti, ma costui che disprezzi tanto è morto, grazie alla mia testa- sogghignò tra sé e sé.
Malik restò parecchio interdetto. -La tua testa?…-.
-Lascia stare- sorrise mesto.
-Ti sbagli, invece insisto! Avanti, illustrami i tuoi rammarichi! Se c’è qualcosa che ti turba, dovresti raccontarlo a me. Ma non come Rafik- pronunciò sbollentandosi. -come tuo amico- sospirò.
Altair si guardò attorno circospetto. –Avanti, chi ha cerbottanato il mio Rafik preferito?!- scherzò.
Malik scoppiò in una fragorosa risata. –Non ci sono sedativi in questa Dimora, mi spiace. Sarà stato qualcun altro- rise. –Forza, parla- fece allegro.
Altair prese un gran respiro e si sedette su uno degli sgabelli di fronte a lui.
-Tanto lo so che riguarda la tua allieva- borbottò divertito il capo sede.
Altair accennò un sorriso che durò pochi secondi.
-Non puoi mentirmi, quindi ti conviene parlare prima che lo vada a chiedere a lei- azzardò un passo indietro.
-No, fermo! Va bene, va bene- ridacchiò l’assassino, e Malik tornò al suo posto. –Scusami, è che me ne vergognò un po’, ecco tutto-.
-Quanti anni ha, la fanciulla?- chiese allegro.
-Diciassette-.
Il Rafik tacque alcuni istanti. –Sei un bel guaio. Se mi diventi scapolo che attacca con le ragazzine adesso, non oso immaginare dove andrai a finire di questo passo!- lo derise.
-Malik, non sto scherzando. Quella ragazza mi ha totalmente preso, e cerco di dare una vana spiegazione ad ogni mio atteggiamento scartando l’ipotesi che…-.
-Ne sei innamorato?-.
-Sì, esatto- borbottò. –Parlare di tutto ciò adesso mi sembra assurdo, Malik. Domani…-.
-No, no!- lo interruppe. –Adesso va benissimo, anche perché se te lo tiri dietro durante la giornata di domani, qui mi torna vivo solo Rauf- sbuffò.
Altair trattenne una risata. –Qualcuno ti ha davvero sedato-.
-Cerca di fare in fretta. Devi parlare con Elena delle indagini. Perciò stringi, fratello-.
-Beato tu che te ne stai in questo buco- si mise a braccia conserte sul tavolo.
-Ah! Già, beato me. Hai idea di quanto mi manchi qualcuno che mi faccia compagnia che non siano quei due squinternati!- sussurrò guardando gli assassini che giocavano a scacchi poco distante.
-L’ho sempre saputo che ti serviva una donna- ridacchiò lui.
-Non ho detto questo!-.
-Si vede lontano un miglio, Malik-.
Il capo sede lo fulminò con un’occhiataccia. –Perché siamo arrivati a questo punto? Non parlavamo di te?!- digrignò.
Altair si strinse nelle spalle.
-Stavi dicendo?- bofonchiò l’uomo senza un braccio guardandosi attorno.
L’assassino prese a stringersi le cinghie del guanto destro. –Speravo di chiederti qualche consiglio, ma in questo frangente sei meno esperto di me- pronunciò serio.
-In che frangente? Ah…- lo inchiodò con uno sguardo in cagnesco. –Vogliamo parlare di Adha?-.
-Colpo basso! Colpo basso!- strillò Altair sotto tono.
-Ma scommetto che è per questo che hai l’innamoramento facile. Trovi in Elena qualcosa che in Adha non c’era? Forse… la giovinezza?-.
-Stai andando fuori strada, Rafik- lo stuzzicò.
-Fammi riflettere- fece assorto Malik. –Avete ritardato di 36 ore… siete stati soli… magari in una qualche Dimora abbandonata del Regno…- parve illuminarsi d’un tratto.
Altair rabbrividì. –Che c’è?-.
Lo sguardo di Malik vagava nel vuoto della stanza dritto di fronte a sé e si spostò lentamente nel suo.
-Altair…- digrignò il capo sede.
-Che c’è?!- ribadì ancor più sbigottito.
Malik scoppiò a ridere dopo pochi secondi. –Ora capisco tutto. Avanti, vattene. Di questo non devi discutere con me, forza- gli indicò lo stanzino alle sue spalle. –Va’ a parlarle- continuava a ridere, incessantemente, attirando per di più l’attenzione di Rauf e Abbas.
Altair sospirò pesantemente e riscese le scalette che portavano nel seminterrato.

Sorrise, e il fatto che fosse lì non poté far altro che rallegrarla.
-Spero di non aver interrotto nulla- fece allegro Altair entrando nella stanza.
-No, nulla- mormorò Elena abbassando lo sguardo sul suo corpo, fortunatamente, poco guardabile dato il soffuso coloro dell’acqua che le arrivava fino alle spalle.
Altair si sedette su uno dei cuscini accanto alla vasca e appoggiò la schiena contro la parete. Il cappuccio abbassato, il sorriso sulle labbra, lo sguardo che non si soffermava su altro che non fossero gli occhi di lei.
Le guance le si colorarono di quel poco che bastò ad Altair per allungare ulteriormente il suo ridere.
-Ci sono stati problemi? Perché siete qui?- balbettò flebile.
-Sì, in effetti qualche problema c’è stato- ridacchiò –ma nulla di grave. Piuttosto, siccome Malik ha insistito affinché riposassi il più possibile, mi ha chiesto di riassumerti tutti i dettagli delle indagini concentrando il tempo in un breve lasso di questa sera, così che tu possa allungare il sonno quanto ti basta-.
-Siete venuto a rompermi le scatole mentre faccio il bagno piuttosto che parlarmene a cena o domani mattina a colazione?!- chiese incredula.
Lui annuì. -Assurdo, ma è incredibile quanto Malik stesso voglia accorciare la faccenda. Piuttosto, mi stavo chiedendo…-.
-Cosa?- domandò lei distogliendo lo sguardo.
-Sicura di non avergli detto nulla? Mi guardava in modo strano quando sono tornato- rise, ed Elena con lui.
-Nulla, ma credo che sia abbastanza sveglio come Rafik- sorrise lei.
-Quell’uomo mi conosce da molto più tempo- sussurrò assorto nei suoi pensieri, chinando la testa.
-Come mai?- chiese curiosa.
-Mi pare di averti parlato di quella volta ad Aleppo, quando…-.
-Sì!- gioì Elena. –Mi ricordo, ecco perché il suo nome mi era duplice familiare- rise.
-Prima e dopo di quella volta- cominciò lui. –ce ne sono state tante altre. Kadar non veniva poi così spesso con noi, ma io e Malik eravamo inseparabili- rimembrò probabilmente alcuni dei suoi ricordi migliori.
Elena ci pensò alcuni istanti. –Come mai adesso è Rafik?-.
-Al Mualim gli propose questa carica per non restare in disparte alla confraternita. Ma è stata di per più una sua scelta. Era particolarmente legato a questa città e il Rafik che vi era prima di lui morì qualche anno addietro alla missione nel Tempio di Salomone. Erano mesi che cercavano qualcuno di nobile alla Dimora di Gerusalemme, e alla fine l’hanno trovato. Al Mualim e i suoi saggi si sono complimentati del suo coraggio; io ricevetti la notizia assieme alla lista dei celebri nove nomi, ma quando giunsi a Gerusalemme per l’uomo di cui dovevo occuparmi, Malik continuò ad odiarmi nonostante tentassi in mille mondi di scusarmi! Prima Kadar, poi un braccio ed è stata tutta colpa mia…-.
Elena rabbrividì. -Come colpa vostra? Cosa avete fatto precisamente?-.
Altair sospirò carezzando un asciugamano lì vicino. -Ancora una volta ti accorgi di come neppure il tuo maestro sia perfetto, non è così?- domandò spensierato.
-Sì, in effetti- mormorò ella affondando fino al mento nell’acqua.
-Cerca di non distrarti- le sussurrò soave.
-Distrarmi, e come?- chiese confusa.
-Pensando a cosa è successo. So bene che ti tormenta ancora-.
Elena scese giù fino a nascondere le labbra nell’acqua della vasca. –Hmm- mugolò.
-È stato davvero sciocco farlo accadere ora, e me ne prendo ogni colpa se può farti star meglio-.
La ragazza tacque, e il suo maestro proseguì.
-So che sei in grado di isolare la mente e concentrarla sull’ardore della rabbia che provi per Corrado, anche se è l’unica cosa che non ti ho insegnato. Sono certo al cento per cento che ce la farai…- s’interruppe pensando ad altro. -Quando ti ho chiesto che cosa avessi intenzione di fare una volta che avessimo salvato tuo padre, mi riferivo al fatto se gli avresti parlato di me e in che modo-.
Un brivido le percorse la schiena ed Elena si risollevò tornando con l’acqua alle spalle. –Io…-.
Altair scosse la testa. –Ti prego, lasciami finire-.
Elena annuì, percependo gli occhi inumidirsi.
-Quello che più mi ha sconvolto è stato scoprire che cosa ti passava per la testa!- scoppiò in una fragorosa spiegata. –Non voglio mica darti pena, ma spiegami come sei arrivata ad una simile conclusione!-.
Sembrava tanto divertente? No, perché invece di ridere Elena cominciò a piangere silenziosamente, trattenendosi dal singhiozzare.
-Non ho idea di cosa gli avrei detto a riguardo…- mormorò lei. –Ma probabilmente ci sarebbe arrivato da solo- trovò la forza di sorridere –dato che con Malik è successo così-.
Altair si rallegrò a quelle parole, ma non notò comunque il tono di molto affranto di Elena. –E se glielo avessi detto io?-.
-Dirgli che cosa, poi? Che avete sottratto voi la verginità di sua figlia!? Ah! Forse sarebbe stato contento- sibilò scontrosa.
-No, scusami- intervenne lui –era una domanda stupida- disse serio.
-Sì, parecchio- sibilò la ragazza.
-Ma venendo a noi- Altair si tirò su. –Ascolta bene e cerca di sognarti una tattica che funzioni, sono stato chiaro? Domani mattina avremo i minuti contati, necessari solo a stabilire il percorso più breve sulla carta e raggiungere il Palazzo…-.
Altair le fece una lunga lista di luoghi, appostamenti. Accennò al fatto che nessuna pattuglia di guardie effettuava cambi fino alla sera successiva, così da non avere buchi nel quale presunti assassini avrebbero potuto infiltrarsi. Le disse che si era occupato dalla stragrande maggioranza degli arcieri sui tetti e che l’avrebbe accompagnata fin dentro la sala dell’Incoronazione che Elena, dannatamente, poté a stento immaginare dato il fatto che non vi era mai stata. Rauf sarebbe venuto con lei, l’avrebbe scortata oltre e si sarebbe mimetizzato tra i posti a sedere spartani vicino all’ingresso. Altair, invece, avrebbe vegliato su di lei dall’alto dei balconi che affacciavano sulla navata principale.
Pochi minuti per un lavoro pulito e accurato. Prima del suo ingresso in sala, Corrado avrebbe sostato nella parte nord del ovest del palazzo in una delle stanze riservate. Avrebbero colpito all’alba anche prima che si svegliasse.
-Domani, 21 Aprile 1193, a quest’ora, Corrado sarà già morto- concluse così il suo discorso, ed Elena annuì soddisfatta.
-Ora esci di qui, prima di prenderti un accidenti- l’assassino si chinò a raccogliere un asciugamano abbastanza grande e glielo porse.
-Posso fare da sola, o dovete…- mormorò lei percependo il calore delle guance aumentare.
-Sì, scusa- si voltò e andò dritto verso le scale. Ascoltò il fruscio dell’acqua smossa dai suoi movimenti, ma sull’ultimo, senza che Elena se ne accorgesse, si girò per scorgere da lontano la morbidezza dei suoi fianchi e le goccioline correre verso il basso correndo lungo le sue gambe.
Nient’altro, poiché Elena fosse di spalle e si avvolse svelta nell’asciugamano stringendoselo attorno al seno. Le arrivava appena a metà coscia, ma già quella vista lo fece sorridere.
-Ehi!- la ragazza afferrò un cuscino e glielo scagliò contro.
Altair fece un passo indietro e lo afferrò al volo. Non disse nulla, ma sul volto gli comparve un sorriso strano: divertimento e gioia, questi due elementi mescolati ad un incredibile imbarazzo. –Scusa- sussurrò appena.
Elena rimase immobile, di fronte a lui. –Siete stato voi a dirmi che andava bene così, ed io non ho insistito oltre- mormorò.
-Sì, ma quello tremendamente confuso sono io. Quindi non pensare a me- lanciò il cuscino dove Elena l’aveva pescato e si avviò al piano di sopra.

   
 
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