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Autore: Amatus    07/07/2016    3 recensioni
I grandi eroi esistono per sconfiggere grandi nemici e pericoli mortali. E se il confine fra eroe e mostro non fosse così evidente? Se l'eroe non sapesse contro cosa realmente combatte? Se il nemico fosse convinto di essere un eroe?
E se il nemico più pericoloso fosse l'eroe pronto a combattere per la propria giusta causa a dispetto di tutto il resto?
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista. Questa storia ne presenta due. Due potenziali eroi. Due potenziali mostri. Distinguere l'uno dall'altro potrebbe essere più difficile di quanto si pensi.
Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative che non sapeva come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie. Non avevano più nessun significato da tempo immemorabile. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome, anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
[IN REVISIONE]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fen'Len - Figlia del Lupo'
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XXVII
La prima cosa di cui fu consapevole quella mattina, fu il terribile sapore acre che il vino aveva lasciato nella sua bocca. Non appena tentò di muoversi lo stomaco iniziò a gorgogliare facendole tornare alla mente i terribili momenti trascorsi nella stiva di una nave.
La testa le pulsava incessantemente, era davvero molto tempo che non beveva così tanto. Riuscì con fatica a tirarsi su a sedere, quel tanto che bastava per guardarsi attorno. Si trovava nel cortile della fortezza, si era addormentata vicino a casse e sacche di provviste, Varric non doveva essere troppo lontano, non lo vedeva ma lo sentiva russare. Il sole iniziava pian piano ad alzarsi su quella distesa di sabbia e il caldo era già soffocante.
Lena cercò di mettersi in piedi, ma un nuovo conato trattenuto a stento le fece cambiare idea, si trascinò fino a raggiungere un mucchio di sacchi e si appoggiò ad essi con la schiena. Rimase a lungo ad osservare le ombre ritirarsi pian piano.
La testa era confusa e i pensieri appannati, ma per quanto vino e liquore fosse riuscita ad ingerire la notte precedente, non era stato sufficiente a cancellare dalla sua testa neanche una virgola di quanto accaduto in quei giorni. Era ancora tutto inciso nella sua memoria. Gli sguardi spaventati dei suoi compagni dopo aver ascoltato le parole del demone, le bruciavano nella mente. Aveva visto la paura crescere dentro di loro, li aveva visti chiudersi in loro stessi uno ad uno. Ricordava anche le parole che il demone aveva rivolto contro di lei sebbene non ne fosse rimasta turbata, era abituata ad essere derisa e sminuita da tutta la vita, era riuscita a ridere delle parole del demone e ne era orgogliosa. Anche per lei, però, l’oblio aveva tessuto un tormento adeguato e non poteva incolpare il demone per questo, solo se stessa.
Chi le aveva dato il potere o l'arroganza di scegliere la vita e la morte per un individuo? Ragionando razionalmente sapeva che Hawke e Loghain si sarebbero fatti uccidere entrambi se non fosse intervenuta prontamente, ma non poteva negare che non ci fosse nulla di razionale nel modo in cui aveva preso quella terribile decisione, vi era anzi una buona dose di egoismo. Lena aveva realizzato in un attimo che se avesse lasciato Hawke morire nell'Oblio, non avrebbe più potuto guardare Varric negli occhi. E per questo un buon uomo era morto, un custode coraggioso aveva sacrificato se stesso.
Persa in quella terra sbagliata, non aveva pensato neanche per un momento alle proprie responsabilità, non aveva pensato all'Inquisizione, al bene del mondo, alla cosa giusta da fare. Aveva chiuso gli occhi e aveva rivisto lo sguardo addolorato di Varric, aveva per un istante riassaporato le emozioni del nano, che così violentemente la avevano assalita in un sogno di tanto tempo prima, aveva sfiorato di nuovo il suo dolore e semplicemente non aveva potuto fare altro che riportare Hawke da lui.
Si era costretta a guardare Loghain negli occhi, lui l’aveva ringraziata, aveva infine reso omaggio all’Inquisitore riconoscendole integrità e forza d’animo e lei era rimasta a guardarlo correre incontro alla morte. Era restata fino al momento in cui rimanere ancora avrebbe significato vanificare il sacrificio del guerriero. Aveva guardato per imprimere nella memoria il proprio crimine, per non poter dimenticare un giorno, che un uomo valoroso era morto a causa sua.
Tornata aveva guardato Varric negli occhi e gli aveva sorriso, lui non poteva e non doveva sapere. Si chiese quanto tempo sarebbe passato prima di potersi guardare allo specchio con la stessa sicurezza.
 
Il sole continuava ad alzarsi, presto la avrebbe raggiunta.
Vide un ammasso di stracci che riconobbe come Varric, muoversi ed infine sollevare la testa e guardarsi intorno disorientato.
“Buon giorno, mastro Tethras.”
Il nano strizzò gli occhi, cercando di capire da dove venisse la voce, individuata l’elfa si alzò a fatica e si trascinò verso di lei, andandosi a sedere al suo fianco all’ombra delle mura.
“Parla per te ragazzina, siamo nel mezzo del nulla, fa già un fottutissimo caldo e la mia testa sta per scoppiare. Direi che non ha niente di buono questo giorno!” Varric si era seduto contro un grosso sacco, vi aveva appoggiato la testa e chiuso gli occhi. Era strano vedere il nano la mattina dopo una sbronza, reggeva perfettamente l’alcol e non lo aveva mai visto bere tanto da stare così male.
“E’ bello vedere come le notti in accampamento non smettano mai di metterti di buon umore!” disse Lena ironica, per tutta risposta Varric allungò una mano dietro la testa verso l’apertura del sacco, ne trasse una patata e la lanciò contro l’elfa, nonostante lo stordimento lei riuscì ad evitare che le colpisse il naso.
“Promettimi che mi impedirai di toccare anche il più misero goccio di birra per almeno un mese.” La voce di Varric era roca e impastata, ma sembrava serio.
“Non credo sia così difficile, probabilmente ieri sera abbiamo prosciugato le riserve di alcol dell’intero Accesso Occidentale.”
Varric si concesse un mezzo sorriso, piegò di nuovo in dietro la testa e chiudendo gli occhi chiese: “Tu come stai?”
“Come se avessi preso la peggiore sbornia della mia vita.”
Varric aprì un occhio e la guardò di traverso: “Ricordi niente di ieri sera?”
Lena fece di sì con la testa e chiuse anche lei gli occhi. La serata precedente era impressa a fuoco nella sua memoria come tutto il resto.
Era così arrabbiata con Solas,  eppure sapeva che almeno in parte l’amico aveva ragione.
Aveva visto giusto, la sua decisione riguardo i custodi era stata istintiva e irrazionale, aveva senza dubbio molto, troppo di personale. Ma come poteva pensare che avesse a che fare con loro due? Che scarsa considerazione doveva avere di lei?
La aveva più o meno direttamente accusata di usare quella storia per rivalersi contro di lui. Chi potrebbe mai fare una cosa del genere? La conosceva davvero così poco? La giudicava tanto infantile? A cosa erano servite le lunghe ore trascorse insieme, le confidenze, tutto ciò che avevano condiviso e affrontato insieme se a lui era bastato un misero errore, la debolezza di un momento, per perdere completamente la stima che diceva di avere per lei.
Lena doveva ammettere di non essere stata onesta con lui, tornati dall’Oblio lo aveva tenuto a distanza, lo aveva evitato, si era rifugiata in Varric, per cercare in lui la conferma di aver fatto la cosa giusta o quanto meno per trovare una giustificazione per il proprio orribile crimine.
Comunque non avrebbe potuto affrontare Solas, come avrebbe potuto capire quell'elfo così razionale, la sua decisione? Lei aveva messo da parte il senno e fatto una scelta seguendo solo l’istinto. Di nuovo, e lui l’avrebbe senza dubbio giudicata duramente. Ma non avrebbe permesso a quell’elfo di confezionare giudizi per qualcosa che non poteva comprendere. Come poteva sapere cosa aveva provato lei davanti al dovere di scegliere tra due mali atroci? Come poteva capire chi non era stato costretto dal fato a trovarsi nella sua stessa posizione, cosa si provava a condannare qualcuno nella speranza di poter salvare qualcun altro?
Solas non avrebbe capito e lei lo avrebbe odiato per il suo giudizio superficiale. E allora meglio non offrire all’amico quell’occasione.
Meglio lasciargli credere che il problema fosse lei, il suo cuore lunatico, la sua irruenza e il suo orgoglio, piuttosto che permettergli di guardare dentro la sua colpa. Preferiva essere accusata immeritatamente di un errore insensato, che dava di lei un’immagine ridicola, ma che era pronta a sopportare e a combattere, anziché essere condannata con superficialità per una colpa che lei stessa non sapeva perdonarsi.
Infondo andava bene così. Avrebbero finito con il complicarsi la vita a vicenda, in questo modo invece ciascuno poteva tornare tranquillamente per la propria strada e magari il loro rapporto sarebbe tornato a distendersi, prima o poi.
 
“Ragazzina, è andata così male?” La voce preoccupata di Varric la distolse da quei pensieri tristi e la riportò al presente.
“Non c’è nessuno come me capace di prendere una brutta situazione e farla diventare pessima.”
“Non ci scommetterei fossi in te, ne ho conosciuti di combina guai nella mia vita! Finché non fai scoppiare una guerra o esplodere qualcosa, ai miei occhi rimani una principiante.” Varric aveva recuperato un tono più lieve rispetto ai giorni precedenti, l’incubo si stava allontanando, almeno dai suoi pensieri. “Ho già cercato di metterti in guardia, ma tu sei più testarda della cercatrice. Qualunque cosa stia accadendo tra te e il simpaticone, fai attenzione.”
Lena si sentì esasperata dalla situazione, nessuno voleva riconoscere la dinamica del suo rapporto con Solas, nessuno voleva vedere che ancora una volta non era lei ad essere la preda in pericolo.
“Perché continuate tutti a credere che sia io quella da difendere in questa storia. Vai a parlare con lui e digli di fare attenzione, di starmi lontano, di non cacciarsi nei guai, perché a quanto pare sono io ad essere pericolosa.”
Lena aveva risposto di getto, ma Varric non sembrava scosso dalla sua reazione, il nano aveva anzi sorriso senza guardarla.
“Solas non è Anders!” Queste ultime parole lasciarono la sua bocca prima che l’elfa potesse impedirselo. Si rese conto di essere incredibilmente stanca, di desiderare immensamente un solo istante di pace, senza la costrizione e il peso delle responsabilità, senza l’angoscia di commettere errori che sarebbero risultati fatali per l’intero Thedas, senza dover essere necessariamente sotto gli occhi di tutti. Desiderò di poter essere di nuovo semplicemente triste, spaventata, arrabbiata o debole. Invece tutto quello era stipato e compresso dentro di lei ed ora aveva trovato sfogo nel modo peggiore.
Varric sollevò la testa e le rivolse uno sguardo gelido: “E tu certamente non sei Hawke.”
La voce del nano era suonata spietata alle orecchie di Lena. Lo vide alzarsi e allontanarsi da lei senza aggiungere una parola.
Era stata una sciocca, aveva capito i timori del suo amico e li aveva usati contro di lui, smascherandoli in modo meschino. Ovviamente Varric non aveva apprezzato.
Desiderò per un attimo essere il tipo di combina guai capace di far saltare in aria le cose o di scatenare guerriglie, invece era destinata ad essere una persona capace di generare caos nelle proprie questioni private, dispensando pace e ordine solo a chi era in grado di rimanere sufficientemente lontano da lei.
Varric aveva ragione non c’era assolutamente nulla di buono in quel giorno.
 
La fortezza stava pian piano prendendo vita, iniziava una nuova giornata e qualunque pensiero la angosciasse doveva essere seppellito in profondità, l’Inquisitore doveva salire sul palco, Lena avrebbe dovuto attendere momenti migliori per tornare alla ribalta.
Cullen la trovò in fretta, aveva come al solito mille questioni da sottoporle, ma la più interessante quella mattina riguardava il loro ritorno a Skyhold, gli uomini sarebbero stati felici, ma questo voleva dire decidere riguardo l’assegnazione dei custodi.
Si affidò ciecamente ai consigli del comandante, non sarebbe stata in grado comunque di scegliere razionalmente.
Si concentrò invece su gli ordini di approvvigionamento, sui rapporti degli esploratori e sulle manovre necessarie per riportare il grosso delle truppe verso Skyhold, il viaggio sarebbe stato lungo ed era necessario prevedere delle soste adeguate lungo il cammino. Muovere un intero contingente avrebbe richiesto un’ottima organizzazione.
La mattinata trascorse lenta e noiosa tra logistica e rapporti. Cullen sembrava il solo del suo entourage più ristretto ad essere rimasto in circolazione e Lena dovette riconoscere che il suo atteggiamento distaccato da bravo soldato fosse esattamente ciò di cui aveva bisogno.
Nel primo pomeriggio l’Inquisitore notò Varric gironzolare nella grande sala, nell’angolo della quale si trovava il tavolo del comandante.
Si aggirava come un gatto nelle cucine, tentando di rimanere inosservato e avvicinandosi a poco a poco al proprio obiettivo.
 “Ricciolino, anche se i tuoi poteri ti permettono di non mangiare, non puoi affamare l’Inquisitore. Non vorrai farla tornare pelle e ossa come quando è arrivata da noi?”
“Accidenti, si è fatto tardi. Mi dispiace Inquisitore, non me ne sono reso conto. Sei affamata? Sei stanca?”
“Tranquillo, Varric ti sta solo prendendo in giro. Sto bene, anche se devo ammettere che una pausa non mi dispiacerebbe.”
Cullen annuì e si allontanò per cercare qualcosa da mangiare.
Lena e Varric lasciati soli si guardarono negli occhi per un istante.
“Mi dispiace, ho detto una cosa orribile, non volevo. Puoi perdonarmi?” Lena aveva parlato d’un fiato felice di poter chiedere scusa.
Varric rispose con una sonora risata “Ragazzina, abbiamo solo discusso, non mi sembra una cosa così grave. Doveva succedere prima o poi. Io potrei litigare anche con me stesso se passassi troppo tempo da solo in mia compagnia. E’ per questo che scrivo.”
Lena sorrise. All’improvviso si sentiva più leggera.
“E poi avevi colto nel segno. Se dovessi serbare rancore verso tutti coloro che mi abbiano fatto notare una verità che volevo ignorare, probabilmente ora potrei parlare solo con Bianca. E non posso esserne certo.”
Lena sorrise ancora e abbracciò l'amico con gratitudine.
“Va bene, va bene” disse Varric cercando di liberarsi dall'abbraccio dell'elfa, “Non c’è bisogno di fare tante storie. Promettimi solo che prima di fare esplodere una cosa qualunque ne parlerai con me ok?”
Lena liberò Varric dall’abbraccio e lo guardò grata e divertita.
“E comunque sappi, ragazzina, che io faccio il tifo per il custode.”
“Fare il tifo per il bugiardo assassino, è senza dubbio da te.”
“Nessuno di noi qui è una persona per bene. Siamo qui per questo, per far sì che le persone per bene possano rimanere al sicuro nelle loro case. Quindi, meglio sapere con chi hai a che fare, no? Fossi in te mi chiederei cosa abbia da nascondere dal canto suo, il nostro mago per bene
Lena ebbe l’impressione che avrebbe avuto tempo per riflettere sulle parole dell’amico, ma Cullen era di ritorno. La pausa era finita c’erano doveri a cui doveva dedicarsi ed ora lo avrebbe fatto con un poco più di serenità.
 
 



XXVIII 
 Camminavano da molto tempo, aprendo la strada al contingente che li seguiva ad almeno un giorno di distanza. Il loro compito era quello di prendere accordi con mercanti, nobili e borgomastri per rendere il più agevole possibile il passaggio delle truppe. L’Inquisitore voleva evitare di indispettire qualche umano spocchioso, passando attraverso terre e possedimenti senza averne il permesso. Di contro non voleva rischiare che i soldati facessero man bassa di ciò che trovavano nei territori attraversati. L’urgenza della battaglia aveva permesso di essere meno formali nello spostare i soldati da Skyhold e dalle varie roccaforti fino all’Approccio Occidentale, Josephine e Leliana avevano fatto il proprio dovere disseminando la notizia di un esercito di demoni che si raccoglieva ad Adamant, nessuno aveva cercato di fermare le forze dell’Inquisizione. Ma gi umani hanno una memoria breve e non sono inclini alla riconoscenza, non avrebbero trovato altrettanta benevolenza sulla via del ritorno.
Il viaggio proseguiva quindi lentamente ma era oramai quasi giunto alla fine. Solas era particolarmente lieto di poter far ritorno a Skyhold. Tornare alla base significava riguadagnare tempo e spazio per sé. Essere costretti a vivere gomito a gomito con un gruppo tanto ristretto stava diventando soffocante per il mago, abituato dal tempo a beneficiare del proprio isolamento.
Solas si trovò a riflettere su quanto insistente si facesse sentire il peso della solitudine in quel momento. Non era rimasto da solo neanche per un istante da quando erano in viaggio eppure si sentiva tremendamente solo e a disagio.
La persona con cui avrebbe avuto voglia di chiacchierare per poter condividere il proprio stato d’animo, era in realtà l’unica a non rivolgergli la parola.
Varric non aveva perso una sola occasione per punzecchiarlo e alla fine Cassandra si era dimostrata l’unica compagna piacevole
Da quando era diventato tanto importante il piacere di viaggiare in buona compagnia?
Quella sera come ogni altra sera, dopo aver mangiato qualcosa Solas si era seduto un poco discosto dal fuoco, abbastanza da essere defilato ma non troppo da rimanere al buio. Aveva tratto dalla sacca un piccolo fascio di fogli e una scatolina di legno in cui erano conservati dei carboncini. Ne scelse uno ed iniziò a disegnare. Aveva scoperto di trovare più stimolante poter disegnare lontano da Skyhold, non vi erano voci che lo guidassero, era libero di ritrarre ciò che la sua mente e i suoi occhi gli suggerivano ed era incredibilmente rasserenante poter seguire, anche se in modo così circoscritto, nient’altro che i propri desideri.
Nei giorni passati aveva fatto dei veloci schizzi di ciò che avevano visto durante il giorno: uno strano druffalo, un’antica costruzione elfica, un albero particolarmente maestoso. Quella sera iniziò invece con il dipingere i suoi compagni.
Sapeva dove i pensieri erano intenzionati a condurlo, ma a quel desiderio non avrebbe ceduto, non sarebbe stato giusto, neanche qui. Un sorriso gli sorse alle labbra a quel pensiero e un brivido gli percorse il corpo. Troppo spesso le immagini di Haven tornavano a tormentarlo, ora che aveva avuto un assaggio di ciò che bramava, tenere a freno l’immaginazione era divenuto sempre più difficile.
Prese a disegnare il profilo scolpito di Cassandra, era difficile rendere sulla carta la sua forza che non aveva nulla di brutale ma che aveva origine anzi dal suo cuore, dalla sua fede.
Era alle prese con gli zigomi della donna quando una voce ruppe la sua concentrazione.
“Non ti ho mai visto disegnare in missione, prima di questi giorni”
L’Inquisitore si era avvicinata un poco,  rimanendo però accostata al fuoco, sufficientemente lontana da lui.
“E’ solo un passatempo per tenere occupate le mani e la testa. In realtà preferisco la pittura al disegno”
Stavano parlando per la prima volta dalla notte della loro discussione. Entrambi sembravano guardinghi, come due cani che si studino a distanza senza avere il coraggio di avvicinarsi o la voglia di ringhiarsi. Solas sollevò per un momento lo sguardo dal foglio, l’elfa non lo guardava, guardava il fuoco, ma mentre osservava il suo profilo così familiare, lei parlò di nuovo: “Quando hai iniziato a dipingere? Perché?” la sua voce era atona, seria, lontana. Non vi era nulla dell’allegra curiosità con cui era solita rivolgergli le domande. Eppure Solas leggeva una piccola tregua dietro le parole dell’elfa.
“Ho iniziato a dipingere tantissimo tempo fa, ero davvero molto giovane al tempo. Temevo che invecchiando avrei dimenticato ciò che vedevo, ciò che incontravo sul mio cammino. Temevo che avrei dimenticato soprattutto i sentimenti legati a ciò che scoprivo. Fosse stato amore, frustrazione, rabbia, indignazione, volevo che tutto potesse rimanere cristallizzato, temevo che con il tempo mi sarei abituato all’orrore, all’ingiustizia, al calore. Il tempo corrode e corrompe, volevo che ogni sensazione rimanesse invece inviolata tanto da poter suscitare ogni volta la medesima reazione.”
L’inquisitore aveva alzato lo sguardo e lo guardava interdetta. “Come dicevo, ero giovane, non era un buon piano. Però continuare a dipingere mi aiuta ancora, soprattutto quando le idee in testa si confondono. Ogni immagine è fatta di linee, smembrare un immagine per poterla ricreare su di un muro o su un foglio mi dà un senso di ordine e di solidità. Placa le ansie del vecchio come placava quelle del giovane, anche se per motivi diversi.”
Aveva parlato semplicemente, aveva detto tutta la verità. Era rilassante farlo, era una gioia farlo con lei. Realizzò di aver parlato di sé come di un vecchio e realizzò in un attimo di aver detto troppo. Vide lo sguardo dell’Inquisitore attraversato da una domanda. Era sempre riuscito fino a quel momento ad evitare qualsiasi riferimento alla propria età ed ora aveva invece con poche parole, aperto la strada a quell’interrogativo. Non voleva mentire. Era un rifiuto assoluto, quindi corse ai ripari, rivolgendo all’amica la prima domanda che gli venne alla mente, sperando di spostare la sua attenzione.
“E tu? Avevi qualche passatempo prima di diventare la salvatrice del mondo?”
Vide l’elfa fallire nel tentativo di reprimere un sorriso. Era ancora giustamente arrabbiata. E allora perché lo cercava? E lui perché ne era così contento?
“Avrai forse notato che so leggere...”
Solas realizzò all’improvviso che l’alfabetizzazione non era un tratto comune per un dalish. Saper leggere e scrivere è spesso prerogativa esclusiva dei guardiani e dei loro Primi. Gli altri imparano difficilmente e con maggior difficoltà continuano a leggere durante l'età adulta, dopotutto i libri sono oggetti rari nelle foreste.
Eppure non aveva mai pensato a quell’abilità dell’Inquisitore come ad un dono speciale. Era così abituato a vederla emergere dalla massa ignorante che formava la sua gente, che non aveva mai pensato che lei fosse destinata a rimanere analfabeta. Ciò che lui aveva considerato assolutamente scontato, era invece di per sé un tratto speciale della giovane elfa, qualcosa che aveva concorso a renderla così vera e viva ai suoi occhi.
Superata la sorpresa per la propria superficialità, Solas si ritrovò ingenuamente a chiedere: “Quindi imparare a leggere è stato il tuo passatempo?”
La ragazza non trattenne una risata leggera, questa volta. Doveva sembrare uno sciocco ai suoi occhi.
“No, il guardiano mi insegnò a leggere e scrivere quando ero bambina. Lo insegnò a me come a molti dei miei coetanei, tutti coloro che ne avevano voglia potevano imparare. Dopo la sua morte leggere diventò un modo per rimanere legata a lui, per evadere e per sfidare la guardiana, decisa a difendere la capacità di leggere e scrivere come suo privilegio esclusivo.”
Solas fu forse ingannato dal chiarore del fuoco ma ebbe l’impressione di vedere l’Inquisitore arrossire quando con un filo di voce aggiunse: “A volte scrivevo anche, ma non dirlo a Varric.”
Solas sorrise dolcemente alle parole della ragazza. Era davvero un mistero inspiegabile la strana creatura che si trovava davanti. In quel momento avrebbe detto di lei che non fosse nient'altro che una bambina, costretta ad affrontare qualcosa più grande di lei. Ma l'aveva vista combattere con la forza e la ferocia di un lupo, aveva conosciuto la sua determinazione e la sua saggezza. Aveva ammirato la dedizione con cui si era donata alla causa, imparando a domare la propria irruenza. Era diventata una leader eccellente, attenta e giusta. Eppure aveva saputo mantenersi fedele a sé stessa. Avrebbe avuto così tanto da imparare da lei. Come poteva essere così vera? Come poteva ergersi al di sopra di tutti gli altri. Quale straordinario caso l’aveva portata proprio da lui?
O forse Fellassan aveva ragione? Forse lei non era l’eccezione, forse davvero in queste creature vi era molto di più di quanto lui non fosse disposto ad ammettere.
“Come eri prima di arrivare qui? Il marchio, l’Inquisizione, tutto questo ti ha cambiata in qualche modo?” Non seppe trattenersi dal rivolgere ad alta voce la domanda che lo tormentava e la ragazza lo fissò cercando di coglierne il significato profondo.
“Mi sembra una domanda sciocca. Come potrebbe tutto questo non avermi cambiata o fatta crescere? Sarei dovuta essere blocco di pietra per non lasciarmi modellare dagli avvenimenti che abbiamo vissuto. E come ben sai anche la pietra con pazienza e costanza si lascia levigare. Se vuoi sapere invece se  la magia del marchio possa  avermi cambiata in qualche modo, non credo di poterti rispondere. Anche se fosse non credo potrei esserne consapevole”
Gli occhi dell’elfa non lo lasciarono, continuavano a studiare le sue intenzioni.
“Dimentico troppo spesso quanto tu sia saggia, mia giovane amica.”
Si guardarono negli occhi per un momento. Di nuovo i tatuaggi della giovane dalish sembrarono emanare un fioco bagliore.
Le si avvicinò per cercare di osservare meglio lo strano fenomeno.
Prese il volto della ragazza tra le mani e si mise ad osservarne i tatuaggi. Non aveva mai visto una reazione del genere, non avrebbero dovuto brillare eppure mentre li osservava divenivano sempre più luminosi.
Incrociò per un attimo lo sguardo della giovane. Sembrava spaventata o a disagio, lasciò andare il suo viso e subito lei si allontanò trascinandosi a sedere un poco più indietro. Lo guardava interdetta e intimorita e i tatuaggi brillavano con forza.
Si rese conto di aver lasciato troppo spazio al suo interesse clinico dando luogo ad una situazione imbarazzante. Doveva spiegare.
“Da'len i tuoi tatuaggi si illuminano. Non credo dovrebbero farlo. È la prima volta che vedo una reazione del genere. Ti capita spesso?”
L'elfa scosse la testa, sembrava stupita quanto lui. “Non che io sappia, è la prima volta che qualcuno me lo fa notare.”
La giovane si toccò il viso come se potesse sentire al tatto qualche mutamento sulla pelle. I vallaslin circondavano i suoi occhi, era impossibile per lei vedere la loro reazione senza uno specchio.
“La prima volta l’ho notato nei sogni, credevo fosse una reazione dovuta al marchio. Ma deve essere qualcosa di diverso, perché ora non può essere l’influenza dell’Oblio a farli illuminare così come quella notte nella mia stanza...” lasciò la frase in sospeso.
La conversazione aveva preso una piega inaspettata e meglio sarebbe stato per entrambi interrompersi lì.
L’elfa dimostrò prontezza di spirito rivolgendosi verso i due compagni che sedevano entrambi immersi nella lettura dall’altra parte del fuoco.
“Varric vedi qualcosa di strano sulla mia faccia?”
“Certo ragazzina vedo...” ma il commento presumibilmente ironico gli morì in gola quando ebbe alzato lo sguardo sul viso dell’Inquisitore.
“Per le tette di Andraste, ti stai trasformando in una fiaccola di Velfuoco! Hey, Chuckles, è tutto normale?”
“Non saprei Varric, ma non ha l’aria di essere pericoloso.”
Mentre parlavano i tatuaggi dell’elfa erano tornati normali.
“Ragazzina, devi decisamente capire come funziona questa cosa, potrebbe essere molto utile in quelle dannate caverne piene di dannatissimi ragni giganti”
Solas si trovò ad allentare la tensione concedendosi una breve risata. Scambiò ancora uno sguardo con l’Inquisitore che si alzò in fretta augurò la buona notte e si andò a rifugiare in una tenda.
Solas invece riprese fogli e carboncini, e iniziò a tratteggiare il motivo dei tatuaggi della giovane amica. Avrebbe resistito alla tentazione di disegnare il suoi tratti graziosi, ma poteva concedersi il lusso di disegnare i suoi vallaslin, giustificando il gesto come puro interesse speculativo.
“Cosa disegni, Chuckles?”
Varric si era avvicinato a lui ed ora era accosciato dietro le sue spalle e sbirciava i suoi fogli. Cassandra doveva aver raggiunto l’Inquisitore in tenda.
“Sei piuttosto accurato, devi aver studiato questi segni con grande attenzione.” Il sorriso del nano era allusivo, ma non vi erano nelle sue parole la diffidenza e la ruvidezza che Solas vi aveva letto in passato.
“Ti ringrazio, non sapevo fossi un esperto di arte pittorica. Mi fa piacere sapere di non incorrere nel tuo giudizio critico. Non più quanto meno.” Solas era contento di aver invertito i ruoli e di poter essere lui a stuzzicare il nano per una volta.
“Non correre troppo. Di certo non hai la mia benedizione, ma alla fine che cosa ne so io di arte pittorica. Sono un cantastorie non un pittore. Sono bravo a immaginare situazioni, trame e svolte improvvise. Mi siedo qui a guardarti e immagino che tipo di personaggio potresti essere in uno dei miei libri, e ahimè, non riesco a vedere altro che un eroe tragico. Quelli come te integerrimi e inflessibili sono sempre destinati a fini sciocche e inutili, che sono quelle che di solito strappano una lacrima ai lettori.
Ma per una misera lacrima il personaggio deve attraversare mille tormenti. Perdonami quindi se cerco di tenere questo tipo di personaggi lontano dalle mie storie, lontani dai miei personaggi preferiti. Ma anche i personaggi dei libri non fanno mai quello che desidero per loro. Quindi so bene quando semplicemente è il caso di assecondare gli eventi.”
“Se avessi la metà della tua saggezza, Varric, non staremmo facendo questa conversazione. Stai tranquillo, il mio personaggio non è stato scritto per assecondare gli eventi, purtroppo. Puoi dormire sereno. Farò io il primo turno di guardia”
Lo sguardo che il nano gli rivolse prima di ritirarsi in tenda sembrava molto poco convinto dalle sue parole, ma era piacevole sapere di non avere più un nemico in Varric, la giovialità del nano era corroborante e lui aveva davvero bisogno di alleviare un poco l’amarezza delle ferite.



 

Due parole su questo capitolo. 
Devo dire che scriverlo mi è piaciuto molto, non sono certa del risultato, ma immaginare i postumi sull'inquisitore della terribile scelta fatta nell'oblio mi ha affascinato molto. Così come immaginare i motivi che hanno spinto Solas a dipingere.
E' un capitolo particolare, non accade molto, ma nel mio modo di vedere la storia, è un punto di partenza per l'evoluzione dei personaggi. E' un po' come se con questo capitolo si chiudesse il primo libro della storia e iniziasse il secondo.
I tatuaggi avranno poi un significato particolare nel procedere della storia e mi sembrava giusto arrivare al giro di boa, dando la giusta attenzione anche a questi.
Mi sono divertita ad autocitarmi (il riferimento all'inquisitore pelle e ossa appena arrivata ad Haven, è preso dalla flashfic Leggere i Pensieri,della raccolta Coi Piedi per Terra) so che è una cosa triste, ma ho da poco scritto una serie di mini storie su Varric e scrivendo del suo incontro con l'inquisitore, ho immaginato fosse proprio il suo incontro con Lena. Mi piace l'idea d ipoter in futuro scrivere, scollegate da questa long, altre scene che per amor di "brevità" ho tralasciato, ma che nella mia testa hanno già un posto all'interno della storia, come fossero già parte del mio "canon".

Per concludere devo purtroppo annunciare una piccola pausa. Vivere e lavorare in un luogo per vacanzieri, significa lavorare il doppio quando tutti gli altri riposano.
Quindi temo che non riuscirò a pubblicare un nuovo capitolo fin dopo Ferragosto. "Wait for me, I'll be back"
Buone vacanze a chi ha la bontà di leggere ancora i miei sproloqui.

 
   
 
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