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Autore: Laylath    07/07/2016    4 recensioni
Dal prologo:
"... Non lasciarmi!”
Quelle ultime due parole le procurarono un forte ed improvviso battito del cuore, risvegliandola bruscamente. Il buio era ancora attorno a lei, promessa di sicurezza ed oblio, ma qualcosa non andava.
Non riusciva più ad abbandonarsi ad esso come voleva.
Improvvisamente la sua memoria esplose di ricordi, di visi conosciuti, di voci che la chiamavano con insistenza...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Team Mustang
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Capitolo 30
1916. Eroe e principessa




 
Nelle favole molto spesso i mostri peggiori si trovano nelle grotte o nei sotterranei dei castelli.
Forse la parte peggiore della storia è ascoltare la descrizione di quei posti così scuri ed inquietanti: sono il preludio all’arrivo del nemico e senti la tensione crescere perché sai bene che prima o poi accadrà qualcosa. Allora ti raggomitoli ancora di più nel letto, quasi a volerti proteggere da quella creatura che, come per magia, potrebbe uscire dal libro e attaccarti, ignorando completamente l’eroe.
Questo è quello che si pensa da bambini e, ogni volta, a quella paura segue sempre il sollievo nel vedere che il cavaliere riesce ad avere la meglio sul mostro: dopo un difficile duello lo uccide e corre a salvare la principessa che per anni ed anni era stata tenuta prigioniera.
E vissero felici e contenti.
 
Con sua madre amante delle poesie, Riza aveva avuto poca occasione di avere a che fare con storie simili, ma le poche volte che le erano state raccontante le avevano lasciato sempre quello strano susseguirsi di sensazioni di paura e di sollievo. Nella sua solitaria infanzia quelle favole avevano avuto il merito di restare particolarmente impresse rispetto ai versi delicati ed idilliaci dei poeti romantici di sua madre.
Paura per i sotterranei, orrore per il mostro, ma poi ecco! L’eroe riesce nell’impresa e tutto torna luminoso e sereno. Una trama forse troppo usata nelle favole, ma che non smette mai di incantare: in fondo è in questi stereotipi che i bambini vogliono riconoscere il mondo no? Con l’eroe che riesce a superare le avversità e a mandare via le paure.
Ma cosa succede quando vedi l’eroe diventare un mostro più orribile del vero nemico?
Riza era lì, con la pistola in mano, in quella grande stanza dalle pareti bianche con un grosso portale sul fondo, dove erano appena spariti Edward, Scar ed i loro compagni. Sul pavimento decine e decine di strani manichini bruciati, patetiche imitazioni di vita che erano andati incontro all’alchimia del fuoco.
E poi Envy, nella sua vera natura: un mostro così grosso da occupare buona parte della stanza. Una creatura troppo difficile da descrivere con tutte quelle appendici umane che gli uscivano da varie parti del corpo. Se Gluttony, Bradley e Pride avevano suscitato reazioni contrastanti in Riza, questa volta la soldatessa non aveva dubbi su quella da attribuire all’homunculus dell’invidia: schifo.
Ma non era lui a spaventarla davvero, non più di quanto avessero fatto i suoi fratelli.
A preoccuparla era Mustang che, dopo le rivelazioni di Envy a proposito dell’uccisione di Hughes, aveva subito una stupefacente metamorfosi. Quel bel viso era storpiato dal proposito di vendetta, gli occhi scuri che non guardavano altro che l’homunculus con un’unica intenzione: ucciderlo. Tutta la sua persona emanava un qualcosa di brutale, disumano, come se fosse stato spogliato di tutto fuorché dei più crudeli istinti che si tengono nascosti nelle profondità dell’animo.
Dov’era il suo eroe? Quello che veniva a salvarla sempre sin da quando era ragazza?
Dov’era la persona che aveva giurato di proteggere? Quella a cui si sarebbe affidata con tutta se stessa?
“Adesso capisco cosa hanno provato quei ragazzi quando hanno tentato di trasmutare la loro madre”
Quella frase detta davanti alla tomba di Hughes, la voce sottile che cercava di nascondere il dolore, le ritornò paradossalmente alla memoria. Quanta umanità c’era in quelle parole? Forse non aveva mai visto il colonnello così vulnerabile.
E se per il suo migliore amico aveva provato un dolore così umano, adesso si era trasformato in una bestia senza alcun sentimento.
“Sta indietro tenente – disse lui, allungando il braccio per non farla avanzare – è arrivato il momento di rendere omaggio a Hughes”
La voce era calma e letale, ma proprio per questo faceva paura. Non era la voce di quando era comparso ferito per uccidere Lust: lì c’erano sì calma e letalità, ma non erano solo un patetico modo per nascondere la furia cieca ed omicida. Allora ad agire era stato il soldato che sa bene in che modo uccidere il suo avversario. Qui il soldato era sparito.
Intanto Envy, quasi a raccogliere quella sfida, si era ingigantito ancora di più, andando a toccare il soffitto della sala.
“Con questo corpo non riesco a controllarmi – rise con spavalderia, con quella fastidiosa voce che riecheggiava di milioni di altre – chissà come finirà?”
Stupido – pensò freddamente Riza – così non fai altro che offrire un bersaglio maggiore.
E come vide le fiamme del colonnello colpirlo agli occhi cercò di riscuotersi.
L’eroe non c’era più, al suo posto c’era solo un mostro che stava continuando ad attaccare Envy con le fiamme: doveva smetterla di pensare come una principessa e far fare a lui. Intuiva che stava rischiando di perderlo in una maniera ben peggiore di quella fisica.
“Alzati, mostro! – lo incitò Mustang – e rigenerati. Continuerai a provare questa sofferenza sino alla morte”
Riza stava per dire qualcosa, ma in quel momento Envy decise di cambiare strategia e con un poderoso colpo di coda provocò dei crolli dal soffitto già malandato. Questo diversivo gli consentì di riprendere le sue sembianze simil umane e di scappare via dal portale ancora semiaperto.
“Aspetta!” lo chiamò rabbiosamente Mustang, iniziando a farsi strada tra quei detriti.
“Colonnello!”
“Tenente aspetta qui – le ordinò lui, girandosi a malapena a guardarla – a quello ci penso io da solo!”
Poi scattò in avanti per continuare la sua caccia, quella che avrebbe terminato solo con la morte di Envy.
No – si disse Riza – non lo deve uccidere, non in queste condizioni.
Sarebbe stato come rompere una diga e provocare il disastro, mandando in frantumi tutto quello in cui avevano sempre creduto.
Aspettò solo una decina di secondi e poi corse anche lei verso quel portale.
“C’è qualcuno che devo proteggere” era questo ciò che aveva detto anni prima alla ragazzina di Resembool.
Adesso capiva che doveva proteggerlo da se stesso.
 
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
Riza si era scontrata più volte contro la forza degli homunculus, constatando che la sua mira ed i suoi proiettili potevano fare ben poco contro quelle creature dal potere rigenerativo immenso. Davanti a Gluttony aveva provato l’angoscia della morte che ti soffoca, con Lust invece si era scagliata con furia cieca, senza però ottenere alcun risultato. Con Bradley e Pride non aveva rischiato nessuna mossa falsa, ma percepiva la loro potenza, molto maggiore rispetto a quella dei primi due: l’avrebbero fatta a pezzi in pochi secondi.
Eppure, nonostante fosse chiaro che anche Envy era un nemico al di sopra delle sue possibilità, non aveva esitato a dargli la caccia pure lei. Si era avventurata in quei corridoi bui e pieni di tubi e cavi, tenendo strette le sue pistole, affidandosi ad esse più di quanto razionalmente fosse possibile, nonostante una parte di lei sapesse bene quanto poco potevano fare. Indebolirlo, almeno di qualche vita, sarebbe stato un piccolo passo avanti e chissà… magari già provato dalle fiamme del colonnello avrebbe ceduto ai suoi miseri proiettili.
Tuttavia non era andata così e anche questa volta aveva pagato le conseguenze della sua iniziativa che, con un altro avversario, sarebbe andata a buon fine. La dinamica era sempre la stessa: venivano colpiti dai proiettili, indietreggiavano, forse morivano almeno una volta, ma poi si rialzavano in piedi come se nulla fosse, deridendola per la sua idiozia.
“Spari troppo, donna!” esclamò Envy, afferrandola con uno dei suoi tentacoli e sbattendola pesantemente contro il pavimento.
L’impatto fu così violento che il fiato le si mozzò in gola, mentre sentiva tutta la sua spina dorsale irrigidirsi per quel dolore improvviso. Il soffitto sopra di lei per un secondo divenne di pura luce, mentre gli occhi reagivano al dolore. La sua nuca ebbe una fitta dolorosa quando il suo duro fermaglio, nell’impatto, si ruppe.
Fine? E’ la fine? – si chiese, imprigionata da quella morsa feroce.
“Ahah! – rise l’homunculus – ti restituirò al colonnello un pezzo alla volta!”
Riza riuscì a spostare lo sguardo su di lui, su quel viso affilato completamente distorto da una folle gioia che di umano non aveva niente. Ma un secondo dopo si liquefece davanti ai suoi occhi, con quell’espressione che fu l’ultima cosa a sparire.
E’ venuto a salvarmi! – una pare dell’anima della soldatessa esultò, avendo ben capito cosa era successo.
Il rumore del grasso che sfrigolava venne in parte occultato da dei passi pesanti: Mustang arrivò da un corridoio laterale, puntando i suoi occhi verso l’homunculus che tentava una nuova rigenerazione.
“Che cosa hai osato fare alla mia preziosa subordinata?” chiese con voce letale.
No – capì Riza – è venuto per lui.
 
“… voglio che tu sia dietro di me, che mi protegga. Capisci cosa voglio dire? Lascerò che sia tu a guardarmi le spalle e ciò significa che potrai spararmi in qualsiasi momento. Se farò qualcosa che non dovrò fare, uccidimi con le tue mani: hai la mia autorizzazione”
Quando l’allora tenente colonnello Mustang le aveva detto simili parole, Riza aveva annuito, ma era convinta che non si sarebbe mai arrivati ad un simile punto. E come poteva essere altrimenti? Era appena finita la guerra che li aveva massacrati nel profondo dell’anima, quella che li aveva fatti scoprire dei mostri: era ovvio che non avrebbero più agito in un modo così spregevole, privandosi ancora una volta della propria umanità.
Non volontariamente.
Non possiamo arrivare a questo, non possiamo! Colonnello, non può… non deve!
Eppure Riza era lì, dietro a quell’uomo, come aveva fatto per quella che ormai le sembrava la sua vera vita. Ma c’era qualcosa di tremendamente sbagliato questa volta: la pistola che avrebbe dovuto proteggerlo era invece puntata contro la sua testa, la sicura abbassata, l’indice sul grilletto che tremava all’idea di dare quella fatale pressione.
Ma se cedeva alla bestia non poteva farne a meno. Per Amestris, per il mondo, ma soprattutto per lui stesso. Adesso capiva il significato di quella promessa fatta anni prima, adesso capiva la paura che l’aveva portato a dirle delle simili cose: era già stato un mostro, non voleva esserlo di nuovo. Aveva già visto cosa era in grado di fare e non voleva ripiombare nel baratro.
Il baratro che ora era aperto davanti a lui più di quanto lo fosse mai stato ad Ishval.
E la chiave di tutto era in quella specie di vermicello verde, la vera forma di Envy, che teneva stretto nella mano, pronto a dargli il colpo di grazia. Quel colpo che l’avrebbe fatto perdere per sempre.
“… metti giù la pistola” mormorò Mustang con un tono di voce che mai e poi mai aveva usato con lei.
No, questo non è lei, signore.
“Mi dispiace, ma non posso eseguire il suo ordine – rispose con voce più calma che poteva – metta giù la mano”
“Non dire stronzate! – esclamò lui, mentre la sua schiena si irrigidiva: fu quasi una benedizione per Riza non poter vedere quel viso contratto dall’ira – Ti ho detto di toglierti di mezzo!”
Il pavimento che si sollevava e gli faceva perdere la presa su Envy fu quasi un miracolo.
 
Nelle favole l’eroe ha il cuore puro e non si lascia corrompere: è forte e coraggioso e l’odio non fa parte di lui. Uccide i nemici perché sono quelli che fanno male alle persone, perché per loro non c’è nessuna possibilità di cambiare: lui è il buono e loro i cattivi, funziona sempre così.
Nella realtà c’era un mostro che non poteva essere ucciso dall’eroe… perché il cuore dell’eroe era in preda all’odio e tutto quello che voleva era vendetta. Un qualcosa di fin troppo umano, perfettamente comprensibile, ma che Riza non era disposta ad accettare.
Non per lui, non per il suo eroe.
E non importava se c’erano Edward e Scar a cercare di ravvederlo, di fargli aprire gli occhi.
E lui era al limite della tensione: poteva vederlo dalla sua schiena, da tutto il suo corpo che sembrava pronto a scattare come una molla. La rabbia, il dolore, la frustrazione che provava erano così tangibili che a Riza veniva da piangere. Ed era come se lui fosse pronto a scatenare un inferno di fuoco in quel corridoio da un momento all’altro: provocato, offeso, privato della sua preda…era stato spinto fino alla sottilissima linea che lo separava dal punto di non ritorno.
Era quasi un azzardo dirgli qualcosa in un momento simile, ma Riza sapeva di dovergli lanciare un’ancora di salvezza in mezzo a tutto quel folle orgoglio e dolore.
“Colonnello, non posso permetterle di uccidere Envy – disse con calma, sempre tenendo quella maledetta pistola puntata alla sua nuca – ciononostante non ho neanche intenzione di lasciarlo in vita. Lasci che ci pensi io”
“Proprio adesso! – gridò lui, piegandosi quasi fosse stato colpito da un pugno – Proprio adesso che lo avevo!”
“La capisco! – alzò la voce pure lei, quasi avesse paura di non venir sentita in mezzo alla tempesta che imperversava nella sua anima – Tuttavia adesso non lo farebbe né per il paese né per salvare un suo compagno! Far svanire l’odio che la divora… ecco per cosa lo farebbe adesso! La prego, colonnello – la mano che reggeva la pistola iniziò a tremare visibilmente – lei non può lasciarsi andare…”
Non può farmi questo! Pensi anche a me, a tutti noi che in lei abbiamo sempre creduto!
Dovette trattenere le lacrime nel pensare a quanto stava rischiando di perdere in quel momento.
“Se vuoi spararmi allora fallo…” mormorò l’uomo con voce calma.
No, non può dirlo davvero…
“… ma dimmi una cosa, dopo che sarò morto, che cosa farai?”
Ha anche la faccia tosta di chiedermelo, signore? Come se non lo sapesse…
“Non ho intenzione di passare una vita in spensierata solitudine – mormorò, abbassando lo sguardo: nessuna esitazione nella voce… la medesima sicurezza di quando gli aveva chiesto di bruciargli la schiena – perciò una volta finita questa battaglia, cancellerò il corpo dell’alchimista di fuoco ed il mio da questo mondo”
 
“Mi dispiace, non volevo che andasse a finire così” le aveva detto l’allievo che andava via dal maestro, lasciandola sola in quella casa così polverosa.
“Mi dispiace, me ne sento in parte responsabile… se non me ne fossi andato via in quel modo” le aveva detto il soldato semplice al quale aveva appena affidato i segreti dell’alchimia del fuoco.
“Mi dispiace: speravo che la guerra finisse prima in modo che tu non ci avessi mai a che fare” le aveva detto l’alchimista di fuoco quando si erano incontrati nelle lande di Ishval.
Ogni volta che aveva detto quelle due parole, il suo volto, a prescindere dall’occasione, si era mostrato incredibilmente giovane, umano, vulnerabile. Come se provocarle dispiacere o dolore fosse per lui uno dei più grandi peccati del mondo. Riza non ci aveva apparentemente fatto caso, tesa com’era a garantirgli che non era mai colpa sua, eppure una parte della sua anima aveva assorbito quelle espressioni.
“… abbassa la pistola, tenente. Mi dispiace…”
Si era girato verso di lei per poter mettere la mano sulla canna della pistola.
Ed eccolo il suo Roy Mustang: il ragazzo venuto da lontano, il giovane soldato, il colonnello… quel meraviglioso essere umano alla quale lei si era affidata totalmente. Come se un incantesimo fosse stato appena sciolto, ecco di nuovo il suo eroe. Non senza macchia, non puro, ma incredibilmente imperfetto eppure proprio per questo la persona giusta che lei avrebbe seguito per sempre.
Lo vide lasciarsi cadere seduto a gambe incrociate su quel pavimento pieno di detriti e non poté fare a meno di seguirlo in quel gesto, come se le sue gambe avessero deciso di cedere nel medesimo momento dopo quei minuti di incredibile, tremenda tensione che aveva vissuto.
E non le importava se Envy stava strillando qualcosa.
Lei era lì, davanti a Roy Mustang, e si sentiva svuotata come poche volte in vita sua.
Ma era riuscita a non perderlo, a salvarlo.
Nel profondo della sua anima, a prescindere dalla situazione, si sentiva la miglior guardia del corpo di questo mondo, sebbene un personaggio simile non esistesse nelle favole.
 
Nelle favole la principessa viene tenuta prigioniera in una torre e aspetta di venir salvata dall’eroe
Riza non si sentiva una principessa, era un titolo che avrebbe dato a tutte meno che a se stessa.
La morte, la guerra, il sangue avevano strappato quella timida illusione che forse aveva avuto da bambina, ma non c’era nessun rimpianto: in fondo questo le aveva permesso di salvare l’eroe in tutti i modi in cui è possibile salvare una persona.
E lo salvò ancora, nemmeno mezz’ora dopo, quando trovò la forza di fargli quel cenno verso l’alto, quando gli impedì di compiere la trasmutazione umana che avrebbe avuto chissà quali ripercussioni su di lui.
Si sentiva stranamente superiore a quel dottore dal dente d’oro e dai suoi aguzzini, uno dei quali l’aveva ferita al collo e l’aveva trascinata al centro di quel pavimento con un cerchio alchemico.
Man mano che la debolezza per la perdita di sangue aumentava e sentiva l’incoscienza avvicinarsi, si diceva che quelle persone erano solo delle sciocche. Che fuori da quei sotterranei la sua meravigliosa squadra stava combattendo e che anche questa volta ce l’avrebbe fatta. E poi, che ne sapevano loro di quel giuramento fatto nei sotterranei?
Mi è stato ordinato di non morire…
Se lo ripeté ancora e ancora mentre teneva lo sguardo puntato sul suo eroe, imprigionato nella presa di due uomini. Ma quanto erano sciocchi? Non capivano che ormai lui era salvo? Che non potevano fargli nulla perché aveva vinto la sua battaglia personale contro i suoi demoni?
Poi divenne troppo faticoso restare cosciente.
Attorno a lei sentiva suoni di combattimento, ma capendo che non poteva prendervi parte preferì chiudere gli occhi. Attorno a lei tutto si fece fresco e morbido, come un lenzuolo appena lavato, oppure un lago placido. Era una sensazione così riposante che, paradossalmente, le fece capire quanto era stanca. Una stanchezza accumulata nel corso degli anni, tanta… troppa.
Non si meritava forse un buon riposo? Tanto il tempo non sembrava aver alcun senso in quel posto…
“Tenente… tenente!”
All’improvviso quella voce che sembrava provenire da tanto lontano, forse solo da un sogno.
O da una favola.






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Suonino le trombe, mi sono finalmente ricollegata al prologo e dunque ho terminato la parte più rognosa della fic, ossia quella che si atteneva al manga.
Anche questo capitolo mi ha dato il suo bel daffare, alla fine ne sono soddisfatta: il punto clou è costituito dalla famosa scena con Envy, lì si raggiunge proprio l'apice della tensione e del rapporto Roy - Riza. Qualcuno potrà dire che ho "trascurato" la parte successiva, ossia quando viene ferita... ma proprio perché si riccolega al prologo, in parte l'avevo già trattata.
Comunque mancano solo due capitoli (in discesa, si spera), quindi riesco a terminare prima della partenza per le vacanze.

A presto :)
  
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