Capitolo quattro.
« I had a dream. Crazy dream. Anything I wanted to know, any place I needed
to go.
Hear my song. People won't you listen now? Sing along.
You don't know what you're missing now. »
Led Zeppelin, Song
Remains The Same
Era sabato sera. Io e Lucas eravamo seduti su dei
lunghi sgabelli di legno, vicino ad un bancone di un locale affollato, il Coconut,
con una musica dance assordante e con l'aria appesantita dal fumo di sigarette.
Lucas si guardava attorno, con un gomito poggiato al lungo bancone. Oltre esso,
c'erano degli scaffali stracolmi di bottiglie di vetro di misure diversissime e
dai tanti colori.
“Ehi, Reeve, guarda là.” disse Lucas, dandomi una gomitata tra le costole, “Che
carina quella mora lì!”
Feci un verso scocciato. “Stasera non mi va.” dissi.
Lucas si voltò verso di me. “Che cosa? Che ti prende?”
“Niente, semplicemente non ne ho voglia. Tanta fatica, per cosa? Qualche ora di
divertimento, e poi pretendono anche compri l'oro l'anello di fidanzamento.”
“Sei ancora seccato per quella storia di Amanda, eh?”
“Evidentemente. Ho diciassette anni, caspita, se non mi diverto adesso quando
lo devo fare?”
“Sagge parole.”
Il nostro discorso fu interrotto dall'arrivo della cameriera, un'avvenente giovane
donna che ci portò quello che avevamo ordinato. Ringraziai con un sorriso, e la
donna arrossì leggermente. Uno a zero per me.
“Comunque,” riprese Lucas quando rimanemmo soli, “se non ti butti tu, non mi
butto neanch'io, amico.”
Feci spallucce. “Mica siamo spostati.”
“Ci mancherebbe, Reeve. Lo faccio per solidarietà.”
“In realtà è che sai che senza di me non acchiapperesti nessuna. Di solito sono
sempre io che ti presento.. l'amica.” dissi, e feci un sorriso bastardo.
Lucas mi mostrò il dito medio. Che eleganza, come sempre. Rimanemmo in
silenzio, mentre io mi dedicavo alla mia piña
colada e lui alla sua birra ghiacciata. Giocherellai con la cannuccia
dentro il liquido rosso, bevendo di tanto in tanto, non trovando nient'altro da
dire.
“Lunedì arriverà qualcuno di nuovo, come t'avevo detto.” disse poi lui.
Presi a giocherellare anche con l'ombrellino di carta colorata, levandolo dal
bicchiere. “Ancora con questa storia? Non me ne frega niente.”
“Vedrai, arriverà qualche bella ragazza e ti dimenticherai di Amanda.” continuò
lui.
“Da come parli sembra che io sia stato sedotto ed abbandonato. Semmai, quella è
lei. Mi ha solo dato fastidio il suo ragionamento.”
“E' una donna, Reeve. Sono tutte così.”
Scossi la testa. “Non tutte, fidati.” dissi con un tono di chi la sapeva lunga.
Lucas capì, e si scolò la bottiglia tutta d'un fiato.
“Non mi diventare frocio, però.”
“Pensa per te, Smith.”
Finii anch'io la mia piña colada, lasciando vuoto il grande bicchiere di vetro
e mettendoci dentro l'ombrellino di carta. Lucas guardò lo Swatch che teneva al
polso.
“Reeve, dobbiamo muoverci. Fra mezz'ora scatta il
coprifuoco.”
“Che palle.” commentai.
Frugai nella tasca e con un singolo gesto lasciai sul
bancone tutti i miei soldi. Lucas fece lo stesso, e ci guardammo tristemente.
“Mi sa che per qualche sabato non si esce.” dissi, con un mezzo sorriso.
“E' colpa tua che prendi sempre quella stupida piña colada. E' costosissima.” ribatté lui.
“Beh, non che la birra sia tanto meglio..”
“Lo è. Sono io che avevo pochi soldi, ormai.”
Scrollai le spalle. “Allora la prossima volta una birra divisa di due.”
“Temo proprio di sì.” rispose Lucas, affranto.
“E poi tu la piña colada non
riusciresti neanche a reggerla.” aggiunsi, col mio ghigno. Lucas neanche
rispose, abituato ormai alle mie solite rispostacce. Si alzò dallo sgabello.
“Cominciamo ad incamminarci.” disse.
Annuii e scesi dallo sgabello, seguendolo verso l'uscita.
***
Stairway to Heaven mi risuonava nelle orecchie mentre disegnavo. Quel
giorno avevo deciso di ritrarre Lucas, anche se lui non era davanti a me. Ma
ormai i suoi particolari li conoscevo bene.
La chitarra di Jimmy Page mi distraeva dal mio lavoro,
però.
Un'altra mia passione, dopo il disegno, era la musica;
e più precisamente i Led Zeppelin. Erano il mio gruppo preferito, mi ero
portato tutti i cd che avevo da casa insieme al mio lettore. Li amavo così
tanto che qualche mese fa, mi ero fatto tatuare sulla spalla i quattro simboli
della band, disegnati dai componenti stessi per una copertina del loro album.
La scritta 'zoso', un cerchio con una piuma e due simboli, probabilmente
celtici. Non c'era un significato preciso per quei simboli, ma per me
significavano la mia passione, e la mia vita, poiché li ascoltavo da quando ero
un ragazzino. Mi avevano accompagnato in tantissimi momenti della mia
esistenza, del resto. Erano la mia colonna sonora, decisamente.
Lucas mi aveva preso in giro per quel tatuaggio, dicendo che avrei dovuto
portarmi quei simboli per sempre, e se poi non mi fossero piaciuti più? Gli
avevo detto che era impossibile, ma continuava a prendermi in giro ogni volta
che ne aveva l'occasione. Anche se ogni tanto i miei cd li ascoltava.
Attraverso la musica, sentii a malapena qualcuno che bussava alla porta. Misi
in pausa il cd.
“Avanti.” borbottai.
La porta si aprì, e ne sbucò fuori Lucas. Sembrava triste, o incavolato, e
portava i capelli raccolti in un piccolo codino. Aveva i capelli molto più
lunghi dei miei.
“Che sfiga, Reeve!” si lamentò, buttandosi sul mio letto, miracolosamente
rifatto. Mi voltai verso di lui, dando le spalle alla scrivania.
“Che ti prende?”
“Nessuno, Reeve! Neanche una ragazza! Solo una mandria di altri mocciosi. Come
se questo posto non ne avesse già abbastanza.”
“Ti sei fatto troppe illusioni, Smith. E poi, ti ricordo che è più difficile
che le ragazze vengano qui, no?” ribattei.
“Ma devono comunque passare di qui.”
“Non è detto.” feci spallucce, ritornando al mio disegno. Ci fu qualche secondo
di silenzio.
“Che disegni, stavolta?” chiese poi lui, cambiando discorso.
“Sapessi! Una faccia da culo.” dissi, ridendo.
“Eh?”
Alzai il blocco da disegno e glielo mostrai. Avevo
quasi finito.
“Ma sono io..” commentò lui, guardandolo.
“Ebbene sì. Sono caduto in basso davvero.” dissi.
“Ma no! Ti rivaluto tantissimo, invece. E' proprio fatto bene.” continuò Lucas,
tutto contento, restituendomi il blocco.
“Lo dici solo perché sei tu.” dissi, ritornando al mio disegno.
“No, sei bravo davvero a disegnare.”
Non ero abituato a nessun complimento da nessuna persona, e specialmente da
Lucas. Così mi voltai verso di lui, sconvolto.
“Sei diventato frocio davvero!” esclamai.
Lucas sbuffò. “Mamma mia, piantala. La prossima volta ti dico che fai cagare,
allora.”
Risi, mio malgrado. “Beh.. grazie.”
Fece spallucce, mettendosi disteso poi sul letto e incrociando le mani dietro
la nuca, fissando il soffitto.
“Fra pochi mesi diremo addio a questa vita.” sospirò.
“Te ne dispiace?” chiesi.
“Sarei pazzo a pensarlo. Questo posto è come una prigione.”
“Ma..?”
“Ma là fuori c'è il mondo vero e proprio. Pensaci. Non abbiamo neanche il
diploma, come faremo a trovare un lavoro? E dove staremo?”
All'improvviso mi salì l'angoscia.
“Senti, Smith, è inutile preoccuparsi, ti prego. Si
era deciso di continuare a stare assieme, no? Qualcosa ci inventeremo.”
“Mah.” commentò solamente lui. “E pensare che tutti i mocciosi qui dentro
faranno come noi.”
Feci spallucce. “E' normale. Se stiamo qui dentro, siamo tutti uguali. Abbiamo qualcosa
in comune. Chissà quanti prima di noi si sono comportati alla stessa maniera.”
Lucas sospirò. Spensi il lettore cd, levandomi le cuffiette. Di questo passo si
sarebbero subito scaricate le pile.
“Mi sembri un ottantenne, Smith.” dissi ancora, fissandolo. Lui continuava a
guardare il soffitto.
“Sono solo più responsabile di te.”
“E più ansioso, soprattutto.”
Si alzò a sedere, guardandomi. “Io mi definirei realista.”
“Come ti pare.”
Non ero arrabbiato, solo scocciato. Pensavo solo al
momento in cui avrei lasciato quel posto con felicità, come la realizzazione di
un sogno, come la presa di una liberà agognata per tanto tempo. Perché Lucas
doveva rovinare tutto? Certo, magari aveva ragione ed io mi stavo cullando in
un'illusione, o in un sogno. Ma meglio i sogni. Sono più sicuri, molte volte.
Per rilassarmi, presi il pacchetto di sigarette dal comodino e me ne accesi
una. Ne offrii una a Lucas, che la prese e prima di accenderla la fece roteare
fra le dita. Completai il disegno mentre fumavo, e poi lo osservai. Il viso di
Lucas mi guardava dal mio foglio. In fondo aveva ragione, era venuto davvero
bene. Chiusi il blocco da disegno e posai la matita, poi mi voltai verso di
lui. Mi guardò mentre inspirava dalla sigaretta, facendo spallucce.
“Fra poco rimarrò anche senza sigarette,” commentai, essendo arrivato già alla
metà della mia, e controllando il mio pacchetto. Ne erano rimaste solo tre.
“Dobbiamo fare rifornimento?” commentò lui sorridendo, la sigaretta fra le
labbra.
Annuii e sorrisi anch'io, inspirando.
“Supermercato?”
“Supermercato.”
Finimmo le nostre sigarette in pace e in silenzio, complici. E con complici, si
intendeva anche quel che si può dire per due piccoli ladri.