Anime & Manga > Nabari no Ou
Ricorda la storia  |      
Autore: Happy_Pumpkin    20/04/2009    3 recensioni
“Lo farò adesso allora. Chiudi gli occhi e riposa, io ti starò sempre vicino.”
Sospirando Yoite annuì. In fondo era quello che aveva sempre desiderato, anche se non credeva di poter essere finalmente annientato.

Yoite e la morte, riflessione dai leggeri toni nonsense.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa è una what if molto indefinita, ambientata in un'ipotetica fuga di Miharu e Yoite. È su quest'ultimo che ho voluto concentrarmi e, nel parlare di lui e della sua infanzia da me completamente immaginata, ho adottato – come anche nel resto della narrazione – un leggero tono nonsense.

Buona lettura.




In attesa del prossimo inverno






Yoite chiuse gli occhi, tentando di rendere respiro quel rantolo fastidioso che, anziché far incamerare ossigeno, trasportava solo sangue ai polmoni deboli.

Accasciato al suolo cercò con la mano la presenza di Miharu per costringerlo a fermarsi senza che, con la stupida ostinazione malamente mascherata dall'apatia, cercasse inutilmente di trascinarlo via. Ormai era già inesistente, un contenitore vuoto che camminava solo per forza di inerzia, simile a quei giocattoli ricaricabili che di quando in quando si vedevano ancora in giro: lui però, una volta finita la carica, non poteva più ricevere un altro giro di molla in grado di farlo funzionare ancora.

Sarebbe morto e basta, perché tempo fa aveva lucidamente scelto di disperdere la sua vita poco a poco, seminando parte della sua anima nei corpi di chi decideva indiscriminatamente di uccidere.

Quindi l'unica cosa che poteva ancora decidere era come volesse morire: aspettare fino a che non avesse esalato l'ultimo respiro, debole ed inerme quanto un fiore secco in attesa di essere falciato, oppure scomparire per sempre prima di perdere quel poco di umanità che gli restava.

“Miharu...” sussurrò con il volto premuto a terra.

Questi silenzioso cercò di sollevarlo, ma Yoite lo spinse senza forze.

“Cosa c'è Yoite?” chiese con quella voce dal tono neutrale.

“Devi farlo, ora.”

Tacque.

Miharu guardò quel corpo magro disteso su di un pavimento e ripensò alla sua promessa: sarebbe stato lui stesso, con il potere dello Shinrabansho, a cancellarlo per regalargli finalmente il sollievo dal dolore. Eppure si rendeva conto che, seppur bella, quella prospettiva era anche incredibilmente difficile da attuare: certo, avrebbe fatto a Yoite il dono più grande ma, egoisticamente, poteva davvero ucciderlo?

Il giovane Rokujo si rendeva conto che fino a quel momento aveva mentito non solo a sé stesso ma anche al suo compagno di fuga: mentiva con illusorie promesse semplicemente per temporeggiare in attesa dell'occasione giusta di salvare entrambi.

Occasione che però sembrava non dover mai arrivare; tutti e due, alla fine, erano stanchi di illudersi.

Nessuno li avrebbe aiutati, sarebbero stati per sempre destinati a scappare ancora e ancora, fino a che il mondo non si fosse dimenticato di loro. Ma d'altronde cos'era la morte se non dimenticanza?

Miharu si sedette di fianco al ragazzo, appoggiando la schiena contro la parete in mattoni di uno dei tanti vicoli per i quali fuggivano, e concluse con la solita serietà inappuntabile:

“Lo farò adesso allora. Chiudi gli occhi e riposa, io ti starò sempre vicino.”

Sospirando Yoite annuì. In fondo era quello che aveva sempre desiderato, anche se non credeva di poter essere finalmente annientato.


Quando era ancora piccolo Yoite amava la neve. Gli permetteva, uscendo dall'abitazione, di coprirsi con la sciarpa soffice fatta dalla madre e mettere il largo cappello che papà aveva smesso di portare: profumava dei suoi genitori, quindi l'idea di indossarli non sembrava così assurda come apparentemente poteva essere.

Ricordava di fermarsi esitante davanti al prato innevato di fronte a casa sua poi, silenzioso, sospirava e si gettava di schiena, lasciando che il cappello gli sfuggisse e la sciarpa si distendesse attorno a lui come il sangue di una vittima d'omicidio. Attendeva che i fiocchi si posassero sul naso congelato mentre le mani affondavano nella neve soffice; tastandola, si stupiva ancora di sentirla così eterea: allora credeva di toccare il cielo perché, supino, riusciva a vederlo in modo talmente diretto da sembrare che lo stesse ricoprendo.

Lui, bambino, quei giorni pensava di essere in un letto fatto di freddo mentre le lenzuola altro non erano che il cielo bianco e silenzioso. Annusava l'aria che incredibilmente sapeva di pulito, proprio come quando sua mamma faceva il bucato e lui desiderava tuffarsi tra le coperte stese ad asciugare, invischiandosi nella loro morsa senza più uscirne.

Fino a che suo padre, preoccupato dal non vederlo rientrare, con un sospiro veniva a cercarlo e, trovandolo mezzo congelato nella neve, lo prendeva in braccio così da riportarlo a casa.

“Non devi scomparire all'improvviso Yoite, come facciamo a trovarti se non sappiamo dove sei?” Gli chiedeva con cipiglio severo.

Il bambino avrebbe voluto rispondergli che probabilmente una persona scompariva proprio per non farsi trovare.


Ora Yoite non aveva più genitori che lo venissero a recuperare tra la neve.

Avrebbe potuto aspettare anche mille anni se solo avesse voluto, le cose comunque non sarebbero cambiate; tutto sarebbe stato così ciclicamente uguale da fargli pensare che, forse, da qualche parte nel modo ci fosse un ninja più potente di tanti altri capace di incantare ogni cosa mentre lui, silenzioso e distante, continuava a morire.

Quella volta però gli eventi erano destinati a svolgersi in modo diverso: Miharu aveva deciso di usare lo Shinrabansho per soddisfare l'unico desiderio che Yoite si fosse mai concesso in vita.

Infatti lo sfortunato possessore del kira sentì gli arti freddi venire improvvisamente toccati dall'arte magica e gli sembrò che qualcosa di vivo, pericoloso e ingordo, lo sfiorasse; certo, non erano le carezze di sua madre a dirgli che tutto sarebbe andato per il meglio, ma andava bene ugualmente. Respirò.

Una, due, tre volte... la quarta non arrivò mai.

Ogni cosa perdeva il suo senso, ogni ricordo annegava nell'oblio e si disfaceva inesorabilmente. Fra poco avrebbe potuto disintegrarsi: la sua anima, secondo la propria consolatoria immaginazione, si sarebbe dissolta in tanti frammenti di luce, evaporando come acqua nella speranza di raggiungere il cielo.

Lui però non sarebbe tornato sulla terra sotto forma di pioggia.


Mi sto sgretolando lentamente senza provare dolore, vorrei piangere eppure rido ma se sento una lacrima allora inizio a desiderare di ridere. Sono confuso, forse anche abbandonato, ma questo non mi spaventa più ormai; l'unica cosa di cui mi rammarico è che solo tu Miharu ti ricorderai di me e io egoisticamente ti lascio.

Faresti bene quindi a dimenticarti di tutto, voltarti dall'altra parte e ricominciare a vivere.

Perché in realtà morire mi fa paura, se te lo avessi detto apertamente non avresti mai nemmeno finto di mantenere la tua promessa. L'unica cosa positiva dell'andarmene è che così non dovrò più pensare a come vivere.


Yoite nel suo profondo sapeva di essere meschino. Pur desiderando morire aveva paura di farlo: capiva che, dopo l'ultimo battito del cuore, oltre non ci sarebbe stato nulla, nemmeno Miharu che pure lo avrebbe voluto seguire. Non c'era solitudine, vero, ma non c'era nemmeno amore e lui solo era conscio quanto avesse cercato affetto nella sua tormentata esistenza.

Si rese conto, in un ultimo istante di lucidità, che morire equivaleva a cancellare davvero ogni cosa di sé, il compimento perfetto del suo scopo, allora perché sentiva così tanta angoscia?

Forse perché avrebbe perso, più che sé stesso, tutto ciò che in quei mesi lo aveva circondato: gli occhi preoccupati di Miharu, il desiderio di fuggire per sognare un luogo di pace e – più stupidamente – anche il suo cappello e la sua sciarpa.

Divenendo nulla dopo la morte allo stesso modo automaticamente non avrebbe avuto nulla: lì non c'erano campi innevati nei quali sdraiarsi e, a dire il vero, non ci sarebbe stato nemmeno più lui.


*°*°*°*


Aprì gli occhi. Si stupì di poter ancora respirare.

Aveva la vista appannata ma dopo qualche istante riuscì ad intravedere davanti a sé un porto e poco distante da dov'era una fila di lampioni che illuminavano a malapena le banchine. L'odore della salsedine copriva ogni cosa, impregnando persino i capelli, gli abiti e le dita che se assaggiate sapevano di sale.

“Dove sono?” chiese faticando a mettere insieme le parole.

“In vita.” rispose Miharu, in piedi davanti a lui, con il braccio portato in avanti per porgergli quella che doveva essere una ciotola d'acqua di fortuna.

Yoite osservò con affetto il ragazzino: notò il colorito pallido della pelle, gli occhi grandi ma vuoti e si sentì ancora una volta in colpa; nuovamente Miharu lo seguiva, perdendo tempo dietro un corpo destinato a collassare, e lui in cambio lo faceva preoccupare.

Spostò in seguito lo sguardo in direzione dell'oggetto teso verso di lui ma non lo prese e chiese triste:

“Non mi hai fatto scomparire.”

Miharu prese le mani del ragazzo, che silenzioso lo lasciò fare, e vi mise tra esse il contenitore chiudendo le dita attorno ad esso; in quel gesto sembrava il figlio premuroso che assisteva un genitore troppo perso per potersi prendere cura di sé stesso.

“Hai pianto. Allora ho pensato che tu in realtà avessi paura di morire Yoite.” spiegò il ragazzino accoccolandosi con le gambe contro il petto, mentre lo sguardo si perdeva inespressivo verso il mare.

“Però non mi rimane altro, nemmeno me stesso perché io sto già sparendo.” spiegò Yoite guardando l'acqua ondeggiare dentro la scodella.

“Dammi tempo e ti prometto che non dovrai più andartene.”

Il ragazzo, coperto ancora dal cappello e avvolto dalla sciarpa, non disse nulla. Dentro di sé forse sperava davvero di avere quel tanto agognato tempo, anche se si rendeva conto di andarsene poco a poco: simile ad una montagna, veniva eroso giorno dopo giorno da un vento implacabile, fino a che le ultime tracce di terra non fossero volate via mischiandosi alla polvere.

Alla fine però non gli fu difficile accettare quella proposta o, forse, speranza: per farlo gli era sufficiente ripensare alle giornate trascorse sul prato innevato, mentre aspettava che qualcuno venisse a salvarlo dalla sua inerzia di fronte alla vita.

Sospirò.

Sarebbe stato un fiocco di neve in attesa del prossimo inverno così da cadere giù e confondersi nel nulla.




Sproloqui di una zucca



Per la serie: ebbene sì, colpisco anche qui! XD
Questa fiction non ha una lunga genesi. È nata all'improvviso mentre stavo guardando Nabari e ho pensato: Yoite vorrebbe morire eppure fugge perché sa che Miharu gli darebbe la morte migliore... ma non prova paura?
Secondo me sì, almeno da quando ha conosciuto Miharu, perché è diventato consapevole di avere qualcosa da perdere mentre prima non possedeva assolutamente nulla di importante.
Parlando dell'anime in generale mi da molta ispirazione e, sebbene all'inizio lo avessi sottovalutato un po', ora è diventato un appuntamento fisso del martedì. Nonostante questo continuo a detestare Miharu, i suoi occhi a fanale, la snervante apatia e quella voce triste... però lo capisco... lo adoro.... non è vero lo odio.
Basta, sto seriamente compromettendo la mia poca sanità mentale. Diciamo che nel complesso Nabari mi trasmette malinconia: tutti i suoi personaggi sono malinconici, afflitti a modo loro da una tristezza di fondo che sembra non volersene mai andare.

In ogni caso Raiko e Yoite rulez! >.<

Ps: Il titolo della fiction mi è stato ispirato da un libro letto anni fa "In attesa della prossima estate" - che pure non c'entra nulla con la storia - solo che Yoite mi da l'idea di inverno,quindi nel scegliere una stagione a lui adatta ho cambiato un po' le cose.


   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Nabari no Ou / Vai alla pagina dell'autore: Happy_Pumpkin