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Autore: Cioppys    09/07/2016    1 recensioni
[HanaRu]
Sbuffo. Ultimamente ho strani pensieri per la testa.
Dovrei essere felice per come mi stanno andando le cose – sono insieme alla persona che amo, riprenderò a giocare a basket – eppure è come se mancasse qualcosa, o che ci sia qualcosa di sbagliato. Ci sono momenti in cui mi sento tremendamente insoddisfatto, di tutto e di tutti, e fatico a capirne il motivo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Alla Luce del Sole
di Cioppys

 

Capitolo 3

Un fiocco bianco mi passa davanti agli occhi fissi sull’asfalto. Mi fermo ed osservo il cielo. Ha ripreso a nevicare.
Sospiro, lasciando che la testa ricada in avanti. Con una mano mi sfioro le labbra e un brivido – il cui significato non lo riesco bene a identificare – mi percorre la schiena ricordando quello che è successo meno di un’ora fa.
Sono tremendamente confuso. I miei pensieri son una massa ingarbugliata in cui fatico a trovare il capo e la fine, ma da qualche parte devo pur iniziare, altrimenti la nebbia non si diraderà mai e io non avrò le risposte che cerco.
Infilo le mani nelle tasche e riprendo a camminare. La strada è quasi deserta: oltre al sottoscritto non vi sono altri pedoni e di rado passa qualche macchina. Poco più avanti un gatto dal manto grigio esce dalla cancellata di una casa: si ferma e mi osserva guardingo, prima di catalogarmi come essere non pericoloso e procedere qualche metro avanti a me nella mia stessa direzione. Per un momento rimango incantato dalla lunga coda dritta verso l’alto, che oscilla da desta a sinistra.
Allargo i polmoni in un profondo respiro, poi lascio l’aria fuoriuscire lenta, mentre svuoto la mente.
Prima domanda: perché cazzo ho baciato Rukawa?
Al solo pensiero, sento il cuore accelerare il battito e mi rendo conto che, per qualsiasi ragione l’abbia fatto, non posso affermare che non mi sia piaciuto. Tutt’altro. Se la Volpe fosse qui davanti a me ora e volesse baciarmi, non solo glielo lascerei fare, ma lo ricambierei.
A questa consapevolezza sento il bisogno impellente di sedermi.
Mi appoggio con la schiena al muro di cinta di una casa e mi lascio scivolare a terra, sedendomi sulla neve fresca. I pantaloni non ci mettono molto a bagnarsi e il freddo si propaga in fretta sulla pelle, ma non me ne curo.
La seconda domanda riguarderebbe ancora Rukawa, ma al momento non solo non ho il coraggio di pormela, ho paura della risposta, per cui procedo per gradi e passo alla successiva.
Terza domanda: cosa provo per Haruko?
E’ chiaro che tengo molto a lei e non solo per la riconoscenza di avermi fatto conoscere il basket, uno sport che è diventato un tassello importante della mia vita. Nutro dell’affetto, profondo, e anche su questo non c’e dubbio.
Ma la amo davvero come ho sempre professato fin dal primo giorno che l’ho incontrata?
Mi concentro per un attimo e la risposta arriva da sola: no, non la amo.
Nascondo il volto nei palmi delle mani. Sono proprio uno stronzo.
E qui capisco la prima cosa che devo fare: dirglielo. Non merita di essere trattata così.
Mi tolgo sciarpa e berretto con un gesto di stizza. Sono così agitato che mi è venuto caldo. Ora il bisogno è quello di camminare, per cui mi rialzo in piedi, togliendomi con le mani la neve che mi si è depositata addosso. Mi rendo conto di avere il culo fradicio, ma tanto non posso farci granché, per cui alzo le spalle e riprendo il tragitto verso casa.
Procedo un passo dopo l’altro, tentando di soffocare quella dannata domanda che ho saltato. Sento che oggi non riuscirei a sopportare altre rivelazioni, ma lei preme con insistenza di avere una risposta. E alla fine crollo.
Seconda domanda: cosa provo veramente per Rukawa?
In un attimo vengo travolto da numerose considerazioni: la tristezza nel capire che mi evitava, il desiderio di avere un qualsiasi tipo di contatto con lui, l’emozione di quell’abbraccio, la sensazione di completezza in quel bacio.
Mi blocco in mezzo al marciapiede e chiudo gli occhi. Quello che emerge non è solo un pensiero, ma parole, che rendono il tutto ancora più reale, concreto.
«Mi sono innamorato di Kaede Rukawa».
Non so quanto per quanto rimango lì fermo a rimuginare su quella verità. Forse pochi secondi, forse diversi minuti, alla fine non ha importanza: non cambierà. Non posso né negarla né ignorarla. E ne ho paura.
Sento le mie guancie bagnate dalle lacrime. Mi do’ dell’idiota e le asciugo con le mani tremanti. Piangere non serve, sarà anche vero, ma rimane il fatto che non so cosa fare. E ho paura.
La quarta domanda arriva spontanea, senza che l’avessi preventivata: cosa prova Rukawa per me?
Beh, il fatto che mi abbia baciato è sintomo quantomeno di qualcosa. O almeno spero.
Sbuffo, passandomi una mano sulla testa: ci manca solo che dopo le ragazze inizi a farmi scaricare dai ragazzi.
A questo pensiero, sobbalzo. Inconsciamente sembra che abbia già deciso di affrontare Rukawa e digli quello che provo nella speranza di… cosa? Essere ricambiato e mettermi con lui? Un uomo? Sono davvero convinto di questo?
Se la ragione cerca di porre un freno a questa follia, il sentimento spinge per lanciarsi nel fuoco, ora più che mai.
Ancora tormentato dai dubbi, mi avvicino a casa. Fortuna vuole che mia madre è dai nonni per festeggiare con loro l’arrivo del nuovo anno e non rientrerà prima di metà gennaio. Considerando quanto mi senta uno straccio, sono felice di non dover dare spiegazioni a nessuno per l’orribile aspetto che sicuramente avrò.
Adesso, l’unica cosa che desidero, è infilarmi sotto le coperte: forse un po’ di sonno mi aiuterà a schiarirmi le idee.
Svolto l’ultimo angolo e noto una persona ferma davanti all’ingresso del complesso di appartamenti dove si trova casa mia. Quando la sagoma si fa più nitida e riconosco il ragazzo moro chiuso nel suo lungo cappotto grigio, mi blocco, completamente nel panico.
Come un vigliacco, penso di darmi alla fuga ed entrare in casa passando attraverso le proprietà confinanti sul retro, quando anche lui mi nota. Lo vedo scostarsi dal muro e venirmi incontro. L’ansia mi assale, mozzandomi il respiro. Incapace di guardarlo, abbasso il capo e fisso la strada imbiancata davanti ai miei piedi. Poco dopo entra nella mia visuale la sua ombra, proiettata dal lampione situato a neanche un metro alle sue spalle, e quella della testa si ferma sulle mie scarpe. Sarà si e no a un passo da me.
Io rimango fermo, rigido come un palo.
Lo sento sospirare. Poi, dal movimento dell’ombra, capisco che si stringe nelle spalle.
«Hanamichi» mi chiama ancora una volta per nome, e la cosa non mi dispiace affatto. «Io non posso più nascondere quello che provo: sono innamorato di te».
Lui… cosa?!
Alzo di colpo la testa e mi ritrovo il viso di Rukawa più vicino di quando pensassi. I suoi occhi blu mi fissano con tanta intensità da immobilizzarmi. E’ allora che solleva le mani e, con un movimento fluido, mi afferra il volto per baciarmi.
La gioia mi travolte, tanto che il cuore sembra scoppiare, e il mio corpo agisce da solo: cigno la vita di Rukawa con le braccia e gli accarezzo la schiena, tirandomelo contro, poi schiudo le labbra e assaggiamo l’uno il sapore dell’altro.
Vorrei che questo momento, così inebriante e intenso, non finisse mai.
Quando ci separiamo, respiriamo entrambi con affanno.
Rukawa appoggia la sua fronte alla mia e socchiude gli occhi, passandomi un dito sulla guancia.
«Stai tremando» mi dice, ed entrambi sappiamo che non è per il freddo.
«Entriamo in casa» propongo, con voce più roca di quello che vorrei. «Mia madre è dai miei nonni» aggiungo.
Lui annuisce e faccio strada. Dopo aver chiuso la porta alle nostre spalle, appendo il piumino e mi tolgo le scarpe che mollo all’ingresso. Recupero due paia di pantofole, una delle quali la lascio al mio ospite, mentre io mi incammino verso la mia camera.
«Accomodati in salotto» dico, indicando la prima porta a destra «Io mi cambio i pantaloni e arrivo».
Quando torno lo trovo che si osserva in giro curioso. Beh, in fondo è la prima volta che viene a casa mia, per cui è più che normale. Mi appoggio allo stipite nel momento in cui finisce di consultare i titoli dei cd musicali posti nella parte bassa della libreria e, avendo già notato il mio arrivo, mi lancia un’occhiata.
«Non immaginavo che ti piacesse il Jaz» commenta, rialzandosi in piedi. «Non mi sembri il tipo».
«Infatti non mi piace. Quei cd sono di mio padre» rispondo, pentendomi all’istante di averlo tirato in ballo.
«E dov’è? Con tua madre?».
Ecco appunto.
«E’ morto» dico, con una smorfia. «Infarto» aggiungo con un soffio, abbassando il capo.
Ancora oggi il senso di colpa di quello che è successo mi grava addosso con tutto il suo peso.
«Mi dispiace, davvero» sussurra. «Io non volevo…» ma non termina la frase.
Lo guardo e capisco che è veramente rammaricato per l’accaduto, oltre che in imbarazzo per l’argomento chiaramente doloroso per me. Sorrido: fino a ieri avrei giudicato quell’espressione fredda e insensibile, quando, osservandola bene – gli occhi un po’ schivi, la tenue piega della bocca, la fronte increspata, le spalle e la schiena insolitamente rigide – non è affatto così.
E proprio vero: l’amore fa miracoli.
«Non preoccuparti. Non potevi saperlo» cerco di tranquillizzarlo.
Lo vedo rilassarsi e riesco a farlo anche io. Peccato che uno strano silenzio, carico di aspettativa, piomba tra noi.
«Do’aho, non hai nulla da dire?» esordisce Rukawa, dopo diversi minuti che entrambi fissiamo il tatami.
Io lo guardo e alzo un sopracciglio, non capendo. «Cosa dovrei dire?».
Lui mi punta gli occhi addosso. «Secondo te?» chiede con un pizzico di ironia.
E’ a quel punto che comprendo l’argomento della discussione.
«Senti, sono confuso, va bene?» esclamo con uno sbuffo. «E’ successo tutto così in fretta!».
Lui stringe i pugni. «Se non mi ricambi, dillo subito e finiamola qui» sputa, con rabbia.
Quelle parole, ma soprattutto l’atteggiamento, mi feriscono.
«Stupida Volpe!» gli urlo, fuori di me. «Ti avrei forse baciato in quel modo se non provassi nulla?».
E’ evidente che ci pensa, perché la sua postura cambia: le spalle si abbassano e allenta le mani.
«E allora qual è il problema?» chiede, confuso.
Lui la fa semplice: ci è già passato, magari impiegandoci mesi o addirittura anni, io l’ho capito meno di un’ora fa!
«Siamo due maschi!» sibilo. «Cazzo! Non è una cosa facile da accettare!».
Stizzito, mi passo una mano tra i capelli. Come se non bastasse aver messo in dubbio il mio orientamento sessuale, ho anche un altro problema da risolvere prima di poter stare insieme a lui, nel modo corretto.
«E poi devo ancora parlare con Haruko» lo rendo partecipe che non ho avuto l’occasione di farlo.
L’avessi mai fatto: lo sguardo che mi punta addosso mi gela le ossa.
«Che intenzioni hai?».
«La lascio, no?» dico, credendo che fosse ovvio. «E’ chiaro che non sono innamorato di lei».
Sono così stanco e spossato da questa serata che mi avvicino al divano e mi lascio cadere nel centro, appoggiando la testa all’indietro sullo schienale. Mi massaggio il viso con le mani prima di portarle dietro la nuca e stirarmi la schiena, emettendo un forse sospiro.
Non faccio in tempo a sentire il divano muoversi che Rukawa è seduto a cavalcioni sopra di me. Mi prende il viso tra le mani e subito si avventa sulla mia bocca. Superato l’attimo di stupore, lo assecondo dischiudendo le labbra e cingendogli la vita, un movimento quest’ultimo che fa strusciare il suo bacino contro il mio. Entrambi non riusciamo a trattenere un gemito di piacere, che soffoca nel bacio appassionato che ancora ci scambiamo.
E’ a questo punto che sento le sue dita come velluto infilarsi sotto il maglione e l’intimo, toccare la mia pelle e risalire verso i capezzoli. Non so come, riacquisto abbastanza lucidità da afferragli le mani e allontanarle.
Butto indietro la testa e staccando le mie labbra dalle sue. «Kaede, fermati!» esclamo, con il fiato corto.
«Mh» mormora, baciandomi il collo ora scoperto. «E’ bello sentirti pronunciare il mio nome».
Diamine, mi sta letteralmente torturando! Nel tentativo di sottrarmi al suo contatto, scivolo sullo schienale del divano fino a ritrovarmi sdraiato per il lungo, con Rukawa ancora sopra di me che, prendendomi alla sprovvista, si libera dalla mia presa e appoggia i gomiti ai lati della mia testa, chinandosi su di me. Insomma, dalla padella alla brace!
Quando lo vedo avvicinarsi con fame alla mia bocca, lo blocco mettendogli entrambe le mani sul petto.
«T-ti prego! Ho bisogno di un po’ di tempo!» balbetto, sentendo il viso andarmi in fiamme per la vergogna.
Fino a qualche ora fa avrei preferito tagliarmi le vene piuttosto che umiliarmi in questo modo davanti alla Volpe!
Lui mi fissa qualche secondo prima di pronunciare un molto espressivo “Mh” e posarmi un bacio sulla fronte.
«Posso restare da te stanotte?» chiede, come se nulla fosse.
Io sgrano gli occhi. Ma come? Ho appena detto di aver bisogno di tempo e…
«A dormire, do’aho» aggiunge lui, sbuffando.
Sento i muscoli delle spalle rilassarsi. «M-ma certo» rispondo.
Non riesco a nascondere l’ansia che ancora mi agita la domanda precedente, e lui se ne accorge. Lo capisco da quel sorrisetto carico di malizia che fa prima di alzarsi in piedi, a seguito del quale inizio ad avere terribilmente caldo. Forse dovrei uscire in giardino e buttarmi mezzo nudo in un cumulo di neve!
Raggiungiamo la mia camera dove cerco nei cassetti qualche indumento da prestare a Rukawa per la notte. Non ha nulla con sé, e non può certo dormire con il maglione e i jeans! Fortuna che siamo all’incirca della stessa altezza, per cui la maglietta e i pantaloni che gli passo gli vanno solo un po’ larghi, essendo io più robusto di lui.
Poi dall’armadio prendo due futon e li stendo sul tatami, sotto lo sguardo accigliato di Rukawa.
«Guarda che ne basta uno» mi dice.
All’idea, sobbalzo. «Non ci stiamo in uno solo! Non siamo mica grandi come il Nano!».
«Non se ci stringiamo» insiste, infilandosi sotto quello di sinistra e facendomi segno di sdraiarmi accanto al lui.
Quello sguardo smaliziato mi fa desistere dal protestare prima ancora di pensarci. Scuoto il capo e, mentre lo raggiungo, mi impongo di imparare quanto prima ad avere più spina dorsale nei suoi confronti: non posso acconsentire così ad ogni sua richiesta!
Una volta sotto la coperta, Rukawa appoggia la testa sulla mia spalla e mi si stringe contro.
«Non voglio perderti» lo sento mormorare prima che il suo respiro si regoli e il sonno lo prenda.
Per la prima volta mi rendo conto della fragilità che si nasconde dietro quella maschera di indifferenza che Rukawa ha sempre indossato con me, e non solo. Con il timore quasi di toccarlo, gli accarezzo i capelli per poi cingerli le spalle e chiudere gli occhi. Nel mio cuore ora più che mani avverto il desiderio di proteggerlo e non lasciarlo mai più.

Continua

 

  
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