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Autore: Cioppys    09/07/2016    1 recensioni
[HanaRu]
Sbuffo. Ultimamente ho strani pensieri per la testa.
Dovrei essere felice per come mi stanno andando le cose – sono insieme alla persona che amo, riprenderò a giocare a basket – eppure è come se mancasse qualcosa, o che ci sia qualcosa di sbagliato. Ci sono momenti in cui mi sento tremendamente insoddisfatto, di tutto e di tutti, e fatico a capirne il motivo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Alla Luce del Sole
di Cioppys

 

Capitolo 4

E’ trascorsa una settimana dalla notte di capodanno e, da allora, non passa giorno che non veda Kaede.
Lo ammetto: non immaginavo di trovarmi così bene in sua compagnia.
Spesso ci troviamo al campetto vicino alla spiaggia non lontano da casa sua dove, tempo permettendo, ci alleniamo nei tiri a canestro e disputiamo qualche partita, senza però esagerare con la competizione: fa ancora freddo e, in alcuni punti, l’asfalto è scivoloso per il ghiaccio che si forma di notte. Io sono appena uscito da un serio infortunio e non nessuna voglia di farmi di nuovo male, men che meno desidero che se ne faccia lui.
Il resto del tempo insieme lo passiamo o sugli scogli, dove restiamo seduti a rilassarci, ascoltando le onde infrangersi sulla battigia, o a casa di uno dei due, a chiacchierare, ascoltare musica, guardare qualche film, sempre che riesca a evitare che la Volpe si addormenti. E’ incredibile come gli basti appoggiare la testa da qualche parte – sempre più spesso è una porzione del mio corpo! – per scivolare nel mondo dei sogni.
Inoltre, durante questi giorni, sono venuto a conoscenza di tante cose di lui che ignoravo. Una in particolare.
La prima volta che andai a casa sua – una bella villetta di due piani in uno dei migliori quartieri della zona – gli chiesi dove fossero i suoi genitori: scoprì così che suo padre viaggiava spesso per lavoro, mentre sua madre era morta quando frequentava la seconda elementare. Quel fatto mi colpì parecchio, tanto che per ore non dissi quasi una parola. Kaede, intuendo il problema, mi raccontò che quella perdita fu uno dei motivi per cui iniziò a giocare a basket l’anno successivo, divenendo la sua valvola di sfogo. A distanza di tanti anni, la passione per quello sport e il tempo avevano cancellato il dolore, lasciandogli un senso di amarezza per i pochi ricordi che aveva di lei. Mi confessò che a volte faticava a ricordarne perfino il viso.
Non so perché quel giorno le parole uscirono spontaneamente dalla mia bocca. Mi ero sempre vergognato così tanto dell’accaduto che non l’avevo mai raccontato a nessuno, nemmeno a Yoei: lui aveva capito che era successo qualcosa, ma non ha mai chiesto i dettagli. Ha accettato il mio silenzio e mi è stato vicino nel dolore, come un migliore amico sa fare. Quel giorno, invece, ebbi il desiderio di confidarmi con Kaede, volevo che lui sapesse che mio padre era morto a causa mia. Ho pianto, quel giorno, come non avevo mai fatto, mentre il ragazzo che mi ha rubato il cuore mi stringeva con tutta la sua forza a sé dandomi del “do’aho”.
Sospiro, fermandomi ad osservare il mio riflesso in una vetrina mentre rientro a casa.
Se con la Volpe le cose vanno a gonfie e vele, il problema “Haruko” è tutt’altro che risolto.
Avrò chiamato casa Akagi tante di quelle volte che ho perso il conto, ricevendo come risposta dai suoi genitori che non poteva parlarmi per i più svariati motivi – è fuori, sta dormendo, studiando o facendo il bagno – mentre dal Gorilla un diretto “non vuole parlarti né tantomeno vederti, quindi smettila di chiamare”, senza tanti fronzoli, insomma.
Mi era venuta anche la malsana idea di appostarmi davanti a casa sua, nella speranza di incrociarla mentre entrava o usciva, ma se a beccarmi fosse stato suo fratello era probabile che non uscissi vivo dall’incontro.
Sospiro di nuovo. Kami! Non posso aspettare l’inizio della scuola per parlarle! E mancano solo tre giorni!
«Ehi Sakuragi! Ancora in giro a quest’ora?».
Mi volto, ritrovandomi Mitsui con quel suo sorriso da “tu sai che io so” che non sopporto.
«Oh, Mitchi» rispondo con così tanto entusiasmo che lui alza un sopracciglio.
«E smettila di chiamarmi in quel modo, scimmia!» mi riprendere, sbuffando. «Problemi?» chiede poi.
Abbasso il capo. Il mio silenzio è più eloquente di mille parole.
«Hai già cenato?» domanda, e al mio cenno di diniego sorride, stavolta in modo cordiale. «Ti va di mangiare qualcosa insieme? Così parliamo un po’. In fondo, non ci vediamo dalla notte di capodanno».
Lo guardo con sincera meraviglia. Da quando Mitsui ha così a cuore i miei problemi?
Socchiudo le palpebre e lo fisso con sospetto. «Cosa vuoi davvero?».
Lui alza gli occhi al cielo e sospira. «Te l’ho detto: parlare un po’».
Senza aspettare una mia risposta, si incammina, fermandosi poco più avanti quando nota che non lo sto seguendo.
Ed è allora che lancia il sasso.
«Davvero non vuoi sapere cosa è successo dopo che sei corso dietro ad Haruko?» dice, sornione.
Effettivamente sono molto curioso, anche perché Kaede non ne ha mai fatto parola.
«Dai, vieni!» insiste lui. «E non ti preoccupare: per stavolta offro io. Ma solo una portata, quindi evita di ordinare l’intero menù perché non lo pago!».
Oh, beh, se la mettiamo su questo piano, come posso rifiutare?
Prima di raggiungere il locale suggerito da Mitsui, questi chiama casa per avvisare che non sarebbe rientrato per cena. Deve averne combinate davvero tante nei due anni da teppista, perché il padre non voleva credere che fosse in compagnia di un kohai del club di basket. Alla fine è dovuto intervenire il Genio che, strappando il telefono di mano, ha parlato direttamente al genitore. Nonostante abbia risolto la situazione Mitsui, con un calcio nel sedere, mi ha fatto capire di non essere particolarmente contento del mio contributo. Che ingrato!
«Allora Mitchi?» dico battendo nervoso le bacchette sul tavolo, dopo aver ordinato entrambi una porzione di tempura udon. «Svuota il sacco!».
Lui si appoggia allo schienale con un sospiro, bofonchiando un “ci rinuncio!” prima di iniziare a parlare.
«Io e Ryota vi stavamo cercando quando, passando vicino al parco, abbiamo visto Haruko uscire correndo. Piangeva. Ho cercato di fermarla, ma non sono riuscito a prenderla per un braccio e lei ha tirato dritto. Poco dopo sei apparso tu e le sei corso dietro, senza nemmeno calcolarci. Ayako, invece, siamo riusciti a bloccarla, ma l’unica cosa che ha fatto è sussurrare un “povera Haruko” prima di chiudersi in uno strano silenzio. A quel punto ho mollato Ryota con lei e sono entrato». Il suo sguardo si illumina. «Sapevo che avrei trovato Rukawa».
Mi irrigidisco e sgrano gli occhi.
«Non essere così sorpreso, Sakuragi» sorride compiaciuto, massaggiandosi il mento. «Da un po’ di tempo sospettavo che Rukawa fosse innamorato di te e la “scenata” il giorno in cui ti sei messo con Haruko me lo ha confermato. Certo, non avrei mai pensato che tu potessi ricambiarlo, almeno fino a quando quella sera non l’hai seguito».
Le bacchette scivolano dalla mia mano e cadono sul pavimento con un rumore sordo mentre sento il viso  andarmi letteralmente in fiamme, tanto è l’imbarazzo nello scoprire che lui sa.
Mitsui mi guarda e non riesce a trattenersi, scoppiando in una fragorosa risata.
«Vaffanculo!» urlo, sbattendo le mani sul tavolo e alzandomi in piedi con tanta veemenza da far cadere la sedia per terra, trattenendomi a stento di assestargli una violenta testata. «Non c’è un cazzo da ridere!».
Ovviamente la mia performance attira l’attenzione dell’intero locale.
Con una mano Mitsui mi fa segno di calmarmi. «Dai, siediti, altrimenti ci buttano fuori! E io ho fame!» dice, appena riesce a riacquistare un minimo di contegno.
Rimaniamo in silenzio per diversi minuti, durante i quali ci servono la nostra ordinazione. Il mio compagno di squadra non fa complimenti e inizia a mangiare di gusto. Io, al contrario, fisso smarrito la mia ciotola fumante: mi è passato l’appetito.
«Mangia» mi intima Mitsui. «Altrimenti lo paghi tu: non ti offro la cena se la fai finire nel cestino!».
Ricattatore di merda! Con una smorfia afferro un nuovo paio di bacchette dal contenitore posto nell’angolo del tavolo e, anche se di malavoglia, inizio a mangiare. Il brodo è davvero caldo, e gli udon scottano!
«Ah, che buono! Ci voleva proprio!» esclama lui, quando finisce.
«Ora che sei rimpinzato per bene, che ne dici di continuare?» lo esorto con un cenno della mano, anche se io non ho ancora finito, tanto è lui che deve parlare.
Lo vedo pensare un attimo, prima di riprendere il discorso da dove lo aveva lasciato.
«Quando sono entrato nel parco, Rukawa era seduto vicino ad un albero, con lo sguardo perso. Era ovvio che fosse successo qualcosa tra voi due». Con i gomiti si appoggia sul ripiano del tavolo e mi fissa dritto negli occhi, sfoderando un sorriso malizioso che non mi piace per nulla. «Per spezzare il ghiaccio e farmi raccontare l’accaduto, gli ho chiesto come baciavi».
A quelle parole, mi strozzo con l’acqua che sto bevendo. Mi do un paio di colpi sul petto e riprendo a respirare.
Ma che cazzo di domande gli vengono in mente?!
«Mi aspettavo una reazione, ma non che mi guardasse con occhi sgranati, trasalendo in modo così evidente» dice, sottolineando le ultime parole «Però almeno ho avuto la conferma dei miei sospetti, senza che proferisse parola, cosa che ovviante non ha fatto».
Mitsui si tira indietro, appoggiandosi nuovamente allo schienale e infilando le mani nelle tasche dei pantaloni. Assorto, osserva oltre il vetro alla nostra sinistra la strada ormai buia, dove ogni tanto transita un’auto.
«Per un attimo ho avuto pena per lui» ammette, socchiudendo gli occhi. «Per cui, in uno slancio di commovente altruismo, gli ho consigliato di confessarti quello che provava, tanto ormai che aveva da perdere? Il danno era fatto e, beh, c’era pur sempre una possibilità che tu lo ricambiassi. Perché rinunciare a sperare?».
Non riesco a crederci: Kaede è venuto a casa mia convinto dalle parole di Mitsui.
Lui mi lancia un’occhiata. «Quando vi siete visti?» chiede, vedendomi pensieroso.
«Quella notte stessa» rispondo, non riuscendo a nascondere l’imbarazzo.
«Ah» proferisce lui, poi sorride soddisfatto. «Ecco dove è scappato in tutta fretta».
Quando noto che mi fissa con insistenza, come aspettandosi che dica altro, io riprendo a mangiare, ma non posso fare a meno di sentire il volto caldo. E no, non è il vapore del brodo sulla mia faccia a farmi questo effetto.
Mitsui ride. «Tanto poi me lo racconti quello che è successo!».
Io risucchio l’ultimo spaghetto con foga, schizzando gocce do brodo ovunque. «Te lo scordi! Nemmeno se è grazie a te che è venuto a cercarmi!».
«Sei un ingrato!» mi sfotte sempre con il sorriso, tornando poi serio. «E Haruko? Hai visto anche lei quella notte?».
Io faccio un cenno negativo con la testa. «E’ proprio lei il problema. Non sono ancora riuscito a parlarle».
«Cosa?!» esclama, più che sorpreso. «E che cazzo aspetti? Capodanno dell’anno prossimo?!».
Così gli spiego delle difficoltà di contattarla o vederla.
Mitsui incrocia le braccia dietro la testa. «Effettivamente, se avessi tradito la sorella del Gorilla, sarei già emigrato».
«Grazie per l’incoraggiamento!» sbotto. «Non ho nemmeno idea di cosa le abbia raccontato».
«Se non lo ha fatto lei, ci ha pensato Ayako» sentenzia lui. «Alla fine, a Ryota l’ha detto».
Un brivido di terrore mi scorre lungo la schiena. «E il Nano?».
Lo vedo sospirare, e non è una bella cosa. «Beh, era abbastanza sconvolto» afferma.
Con entrambe le mani mi arruffo i capelli e appoggio la fronte sul piano del tavolo: questa situazione mi sta logorando.
«Mitchi, non so cosa fare!».
Lui mi guarda un secondo, quanto basta prima che appaia quel ghigno insopportabile.
«Beh, con Haruko posso aiutarti io» dice, inclinandosi verso di me. «Ma ad una condizione».
Alzo il capo e, quando lo osservo negli occhi, sbianco. Maledetto impiccione!
La sua risata non tarda ad esplodere nel locale. «Te lo avevo detto che tanto me lo avresti raccontato!».

Continua

 

  
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