Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: shezza_demon221    10/07/2016    1 recensioni
Tutto quello che so è una porta sul buio.
(Seamus Heaney)
L'arrivo inaspettato della misteriosa Lily porterà nuove vicissitudini al 211b di Baker Street.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 11

What if


Le luci della sera si riflettevano sul finestrino della macchina della polizia. Lily si vergognava, era ridotta in condizioni assurde e non voleva appestare la bella macchina con i sedili in pelle che la stava portando al St. Barth’s. Aveva rifiutato la giacca di John, il cappotto di Sherlock, e si era accontentata di una coperta ruvida e che pizzicava della polizia. Ma in quel momento le importava ben poco; l’importante era essere salva, fuori di lì.

Kaleb era morto. All’improvviso un’ondata di dolore mista a sollievo le aveva mozzato il respiro. Lui non c’era più, non sarebbe mai più esistito, ora la sua anima forse stava attraversando i sette Cieli, verso Dio. Sarebbe stato perdonato, lei sapeva che in fondo era buono. E versò qualche lacrima per lui, perché alla fine l’aveva amato come si ama raramente, come si ama quando si è innocenti. E lui, Lily era sicura, per un periodo l’aveva ricambiata con lo stesso ardore, con la stessa dolcezza. Ma poi era cambiato, si era trasformato e il buio aveva ingoiato la sua anima. Con la testa appoggiata al finestrino, pensava a tutto ciò, mentre piccole lacrime le scendevano per le guance. Riusciva a pensare solo: “addio Kaleb, addio”.

Nella macchina c’era un silenzio denso, carico di domande e sottintesi. Cosa avrebbe fatto ora? Era libera sul serio, adesso. Avrebbe raccontato tutto alla Polizia, poi si sarebbe fatta visitare, poi si sarebbe fatta una doccia e mangiato.

Sì, certo. Ma poi.

Automaticamente si era voltata verso John e Sherlock, i suoi due punti di riferimento. Chiacchieravano sottovoce tra di loro, come le persone che si conoscono da anni. Le facce assorte e attente allo stesso tempo, e Lily per una frazione di secondo si era sentita fuori da lì, estranea. Come se non ci fosse. Come se si fosse intrufolata in qualcosa di privato, di segreto. Sherlock, all’improvviso l’aveva guardata, distratto.

“Stai bene?” aveva chiesto, piano. John si era girato a sua volta, con aria interrogativa.

Lily aveva annuito, con un sorriso tirato: “Sì, sto bene, grazie” si era stretta nella coperta , in imbarazzo.

Ma il suo cuore era pesante come piombo. Sherlock continuava a guardarla, mentre John parlava al telefono. La fissava e il cuore di Lily aveva aumentato i battiti. Cosa voleva da lei; perché mi guardi così, perché mi devi mettere a disagio anche ora; perché il mio cuore ora batte, mentre prima sembrava fermo;

Erano pensieri che si susseguivano rapidi, dentro la mente di Lily.

Ti prego, almeno per stasera, cerca di non leggermi dentro. Almeno stasera. Aveva pensato intensamente, serrando la mascella fino a farsi scricchiolare i denti.

E come se un flusso di pensieri caldo e luminoso si fosse incrociato in quell’istante, aveva sentito la sua stessa voce, dentro la sua testa: tutto è andato bene, è sicuro, quindi per ora starò zitto.

Lily aveva trattenuto il respiro per qualche istante; la voce nella sua testa aveva detto “zitto”. Ma la voce era la sua. Che fosse stato un incrocio di pensieri tra lei e Sherlock? Lily aveva distolto subito lo sguardo, rabbrividendo leggermente. Si sentiva scombussolata, il cuore continuava a martellarle nel petto, non poteva sostenere un secondo di più il suo sguardo. Aveva ricominciato a guardare la strada, sperando di arrivare il prima possibile al St. Barth’s.

Finalmente arrivati, non aveva parlato con nessuno. L’avrebbe fatto con Lestrade, per aggiungere più particolari e soprattutto perché John e Sherlock erano lì e lui era l’unico a saperlo. Mentre un’infermiera amorevole le disinfettava le ferite sul viso sorridendole materna, da dietro la porta della stanza aveva sentito voci concitate.

Fai finire almeno le medicazioni…almeno quelle.

Non ci penso proprio!

In quel preciso istante la porta si era spalancata, facendo comparire Mary, gli occhi pieni di lacrime mentre si strattonava dalla presa di John.

“Lily!” aveva esclamato con voce flebile e stridula “Lily, allora è vero!”

Era corsa verso di lei, spostando l’infermiera e stritolandola in un abbraccio da boa constrictor, piangendo come una bambina. Dopo due minuti, Lily aveva guardato John da sopra la spalla di Mary aggrottando leggermente le sopracciglia, chiedendo aiuto.

“Mary, tesoro…forse dovresti farla respirare per un attimo”.

Lei si era staccata immediatamente, prendendo il viso di Lily tra le mani: “Santo cielo, Lily. Ma cosa ti ha fatto?” un lampo di odio aveva attraversato i suoi occhi “com’è possibile? Come sta?” era scattata verso l’infermiera, che era indietreggiata leggermente intimorita.

“Sta bene, nei limiti del possibile. Ora fai finire il lavoro all’infermiera, manca poco” aveva incalzato John.

“Ma scusa, non potresti farlo tu? Sei medico!” aveva fissato la povera ragazza, che aveva teso tutto il necessario al “dottore” ed era scappata dalla stanza. John aveva rivolto uno sguardo di rimprovero a Mary, che aveva alzato le spalle. All’improvviso, aveva spalancato gli occhi: “Ho lasciato i tuoi vestiti puliti in macchina! Torno subito!” ed era corsa via, il rumore dei tacchi che echeggiava per i corridoi dell’ospedale.

John aveva scosso la testa, cominciando a disinfettare il piccolo taglio sulla guancia di Lily: “Un abitudinario, eh? Lividi e tagli sempre negli stessi posti” aveva sussurrato concentrato, osservando il livido che aveva sulla guancia sinistra. Aveva il maglione schizzato di sangue, gocce microscopiche.

Lily non aveva risposto, non sapeva cosa dire. Aveva incrociato lo sguardo di John, i suoi occhi blu che alla luce del neon sembravano neri. Lui le aveva sorriso, le rughe agli angoli degli occhi accentuate: “sei silenziosa, ti aveva detto che avresti potuto parlare fino a farci sanguinare le orecchie”. Aveva alzato le sopracciglia, perplesso.

“Non so esattamente cosa dire” aveva sussurrato Lily scrollando le spalle e sedendosi meglio sul lettino, in evidente imbarazzo.

“Se vuoi, puoi pure non parlare. Nessuno ti rimprovererà per questo”. John aveva proseguito con le medicazioni, il suo tocco leggero e delicato rassicurava Lily in parte.

Aveva arricciato le labbra, nervosa: “È solo che credevo mi sarei sentita diversa”.

John si era fermato, e aveva appoggiato il disinfettante e la garza sul lettino: “Lo so, il senso di sollievo è temporaneo. Cosa provi esattamente?” aveva stretto gli occhi, attento.

“Io…non lo so. Ho molta paura e ansia di quello che succederà adesso. Sono dispiaciuta per la morte di Kaleb, e ho paura anche che non riuscirò mai più a dormire”.

John aveva sospirato leggermente: “penso sia normale, sai? Ma non c’è nulla che non si possa risolvere con un po’ di buona volontà “le aveva messo una mano sulla spalla, richiamando la sua attenzione “Lily, guardami per favore”. John, che aveva sempre bisogno del contatto visivo per parlare alla gente, con il suo piglio da ex soldato.
Povera Rose, aveva pensato Lily.

Lui continuava a esaminarla, con il più rassicurante degli sguardi: “ci vuole tempo, il tempo guarisce tutto. So che è una frase a dir poco scontata, ma è vero. Guarda me. Dopo essere rientrato dall’ Afghanistan, anch’io pensavo bene o male le stesse cose.”

Lei aveva alzato gli occhi su John, in imbarazzo. Come poteva paragonare la sua esperienza a quella di Lily? Quella di John era estremamente più grave, e lui in Afghanistan c’era stato tre anni, prima di rientrare per la ferita alla spalla.

Lily aveva annuito, non del tutto convinta. Ma si fidava ciecamente di quello che diceva, della sua saggezza innata, che sembrava scaturire sempre al punto giusto e sapeva sempre dove lenire, dove curare, dove incoraggiare.

Aveva riabbassato lo sguardo sul lettino, tracciando piccoli cerchi con il dito sulla carta.

“Sherlock dov’è?” aveva chiesto piano, puntando di nuovo lo sguardo su John.

Lui l’aveva guardata, e un accenno di sorriso si era aperto sulla sua bocca.

“È al telefono con Lestrade, tra poco arriverà”. Aveva uno sguardo divertito, che aveva messo Lily in imbarazzo: “Smettila” aveva borbottato verso John, non riuscendo a trattenere un sorriso.

“Io? Cosa ho fatto?” aveva riso di nuovo “i cavalieri non abbandonano mai le principesse, stai tranquilla.”.

Lily era diventata rossa, suscitando un’altra risata di John.

“John, ho detto basta!” aveva riso anche lei, tirandogli un rotolo di garza “che stronzo!”

John aveva ripreso contegno ed era diventato serio tutto a un tratto: “Ora sei qui, e noi siamo con te. Nessuno ti lascia sola, Lily. Sappilo. Quello che è successo è stato un errore di calcolo, una sfortunata coincidenza, chiamala come vuoi. Ma ora, più che mai, devi capire una cosa: tu una famiglia ce l’hai e siamo noi. Dicci sempre tutto, com’è giusto che sia”.

All’improvviso aveva spalancato gli occhi, alzando un dito in aria: “Ah, quasi mi scordavo!” si era frugato in tasca “avrei voluta dartela subito, ma poi mi è passato di mente”.

Le aveva preso la mano delicatamente e ci aveva posato dentro qualcosa. Al contatto con la sua pelle, Lily aveva trattenuto il respiro. Aveva aperto piano la mano e sul suo palmo c’era il ciondolo del giglio, con la sua catenina aggiustata. Era più bello, splendeva.

“L’abbiamo fatta riparare e lucidare” aveva detto piano John sorridendo, mentre Lily si rigirava la catenina tra le mani, mordendosi piano il labbro inferiore “ora è di nuovo con te, l’avevi sempre addosso, sembra essere importante. Un giorno mi racconterai anche la storia di questo bel ciondolo” le aveva strizzato il polso leggermente, e lo teneva con delicatezza. Si erano guardati per un momento e Lily aveva sorriso, piena di gioia: “Grazie” aveva sussurrato, e si era fermata “io…non..”

“Tranquilla” aveva risposto John in fretta “un grazie è più che sufficiente, l’importante è che sia tornata dal legittimo proprietario” le aveva fatto l'occhiolino.

Lily avrebbe voluto tanto abbracciare John, ma era troppo lontano e sinceramente, erano conversazioni troppo intime, troppo confidenziali. Per ora andava bene così, non erano in uno sceneggiato americano, questa era la vita vera.

“Quando potrò farmi una doccia?” aveva chiesto lamentosa Lily per alleggerire l’atmosfera “non ce la faccio più ad avere questa roba addosso. Puzzo e mi sento sudicia”. Intanto si era allacciata la catenina al collo e sentiva come la sensazione che almeno una cosa fosse tornata al suo posto.

“Le docce sono in fondo al corridoio, non dovrebbe esserci nessuno a quest’ora. Vai a lavarti, e manderò Mary a portarti biancheria e vestiti puliti”. John le aveva indicato la direzione.

Lily aveva sorriso e si era incamminata verso le docce, un ambiente bianco, sterile. Illuminato da luci calde, non era proprio accogliente, ma per Lily andava bene lo stesso. Bastava che ci fossero acqua calda e sapone. Per il resto, poco male.

//

Si era spogliata in fretta, mentre faceva scorrere l’acqua. All’improvviso il suo riflesso nello specchio sopra ai lavabi aveva attirato la sua attenzione, facendola bloccare. Era troppo magra, le costole le si vedevano una a una, e il torace era cosparso di lividi violacei. Dove non c’erano ematomi aveva la pelle bianca, tendente al giallastro per il poco nutrimento e il buio perenne. Le braccia erano minuscole, piene di lividi a forma di dita e il suo seno quasi non si vedeva più. Le erano salite le lacrime agli occhi, fino a quando la sua immagine le era apparsa sfocata allo specchio. Era brutta, era orribile. Aveva la faccia tormentata da lividi e tagli, le guance erano incavate e facevano risaltare ancora di più gli occhi, che già erano grandi per natura. Le labbra erano quasi bianche, screpolate, e un taglio rosso vivo attraversava il labbro inferiore, come uno sfregio. Sembrava un alieno, o una persona che stava per morire. C’era mancato poco, certo. Ma la sua adesso era mera, stupida, semplicissima fisicità. Non riusciva a guardare la sua immagine allo specchio.
Come avrebbe potuto un uomo volerla, prima o poi? Come avrebbe potuto un uomo amarla sinceramente, vedere il suo corpo nudo, pieno di cicatrici scure e reputarlo bello. Si sentiva un frutto ammaccato caduto dall’albero, che stava marcendo al sole. Era sicura che puzzasse anche dentro. Era brutta, era orribile. Come faceva la gente a sorriderle? Forse per pietà. Come poteva far interessare qualcun altro a lei, quando era guasta dentro e fuori? Come poteva amare e farsi amare di nuovo? Come poteva pensare a una cosa così insignificante, in quel momento? Era viva, era salva. Ma non riusciva a farne a meno. Il suo aspetto esteriore rifletteva esattamente come si sentiva dentro. Triste, ridotta in macerie, brutta, dilaniata. Aveva nascosto il viso tra le mani, piena di vergogna.

“Lily?” una voce maschile, fuori dalla porta, attutita dalla porta

“Chi è?” aveva risposto Lily, con la voce che tremava per le lacrime, il freddo e la tristezza.

“Sono Sherlock” aveva aggiunto la voce attutita dal legno, con tono ovvio.

“Non entrare!” aveva esclamato lei subito, nel panico più assoluto.

Immagino tu abbia chiuso la porta…o no?” aveva chiesto perplesso.

A Lily sembrava di sì, adesso non ricordava accidenti, cosa voleva Sherlock adesso?

“Mi pare di sì, ma tu tieni la porta chiusa” aveva ribadito.

Silenzio.

“Ehm…sì. Ma perché, sei nuda?”

Oh mio Dio aveva pensato Lily, guardando il soffitto esasperata: “La doccia non la faccio vestita sai??!”

Altro silenzio. Lily avrebbe cominciato a urlare tra 3….2….

“Comunque Mary mi ha detto di portarti i vestiti, come facciamo?”

“Lasciali fuori dalla porta!” aveva risposto Lily, sempre più imbarazzata e infreddolita.

“Ma potrebbero rubarli, è possibile sai? Una volta, in un caso che seguivo…”

No. No. NO.

Lily si era precipitata verso la porta e l’aveva aperta leggermente, facendo spuntare solo la testa, e subito dopo un braccio nudo, facendo intravedere la curva esterna del “seno”: “Dammi i vestiti” aveva aperto e chiuso la mano, per enfatizzare il concetto.

Sherlock l’aveva guardata, confuso: “Ma scusa, sei nuda, ma ce l’hai un minimo di decenza??”

Lily l’aveva guardato, sgranando gli occhi.

Sherlock continuava a guardarla, la sua domanda persa negli occhi spalancati di Lily. Rendendosi poi conto della situazione, aveva prima guardato per aria, poi per terra, poi di nuovo Lily, la cui faccia non faceva presumere nulla di buono: “Oh beh sì certo, ecco i vestiti” glieli aveva passati, poi l’aveva guardata di nuovo e con tono saccente, guardandola dall’alto in basso, aveva esordito “non dovresti stare così tanto senza vestiti, sai. Fa freddo”.

Con un gemito esasperato, Lily aveva chiuso la porta in faccia a Sherlock, non potendo più sopportare un secondo di più quella conversazione senza senso. Lei era piena di pudore. Sprizzava pudore da tutti i suoi stramaledettissimi pori. Era talmente tanto che si sarebbe messa un lenzuolo addosso, tipo i bambini che si travestono da fantasmi a Halloween.

Altro silenzio, ma Lily non sentiva passi allontanarsi.

“Beh….PREGO COMUNQUE!!!” aveva urlato Sherlock da dietro la porta, facendo sobbalzare Lily.

GRAZIE SHERLOCK, SCUSA MA ORA VADO A FARE LA DOCCIA, O IL MIO SENSO DEL PUDORE POTREBBE PRENDERE FREDDO!!” aveva urlato di rimando. A quel punto aveva sentito il sospiro sdegnato di Sherlock e i passi allontanarsi.

Lily aveva quasi scaraventato i vestiti puliti per terra, ma si era fermata in tempo. Un uomo impossibile, veramente senza speranza. Una persona la doccia se la fa nuda. Lui se la faceva vestito forse? Scuotendo la testa si era finalmente diretta sotto il getto della doccia, sospirando di sollievo e piacere, mentre si insaponava i capelli. Preoccupata si era guardata la mano: parecchi le erano caduti solo facendo lo shampoo.

Pensava ancora a Sherlock; ma che razza di persona. Mister Pudicizia. Ma aveva mai visto una donna nuda? Pensava proprio di sì, almeno lo sperava per lui. Chissà se faceva le cose che gli uomini nudi normalmente fanno davanti allo specchio: gonfiare i muscoli, osservare se avevano messo su pancia, fare le facce ridicole, e altre cose sconvenienti che Lily trovava veramente stupide.
Perché pensava a Sherlock nudo? No. Lei non pensava a Sherlock nudo, lei pensava che faceva le stesse cose che fanno tutti i maschi. O forse no, si spogliava solamente e si infilava sotto la doccia, sapendo già di essere perfetto, non aveva bisogno del riflesso dello specchio per la conferma.

Perfetto poi, aveva pensato Lily strofinandosi vigorosamente le braccia forse piacente, ma non perfetto. Certo era in forma, lei lo aveva visto senza cappotto e giacca e le camicie che metteva facevano comunque risaltare un fisico asciutto, scolpito. A volte i bottoni tiravano un pochino, perché forse era troppo muscoloso. O forse perché era un narcisista e si comprava le camicie più strette per fare bella figura. A colazione aveva sempre una maglietta sdrucita e un paio di pantaloni della tuta che non si curava di stringere in vita; pensava di nascondere tutto con la vestaglia, ma i peli della pancia che sbucavano dai pantaloni abbassati Lily li aveva visti eccome. Assumeva sempre pose strutturate, eleganti, che lo facevano apparire affascinante anche senza parlare. Mai un capello fuori posto, le mani sempre curate, mai un filo che pendeva, un bottone allentato, le scarpe sporche o non lucide. Ci teneva all’aspetto, forse per facilitare anche il suo lavoro. Ecco perché all’inizio Lily aveva pensato fosse gay. Ma poi l’aveva visto fare domande alle testimoni donne e tirava fuori uno charme e un atteggiamento rassicurante che le faceva diventare creta morbida tra le sue mani, e a quel punto poteva anche farsi rivelare il loro numero di conto corrente o la combinazione di una cassaforte.

Lily aveva pensato a tutto ciò sotto il getto caldo della doccia, non accorgendosi del tempo che passava. Aveva aperto all’improvviso gli occhi, vergognandosi di essersi soffermata così tanto sui particolari di Sherlock Holmes, lo snobbone pudico, ed era uscita dalla doccia. Mentre si asciugava davanti allo specchio, aveva sbuffato, scocciata. Ora si sarebbe dovuta sorbire il broncio di Sherlock. L’aveva appena salvata da una situazione mortale e già faceva polemica? Ma che noia!!

//

Sherlock proprio non capiva Lily, proprio non ci riusciva. Era pur vero che non aveva visto nulla, se non un braccio nudo, ma insomma! Sapeva già che se lo avesse raccontato a John, lo avrebbe preso in giro, accusato di esagerare come al solito e di essere misogino. Ma che ci poteva fare se lui era così? Le donne….perlopiù esseri volubili, senza offesa. Erano così malleabili a volte. Lo sapeva bene lui, bastava niente per farsi dire cose importanti. Eppure non faceva chissà che, se n’era accorto da solo. Sorrideva un po’, usava un tono basso di voce, qualche complimento insincero buttato a caso e loro si aprivano come margherite a primavera nella loro frivolezza, e il gioco era fatto. Questo non voleva dire che lui non rispettasse il genere femminile, solo che lo trovava così intuitivo. Quando si trattava di lavorare, era fin troppo facile.

Lily invece era… era così pacata ma allo stesso tempo aggressiva, e sempre pronta a rispondere a tono. Non si faceva incantare da nulla, se le chiedevi un favore in maniera normale ed educata era ben felice di accontentarti. Ma se provavi la lusinga, su di lei non attaccava. Si imbarazzava con uno schiocco di dita, o perché ci si soffermava troppo con lo sguardo su di lei, salvo poi aprire la porta consapevole di essere nuda, anche se c’era una lastra di legno a separarli. Bastava una sguardo per farla balbettare, ma alla prima parola fuori posto o che non le andava a genio, era pronta a balzare in avanti come una leonessa inferocita. Era un vortice di contraddizioni. I suoi pensieri dovevano rimanere puri, razionali. Ma diamine, lei gli faceva saltare i nervi come il dottor Watson. Povero lui, aveva trovato l’equivalente di John in gonnella.

E poi quello sguardo. Quello sguardo che le aveva lanciato da sopra la spalla di John, poche ore prima. Quegli occhi che lo avevano tirato fuori dalla sua zona sicura, pieni di buio ma allo stesso tempo luminosi. Cosa volevano dirgli? Grazie, forse? La storia del cavaliere.
Sherlock aveva scosso la testa, frustrato. Quella Lily. Gli stava dando filo da torcere, ne era consapevole. Ma era anche consapevole del fatto che lo faceva senza accorgersene, era lo specchio del suo sentirsi a suo agio con lui. Ogni persona ha il suo modo di porsi con le altre. E quello di Lily era quello di esasperarlo, semplicemente. O era lui che esasperava lei?

Non c’è niente che non vada in me” aveva pensato, come al solito.

//

Lily si era asciugata alla bell’e meglio i capelli, che si rivoltavano verso di lei come serpi ammattite; li aveva lisciati con le mani, ottenendo un po’ più di disciplina. Ma sembrava comunque una pazza. Aveva le guance rosse per l’acqua calda e per essersi strofinata troppo con la spugna. Si era infilata i jeans, che le calavano sui fianchi. Ed erano i più stretti che aveva; poi aveva preso quello che doveva mettersi sopra ed era trasalita: era il maglione di Natale, quello blu oltremare che le aveva regalato Mary. Se l’era infilato e per poco non ricominciava a piangere. Addosso le stava largo, le maniche le arrivavano sotto le nocche, per via delle spalle smagrite. Le stava addosso come un palloncino sgonfio, ed era terribile. Quel maglione, che lei amava così tanto, che aveva considerato un regalo bellissimo, una nuova possibilità, si stava ribellando a quello che ora era il suo corpo. Lo specchio della paura. Aveva sentito le lacrime salirle in gola, ma le aveva ricacciate indietro: avrebbe sorriso, nonostante tutto.
Era uscita dai bagni, mettendo i vestiti vecchi in una busta; non sapeva se buttarli o lavarli. La felpa che le aveva dato Kaleb l’aveva già gettata in un cassonetto per strada. Aveva percorso il corridoio, piano, molto lentamente. Ripensava alla sua immagine nello specchio, al maglione che sembrava un brutto scarabocchio su di lei. Non aveva mai prestato troppa attenzione al suo aspetto esteriore. Ma quello che aveva visto riflesso non era il suo essere, non si era mai vista così. Forse era stata pure peggio, ma non c’era mai stata una superficie riflettente a sbatterglielo in faccia. Si vergognava, non voleva essere brutta. “Che ragionamenti infantili” aveva pensato tra sé, ma non riusciva a fermarli. Era arrivata davanti alla porta della stanza, dove sentiva le voci di John, Sherlock e Mary. Entrando, si erano tutti girati contemporaneamente verso di lei. E là Lily l’aveva visto: il lampo di paura e sorpresa negli occhi di Mary, con un leggero accenno delle sopracciglia. Lo aveva visto a rallentatore. Lo sguardo di John che si era abbassato per pochi secondi, in maniera non del tutto casuale. Ma sorridevano leggermente, per non far vedere quello che Lily aveva chiaramente osservato. Sherlock invece l’aveva guardata dal basso verso l’alto, scrutandola come al solito. Lily aveva oscillato le braccia, dondolandosi sui talloni in visibile imbarazzo esclamando: “Ed ora entrino gli scheletri danzanti!” aveva riso forzata, alzando le braccia e agitandole.
Mary e John avevano riso subito dopo di lei, impacciati a loro volta. Lily si era fermata, guardando il pavimento, cercando di trattenere le urla e le lacrime che lottavano per uscire da lei. Sherlock continuava a guardare, guardare, guardare. Ma cosa diavolo voleva da lei? Un rigurgito di rabbia dal sapore amaro le era salito in bocca.

Mary era avanzata verso di lei, mettendole una mano sulla spalla: “Vuoi mangiare qualcosa, tesoro? possiamo fermarci dove vuoi, ci sono ancora tanti posti aperti. Un bel pasto sostanzioso, che dici?”

Sherlock aveva detto con molta calma e con un’aria indecifrabile: “Ce ne vorranno più di uno, questo è sicuro” un leggero sorrisetto era apparso al lato sinistro della bocca, poi aveva aggiunto “ma quello è lo stesso maglione che avevi a Natale?” aveva strizzato gli occhi, dubbioso.

In quell’istante, qualcosa dentro Lily si era rotto e lei ne aveva sentito la vibrazione, nettamente. Come un osso, come un pezzo di legno. Qualcosa dentro di lei era andato in pezzi, in quel preciso momento. Aveva alzato lo sguardo, gli occhi lampeggianti di lacrime. Senza dire niente, si era avvicinata e senza pensarci aveva tirato la mano dietro la sua testa e l’aveva fatta atterrare sulla guancia di Sherlock, provocando un vigoroso schiocco secco.

Nella stanza aleggiava un silenzio pesante come un asciugamano bagnato. John aveva allacciato le mani dietro la schiena e guardava per terra, muovendo la bocca impercettibilmente. Mary si era portata le dita della mano sinistra davanti la labbra, ed era ancora lì immobile, lo sguardo che saettava da Lily a Sherlock e viceversa.

“Tu…” aveva cominciato Lily con voce tremante e flebile “dimmelo…TU ce l’hai un maledetto cuore? Mi sono già vista. So già che sono orribile. Non c’è altro da aggiungere, ma te devi sempre avere l’ultima parola, giusto?” aveva alzato la voce “proprio non ci arrivi, giusto?”.

Lily non voleva piangere, non per una cosa del genere. Ma non sapeva come, non riusciva a fermare la pioggia di lacrime che le rigavano il viso. Una vera pioggia di lacrimoni che le rotolavano lungo le guance, che cadevano a terra facendo rumore. L’avesse detto Kaleb, l’ avesse detto l’infermiera, l’avesse detto Dio in persona, non le sarebbe importato. Ma Sherlock no, proprio no. Non poteva spingersi così oltre, non ne aveva il diritto. Non aveva il diritto di calpestare così il suo cuore, le sue emozioni. Perché lui l’aveva salvata, lui era il cavaliere. E non poteva, non doveva comportarsi così. Lo guardava, mentre lui lentamente riportava la testa alla sua posizione iniziale. Stranamente rivolgeva lo sguardo in basso, e si era portato la mano alla guancia schiaffeggiata dove facevano bella mostra cinque impronte di dita rosso acceso. Si massaggiava la guancia senza dire una parola, con le sopracciglia corrugate, sempre con lo sguardo per terra, fisso sul pavimento di finto parquet beige.

Lily si era allontanata da lui, senza proferire parola. Già si era pentita di averlo schiaffeggiato. Lei non poteva arrogarsi il diritto di mettergli le mani addosso. Ma era stato tutto automatico, un grido di amarezza, tramutato in forza fisica. Ma stavolta non avrebbe chiesto scusa subito. Forse domani, forse tra una settimana, non lo sapeva. Ma sicuramente non quella sera.
Si era asciugata il viso, e si era rivolta a John e Mary: “Effettivamente ho una bella fame da lupi. Dove si può andare?”

Mary, risvegliata dalle parole di Lily, aveva cominciato a elencare una miriade di posti, prendendola sottobraccio e portandola fuori dalla stanza parlando senza sosta.

John continuava a guardare per terra, stavolta con le mani in tasca. Dondolava piano sui talloni, come aveva fatto Lily poco prima, ma lui non lo faceva per l’imbarazzo. Lo faceva per contenere la rabbia. Aveva alzato il viso e lo aveva rivolto a Sherlock, che continuava a massaggiarsi la guancia stretto nel suo cappotto, come un pipistrello avvolto nelle sue ali rigide.

“Dovevi proprio?” erano state le prime parole di John “non sei proprio riuscito a resistere”.

Sherlock lo aveva guardato: “Forse è meglio che vada a casa”.

John in tre passi lo aveva raggiunto, mettendo il suo viso a pochi centimetri da quello di Sherlock e aveva sibilato: “No, tu verrai invece. Così potrai osservare come mangia una persona digiuna da giorni”. Il suo tono non ammetteva repliche, e Sherlock lo sapeva bene.

“Chi tace acconsente” aveva mormorato John “ma tacere non sempre è così facile, vero?” lo aveva guardato a lungo, poi scuotendo la testa si era avviato fuori dalla stanza, fermandosi sulla soglia, aspettandolo.

Sherlock aveva tirato su il bavero del cappotto e si era avviato verso l’uscita insieme a John.

//

Alla fine erano andati in un fastfood, niente di particolarmente esoso e particolare. Lily stava morendo di fame, e mentre addentava il suo doppio hamburger, John le aveva raccomandato di mangiare piano, sennò si sarebbe sentita male. Ma aveva troppa fame, e senza tanta eleganza aveva azzannato il suo panino, mugolando al primo boccone. Il cibo, che cosa straordinaria. Sherlock era seduto di fronte a lei ma spostato di una sedia; davanti c’era Mary, e John era accanto a lei che la guardava divertito mentre mangiava come una bambina entusiasta. John aveva lanciato un’occhiata a Sherlock, che continuava a guardare il tavolo con le mani incrociate, come in preghiera. Non sapeva cosa pensare. Era arrabbiato? Si vergognava? Cosa diavolo gli passava per la testa? La sua capacità di moderazione pari a zero non smetteva mai di stupire John.
Guardava Mary che parlava con Lily, mentre sorseggiava un caffè, e si sarebbe sentito sereno se lui non se ne fosse uscito con l’ennesima sparata da bastardo. Lily mangiava con gusto, forse troppo veloce, forse troppo euforica per sembrare un sentimento genuino e reale; il sorriso le era tornato in viso mentre guardava le foto di Rose sul telefono di Mary. Poi, chissà cosa passava per la testa pure a lei. Come si sentiva, come stava. Si sentiva ferita, questo era ovvio. Ma poi cos’altro? Se lei non avesse chiesto aiuto a nessuno di loro, avrebbe dovuto lavorare su tutta questa situazione, su tutti i suoi demoni, da sola. E questo spaventava parecchio John.

“Lily, così ti verrà il mal di stomaco, vai piano!” aveva riso di nuovo, scacciando per un momento quei cattivi pensieri.

“Ma è così buoooonoooo” diceva Lily lamentandosi “dai, non fare il guastafeste!” aveva fatto una linguaccia a John, che aveva risposto a sua volta.

“Non dire che non ti avevo avvertito, poi” l’aveva ammonita, sorridendo.
Sherlock sentiva tutto, e vedeva anche grazie alla sua vista periferica. La guancia bruciava ancora, le impronte della dita erano sfumate in un rosa chiaro, ma diavolo se bruciava. Gli aveva assestato un ceffone a regola d’arte. Non voleva essere lì, voleva solo andare a casa, bere un the e andare a dormire. Era John, era sempre lui a farlo sentire così. Ma cavolo, lo sapevano che non aveva peli sulla lingua, ancora non aveva imparato nessuno? Ma forse c’era qualcosa di più profondo stavolta, qualcosa che lui stranamente non era riuscito a carpire. E rifletteva su quello in quel momento,sui modi di ferire le persone portando a galla ricordi suoi, ricordi di altre persone, ricordi di John. Pensava, pensava e non si fermava mai. Sembrava che gli andasse in fumo il cervello. Sentiva le loro voci, ma non quello che dicevano, che esprimevano. Era troppo concentrato.

“Aaaah ora mi sento molto meglio” aveva detto Lily stiracchiandosi e portando le braccia sopra la testa “ci voleva proprio” aveva annuito soddisfatta, massaggiandosi la pancia con aria buffa. Mary aveva riso, seguita da John.

“Devi rimettere su peso” aveva detto John “ starai bene presto, vedrai”.

Lily aveva abbassato lo sguardo sul tavolo, nella sua testa sprazzi del suo corpo nudo riflessi nello specchio; aveva semplicemente annuito, sorridendo leggermente.

Mentre uscivano dal fastfood, John le si era avvicinato e aveva detto piano: “Vuoi dormire da noi stasera? Sai che non ci sono assolutamente problemi” le aveva sorriso.

Lily aveva stretto piano il braccio di John: “Ti ringrazio, ma non ce n’è bisogno. Sto bene; arrivata a Baker Street, mi lavo i denti e vado a letto; ho bisogno di dormire un po’”.

“Va bene, se lo vuoi tu. Noi prendiamo la macchina, tu e Sherlock tornate in taxi”.

Lily aveva alzato gli occhi al cielo, scherzosa. John le aveva dato la buonanotte, Mary pure e si erano divisi. Il taxi aspettava, Sherlock già posizionato sul sedile. Lily era salita, e il tassista aveva detto: “dove si va, signorina?”

Lily aveva guardato Sherlock per una frazione di secondo, poi aveva riferito al tassista: “221b di Baker Street, grazie”.

//

Il viaggio in taxi era stato silenzioso. Sia Lily che Sherlock sedevano dalla parte opposta del sedile, ognuno a scrutare fuori dal finestrino. Lily, attraverso il riflesso del vetro, osservava Sherlock. Il viso poggiato su una mano, la postura rigida. Ogni volta che si fermavano a un semaforo, guardava avanti a sé, finché non ridiventava verde; a quel punto, tornava alla posizione iniziale. Lily aveva guardato le sue gambe per qualche secondo sentendosi, nonostante tutto, in colpa. Non le piaceva trattare male le persone; non le piaceva essere irrispettosa. Guardava l’ammasso di riccioli neri di Sherlock e si chiedeva perché, però, lo scrupolo se lo facesse solo lei. Era la prima volta che schiaffeggiava una persona. Aveva malmenato, e pure parecchio a causa della droga, ed era stata a sua volta picchiata. Dagli spacciatori, dai ladri. Ma lei di proposito non aveva mai alzato una mano su nessuno, se non per difendersi. Ma nel momento in cui aveva schiaffeggiato Sherlock era riuscita a pensare solo a quello, era stato uno stimolo irresistibile, forse un modo di proteggere se stessa, e se ci pensava ancora sentiva il bruciore sulla mano, la sensazione della pelle di Sherlock sulla sua. Era fredda, glaciale, come l’anima che vi risiedeva dentro. Aveva sospirato piano, e aveva pensato che chiedere scusa non sarebbe servito. E sinceramente, non voleva neanche. Non pretendeva che Sherlock sapesse esattamente come si sentiva, ma lui che si vantava di dedurre tutto, era stato inopportuno su un argomento così delicato, così fragile. Soprattutto a poche ore dal suo salvataggio, a poche ore dalla fine dell’inferno che avevano provato tutti quanti, non solo lei. Scuotendo la testa, era tornata a guardare fuori dal finestrino, facendosi andare in fumo il cervello per trovare un appiglio, una giustificazione a quello che era successo quella sera.

Nel frattempo, erano arrivati a Baker Street e Sherlock, dopo aver pagato di gran fretta il tassista, era sceso dalla macchina con in mano già le chiavi di casa. Voleva sbrigarsi, voleva tornare a casa e rinchiudersi in camera probabilmente. Voleva rifugiarsi dietro quella porta chiusa, che era la sua mente e il suo cuore. Lily si era sorpresa di pensarla allo stesso modo. Voleva chiudersi dentro la sua stanza, dentro sé stessa, mettere un qualcosa di fisico e materiale tra lei e Sherlock. Pensare a quello che era successo e a quello che sarebbe successo, soprattutto. Saliva le scale dietro a Sherlock, fissando l’estremità del suo cappotto che oscillava ogni volta che saliva un gradino. Arrivati dentro casa, aveva appeso il soprabito dietro la porta e si era diretto subito in corridoio, verso la sua camera, senza proferire verbo. Lily era rimasta al centro della stanza osservando bene l’appartamento, tutto ciò che aveva lasciato e aveva ritrovato. Aveva sorriso leggermente, sentendosi sollevata. L’odore era sempre lo stesso: legno, polvere, e un piccolo accenno di formaldeide che Sherlock usava per preservare i suoi esperimenti. Si era girata verso la cucina, e il microscopio era lì. Senza vetrini, senza niente attorno. Come se fosse stato sospeso, fermo. A quel punto, aveva cominciato a farle male lo stomaco. Avrebbe dovuto dare retta a John, decisamente. Man mano che il tempo passava, il dolore era sempre un po’ più forte, così Lily si era lavata i denti e stesa sul letto, sperando che il dolore si affievolisse un minimo. Guardava il soffitto, e il lampadario, e sentiva le palpebre sempre più pesanti; se fosse riuscita a dormire, forse il dolore sarebbe passato da solo.

Siringhe. Polvere bianca e cucchiai riscaldati; limone e poi..poi era finito tutto, bisognava trovare i soldi. Il negozio di liquori, la crisi di astinenza, il taglierino smussato in una mano. Le minacce, il rifiuto, la rabbia e un sapore metallico in bocca. Il salto sul bancone, l’atterraggio sul proprietario e poi la sua mano che sferrava un colpo netto alla laringe troppo profondo, forse aveva preso anche le corde vocali, non sapeva. Vedeva solo sangue e gli occhi sbarrati dell’uomo che si teneva la gola con una mano, mentre tendeva l’altra verso di lei. Kaleb aveva preso i soldi, gridando guarda che hai combinato, stupida troia. Scappiamo, la polizia starà già arrivando. E lei era coperta di sangue, e ci era scivolata sopra, ed era scappata nel buio della notte. Poi l’acquisto, e la droga e le botte per quel gesto sconsiderato, la violenza. Vedeva le stelle dentro i suoi occhi; ma non sapeva se erano quelle vere su nel cielo, o quelle nate dai colpi. Il viso di Kaleb deformato dalla rabbia, un coltello puntato alla gola, la prossima volta che ci esponi così io ti ammazzo, ti ammazzo hai capito? Aveva la schiuma alla bocca, come un cane rabbioso, le pupille piccole e nere. Non si muoveva, mentre Kaleb le iniettava il veleno nelle vene. Adesso starai meglio, anche se non te lo meriteresti. Schiaffo. Urlo. Urla! Urla! Non sente nessuno!!

Lily aveva spalancato gli occhi, nell’oscurità di Baker Street, un bagno di sudore, le lenzuola attorcigliate intorno al suo corpo. Si era seduta sul letto senza neanche accorgersene. Aveva tirato su le ginocchia abbracciandole, appoggiando la testa sulle braccia e gemeva piano, spaventata e tremante.
Aveva sentito un cigolio e la luce fievole del corridoio era entrata nella sua stanza, somigliava a una lama. Aveva aperto leggermente gli occhi e aveva riconosciuto l’ombra di Sherlock, la sua vestaglia e i suoi ricci disordinati.

“Stavi urlando” aveva detto con tono ruvido “incubi?”

Lily aveva annuito, senza alzare il viso dalle sue braccia. Non voleva guardarlo, non poteva farcela ora. Quegli occhi grigi l’avrebbero trapassata e ora non ce la faceva proprio, non avrebbe potuto resistere a quella colata di acciaio bollente.

“Stai male?” aveva continuato a chiedere, sempre calmo, sempre profondo, sempre Sherlock.

Di nuovo sì, con la testa. Poi un fantasma di voce, un lamento che proveniva dalla sua gola “Ho mal di stomaco”.

“Vuoi un the, o una camomilla? Potrebbe farti bene” quella voce apriva il cuore di Lily in due.

“No, grazie” aveva sussurrato “passerà da solo, ho mangiato troppo”. La testa sempre lì,  Lily si era intimata da sola, non guardarlo. O i pezzi saranno troppo piccoli da raccogliere, dopo.

Un momento di silenzio, l’ombra di Sherlock immobile, la mano appoggiata sulla maniglia della porta. Troppo silenzio, che però faceva un baccano infernale.

“Ti chiedo scusa” aveva mormorato Sherlock “dal più profondo del cuore”.

Lily aveva sbarrato gli occhi, il fiato sospeso. Le stava chiedendo scusa, non poteva crederci. Sentiva formarsi un nodo alla gola, sempre più stretto.

“E non sei orribile, Lily. Non dirlo più” aveva aggiunto, con tono monocorde.

A quel punto il nodo si era sciolto e Lily aveva cominciato a piangere forte, con singhiozzi sconquassanti, che le facevano tremare il corpo da cima a piedi. Si lamentava e piangeva e singhiozzava, come non aveva mai fatto. Era come buttare fuori tutto lo schifo, il dolore, una specie di materia nera e viscosa che si era appiccicata al suo corpo. Quanto buio vedeva ancora davanti a sé. Ma forse, se avesse pianto per giorni interi così, sarebbe tornata normale. Ma non si poteva. Non poteva. Sarebbe stato come dimenticare tutto. Era un palliativo, ma per adesso andava bene.

Sherlock era ancora lì, immobile. Era pietrificato dalla potenza del pianto di Lily, dal fatto di averlo scatenato con poche parole che in quel momento reputava veramente sincere, perché un uomo che si rispetti deve chiedere scusa quando è necessario. E le sue gambe non si muovevano, non ci riuscivano. Le sembrava così piccola su quel letto, un pulcino bagnato. Quel corpo fragile che veniva scosso dai singhiozzi come scariche elettriche. Sherlock aveva visto poche volte questo tipo di dolore. Pochissime, anzi. E non voleva riportarle a galla. Lei non poteva vedere la sua faccia ma era immobile anche quella, l’espressione scolpita nei suoi tratti. Se non avesse smesso, cosa avrebbe potuto fare? Neanche John sarebbe stato d’aiuto, ora. O forse sì. Perché John sapeva abbracciare le persone, sapeva circondarti le spalle con un braccio e cullarti finché non ti addormentavi stremato. John sapeva cos’era un contatto umano. Sherlock aveva stretto la maniglia della porta, e voleva imporre al suo corpo di provare a toccare Lily, ad abbracciarla, rassicurandola. Capire cosa si poteva provare a consolare una persona, a essere mentalmente aperto per una volta sola. Ma non si muoveva, il suo corpo rimaneva immobile. Poteva solo assistere a quella scena di disperazione e lacrime, senza poter dire o fare niente.

Lily sentiva la testa leggera, mentre continuava a piangere, sempre più piano, come un giocattolo che lentamente esaurisce le batterie. Lo stomaco la stava facendo impazzire, era come se tanti coltelli le trafiggessero il ventre. Si era chiesta se vomitare sarebbe stato utile, ma non riusciva a muoversi. Voleva stare lì, un pezzo di carne tremante, finché non fosse finito tutto. La lama di luce era ancora lì, e Sherlock anche. Era il suo modo di consolare, quello? Continuava a non volerlo guardare in faccia. Sarebbe stato troppo bello, troppo rigido, troppo Sherlock per lei, ora. Non poteva guardare quel viso perfetto, senza un graffio o un livido, con la pelle bianca e liscia e gli zigomi alti. Non poteva, non poteva proprio.
Ma allo stesso tempo, avrebbe voluto le sue braccia intorno a lei, la sua voce profonda nei suoi capelli, che la rassicurava. Se lei era in questo letto, in questa casa finalmente, era merito suo e di John.
E allora perché sentiva questo tira e molla infernale dentro la testa, come se due Lily litigassero tra di loro.

Consolami!
No, non farlo.
Abbracciami!
No, non farlo.
Guardami!
No, non farlo.
Fai qualcosa!
Non saprei. Non ci riesco. Ho paura.

“Puoi andare Sherlock” aveva mormorato Lily “scusami, non volevo farti preoccupare, ora sto bene”.

Sentiva l’esitazione di Sherlock, il suo non crederle.

“Sei sicura?” aveva risposto lui, titubante.

“Sì” Lily aveva annuito, sempre con gli occhi fissi sul materasso.

“Va bene. Hai il telefono, qualsiasi cosa mandami un sms o vieni a cercarmi”. Libero arbitrio, aveva pensato.

Lily aveva sorriso impercettibilmente: “Grazie Sherlock, sul serio”.

Un attimo di silenzio: “Di nulla” aveva concluso.

E la lama di luce era sparita.

Lily finalmente aveva tirato su la testa, gli occhi gonfi di pianto, e il naso che colava. Aveva cercato un fazzoletto e si era asciugata il viso come meglio poteva. Si era stesa di nuovo sul letto, le braccia sopra la testa, lo stomaco che le faceva ancora male.

Ti chiedo scusa dal più profondo del cuore.
E non sei orribile.

Lily aveva sospirato profondamente, sentendo il cuore più leggero.
Forse Sherlock contava di più di quello che lei pensava. Lo scambio di pensieri dentro la macchina, i confronti, le litigate, le cattiverie. Erano tutte cose che formavano un unico nucleo che erano lei e Sherlock. Un legame che nessun’altro poteva avere, proprio perché siamo tutti diversi. Ferendola, lo aveva indebolito. Chiedendole scusa, lo aveva rafforzato. Era un’altalena, ma non era forse questa la natura dell’essere umano? Intrecciare rapporti, spezzarli, mantenerli?

Sentiva lo stomaco scaldarsi, in un moto dolce. Non poteva innamorarsi di Sherlock; troppo pericoloso e sicuramente con un rischio pari al 99,9999999%.

Ci avrebbe pensato con lo scorrere dei giorni, con più calma e raziocinio, ora era estremamente vulnerabile. Poteva innamorarsi anche dell’autista del taxi che li aveva riportati a casa.

Aveva deciso di dormire, così aveva rimesso a posto il letto e guardando le luci fuori dalla finestra, era caduta in un sonno profondo e senza sogni.

//

Il mattino era arrivato. Troppo presto, secondo Lily. Voleva rimanere a letto tutto il giorno, o perlomeno chiusa nella sua stanza per non vedere Sherlock dopo la strana situazione della notte stessa.
Era sdraiata sulla schiena e fissava il soffitto bianco. La sola idea di alzarsi e guardare Sherlock negli occhi la mandava in tachicardia. Si sentiva imbarazzata e se provava a pensare a qualcosa da dire, la sua mente rimaneva vuota. Non che Sherlock fosse un gran interlocutore, ma anche un semplice “buongiorno” l’avrebbe fatta arrossire fino alle orecchie. Si era premuta il cuscino sul viso, sospirando. Non poteva stare in camera tutta la giornata, e poi doveva fare pipì, merito della Coca Cola XXL che si era scolata al fastfood.
Aveva tirato un bel respiro profondo e si era alzata dal letto, non sapendo neanche che faccia avesse. Si era specchiata nella toletta che aveva in camera. Il viso era gonfio, soprattutto sotto gli occhi, che erano arrossati; ma pensava peggio. I lividi e il taglio sul labbro erano sempre lì, ma su quello proprio non poteva farci nulla.
Si era infilata i pantaloni della tuta e una felpa. Lentamente aveva aperto la porta, e lo scatto della serratura le era sembrato uno sparo. Aveva chiuso gli occhi, nervosa, e aperto la porta. Sarebbe scesa al piano di sotto e andata al bagno. Non ce la faceva più.
Mentre scendeva le scale, sentiva dei rumori impercettibili ma non sapeva se attribuirli a una persona o ai normali scricchiolii che si sentono dentro le case. Magari Sherlock era uscito e questo l’avrebbe aiutata non poco. Avere l’appartamento per sé e rilassarsi un attimo, senza il timore di incappare nella sua presenza. Arrivata all’ingresso, si era affacciata lentamente sul salone. I rumori erano cessati.

“Lily?” la voce di Sherlock era risuonata per tutta la stanza. Lily aveva chiuso gli occhi, strizzandoli sconfitta. Era a casa, e ora cosa faceva. Il cuore le batteva forte e sentiva il sangue affluire alle guance e al viso.

“Lily, sei tu?” continuava a chiedere Sherlock.

A quel punto si era fatta coraggio e aveva fatto capolino in cucina, mormorando: “Sono io, Sherlock. Scusa, non ti avevo sentito”.

Lui era in cucina, seduto davanti al microscopio e la guardava. Era nella sua “tenuta notturna”, con una tazza di the accanto.

“Buongiorno” le aveva sorriso, timidamente “come ti senti stamattina? Lo stomaco?”

Lily aveva trattenuto il fiato: cos’erano tutte queste parole, di prima mattina poi. Di solito era intrattabile. Aveva le occhiaie e Lily sperava che non fosse rimasto sveglio tutta la notte per colpa sua.
“Meglio, grazie. Mi è passato del tutto. Mi sento bene, grazie Sherlock” aveva accennato un sorriso, ma il taglio sulla bocca le aveva tirato e le aveva fatto male “ahi” aveva mormorato, premendosi una mano sul labbro.
Sherlock continuava a guardarla e al suo lamento di dolore aveva mosso leggermente le sopracciglia.

“La ferita ti fa male? Ma sei sicura che non ci andassero dei punti?” si era alzato, leggero come una piuma, facendo sventolare la vestaglia e in meno di due secondi era davanti a lei: “fammi vedere” aveva mormorato, con voce roca.

Lily non aveva avuto il tempo di dire “non preoccuparti” che le mani di Sherlock le avevano circondato il viso, tenendolo fermo. Si era avvicinato, e con il pollice della mano destra le aveva sfiorato il labbro inferiore, tirandolo giù leggermente. Il cuore di Lily stava per esplodere. Non si era nemmeno lavata i denti, quindi cercava di non respirare in faccia a Sherlock. Ma tratteneva comunque il fiato, sentendosi estremamente in imbarazzo. Quel contatto era inusuale e Lily era sinceramente sorpresa. Ma non perché le mani di Sherlock le sfioravano il viso, ma proprio perché una fisicità così improvvisa l’aveva spiazzata. Aveva gli occhi più aperti del solito, per la sorpresa. E guardava il viso di Sherlock, la sua pelle, l’arco superiore della bocca che si increspava leggermente mentre le esaminava il taglio, i suoi occhi grigi che la scrutavano. Mormorava mentre le guardava le labbra, qualcosa che non era riuscita a carpire. Poi i suoi occhi color metallo si erano fissati nei suoi, per un momento. Le mani erano sempre lì, ma erano fredde: un piacevole contatto con la pelle calda di Lily, che pensava di impazzire in quel momento, e aveva sbattuto velocemente gli occhi. Non voleva perdersi un secondo di Sherlock Holmes, di quell’attimo di intimità che probabilmente sarebbe stato unico.

“Guarda questo livido qui, accidenti” le aveva sfiorato con l’altro pollice la guancia opposta, dove sbocciava un bel livido violetto. Lily si stava auto imponendo di non cominciare a tremare, o di chiudere gli occhi. Cercava di essere normale, come se fosse in visita dal dottore. Come se quelle mani che la toccavano fossero mani estranee e non quelle di Sherlock. La guardava nuovamente, e poi un leggero sorriso era apparso all’angolo della sua bocca: “Niente che non si possa risolvere”. Aveva visto i suoi denti per una frazione di secondo, fare capolino dalle sue labbra. Lei aveva annuito leggermente: “Meno male” la voce ridotta a un mormorio. Sherlock era diventato serio tutto a un tratto. Lily aveva guardato la guancia dove lo aveva schiaffeggiato: la pelle era intatta, lattea, perfetta come sempre. Ora la stava semplicemente scrutando, senza interessarsi alle sue ferite di guerra. Era un momento diverso, molto teso e carico di sottintesi non necessariamente romantici, solo molto strani. Non era disagio, non era eccitazione. Semplicemente una cosa nuova. La esaminava come si studia qualcosa di sconosciuto. Lily cercava disperatamente qualcosa di intelligente da dire per rompere quel silenzio assurdo, ma la sua mente era completamente bianca e non riusciva a trovare una frase di senso compiuto. Un lampo le era passato per la mente: e se fosse una forzatura, un gesto che secondo lui era doveroso fare. In quel momento magari si sentiva anche a disagio per il contatto che stava avendo con Lily, pensando guarda cosa mi tocca fare, per essere definito essere umano.  E se fosse stato quello?
Lily sperava ardentemente di no, sennò quel minimo che pensava di aver capito di Sherlock sarebbe andato in fumo, insieme a tutto quello che John Mary e altre persone le avevano raccontato di lui. Non era tipo da gesti spontanei, lo sapeva bene. Sembrava quasi lo facesse per farsi perdonare ulteriormente. Ma non serviva, non serviva assolutamente. Andare contro natura era insensato. Spersonalizzarsi per piacere a una persona, cosa che era decisamente capitata a lei e di cui si era pentita amaramente, era una mossa assolutamente sbagliata e lei non voleva in nessun modo far provare agli altri una sensazione del genere.
Poi lo squillo del telefono l’aveva tratta in salvo. Sherlock aveva fatto scivolare via le mani dal suo viso e si era diretto in cucina dove si trovava il cellulare.

Lily aveva ricominciato a respirare e il primo pensiero che era riuscita ad articolare era stato “Wow Holmes, così uccidi la gente”.

Mentre lui parlava al telefono girando per il salotto, Lily si era rifugiata in bagno e una volta chiusa la porta aveva sospirato platealmente, appoggiandosi al lavandino. Aveva fissato la ceramica bianca e sussurrato: “Accidenti Sherlock, non nascondere la tua vera natura, torna lo stronzo che sei sempre stato, ti scongiuro”. Con quella preghiera si era resa immediatamente conto che aveva dato per certo il suo ragionamento di pochi minuti prima. Aveva strizzato gli occhi, in disappunto.

Razza di stupida frignona, guarda cos’hai combinato.

Si era guardata allo specchio e senza pensarci aveva alzato un pugno, agitandolo rabbiosa verso la sua immagine riflessa.

Sbuffando si era lavata la faccia e data una sciacquata alla bocca. Continuava a darsi della stupida sottovoce, poi all’improvviso si era fermata.
Forse era il caso di parlarne con il diretto interessato. Sì, ma come? Al diavolo, sarebbe venuto spontaneo e buonanotte al secchio. Era uscita dal bagno, e aveva trovato Sherlock con una tazza di the fumante in mano.
“Tieni, è per te” le aveva sorriso, facendo rabbrividire Lily.
Un automa, un fottutissimo automa. Sherlock robot. Aiuto.

Lily aveva sorriso tirata e aveva preso la tazza sporgendo la testa in avanti: “Grazie, Sherlock”. Poi l’aveva posata sul tavolo. Lui aveva seguito tutti i suoi movimenti, confuso: “Oh, forse volevi del caffè? Dovevo chiedertelo scus…”.
“Sherlock” aveva esordito Lily, forse a voce un po’ troppo alta, guardandolo fisso “Sherlock” aveva ripetuto più piano, con voce tenera. Aveva portato le mani davanti al viso, sfregandolo. Sospirando, le aveva abbandonate lungo il corpo, salvo rialzarle poco dopo per afferrare i lembi della vestaglia di Sherlock e tirandolo verso di lei, aveva poggiato la testa sul suo sterno. Guardava il pavimento e i piedi di Sherlock, nudi come sempre.
Sentiva la tensione nel suo corpo, e aveva anche sentito la sua testa che si era abbassata: “Ti senti bene? Stai per svenire?”

Lily aveva cominciato a ridere di gusto: “No, io sto bene. Sei tu che stai male. Smettila per favore.”. Sorrideva, mentre guardava per terra “questo Sherlock non mi piace, torna la canaglia che eri, ti preferisco così” si era fermata per un momento, pensosa “a meno che tu non sia inopportuno, naturalmente. Mi hai chiesto scusa ieri sera e va bene così. Smettila di comportarti come se non fossi tu. È stupido” aveva alzato la testa guardandolo in maniera preoccupata, e alzando un sopracciglio aveva aggiunto “e un pelino inquietante”.

Sherlock la guardava, confuso. Poi aveva stretto le labbra, guardato di lato e scuotendo la testa aveva detto: “Volevo essere gentile” aveva storto la bocca, in disappunto; “canaglia” aveva sussurrato.

Lily aveva riso: “Lo so, e ti ringrazio. Ma così mi fai sentire strana, o meglio mi fai sentire come quando interroghi qualche donnetta da strapazzo. E io non sono il tipo. So incassare, e ne sei ben consapevole” lo aveva guardato, strafottente “con le lusinghe non attacca, Holmes” aveva riso di nuovo.
Sherlock aveva sgranato gli occhi, per una frazione di secondo; era lo stesso identico ragionamento che aveva fatto la sera prima, quando aveva portato i vestiti a Lily ai bagni del St. Barth’s. Si sentiva un po’ spiazzato. Aveva guardato oltre la spalla di Lily, sul tavolo del salone.
“Ora berrò il mio the, grazie” aveva sospirato Lily, soddisfatta, liberandolo dalla sua stretta.

Sherlock si era diretto verso il tavolo afferrando un’agenda rilegata in pelle nera. L’aveva accostata al petto, mentre Lily lo osservava.

“Cos’è? l’agenda con i numeri delle tue amanti?” aveva chiesto con fare complice.

Lui aveva sbuffato, sarcastico: “Figurarsi, sprecare una così bella agenda per cose così insulse. Sono appunti sui casi e sulle indagini, niente di che. Noiose per te, interessanti per me. Cioè, ci sono ragionamenti talmente complessi che…”

“Eccolo qui, il mio Sherlock” aveva sussurrato Lily, guardandolo divertita “bentornato.”

Lui aveva alzato gli occhi al cielo: “Ecco cosa si ottiene quando si prova a essere gentili. Si viene presi in giro! Ma non vi sentite strani, voi tutti?”

“Per voi tutti intendi le persone cortesi?” aveva chiesto Lily, soffiando sul the bollente.

“Sì esatto. Siete tutti così distratti tra tutti i “grazie” e i “prego”. È bello non essere me. Deve essere rilassante” aveva guardato in alto pensoso, portandosi l’angolo dell’agenda sotto il mento.

Lily aveva sbuffato una risata: “Sì sua maestà, una noia terribile” aveva continuato a bere il suo the lentamente “chi era al telefono? Un caso?”

“No, veramente era John. Ci ha cordialmente invitati a pranzo, dove ci saranno un paio di suoi amici dell’università e non so chi altro. A malincuore, ho detto sì. Ho pensato che un po’ di sana frivolezza ti avrebbe fatto bene, dopo tutti, sai… gli avvenimenti” aveva mimato le virgolette con le dita.

“Beh, a noi gente frivola piace stare in gruppo e scambiarci opinioni e storie divertenti nel nostro linguaggio incomprensibile” aveva risposto Lily, scuotendo la testa in maniera esagerata, alzando gli occhi al cielo.

Sherlock aveva sorriso, mettendo l’agenda sotto il braccio: “Ci aspettano per mezzogiorno, quindi…” aveva guardato l’orologio in cucina “sarà meglio che ti prepari”.

Lily, aveva messo una mano sulla fronte mimando un saluto militare e aveva detto: “Agli ordini! Vado!” e si era diretta in bagno. Si era fermata, di botto: “comunque grazie per il the. La nostra conversazione fa presumere che certi gesti possano essere apprezzati anche in futuro” aveva aggiunto alzando un sopracciglio.

Sherlock aveva soffocato una risata ironica: “Tu non hai ben capito che con questa conversazione ti sei di nuovo arrogata il diritto di prepararmi il the per sempre!” aveva alzato i pollici, in segno di vittoria e con un’aria stupida sul volto “non sei felice?”

“Come chi ha vinto la lotteria!!” la voce di Lily si era affievolita, mentre andava in bagno.

Rimasto solo, Sherlock aveva guardato l’agenda sporgendo le labbra in fuori. Poi aveva guardato verso la cucina, fissando la tazza di the di Lily, aveva avuto un flash della notte appena passata. Lily che piangeva, scossa dai singhiozzi. Aveva strizzato leggermente gli occhi, muovendo la testa leggermente di lato. Poi si era ricomposto ed era andato in camera sua.

Lily, chiusa in bagno, si guardava allo specchio.

“Ti sei cacciata in un bel guaio, cara Lily. E il problema è che non c’è speranza. Lascia perdere, prima che faccia troppo male”.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: shezza_demon221