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Autore: Eris Archon    11/07/2016    0 recensioni
Sembrava quello, in fondo, il destino della sua esistenza. Nel momento in cui si cibava di un attimo di felicità, le restavano solo le briciole. E quelle non bastavano a sfamarla.
**********
Quando tutto sembra perduto, c'è sempre un modo per incontrare l'Amore.
Hope ha una missione da portare al termine, ma quando il destino porta il nome Jorgen tutto può accadere.
Genere: Erotico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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Quando Hope posò lo sguardo su quel tatuaggio, fece un passo indietro e Jorgen finì di cantare. La magia si spezzò e la ragazza gli prese istintivamente il braccio, con una strana rabbia negli occhi ridotti a fessure. Sollevò meglio la camicia e la macchia nera venne svelata: era un'ancora. 

Si sentì una stupida e si maledisse, poi indietreggiò ancora, per la vergogna, convinta che su quel polso avrebbe trovato un ragno. 

Il ragazzo si fece coraggio e si decise a parlare, con tono calmo e deciso : 

- Qualunque cosa tu stia facendo e qualunque cosa tu stia cercando, sei in pericolo. Qualcuno ti stava seguendo, quando sei arrivata qui.

- E tu che diamine ne sai? A giudicare dalla situazione, mi sembri tu quello che mi sta pedinando- incalzò, furente, la ragazza.

- Non mi riferivo a me, smettila. Un uomo col cappuccio blu, prima, ti ha seguita. Be', anche io ti ho seguita, ma ...

- Ma cosa??? Sai essere uno sfrontato e ti conosco da appena qualche ora!

-.. ma io ti seguivo per rivederti.

Piombò il silenzio e il colore livido del volto di Hope si attenuò gradualmente.  Qualcosa le diceva che quella barriera che a fatica aveva eretto tra sé e gli altri dopo la morte di Paul, sarebbe crollata presto. Abbassò il capo, poi lo rialzò, fiera, come una leonessa che non è stata scalfita dalla sua preda.

- Chi era che mi seguiva?- si decise a domandare, rabbonita dall'ultima frase di lui.

- Non l'ho visto, ho solo notato che aveva un cappuccio blu e degli occhiali da sole con lenti a specchio. Penso che ormai sappia anche dove abiti.

- Bene, ora dovrò di nuovo cambiare posto!

Hope era spazientita e l'idea di trovarsi di fronte a quel semisconosciuto ora era passata in secondo piano. Aveva accantonato il ricordo vicino del modo goffo che avevano avuto di ballare, di quella canzone sussurrata all'orecchio e iniziava a sentirsi in pericolo. Non che avesse una paura matta, ma dopo aver visto ciò che era successo a Paul forse avrebbe dovuto iniziare ad averne. La catena di pensieri si spezzò solo nel momento in cui Jorgen parlò di nuovo.

- Vieni a stare da me.

Quella richiesta, quell'invito o come diavolo vogliamo chiamarlo , spiazzò la ragazza a tal punto che non riuscì neppure a rispondere. L'uomo davanti a lei le stava offrendo un posto dove poter stare e si trovava in bilico tra la voglia matta di accettare e la decenza di rifiutare. Non ebbe neppure il tempo di ponderare la sua scelta che Jorgen, guardandosi intorno in modo furtivo, la prese per mano e la trascinò con sé.  La fanciulla rimase piacevolmente sconvolta dal gesto e - seppur ancora in ansia per la spiacevole scoperta di poco prima- lo lasciò fare , percependo un piacevole senso di protezione.

 Le sembrò di volare, insieme a lui, di volare con ali di cera, che presto si sarebbero sciolte al sole a causa delle sue paure, seguendo il triste destino di un Icaro troppo avventato.

Sgattaiolarono per la strada, insieme, fino ad una piccola casetta che sembrava dimenticata dal mondo e dal tempo: dei roseti nascevano in modo disordinato accanto al cancelletto e la facciata in mattoni sembrava corrosa dal tempo e abbastanza in decadenza. 

Hope, però, non trovò quel luogo un luogo orribile, ma ne era rimasta incantata e lo guardava con passione come con passione si guarda alle cose antiche.

Aperta la porta, Jorgen si spostò su un lato per permettere alla bionda di entrare, poi la scrutò mentre varcava la soglia:  Hope si sentì stranamente bella ed importante sotto ai suoi occhi, ma forse se lo stava solo immaginando. All'interno, un corridoio d'ingresso portava ad un salone con un divano e due poltrone nere. Lo stile era piuttosto moderno e un tappeto rosso faceva da contrasto con i mobili scuri e le pareti bianche.  

La cucina era luminosa, di quelle le piacevano tanto e tutto l'acciaio splendeva come se fosse stato appena lucidato. Qua e là vi era un po' di disordine, ma quell'odore di pulito le era entrato nei polmoni e la faceva sentire stranamente a casa. Da quando aveva lasciato l'abitazione dei suoi genitori, in disaccordo con lei e con quel suo modo di comportarsi così indipendente, forse non aveva mai realmente abitato in una vera casa: si era accontentata di camere di alberghi, di piccoli monolocali e, talvolta, perfino di notti insonni in un vicolo del paese. 

Nessuno, tranne suo cognato, era d'accordo con la sua scelta di seguire le ricerche da sola, ma i suoi genitori- pur non condividendo- mantenevano il suo segreto.  Avrebbe potuto chiedere aiuto alla polizia, certo, ma quando aveva provato a farlo l'avevano liquidata dicendo che la sua fosse solo la visione di una ragazza spaventata e scossa per l'accaduto, turbata dall'aver perso un fidanzato in modo così improvviso. I medici sembravano saper tutto e tacere, perfino Gerard, primario e amico di famiglia di Paul. Per quanto ella sbattesse i piedi a terra, alla ricerca di una spiegazione, tutti sembravano così omertosi da sembrare corrotti. I genitori di Paul non avevano neppure voluto l'autopsia e la ragazza non riusciva a capacitarsi per questa scelta: erano rimasti in silenzio, vittime del loro dolore. 

Schiava di questi pensieri, quasi non si accorse dell'uomo in cucina che le stava preparando un caffè. L'odore di quell'aroma la fece rinsavire e , quando Jorgen le porse la tazzina accompagnata da alcuni biscotti al burro, non poté fare a meno di sorridergli timidamente. 

- Dio mio, con questa vitalità, sembriamo due vecchi bacucchi che mangiano biscotti seduti al tavolino del bocciodromo- si lasciò andare lui con una risata, dopo un quarto d'ora di assoluto silenzio.

Hope gli lanciò un'occhiata interrogativa, poi un ghigno divertito comparve sul suo volto. 

- Vecchio ci sarai tu, a giudicare dalla tua passione per le carte. 

Poco istante da loro, vi era un mazzo di carte da Ramino che la ragazza indicò con il dito, schernendolo. 

- Amo il poker- si limitò a dire il ragazzo, per poi prenderla in giro- ma tu devi essere troppo giovane per  saperci giocare. E' solo per esperti.

Quegli sguardi d'intesa e di sfida erano così intimi da far credere ad Hope di aver già incontrato quel volto, in una vita di cui non conservava memoria.

- Mettimi alla prova. 

- Siamo in due, magari un'altra volta, con i miei amici. 

Entrambi arrossirono perché quella aveva l'odore di una vera e propria promessa.

- Potrei sempre dire che sei la mia cugina acida venuta da un paese lontano- aggiunse poi, prontamente, Jorgen.

- Se non la smetti di prendermi in giro, avrai davvero a che fare con la mia acidità. 

Passò qualche minuto di silenzio, scandito solo dal tintinnare dei cucchiaini da caffè. 

- Grazie- sussurrò Hope, in uno slancio di coraggio. 

Il ragazzo non rispose, ma nel prendere la tazzina vuota di Hope e metterla nel lavandino, sembrò trovare un pretesto per sfiorarle le dita. Entrambi tremarono, ma nessuno osò parlarne. 

   
 
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