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Autore: cartacciabianca    20/04/2009    3 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Vani incontri, belli duelli











Quando tornò al piano di sopra, già vestita della sua veste, Elena si strinse nelle spalle e andò a sedersi sullo sgabello dinnanzi al tavolo da scacchi. I capelli ancora umidi li teneva legati in una coda alta.
Malik l’adocchiava ogni tanto circospetto nel mentre la sua unica mano lo teneva impegnato nella tra scrittura sulle Cronache di qualcuno degli assassini lì presenti. –Finisco subito, poi sono da te per la cena- le disse.
-Non ho fame- brontolò lei.
-Stiamo scherzando?- domandò serio Malik continuando a scrivere. –Che per caso siete telepatici? Avete la stessa malattia?!- fece sbigottito squadrano sia lei che il suo maestro. –Tu, mia cara, sei pelle e ossa, e questo qui mi fa il depresso! Non mangiate tutti e due da tre giorni, ed è l’unica spiegazione concreta- si voltò a guardare l’altro assassino. –Come mai vi si è bloccato lo stomaco in questo modo?- chiese, ma non ottenne risposta.
Altair era appoggiato alla parete con le braccia conserte e fissava assorto il pavimento sotto i propri stivali. Elena, in disparte nel buio, contemplava le pedine parecchio turbata dalla piega degli atteggiamenti del suo maestro.
-Ehi! Parlo ad entrambi voi!- strillò Malik attirando l’attenzione.
-Fratello, se non ha fame non puoi pretendere di imboccarla- proruppe Altair.
Il capo sede sbuffò scocciato. –Sì, ma dato che siete sotto la mia responsabilità e domani sarà una giornata pesante, non posso permettere che andiate in missione senza aver messo qualcosa sotto i denti. È inammissibile, oltre che parecchio strano- commentò.
Rauf e Abbas chiacchieravano nella stanza accanto. Sopra il tetto della Dimora si apriva un magnifico cielo stellato, e Gerusalemme taceva nel silenzio della notte.
Altair sorrise. -Comunque sia, ribadisco: se non ha fame, non possiamo costringerla-.
-Parli così solo per dare una scusa a te stesso! Guarda che a te ti ci imbocco!- sbottò Malik.
-Chi ti da certe libertà?- ridacchiò il suo maestro. -Cancella subito l’ultima frase!- lo minacciò.
-Devo restare imparziale, mi spiace- sorrise beffardo Malik. -Non puoi interferire ed è il mio occhio soltanto a giudicare- assentì divertito.
-Come sei arrivato ad una tale conclusione?!- si stupì Altair abbassando il tono.
Malik si girò ad afferrare dalla libreria un piccolo tomo che poi aprì sul tavolo. Prese la penna che intinse nell’inchiostro e cominciò a scrivere. –Se lasciassi alcune testimonianze nelle vostre Cronache, almeno in futuro si saprebbe che la causa della vostra morte in missione è stata per astinenza da cibo!- eruppe. –Pertanto, mi astengo nell’alludere a tutti- rise sotto i baffi –e dico tutti i dettagli-.
Elena osservava assorta le pedine della scacchiera prendendone in mano una e ammirandone la lavorazione elaborata e dettagliata. Sembrava non curarsi affatto di cosa stessero discutendo, ma al contrario, come non dava a vedere, non si aspettava altro che una divertente chiacchierata tra i due cui assistere imparziale! E chissà, magari di mezzo ci sarebbe andata lei, ma la cosa l’avrebbe ulteriormente rallegrata.  
-No, aspetta- borbottò Altair avvicinandosi. –Come prima cosa non ti permetto di portare certa sfortuna alla missione, quindi corna!-.
Elena soffocò una risata, ma un istante dopo si schiarì la gola tornando assorta sugli scacchi.
-E come seconda punto, che genere di dettagli?- domandò allungandosi sul tavolo.
-Oh, bhé- fece il vago. –Ci siamo capiti, no?-.
-Mi stai ricattando!-.
-Veramente ce l’ho anche con la ragazza!- ridacchiò il capo sede, ed Elena s’irrigidì.
-Io?- balbettò la Dea indicandosi.
Malik sbuffò divertito. –Ditemi che almeno domani…-.
-Ti preoccupi troppo- sospirò Altair.
-Mi preoccupo il giusto!- ribadì il capo sede.
Altair si allungò sotto il bancone e afferrò una mela dal cesto nascosto nelle dispense. –Prendi!- la lanciò alla sua allieva che l’afferrò al volo. –Almeno lo fai contento- brontolò.
-Sì, e tu chi sei? La figlia dell’oca bianca?!- digrignò Malik guardandolo serio, afferrando un’altra mela e battendola sul tavolo. I due si fissarono allungo contorti in un’espressione che metteva paura.
Ma in un breve lasso di tempo scoppiarono entrambi a ridere.
Elena strusciò la mela sulla stoffa della tunica e prese a mordicchiarla col sorriso.
Nel mentre la ragazza consumava la sua cena, Altair si sedette dinnanzi a lei spostando in avanti la prima pedina.
La Dea inarcò un sopracciglio. –Voi…-.
-Avanti, prima che cambi idea- rise. –Sta a te muovere-.
Elena lo guardò in silenzio, alquanto sorpresa del fatto che volesse confrontarsi con lei agli scacchi.
-Attento Altair! Secondo me rischi la reputazione in questa Dimora- ridacchiò Malik riponendo le Cronache ai loro posti.
Dall’altra sala si udirono le risatine sconnesse degli altri due assassini.
-Vedremo- le sorrise l’uomo che aveva di fronte, ed un istante più tardi Elena accolse benevola la sfida.
Il cavallo bianco di lei si mosse di tre caselle avanti e una destra, e neppure mezzo secondo dopo Altair avanzò scoperchiando la barriera impenetrabile dei suoi pedoni spostandone avanti quello che precedeva la sua regina.
-Non dovevo riposare?- domandò ad un tratto la ragazza.
-Ha ragione, perciò sii clemente e lasciala vincere- intervenne Malik studiando la carta stesa sul tavolo.
Altair si voltò lentamente. –Grazie- sibilò.
Il Rafik allungò le labbra in un sorriso tutt’altro che veritiero. –Prego-.
-Mi avreste fatta vincere?- chiese lei sorpresa.
Altair tornò a guardare la scacchiera e poi lei. –Ovvio che no!- rise.
Elena lo fulminò con un’occhiataccia.
-Va bene, forse mi sarei abbassato al tuo livello, ma…-.
-Al mio livello?!- si sporse in avanti.
-Che c’è, vuoi fare sul serio? D’accordo! Ma guardati anche dai tuoi alleati…- sogghignò maligno.
-Tremo dalla paura-.
-E poi si sorprende che le piace quella. Ci credo, lui stesso è ancora un ragazzino- brontolò tra sé e sé Malik.
-Ti ho sentito!- proruppe l’assassino, ed Elena arrossì miseramente. –E giuro che te la faccio pagare, Malik- digrignò rabbioso.
-Ma quanto vi volete bene…- mormorò la ragazza ridendo di gusto.

La partita si chiuse in fretta, con la schiacciante vittoria del suo maestro che, senza un briciolo di pietà, aveva saputo intrappolare il suo Re con poche abili manovre.
-La sua è tutta memoria. Impara delle mosse e non se le scorda più. Una volta che sarai in grado di riconoscere i suoi spostamenti, lo metterai all’angolo con la stessa facilità- le aveva sussurrato Malik quando si era seduta al bancone della Dimora per bere dell’acqua, giusto prima di coricarsi.
E le ore di sonno nel frattempo si accorciavano. Pur di ritardare il tempo del riposo, Elena aveva contemplato allungo le dettagliate cartine della città. Accovacciata accanto alla parete con la mappa poggiata sulle gambe incrociate, era stata lì le ore ad osservare assorta vicoli, cunicoli, chiese e piazze. Doveva far sua quella città come le sue tasche. Se l’indomani avesse dovuto affrontare una fuga, avrebbe saputo cavarsela egregiamente senza il soccorso né di Rauf e né del suo maestro, che era ben intenzionata a lasciare stupefatto della sua buona abilità.
Il giovane assassino dal cappuccio grigio e Abbas risposavano tra i cuscini nella camera accanto; Malik sembrava aver chiuso appena gli occhi appoggiato alla parete dietro il bancone, e la ragazza restava accovacciata nello studio con una candela poggiata sullo sgabello vicino. A quel tenue chiarore, coccolata dal calore dei tappeti sui quali sedeva, si convinse che sarebbe potuta crollare in sonno da un momento all’altro. Ma invece avrebbe resistito: il distretto povero della città richiedeva ancora le sue attenzioni, e non le bastava sapere dove trovare dei buon nascondigli; doveva riconoscere strade, ricordare palazzi e simboli.
Altair si sedette ad un tratto al suo fianco, ma Elena tentò di non dare a vedere l’incredibile imbarazzo che le metteva la sua vicinanza soprattutto negli ultimi giorni. Diede un contegno al rossore delle guance e ritentò più volte di riacchiappare la concentrazione perduta, ma nulla da fare…
Altair la guardava, e quelle sue occhiate repentine l’assoggettavano parecchio. Forse era un suo modo per dirle basta, per ordinarle di spegnere quella maledetta candela, ripiegare quella cartina, stendersi e chiudere gli occhi fino all’indomani. Contò che le restassero forse sette sei ore di sonno prima dell’alba, e il suo maestro la implorava con lo sguardo di sfruttarle a pieno.
Era assurdo, ma indosso ella aveva ancora tutte le parti della sua tunica; non si era neppure degnata di alleggerirsi di certe stoffe inessenziali della casacca. Il fodero della sua spada, le cinghie di cuoio e gli astucci dei vari pugnali erano adagiati vicino all’ingresso della seconda stanza, assieme all’equipaggiamento del suo maestro e quello degli altri assassini.
Altair distese un braccio e le sottrasse la carta da sotto il naso. –Basta, va’ a dormire-.
-Ehi!- gli si lanciò contro riappropriandosi del papiro. –Chi siete, mia madre?- proruppe irritata accavallando le gambe e riprendendo da dove aveva interrotto.
Altair sorrise compiaciuto. –Ti rendi conto di cosa stai facendo? Dovresti dormire, pensa a domani come il giorno più importante della tua vita- le disse fissandola, cercando il suo sguardo, ma ella sfuggiva ai suoi occhi che l’avevano incantata fin troppe volte.
-No, ho lottato con le unghie per ottenere questa cartina e la studierò fino in fondo!- dichiarò fiera.
-Sì, con le unghie!- ridacchiò l’assassino. –Quando un uomo come quello si addormenta- indicò Malik che russava con la testa appoggiata alla libreria. –è molto difficile svegliarlo- si beffò.
Elena non riuscì a trattener il sorriso. –Ma è stato piuttosto difficile tentare di non svegliare quell’uomo- ribatté allegra.
-La mia pazienza ha un limite, Elena-.
-Vi prego, altri trenta secondi e ho finito, promesso!- proferì fissandolo nel profondo delle pupille dilatate per via della poca luce.
Altair si mise a braccia conserte alzando il mento, così da osservare il soffitto. –Il conto alla rovescia parte ora…- sospirò.
La ragazza si guardò attorno.
-Ventinove…-.
-Ma!- provò a controbattere.
-Vent’otto…- proseguì lui ridendo.
-Trenta secondi era metaforico! Mi serve giusto qualche minuto!- lo scosse per una spalla.
-Ventisette…-.
-Uffa!- alzò gli occhi al cielo scocciata.
Sulle labbra dell’assassino crebbe un sorriso sempre più gioioso. –Vent’uno-.
-Se alla fine della vostra conta non dovessi aver terminato?- disse ad un tratto.
-Quindici…-.
-In quel caso cosa …-.
Non terminò la frase che Altair le strinse il polso costringendola a mollare la presa sulla cartina; dopodiché la spinse lentamente giù sovrastandola con la sua figura. -Dicevi?- le sussurrò all’orecchio.
La ragazza deglutì a fatica, mentre il suo cuore intraprendeva una corsa folle battendo con violenza contro il suo petto. –Ehm…- balbettò.
-Vi prego, fate come se non ci fossi- ridacchiò una voce.
Altair si sollevò di colpo. –Tu! Infame, sei sveglio!- ruggì, e nel frattempo Elena si stanziò strisciando verso la parete. La guance le esplosero di un colore assurdo.
Malik scoppiò in una fragorosa risata. –Sul serio, non fate a caso a me- fece allegro il Rafik sedendo più composto sullo sgabello. –Però povera, non me la traumatizzare!-.
L’assassino d’alto rango si trattenne dallo sfuriare.
-A quanto pare ho interrotto qualcosa sì- Malik si guardò attorno circospetto. –Tanto vale togliere il disturbo- sospirò lasciando la stanza, sparendo nello stanzino accanto.
-Elena, non era mia intenzione, ma Malik ormai ha questa visione distorta di noi, e…- disse voltandosi, ma la ragazza scivolò giù fino a toccare terra con una spalla, attirò un cuscino a sé, lo strinse tra le braccia, si girò a guardare la parete e non volle più ascoltare una sola parola.
Altair sospirò pesantemente e tornò dov’era stato seduto. Attese qualche istante, contò fino a… trenta, ma Elena non gli diede segni di assenso.
Così, in preda al più nero sconforto, l’assassino si allungò verso il comodino e spense la candela con un solo, piccolo spiffero delle labbra.

Il mattino arrivò troppo presto, e di gran lunga avrebbe preferito dormire. Ma poi si ricordò che aveva un certo tale da ammazzare, suo padre da tirare fuori di galera e la cosiddetta Arma di Dio da riportare alla setta.
Insomma, si preannunciava una giornatina niente male.
Sentì una mano poggiarsi dolcemente sulla sua spalla, ed Elena aprì gli occhi in quel preciso istante, trovandosi il volto del suo maestro a pochi centimetri dal suo.
-Tutto bene?- le chiese.
Aveva l’aria di una che sprizzava allegria? No. Desiderava soltanto concludere la faccenda il più in fretta possibile, senza ritardare o posticipare ulteriormente niente che non fosse la colazione che, molto sinceramente, preferiva non fare.
Altair l’aiutò ad alzarsi, e subito dopo ella si stiracchiò sbadigliando silenziosamente dietro il palmo aperto.
-Come ti senti?- domandò ancora premuroso. Anche troppo, pensò la ragazza guardandolo male.
-Sto bene- proruppe lei scontrosa allacciandosi il fodero della spada alla vita e constatando che lui fosse già pronto e armato.
-Non hai dormito affatto, eh?- sorrise sornione l’assassino.
La Dea abbassò il capo mostrando il suo profilo. -Non proprio- borbottò.
-Ehi, voi due!- sussurrò Malik piano dalla stanza accanto. –Sì, voi! Spicciatevi, avanti-.
I due assassini si avvicinarono al bancone.
-Dov’è Rauf?- chiese Elena ancora assonnata ma senza darlo a vedere, nascondendo la sua stanchezza dietro un tono di voce serio.
Malik si apprestò a stendere una custodia di cuoio sul tavolo. -È uscito pochi minuti fa per controllare in giro la situazione, ma ora non pensare a lui!- la rimproverò truce, sfilacciando i cordini che tenevano la custodia arrotolata. Al suo interno si mostrarono una trentina di coltellini da lancio. –Mi lasciate a secco, ragazzi- blaterò il capo sede. –Spero che nel vostro viaggio come minimo vi siano stati utili tutti quei coltelli- gli fulminò entrambi con un’occhiataccia.
Altair cominciò a munirsi di pugnali, quando malik parve illuminarsi d’un tratto.
-Mi stavo quasi dimenticando- proferì assorto.
-Cosa?- chiese l’assassino.
-Assieme a te e Rauf, ad accompagnare Elena ci sarà anche un altro nostro fratello-.
-Chi?-.
-Vi raggiungerà alla porta sud del distretto medio e verrà con voi fin negli alloggi-.
-Bene, e chi è il fortunato?- domandò Elena stringendosi i lacci del guanto destro.
-È arrivata una colomba questa notte da Acri, ma il compagno Rafik non ha fatto nomi-.
-Non ci rimane tanto tempo, forza- interrompe bruscamente Altair. -Dalle la piuma, avanti- sembrava parecchio nervoso.
-Lo conosco il mio mestiere- sibilò Malik voltandosi mentre la Dea estraeva dalla custodia i coltellini necessari a rifornirsi del tutto. Quando sul suo corpo gravò in fine il peso di tutte quelle lame, si accorse che il capo sede aveva poggiato sul ripiano una bellissima, bianchissima piuma grande quanto la sua mano schiusa.
-È magnifica- commentò sfiorandola con le dita.
-La prima volta fa sempre quest’effetto?- domandò allegro Malik, e Altair sorrise spensierato.
-Perché, tu te la ricordi la prima volta?-.
Il ragazzo senza un braccio scosse la testa sospirando. –No- disse solo.
-Dopo di un primo omicidio, ne vengono talmente tanti altri, che le memorie di uno cancellano quelle precedenti…- mormorò Altair assorto.
-E senza che te ne accorgi, ogni passo avanti lascia indietro una piccola parte di te…- concluse Malik.
Elena li guardò entrambi sbigottita. Sembravano l’uno patire le stesse sofferenze dell’altro, e fu incredibilmente bello notare il legame che c’era tra di loro.
Se un tempo il suo maestro era stato alquanto asociale, vederlo così legato a qualcuno che non fosse lei la turbava infondendole una malinconica gioia.
-Ragazzi- fece Elena, attirando su di sé la loro attenzione.
-Così non mi aiutate per niente!- ridacchiò ella. –Sono già nervoso di mio…-.
Altair allungò le labbra in un nuovo sorriso. –Forza- chiamò l’ordine. –Tra quanto sarà qui il piccoletto?-.
Si udì un tonfo proveniente dalla camera accanto, ed Abbas, che dormiva sereno tra i cuscini, sobbalzò.
-Parli del Diavolo- intervenne Malik.
-E spuntano le corna!- rise l’altro assassino.
-Rafik, maestro Altair- Rauf s’inchinò ad entrambi, volgendo in fine una maggiore reverenza alla ragazza. -Dea- sussurrò.
-Che novità? La strada è buona, novizio?- chiese Malik.
Il giovane parve innervosirsi. L’appellativo novizio era davvero così dispregiativo? Si chiese lei.
-Ho trovato una scorciatoia non controllata dalle guardie che percorre le mura meridionali della città e si ricongiunge alle torri del Tempio. Avrei dovuto accorgermene prima, perché quell’ala del palazzo era vuota di soldati anche nel mentre m’intrufolavo ieri mattina- raccontò il ragazzo.
-Elena- intanto che Rauf e Altair discutevano di quest’ultimo indizio prezioso, Malik la chiamò ed ella si volse.
-Prendi la piuma, mettila in un posto sicuro. Altair ti spiegherà a suo tempo cosa farne- assentì avvicinandole l’oggetto.
-Ho intuito di mio che su di essa vi dovrò lasciare la testimonianza del mio operato- sorrise lei stringendola tra le dita e nascondendola in una delle sacche della cintura.
-Bene- Malik annuì soddisfatto. -Allora ciò che vi era da dire è stato detto, non resta che mettere qualcosa sotto i denti e partire- sorrise fiero.
-Non ho molta fame- si trattenne lei.
-Di nuovo questa storia?!- sbottò irritato. -Non ti lascio uscire da questa Dimora a stomaco vuoto, signorina- la riprese mettendo sul tavolo un cesto di frutta. -A quanto pare non ti basta aver dormito poco e male- la derise. –Tu compreso, don giovanni!-.
Altair lo fulminò con un’occhiataccia. –Mi vedi tanto magro?-.
-No, ma parecchio sciupato!- ridacchiò. –Siete entrambi degli stracci viventi- borbottò.
-Questa volta non avrai la meglio!- intervenne Elena partecipando. –E non mi lascerò imboccare!-.
-Ah! Ma io ho metodi molto più efficaci- fece malizioso.

La ragazza si issò a fatica sul tetto dell’abitazione poiché una sua mano fosse impiegata nel tenere stretta una mela matura. –Aspettami!- strillò sotto tono, e Altair si volse per aiutarla.
-Se avessi fatto meno storie nella Dimora- la rimproverò lui tirandola su di peso. –Ora non avresti questo fardello!- sibilò attirandola a sé, stringendola per il gomito.
Elena ingoiò il boccone. –Se fosse stato per me avrei aspettato di finire la mela prima di partire!- digrignò.
-Mi spiace, ma hai torto. Il tempo corre, e Rauf ci ha già preceduti verso le mura- si girò ad ammirare il paesaggio notturno dei tetti di Gerusalemme.
Il chiarore dell’alba si avvicinava alla terra annunciando l’imminente grande giorno. La città si animava lentamente dei suoi suoni, dei suoi profumi e delle sue correnti estive che le muovevano i lembi della veste mentre correva.
L’alba non era ancora sorta. Il cielo scuro luccicava delle primissime luci appariscenti solo oltre la linea dell’orizzonte. Faceva un gran freschetto, e tirava un venticello che la cullava dolcemente accompagnandola di salto in salto da un palazzo all’altro. Tutt’attorno Gerusalemme taceva dei soli suoni dei loro passi e quelli delle strade mute, avvolte dal silenzio ancora accogliente della notte.
Si mossero rapidi, scattanti.
Le guardie furono uno dei tanti imprevisti, ma quelle che incontrarono lungo il loro cammino morivano sotto taglio delle loro lame prima di poter aprire bocca. Raggiungere le mura non fu un arduo compito, e i due assassini si calarono tra le strade saltando giù dai tetti agili come gatti.
Il loro compagno era lì che li attendeva, accanto ai battenti chiusi che davano sul Regno fuori dalle mura. Le braccia strette al petto, il cappuccio grigio a celargli il volto, lo sguardo basso che, quando levò per guardarli avvicinarsi a lui, mostrò due occhi incastonati di una rara pietra verde.
-Hani! Hani!- Elena si lanciò ad abbracciarlo, lasciando alquanto interdetto il suo maestro. La ragazza lo strinse a sé con vigore, poggiando una guancia alla sua. –Che ci fai qui?- le sussurrò gioiosa all’orecchio. Era troppo tempo che non si rivedevano, e tutto ciò le metteva addosso solo una gran felicità.
-Non è ovvio?- domandò egli sorridendo. –Ti accompagno dritta alla vittoria!- la baciò in fronte, ed Elena lo lasciò fare.
-Hani, dunque- intervenne Altair, Elena si stanziò da lui e il giovane assassino chinò il capo.
-Maestro Altair- pronunciò con profondo rispetto.
-Rauf non è con voi?- chiese severo.
Hani scosse la testa. –L’ho visto dirigersi su per le mura, ma non oltre o avrei dovuto allontanarmi da questo luogo, e di conseguenza, dal nostro incontro- guardò sorridente la ragazza.
-Forza, andiamo. Statemi dietro- disse contenuto Altair facendoli strada, ed Elena e Hani lo seguirono.

-Ecco Rauf!- indicò Elena la cima della torretta che, immediatamente, si apprestarono a scalare.
Quella fu la parte più difficile del loro percorso, ma una volta in cima, la vista era mozzafiato. Peccato che non ci fu il tempo di ammirare il paesaggio che Altair la chiamò all’ordine.
C’erano i corpi di tre arcieri sullo spiazzo di quel bastione, e Rashy era accovacciata sulla piccola impalcatura di legno sospesa sul vuoto.
-Eccovi il passaggio, maestro- Rauf aprì una botola nel centro del pavimento, mostrando una scala che si avventurava nel buio per una decina di metri.
Hani, Altair, Elena e Rauf in questo preciso ordine si addentrarono negli stretti corridoi delle mura trovandoli curiosamente deserti.
Le fiaccole alle pareti mostravano il cammino fino ad uno slargo che si ramificava in altre tre direzioni.
-Da questa parte!- li chiamò Rauf incamminandosi verso il tunnel di estrema destra.
In fila l’uno dietro l’altro, i quattro assassini sbucarono in un seminterrato illuminato da delle vaste vetrate colorate. C’erano delle altre gradinate più ampie che salivano verso una porta di legno che aveva un battente aperto.
-Sempre dritto, poi a sinistra e siamo nei corridoi!- sussurrò Rauf andando in quella direzione.
-Ci sei per caso già stato, Rauf?- domandò Altair sospettoso, aggrottando la fronte.
-No- il ragazzo si fermò sulle scale. Il piede su un gradino e l’altro su un altro. –Ho solo studiato bene le cartine- strizzò un occhio nella sua direzione, ed Elena gli sorrise amichevole.
L’alba era sempre più prepotente all’orizzonte. Il loro tempo stringeva, e presero a correre silenziosamente spostandosi separati tra un’ombra e l’altra delle varie stanze che traversarono.
Era quello il palazzo di Reale di Gerusalemme, con i suoi mobili pregiati, gli incantevoli tappeti, le coloratissime finestre, e con le sue guardie mezze assopite e posizionate agli ingressi delle stanze. Gli fu facile sbarazzarsene. Bastava un pugnale, e si accasciavano al suolo; dopodiché nascondevano i corpi dietro le colonne o sotto i mobili, così da non lasciare eventuali intrugli in un’eventuale fuga.
-Gli appartamenti sono di qua!- Rauf proseguì dritto sulle scale centrali dell’enorme salone.
Da lì fino ai corridoi principali del palazzo non incontrarono una sola guardia, quando ad attenderli vi sarebbero dovuti essere battaglioni interi di uomini che gli incitavano a… soccombere.
Era tutto troppo strano, troppo facile.
Elena fu assalita dai brutti presentimenti suoi soliti. Immagini fugaci di cavalieri che saltavano fuori dai loro nascondigli da un momento all’altro e gli tranciavano la testa con colpi di spada precisi, inattesi.
Rauf si fermò, rallentando il passo. Scivolarono lungo una parete ed entrarono in una piccola stanza ornata di scaffali colmi di libri. –Da qui in poi dobbiamo procedere arrampicandoci sulla parete del Palazzo, o le guardie davanti agli alloggi ci vedranno- li informò.
Altair annuì. –Bel lavoro ragazzo. Mi sorge il dubbio come sia possibile che tu abbia smarrito quella piuma non riuscendo nella missione. Hani- chiamò, e il giovane assassino fece un passo avanti.
Elena pregò perché non lo incaricasse di…
-Hani, voglio che ti occupi tu delle guardie davanti alla sua stanza. Quando Elena fuggirà, voglio che non abbia alle calcagna un uomo di più oltre me- disse serio guardandola. Chissà quanti altri doppi sensi aveva quella frase, pensò la ragazza.
Hani annuì. –Sissignore- e dicendo così, lasciò lo studio sparendo nel buio del corridoio dal quale erano venuti.
Niente da fare. Il compito più arduo era toccato al suo amico.
-Rauf, sali questa parete esterna e raggiungi il tetto dell’edificio. Fai piazza pulita, chiaro?-.
Rauf annuì, aprì la finestra e si slanciò fuori da essa cominciando a risalire la facciata del Palazzo.
-Ed io?- domandò Elena spaventata.
-Tu vieni con me- Altair la prese per mano avvicinandola a sé, ed Elena arrossì imbarazzata. –Prepara la tua piuma, tienila stretta e andrà tutto bene- l’abbracciò di sprovvista.
La ragazza si avvinghiò a lui ricambiando con foga l’abbraccio. –So cosa devo fare- proferì seria scostandosi di poco.
-Ed io so cosa accadrà- mormorò lui abbassandosi alla sua altezza e lasciandole un lungo bacio che scottava all’angolo della bocca.
Elena socchiuse gli occhi e chinò la testa da un lato, così da far combaciare invece le loro labbra.
Restarono in quella posa troppo allungo, anche quando i polmoni di lei reclamarono aria. Il loro bacio immobile, silenzioso proseguiva, e tutto ciò per volere di entrambi; con tanto di iniziativa di Elena!
In quell’istante una marea di dubbi l’assalirono. Si chiese cosa l’avesse spinta ad agire in quel modo e che cosa le avrebbe dato la forza di ribellarsi ad un medesimo, stupido sbaglio! Ah! Si maledisse un centinaio di volte, non sapendo mai dare una spiegazione concreta alle sue azioni ingiustificabili.
Amava Altair. Ma il verbo amare era una parola troppo grossa per lei, che invece doveva conoscere tanti, troppi altri aspetti dell’amore. Era ciò che non la convinceva, perché se si fosse trattato di una semplice condizione di prospettiva, a quel paese il piano, a quel paese la setta, a quel paese Marhim e l’avrebbe spogliato lì! In quello studio nel bel mezzo dell’Incoronazione del futuro Re di Gerusalemme, con tanto di guardie assatanate che non avrebbero esitato a pattugliare ogni centimetro quadrato finché non li avessero trovati.
Dopotutto, Corrado sapeva fin troppo bene che stava venendo da lui, ma non poteva immaginare che avrebbe posticipato la missione per uno dei baci più belli di tutta la sua vita. Paragonato all’ardore di Rhami e alla codardia di Marhim, il bacio che le aveva lasciato Altair impresso sulla bocca, pregò perché non avesse cambiato o mosso nulla di differente in lei.
Elena si staccò lentamente da lui, facendo scivolare via la sua mano da quella del suo maestro. Si avviò senza voltarsi fino alla finestra e fece per scavalcarla quando, con un piede fuori e uno dentro, ascoltò la voce seria di Altair che la chiamava.
-Elena- e sentirgli pronunciare il suo nome lasciò che il suo cuore perdesse un colpo. Si girò di tre quarti, aspettando che aggiungesse qualcosa.
-Perché?- domandò egli in un sussurro.
-Da una parte- cominciò lei sorridendo mesta. –da una parte ho un uomo da ammazzare. Dall’altra, un uomo che non potrò mai amare. Mi compiaccio di aver scelto solo adesso dove andare, ma di non avervi trovato un perché- mormorò flebile senza guardarlo, ma poteva bene immaginare quali emozioni stessero traversando ogni centimetro del volto del suo maestro. -Pertanto, non posso più indugiare-.
Altair tacque alcuni istanti. Il suo sguardo si perdeva ben oltre le spalle della ragazza, ora volta completamente verso di lui.
Elena si sporse dalla balconata e si allungò verso la finestra chiusa accanto, scivolando agile da un appiglio all’altro, quando sentì una presa salda afferrarla per il polso e si voltò.
-Lascia almeno che venga con te-.
-È il mio bersaglio, non il vostro!- ruggì lei mentre il vento li scompigliava i lembi delle vesti.
Altair era serio sotto il cappuccio. –Non influirò, voglio solo… guardarti- disse allentando la presa.
Elena acconsentì con un gesto del capo, riprendendo la traversata della facciata esterna del palazzo.
La balconata degli alloggi di Corrado era cinquanta metri più avanti. Era vasta, poco più in alto rispetto a dove si trovavano ora. Salirono, saltarono agili come ragni sulla propria tela da un appiglio all’altro. E sapere che Altair fosse lì accanto a lei e che non l’avesse lasciata andare da sola le infondeva più coraggio e vigore di quanto non ne avesse pensando al solo volto morto di Corrado.
Si issarono abili sul balcone, e Altair l’aiutò ad atterrare leggera sul terrazzo prendendola per i fianchi.
Eccolo lì, appisolato sul suo bel lettuccio oltre quelle arcate colorate e dipinte di leggere arabe. Era una stanza ampia, una magnifica sala dedita solo ad un Re. Ed Elena riconobbe subito quella camera, come se ci fosse già stata.
L’aveva vista in sogno. Aveva visto quello scranno nel centro perfetto della simmetria rotonda del locale. Aveva visto quel seggio sovrastato di pergamene sul quale aveva seduto Minha nel suo incubo.
E Corrado era lì, al caldo sotto le coperte, col viso stanco e maturo affondato nel cuscino, girato nella loro direzione ma con gli occhi chiusi, i sensi vigili.
Le armi di Corrado erano su quel tavolo finemente lavorato, assieme al suo diadema d’Argento che quella mattina sarebbe diventato d’oro zecchino.
Elena fece un passo avanti, mentre Altair restò alle sue spalle, portando una mano all’elsa della lama corta.
La ragazza snodò le quattro dita della mano sinistra, le cui ossa scricchiolarono perché aveva stretto troppo forte il pugno. Fu un istante quello in cui il suo mignolo si posò sull’innesto, e la lama venne fuori silenziosa, fatale.
Elena si mosse ancora, più avanti, camminando con movenze impercettibili in quella direzione, verso di lui, verso il suo letto. Era vicinissima, poteva sentire il suo respiro, poteva ammirarne i tratti rilassati dal sonno pesante. Vedeva il suo petto alzarsi e abbassarsi, il palmo aperto poggiato di lato, dove le lenzuola erano bianche e di poco scoperte.
Avanzò ancora, fin quando non intravide l’esatta vena che avrebbe a breve trafitto.
-No!- sentì gridare ed ella si voltò.
Un’ombra, una mantella nera calò dall’alto sul corpo del suo maestro abbattendo questo al suolo, sovrastandolo. Una chioma folta e rossiccia venne fuori dal cappuccio, e Minha ridacchiò di gusto minacciando Altair alla gola con la sua stessa lama corta.
Alle sue spalle, Elena avvertì il suono di una spada che viene estratta velocemente dal fodero. –Benvenuti alla vostra fine, assassini- proferì quella voce adultera che apparteneva all’uomo che più aveva odiato in tutta la sua vita.
Altair tentò di divincolarsi a Minha che, invece, non gli permise alcun movimento graffiandogli appena il collo, così da permettere ad un fiotto scuro di sangue di ricadergli fino alla nuca. –Elena, scappa!- gridò a denti stretti.
Elena non si mosse, avvertendo il freddo prepotente di una punta d’acciaio sfiorarle la schiena, poggiarsi su di essa. –Elena- rise Corrado. –Colei che mi sfidò a tempo, e mi sfida anche oggi!- ruggì collerico.
-Elena, va’ via!- insisté Altair.
-Sta’ zitto! Tu non dovresti neppure essere qui, se non sbaglio- fece Minha maliziosa avvicinando il volto fanciullesco al suo.
-Questa giovincella dai capelli di fiamma si è mostrata molto coerente- proferì il Sovrano da dietro di lei, ed Elena ancora non poteva vederlo, mentre la sua lama premeva con più violenza contro la sua pelle. –Senza il suo aiuto, non so dove sarei andato a finire. Quando sarò Re, avrà il giusto compenso. Ma voi, non vivrete abbastanza per veder sorgere l’alba!-.
La ragazza trattenne il fiato. Tutto ciò per cui aveva lottato stava andando in fumo. Era finita. Non aveva idea di come se la sarebbe cavata ora.
Corrado fece scivolare il filo della sua lama lungo la spalla di lei fino a puntargliela alla gola, ed Elena rabbrividì, percependo il gelo del metallo sulla pelle. Il Sovrano le fu finalmente di fronte, così da guardarla negli occhi.
Aiutandosi con la punta della spada, Corrado le calò il cappuccio giù dal viso sorridendo soddisfatto. –Eh sì, siete proprio voi. Guardie!- gridò d’un tratto, ed ogni vana speranza, a quelle parole, divenne ancor più vana.
Un battaglione di crociati si rovesciò negli alloggi regali, ed Elena ne contò più di una dozzina.
Un paio di braccia andarono a sollevare di peso il corpo del suo maestro non più stretto dalle gambe snelle e bianche di Minha. Delle altre afferrarono la giovane Dea per i capelli e la fecero inginocchiare dinnanzi al Grande Corrado. Gemé di dolore, ma il suo gridolino si confuse ai versi soddisfatti dei soldati che, seppur piegati dal rispetto per il loro signore, non si lasciarono sfuggire la gioia di quel momento di vittoria.
-Questa volta non avrò… pietà!- digrignò Corrado alzandole il mento con la spada. –Sbagliai due volte a lasciarti esistere, mocciosa!- le ruggì in faccia. –Ma ora mi hai davvero stufato! Tu e quello lì!- indicò il suo maestro, ma ella non volle guardare.
Elena teneva gli occhi chiusi, con la schiena china e riversa al pavimento. Piegata sulle ginocchia al volere di un Dio che aveva scelto quel destino per lei.
-Rauf!- strillò Altair, ed ella alzò lo sguardo.
Vi era Rauf tra gli uomini che erano entrati nella stanza. Egli era in disparte, accanto a Minha che teneva le braccia conserte assistendo divertita a quello spettacolo.
Quel… quel ragazzo dal cappuccio grigio in mezzo agli uomini di Corrado spiegava molte cose… il fatto che sapesse dove andare, quando, e che non avessero incontrato problemi nel raggiungere quelle stanze.
-Bastardo, maledetto bastardo!- gridò Altair in preda alle convulsioni.
Rauf si nascose alla meglio dietro il mantello nero di Minha.
-Giusto, sono dovuto alle presentazioni. Costui segue i miei scopi fin da quando giunsi a Gerusalemme. Grazie a lui oggi siete qui- sorrise malvagio il Sovrano apprestandosi a rivestirsi della sua armatura sopra la parte superiore della tenuta che pareva tutt’altro che da notte.
Li stava aspettando. Sapeva come, in quanti e da dove sarebbero venuti. E Rauf e Minha avevano avuto un ruolo cruciale in tutto il suo piano.
-È davvero un peccato che non possiate assistere alla mia Incoronazione che si terrà a breve- disse egli sistemandosi il diadema d’argento tra i capelli. –Ma non posso rischiare che mi scappiate di nuovo da sotto il naso!- digrignò ammirandosi allo specchio. –Anche se- proseguì indifferente e più tranquillo. Si voltò. –Anche se avrei voluto occuparmi in persona di voi. Sarebbe stata una tale soddisfazione vedere il vostro sangue!- indicò il suo maestro. –Il sangue dell’assassino che senza pietà sottrasse la vita a mio padre! Che altro non era se non colui che meno al mondo meritava la morte!- sbraitò furioso.
La causa per la quale Gulielmo aveva meritato la morte era tanto vana che Altair stette muto, restio a quelle parole. Ma Corrado, più avido del parente, succedeva alla carica e bisognava più di chiunque altro di una lama che gli sottraesse la linfa vitale dalle vene!
Elena tentò di divincolarsi, strattonò la presa saldissima dei due uomini che la tenevano incollata al suolo. Provò ad alzarsi, gridò, ma ogni suo fare era più vana della stessa speranza.
-Pazientate, my lady- ridacchiò Corrado, poi si volse verso i soldati che bloccavano il suo maestro.
-Ammazzateli- dichiarò rinfoderando la spada. –E portatemi le loro teste- disse avviandosi fuori dalle sue stanze seguito da Minha, Rauf e un drappello ristretto di uomini, mentre la maggior parte dei crociati presenziava lì.
-Non ho altro tempo da spendere qui. Devo diventare Re!- gustò l’ultima parola levando lo sguardo fiero e altezzoso.
Un solo secondo più tardi che Corrado si fu dissolto nei corridoi, che l’uomo accanto a lei sguainò la sua lama e gliela puntò alla gola. –Muori- sibilò questo.
Elena chiuse gli occhi, e per la prima volta chiese il permesso di entrare in un luogo che non aveva mai aspirato a varcare. Il paradiso.
-Fermo! Fermo!- strillò Altair, e il soldati arrestò il fendente.
-Che vuoi?- sbottò la guardia.
-Ma lo stai pure a sentire! Ammazza prima lui, così ci risparmiamo il suo pianto per questa puttana!- ridacchiò in francese il cavaliere.
Erano in otto, ed erano tutti parecchio determinati a non risparmiare nessuno.
Mettere in pratica tutti i suoi addestramenti, le sue lezioni con Leila le risultò alquanto complesso. Mantenere la concentrazione, in punto di morte, era la grande dote di un assassino che sapeva cavarsela anche all’ultimo delle forze. E lei era destinata ad essere una grande assassina. Era scritto nel suo sangue che non sarebbe morta se non nel tentativo stesso di ammazzare Corrado. Voleva provarci, perlomeno. Ribellarsi al destino è un dono di pochi, pensò, e lei aveva quel dono.
Prima di riuscire a muovere un solo muscolo, assisté all’inizio del suffragio che però era ben intenzionata a bloccare sul nascere.
Un crociato che pareva di alto rango mollò un calcio al torace del suo maestro, e questo si piegò in avanti serrano i denti. Un ghigno terrificante di dolore si mostrò sul suo volto, a contrasto con quello divertito che vi era sotto l’elmo del cavaliere che l’aveva colpito.
Lo stesso uomo si apprestò a puntargli la lama al petto.
-Una morte lenta e dolorosa!- gioì un cavaliere. –Lenta e dolorosa!- ribadì. –Hanno ucciso mio fratello qualche tempo fa, e voglio fargliela pagare!-.
-E mio cugino! Era nelle truppe di Garniero!- fece un secondo.
-Sì!- strillò un altro. –Rivendicherò mio padre!-.
Elena ne approfittò fulminea.
Rotolò in avanti, scivolando via alla presa dei cavalieri. Estrasse la lama corta e portò le mani a quattro pugnali che scagliò ininterrottamente. Peccato che uno di essi andò a conficcarsi nel centro perfetto di un arazzo piuttosto che nel petto di un uomo.
Scattò in piedi e, senza realizzare cosa stesse accadendo attorno a lei, si scagliò sull’unico tra tutti i presenti che potesse nuocere al suo maestro, estraendo un quinto pugnale e perforando la fronte del malcapitato tra gli occhi.
Altair ebbe modo così di rialzarsi e sfoderare la sua lama corta, cogliendo alla sprovvista i due soldati più vicini a lui. Il sangue colò a fiotti sul pavimento, mentre i gemiti smorzati di dolore si diffondevano per la sala.
Schiena a schiena, i due assassini ingaggiarono un combattimento frenetico, senza esclusione di colpi e con tutte le tattiche possibili.
Corrado non li sarebbe sguisciato via così da sotto il naso. E bastava questo pensiero a trasportarli entrambi al massimo delle loro forze.
Quando la sala fu vuota di altri corpi vivi tranne i loro, i due si scambiarono un’occhiata complice.
-Sono contenta che siate venuto con me- mormorò Elena col fiato grossi, rinfoderando la spada.
Altair la prese per mano ricacciando la sua ne fodero. –Ora non abbiamo tempo! Dobbiamo trovare Corrado prima che raggiunga la sala!- e corsero assieme fuori da quella camera.
Il modo egregio con cui se l’erano cavata assieme era stato stupefacente, e l’adrenalina scorreva ancora a fiumi in lei all’idea di aver fallito ma di avere la doppia energia, forte nell’ideale che presto e comunque, Corrado sarebbe morto e per di più senza aspettarsi il loro ritorno.


   
 
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