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Autore: dreamfanny    12/07/2016    3 recensioni
Questa storia ha come protagonista Laxus, che dopo l’ennesimo litigio tra suo padre e suo nonno, è partito senza salutare nessuno viaggiando per due anni tra una città e l’altra. Sentendone la mancanza e a corto di soldi, ritorna finalmente a Magnolia per trovarsi ad affrontare alcuni fantasmi del passato e ritrovare gli amici più cari. Forse anche innamorarsi.
Piccolo avvertimento: alcuni personaggi potrebbero metterci qualche capitolo per comparire, ma essendo Laxus il protagonista dovrete pazientare. Se siete interessati per lui, invece, buona lettura!
*Le età dei personaggi sono leggermente diverse da quelle del manga: Laxus e altri hanno solo due anni o poco più di differenza con gli altri ragazzi più giovani, invece di quattro anni come nella storia originale.*
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Il Raijinshuu, Lisanna, Luxus Dreher, Mirajane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un passo in avanti
 
 
 


«Ancora! Più forte! Avanti!» la voce di suo padre gli rimbombava nel cervello. Colpì il manichino ancora una volta, staccandolo dalla base di metallo a cui era attaccato. Subito dopo cadde a terra per il dolore lancinante che esplose nella caviglia e si diffuse fino alla coscia. Gli occhi gli si riempirono di lacrime, nonostante cercasse in tutti i modi di controllare le fitte che sentiva sempre più forti perforargli la carne e le ossa. Si prese inutilmente la caviglia tra le mani per placare quel dolore, ma subito Ivan staccò la presa e lo sollevò con forza da terra prendendolo per un braccio. «Ricomincia! Non vorrai fare un’altra volta la figura del debole, vero? Avanti, Laxus!». Osservò il suo viso contrarsi per la rabbia e l’avidità e capì in quel momento di averlo perso. La sera precedente, dopo l’incontro del torneo, lo aveva visto scambiare una busta con un uomo fuori dal palazzetto. Sapeva che aveva scommesso, era successo altre volte ma era troppo piccolo per comprendere quello che stava facendo. Ma ora non era più possibile, e il suo modo di parlare e comportarsi con lui erano così diversi da prima… non riusciva più a sopportarlo.  
«Vado in ospedale, per oggi abbiamo finito» disse con voce ferma, o almeno così sperava che risultasse data la delusione che stava provando. La mano di suo padre lo bloccò mentre stava uscendo dalla stanza, Laxus si voltò e lo guardò dritto negli occhi. «Ho detto basta per oggi» ripeté liberandosi dalla presa e andando nello spogliatoio. Chiamò un taxi mentre scendeva le scale e zoppicava verso l’uscita della palestra, trattenendo con tutte le forze le lacrime che continuavano a bruciargli gli occhi.
Quando arrivò in ospedale, gli chiesero cosa fosse successo e perché fosse lì da solo. «Non potevano accompagnarmi» rispose.
«Ma hai 15 anni, abbiamo bisogno che un tuo tutore firmi le carte di dimissione… possiamo chiamare qualcuno?». L’infermiera del pronto soccorso gli sorrideva con gentilezza, pronta a scrivere il numero di telefono sulla cartelletta che teneva in mano.
«Dovete proprio?» provò di nuovo a dire Laxus, questa volta più incerto.
«Sì, tesoro. Basta che sia un adulto…» aggiunse l’infermiera, come a volerlo aiutare pur non capendo la sua riluttanza.
«Va bene» e gli dettò il numero, distendendosi subito dopo sul lettino.
 
«Non c’è bisogno che mi accompagni, chiamo un taxi». Era sera tardi quando finalmente avevano deciso di dimetterlo dall’ospedale e ora si trovavano davanti alla macchina di Gildarts, che gli aveva aperto la portiera per farlo entrare.
«Lo so che sei forte e indipendente, ma sto morendo di fame e c’è un locale in questa zona che cucina degli hamburgers fenomenali… speravo che venissi con me, odio mangiare da solo» gli disse. Sapeva che non c’era nulla di vero in quello che aveva detto, non una singola parola. Ma Laxus non controbatté, salì in auto in silenzio e si allacciò la cintura.
«Paghi tu però» disse una volta che furono partiti.
«Certo» rispose ridendo Gildarts.
Dopo qualche minuto parcheggiò nel retro di un ristorante, ormai quasi vuoto, e scese dalla macchina. Laxus lo seguì lentamente per via della caviglia, continuando a rimanere in silenzio. Si sedettero ad un tavolo vicino all’entrata e ordinarono due cheeseburger con contorno di patatine fritte.
«Cos’è successo?» gli chiese alla fine Gildarts, quando la cameriera si allontanò per portare l’ordine in cucina.
«Mi stavo allenando e ho eseguito male un calcio» disse Laxus mentre guardava fuori dalla finestra alla sua destra.
«Ivan è fuori città?»
«No»
«Makarov?»
«Sì»
Sentì Gildarts sospirare, ma non si voltò per chiedergli a cosa stesse pensando. Lo sapeva fin troppo bene ormai e non aveva nessuna voglia di parlarne. “Laxus, tesoro. Metticela tutta, ce la puoi fare” improvvisamente udì la voce di sua madre e si girò per vedere dove fosse. Quando si rese conto della stupidità di quell’azione, con rabbia si alzò e disse «Non ho più fame, voglio andare a casa».
«Va bene, chiedo di impacchettarci gli hamburgers».
«Non ho bisogno di te!» gridò guardandolo questa volta negli occhi «Non ho bisogno di nessuno». Corse fuori dal ristorante e scoppiò a piangere, accasciandosi a terra davanti alla macchina e massaggiandosi la caviglia che aveva ricominciato a pulsargli per via della corsa. La mano di Gildarts si posò sulla sua spalla pochi secondi dopo. Non disse nulla. Rimasero seduti finché Laxus non si fu calmato e poi risalirono in auto.
 
Esitante mise la mano sulla maniglia della porta e la girò tirandola verso di sé. Era mattina e a quell’ora non erano in programma dei corsi, quindi la palestra era vuota. Era passato quasi un mese da quando era ritornato a Magnolia e, nonostante fosse passato davanti a quel portone svariate volte, non si era mai fermato nemmeno a guardarlo di sfuggita. Era un luogo invaso da talmente tanti ricordi che non era ancora riuscito ad avvicinarcisi, ma si sentiva pronto ad affrontarli ora. Fece un respiro profondo ed entrò.
 
«Mamma! Mamma! Guardami!» gridò entusiasta uscendo dagli spogliatoi con addosso il suo primo karategi. Aveva cinque anni e il giorno prima, durante la festa per il suo compleanno, suo padre gli aveva dato un pacco dicendogli che era una tradizione di famiglia passarsi il kimono di generazione in generazione. Laxus lo aveva ammirato a lungo, non lo aveva voluto posare nemmeno quando era andato a dormire e ora si vedevano delle piccole pieghe nel punto in cui lo aveva stretto durante la notte.
«Ti sta benissimo tesoro» gli disse sua madre, mentre gli sistemava meglio la divisa.
«Ecco, la tua cintura» esclamò suo nonno, porgendola al figlio. Ivan si inginocchiò davanti a lui e gliela legò in vita con sguardo orgoglioso.
«Un altro Dreyar iniziato alle arti marziali, spero che sia migliore di te!» la voce di Gildarts si avvicinò a loro e vide Cana imbronciata in braccio al padre. «Voglio le caramelle! Mi hai promesso che mi prendevi le caramelle!» continuava a gridare.
«Mi sta bene, vero?» chiese anche a lui Laxus, girando su se stesso per mostrargli il karategi.
«Benissimo» e gli scompigliò i capelli «Sarai il più bravo del corso».
«Di sicuro, è un Dreyar d’altra parte» sentenziò Ivan con tono arrogante mentre si alzava.
«Ivan…» la madre di Laxus lo rimproverò con un sorriso e prese la mano del figlio portandolo lontano dagli altri «Non stare a sentire tuo padre, è un uomo orgoglio ma in fondo è buono. La cosa più importante è che tu sia felice e che scelga sempre quello che ti fa stare bene, me lo prometti?».
«Sì» le rispose un po’ confuso Laxus «Ma a me piace il karate!»
«Bene allora, da domani potrai iniziare le lezioni» gli sorrise e aggiunse «Se, però, volessi decidere che non ti piace, non pensare a tuo padre. Va bene?».
«Sì» e la abbracciò.
 
Sentì chiudersi dietro di sé la porta, mentre si avvicinava agli interruttori per accendere le luci. Era esattamente come la ricordava, suo nonno non aveva cambiato nulla. Certo, alcuni manichini erano un po’ malconci e i tappeti erano usurati dal tempo, ma era tutto in ordine e pulito. Pronto per accogliere gli allievi che sarebbero arrivati dopo la scuola. Osservò per qualche minuto la sala e poi camminò verso le scale per andare agli spogliatoi al primo piano. Erano anni che non entrava lì dentro, eppure era come se ci fosse stato solo il giorno prima. Sorrise nel salire le scale e inspirò l’odore della palestra, riempiendosene i polmoni. Sarei dovuto tornarci prima pensò quando rivide le stanze in cui si tenevano le lezioni di arti marziali. Aveva passato interi pomeriggi, correndo subito dopo scuola da suo padre e suo nonno che lo aspettavano in palestra. Se non partecipava ad un corso, li aiutava a rimettere in ordine o a pulire tra una lezione e l’altra. Amava quel posto. Ma dopo la morte di sua madre lentamente le cose erano cambiate e aveva finito per preferire chiudersi in camera ad ascoltare musica o vagare per la città da solo. Almeno fino a quando non aveva incontrato Bickslow. Si erano salvati a vicenda, in un certo senso.
Un rumore interruppe il flusso dei suoi ricordi, si voltò verso gli spogliatoi e fece per entrare. Poi uno schianto improvviso: qualcosa, o qualcuno, era caduto per terra. Laxus aprì subito la porta e vide gli armadietti di metallo, normalmente addossati alle pareti, ammassati l’uno sull’altro o distesi sul pavimento. Perlustrò con gli occhi la stanza e vide un ragazzo, inginocchiato e girato di spalle, che si teneva il viso tra le mani.
«Natsu?». Il ragazzo sussultò al suono della sua voce, voltandosi e guardandolo confuso. Aveva gli occhi rossi e le guance bagnate. «Cosa stai facendo?» disse Laxus, spostando qualche armadietto mentre gli si avvicinava.
Appena Natsu lo riconobbe, si pietrificò per qualche secondo. Poi finse un sorriso e si alzò da terra strofinandosi il viso con la manica della felpa. «Niente, io… ho preso un pessimo punteggio ad un esame e…» cercò di giustificarsi «Ora rimetto a posto».
«Ti dò una mano» gli rispose Laxus, mentre sollevava un armadietto ai suoi piedi.
Quando lo spogliatoio fu di nuovo in ordine, si sedettero sulle panchine al centro della stanza e rimasero in silenzio per qualche minuto, entrambi incapaci di iniziare la conversazione.
«Come hai fatto quando tua mamma…» chiese Natsu all’improvviso, mentre fissava il pavimento davanti a lui. Laxus si voltò a guardarlo e rimase in silenzio. Come poteva rispondere alla sua domanda, se ancora adesso sperava di vederla quando la mattina andava in cucina per la colazione? Come poteva dirgli che ogni giorno ricordi che pensava dimenticati riaffioravano e lo ributtavano agli anni in cui lei era ancora con lui?
Gli mise una mano sulla spalla e sussurrò «Non lo so… vai avanti e basta».
Natsu cominciò a piangere silenziosamente, nascondendo di nuovo il viso tra le mani. «È che… ho scoperto una cosa… non so come…» si asciugò le lacrime e si voltò per guardarlo «Ho trovato delle carte tra la roba di mio padre e ho scoperto che sono stato adottato… non me l’ha detto… perché?».
Laxus lo guardò sconvolto, erano talmente simili Igneel e Natsu che non aveva mai messo in dubbio che fosse suo figlio.
«Non cambia nulla…»
«Sì, invece… lui non è mio padre!» gridò disperato Natsu ricominciando a piangere. Laxus lo osservò per qualche minuto senza parlare, lasciando che arrivasse a capire da solo che ciò che aveva detto non era vero.
«Com’è successo?» gli chiese quando si fu calmato.
«Un incidente d’auto, quasi un anno fa…» rispose singhiozzando Natsu.
«Che dici se ti dò quella rivincita?». Laxus si alzò e si mise davanti a lui sorridendogli con tono di sfida. Appena sentì quelle parole, Natsu saltò in piedi e lo guardò entusiasta. «Davvero? Niente scherzi?» gli domandò mentre si asciugava un’altra volta il viso.
«Tsk! Non pensare che mi trattenga solo per quello che mi hai detto, sai?» commentò, dopo essersi tolto la maglietta. Uscì dagli spogliatoi e andò nella stanza di fronte, iniziando a riscaldarsi mentre Natsu lo raggiungeva.
«Nemmeno io mi tratterrò» ribatté con un sorriso.

 
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«Va bene, chiamami quando saprai qualcosa…» Sentì la voce di suo nonno provenire dal salotto e andò da lui, per chiedergli di Igneel. Aveva appena chiuso una chiamata e si era seduto sul divano sorseggiando del caffè.
«Ciao Laxus» lo salutò quando lo vide, domandandogli poi «Dove sei stato?»
«Con chi eri al telefono?»
«Nessuno, nessuno» gli rispose un po’ bruscamente. Laxus lo guardò sospettoso, ma decise di non insistere.
«Sono andato in palestra e ho incontrato Natsu»
«Come mai sei andato in palestra?» gli chiese allora incuriosito.
«Non essere così sorpreso, ho ricominciato ad allenarmi quando ero via e volevo vedere in che stato fosse. Tutto qui».
«Capisco…» sussurrò bevendo dalla tazza.
«Com’è che Natsu era là, se era chiusa?»
«Gli ho dato le chiavi qualche mese fa per permettergli di andare quando avesse voluto. Non è stato facile per lui dopo la morte id Igneel, lo aiutava a sfogarsi…»
Laxus si alzò e andò a prendere una bottiglia d’acqua nel frigorifero. Era migliorato molto dall’ultima volta che si erano battuti, doveva ammetterlo. Aveva rischiato un paio di volte di farsi buttare a terra. Mentre ritornava in salotto disse «Ha trovato dei documenti che dicono che è stato adottato. Ne sapevi niente?».
Suo nonno lo guardò sconvolto e in silenzio. «Non avrebbe dovuto scoprirlo in questo modo» commentò «Dov’è ora?».
«Doveva incontrarsi con Lisanna per un corso all’università. Quindi lo sapevi?».
«Certo, Igneel era uno dei miei più cari amici nonostante avesse l’età di tuo padre» respirò a fondo prima di proseguire «Non conosco i dettagli, non me li ha mai voluti raccontare. Un giorno si è presentato al ristorante con Natsu, avrà avuto tre anni, dicendo che lo aveva adottato».
«E tu non gli hai chiesto nulla?». Laxus cercò di ricordare la prima volta che aveva visto Natsu, ma l’unica cosa che gli tornava in mente erano le partite infinite a quel gioco con il piccolo drago viola. Tutte le volte che venivano a casa loro la prima cosa che domandava era “Spyro?”.
«No, aveva viaggiato molto ed era tornato da un paese scosso dalla guerra. Ho sempre pensato che lo avesse portato qui di nascosto, visto che dopo qualche mese aveva chiesto a Gildarts di aiutarlo ad ottenere i documenti ufficiali».
Guardò suo nonno con gli occhi spalancati, interrogandosi sul motivo che avesse spinto Igneel a rischiare così tanto per salvare Natsu.
«Gli parlerò io» disse Makarov, mentre si alzava dal divano e prendeva il cellulare. «Pronto?» rispose poi ad un’altra chiamata, chiudendo dietro di sé la porta della sua camera.
Laxus ripose la bottiglia nel frigorifero continuando a pensare a Natsu. Nonostante la sua famiglia fosse un completo disastro, sapeva di poter contare su suo nonno. E anche se sua madre non era più con loro, aveva dei ricordi con lei. Lui non aveva nemmeno quelli e ora aveva scoperto di essere stato adottato. Non doveva essere facile da accettare. Andò in bagno e accese l’acqua della doccia. Forse avrebbe dovuto dare un’altra possibilità ad Ivan. L’ultima.
Sorrise quando comparve nella sua mente il viso di Mira e scacciò la sensazione di malinconia che stava provando. Per pranzo si sarebbe incontrato con lei e poi sarebbero andati alla visita di controllo che aveva prenotato nel pomeriggio. Il secondo appuntamento. Ripensò al loro primo incontro al ristorante, qualche settimana fa e rise di gusto: non era stato per nulla promettente. Ma erano cambiate tante cose in così poco tempo.
 
«Io esco, ci vediamo più tardi» gridò a suo nonno, mentre stava aprendo la porta di casa.
«No, aspetta…». Lo vide arrivare con la giacca addosso e le chiavi della macchina in mano «Ho bisogno che ti occupi del ristorante durante il primo turno».
«Non posso» gli rispose arrabbiato «Non puoi dirmelo all’ultimo minuto, ho degli impegni».
«Per favore».
Laxus sospirò e poi disse «Devi tornare per le 15 però, ho la visita in ospedale».
«D’accordo, grazie» e salutandolo con un tocco sul braccio scese per le scale.
«Maledizione…» sussurrò quando sentì la porta del piano terra sbattere. «Maledizione…» ripeté alzando la voce e pensando a Mira. Chiuse a chiave e andò all’ingresso del ristorante, intravedendola sul marciapiede.
«Ciao» gli disse appena lo vide.
«Ciao». La baciò e le aprì la porta per farla entrare «Non posso venire, mio nonno mi ha chiesto di occuparmi del locale».
«Oh…» commentò Mira delusa «Va bene, sarà per un’altra volta. Hai il passaggio per andare in ospedale?».
«Perché non resti e mangiamo qualcosa in ufficio?» le propose, mettendole le mani sui fianchi e avvicinandola a sé. «Insomma, non sarà il mass…» fu interrotto da un bacio di Mira, che lo tenne stretto per qualche minuto prima di lasciarlo andare.
«Va bene» disse entusiasta, baciandolo ancora una volta.
«Ciao» una voce li salutò esitante e si voltarono insieme per capire di chi fosse.
«Ciao Erza» le rispose Mira, andandole incontro. «Com’è andata ieri sera?»
«Non ne voglio parlare…» ribatté mentre posava le borse che aveva portato sul bancone del bar. «Era lì, ma non abbiamo parlato. Non ci siamo nemmeno salutati, a dire il vero» aggiunse subito dopo, guardando Laxus.
«Me ne devo andare?» chiese ironico.
«No, no… anzi, tu sei un ragazzo»
«Così pare»
«E ti piacciono le ragazze»
«Decisamente» rispose voltandosi verso Mira con un sorriso malizioso.
«Ottimo, ottimo» commentò Erza, assorta in un discorso silenzio tra sé e sé.
«Quando era piccola, credo fossimo alle medie, c’era questo nostro compagno con cui era molto legata. Poi se n’è andato e non l’ha più rivisto… bé, fino a ieri» concluse Mira, guardando contenta l’amica.
«Non che mi interessi in quel senso, voglio solo sapere come sta» disse Erza, improvvisamente imbarazzata «Vado a preparare le verdure» e riprese in mano le borse dirigendosi in cucina.
«Non mi volevi chiedere qualcosa?» le domandò Laxus, divertito dal cambio di atteggiamento della ragazza.
«Io? No, assolutamente» rispose con il viso sempre più rosso e scomparendo dietro le porte.
Laxus scosse la testa ridendo e andò da Mira, che si era seduta su uno sgabello davanti al bancone. «Allora, cosa vuoi mangiare?» le chiese sedendosi anche lui.
«Mmm… vediamo» disse pensierosa, mentre prendeva uno dei menù posati lì vicino. Scorse con il dito i vari piatti del ristorante e poi gli rispose «I tacos e un’insalata».
«Agli ordini» e si alzò per andare in cucina, commentando «Non sono il mio forte però, ti avverto».
Mira rise «Mi accontenterò».

 
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«Questo weekend organizziamo una grigliata a casa nostra» lo informò Mira, prendendo dell’insalata con la forchetta. «Ti va di venire?»
«Certo, che cosa si festeggia?»
«Nulla, vogliamo solo… saremo in pochi, solo noi tre e qualche amico» rispose con voce incerta.
Laxus alzò gli occhi e la vide assorta mentre mangiava l’ultimo taco. “Tra qualche giorno sarà l’anniversario dell’incidente di Lisanna…” le sue parole gli tornarono in mente e capì il motivo di quella richiesta. «Se vuoi vengo prima e vi aiuto» disse, prendendole la mano e accarezzandola.
Mira lo guardò e gli sorrise con affetto «Grazie, sì».
«Quando sarebbe?»
«Sabato sera, ma viene pure dopo pranzo» gli disse contenta. «Ti scrivo l’ora…» si interruppe colta da una rivelazione «Lo sai che non ci siamo ancora scambiati il numero di cellulare?» e rise divertita. Laxus la osservò colpevole: il suo telefonino aveva da giorni salvato in rubrica il suo, ma non lo aveva usato visto tutto quello che era successo. Avrebbe dovuto dirglielo? «Terra chiama Laxus…» gli disse muovendo il palmo della mano davanti al suo viso «A cosa pensi?»
«Io? Niente, niente… è solo che io ho già il tuo numero»
Mira lo guardò sorpresa «Sì? E come?».
«Ecco» si schiarì la voce prima di proseguire «Me lo ha dato Lisanna dopo la serata in quel locale, volevo scriverti ma… ecco».
Mira appoggiò il mento alla mano e lo osservò con uno dei suoi splendidi sorrisi, per poi chiedergli «Ma?».
«Ma ci siamo visti e non ce n’è stato bisogno» concluse, stranamente imbarazzato. No, devi restare calmo. Non puoi dire quanto fossi insicuro, non puoi pensò dopo aver fatto un respiro profondo. «Allora, che voto dai ai miei tacos?» le chiese cambiando argomento.
«Mmm… direi un 7, buoni ma ci devi lavorare ancora un po’» gli rispose, assumendo un atteggiamento fintamente arrogante. Laxus scosse la testa divertito dalle sue parole e la baciò. «Solo un 7? Neanche un punto in più?» la stuzzicò, dandole piccoli baci sulle labbra e poi sul collo.
«Ho già alzato il punteggio» sussurrò lei, mentre gli prendeva il viso tra le mani e cominciava a baciarlo.
«Ah sì?» e la avvicinò a sé, facendola sedere sulle sue gambe.
E poi la porta dell’ufficio si aprì.
«Sul serio?» quasi gridò Laxus, abbandonando arrabbiato le labbra di Mira. «Cosa c’è?» chiese spazientito, ricevendo uno schiaffo leggero sulla spalla da lei.
«Un signore non vuole pagare il conto…» parlò Kinana, imbarazzata e rossa in viso.
Laxus sospirò e allontanò gentilmente Mira, che si risedette di fianco a lui. «Arrivo» e si alzò raggiungendo la ragazza sulla soglia della porta.
 
 
 
 
 

Nota dell’autrice
Eccomi con il nuovo capitolo, qualche ricordo in più da aggiungere alla storia e un piccolo momento tra Mira e Laxus. Spero che vi sia piaciuto, commentate in numerosi :)
E, a costo di risultare ripetitiva, ringrazio tantissimo Honey, Red e Gallade01 per le parole che mi lasciano dopo ogni capitolo. Siete tanto cariini! <3
Un abbraccio,
dreamfanny.
   
 
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