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Autore: Joyce Anastasi    12/07/2016    0 recensioni
Sono trascorsi cinque anni dall’ultima volta in cui l’ho visto. La scuola era appena finita, avevamo vinto il secondo campionato nazionale consecutivo, io ero stato ammesso in un’università con un’ottima squadra di basket, avevamo una relazione stabile e felice. Tutto perfetto. Sennonché lui ebbe la brillante idea di andarsene. E non di andarsene in una villa più grande dietro l’angolo. Non di trasferirsi in un bell’attico in pieno centro. No! Scelse di attraversare l’oceano senza di me.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa, Yohei Mito
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fanfiction Slam Dunk

POINT OF YOU
di Joyce


(r // Yahoi)


Scusate il ritardo ma gli impegni di fine lavoro chiamano. Durante il periodo delle ferie, sicuramente posterò il successivo e ultimo capitolo che, purtroppo, non è ancora terminato (sigh, sob). Prometto di mettercela tutta per concluderlo quanto prima!
Questo capitolo ha il punto di vista di Rukawa, un punto di vista meno intenso del solito Rukawa, forse più pragmatico. Purtroppo non sono riuscita a rendere giustizia al personaggio. Il prossimo, invece, stranamente, mi sta dando maggiori soddisfazioni ma aspetto di mettere un punto prima di parlarne.
Grazie a Greco65 per il commento e per i complimenti.
Buona lettura!



Kaede Rukawa


Quando entro in sala stampa per parlare al mondo intero della mia relazione con Hanamichi Sakuragi, ripenso alla nostra storia insieme.

Non che sia lunghissima e, dunque, ricca di eventi, ma la definirei: piena di sensazioni, sentimenti e amore. Sì, amore.

Quando vidi per la prima volta Hanamichi avevo quindici anni e mi trovavo sulla terrazza del mio liceo. Ne fui immediatamente folgorato.

Avevo maturato le mie tendenze sessuali già da qualche tempo ma era la prima volta che sentivo il viso avvamparmi semplicemente perché un uomo mi stava pestando a sangue.

Il ragazzino – più che uomo – che mi riempì di botte era proprio Hanamichi.

Più alto di me, più grosso di me, lineamenti forti e rozzi, capelli rossi mossi dal vento.

Non mi era mai capitato prima di vedere una persona che avrebbe potuto tenermi tra le sue braccia e proteggermi.

Hanamichi, negli anni, si è rivelato perfetto per questo ruolo.

Peccato che il ruolo della persona da proteggere io non me lo sia mai sentito addosso.

I nostri rapporti all’inizio non sono stati facili.

Lui si era innamorato di una ragazzina che mi veniva dietro e di conseguenza prese a odiarmi.

Con il passare del tempo, quell’odio è diventato talmente forte da dover essere manifestato fisicamente.

Il primo anno di liceo, ci siamo suonati tante di quelle botte che la mia farmacista deve avere un cartonato della mia faccia per le garze e i cerotti che ho acquistato da lei.

Un pomeriggio – era l’inizio del secondo anno di scuola – eravamo soli in palestra. Per la precisione, eravamo negli spogliatoi e stavamo litigando perché lui era tornato dalla riabilitazione e insisteva nel volersi allenare normalmente con noi.

– Sono stanco di quegli inutili fondamentali, stanco di Miyagi e della tua stupida faccia. – mi disse furioso – Io sono bravo quanto voi, più di voi e voglio giocare!

– Idiota. – fu la mia immancabile risposta. Ormai gliel’avevo detto talmente tante volte da essere diventato il suo nomignolo. Quella volta, però, pensai davvero che era un idiota: se avesse ripreso normalmente gli allenamenti, avrebbe compromesso in toto la sua carriera!

Fatto sta che l’“insulto” non gli piacque molto. In men che non si dica mi ritrovai premuto contro gli armadietti con il suo corpo fin troppo vicino.

– Ammettilo che sono bravo! – cominciò a ringhiarmi a un passo dalla mia bocca.

– Convinto tu! – riuscii a rispondergli con le mani che mi tremavano per l’eccitazione. Volevo che smettesse di ciarlare e che quella bocca insolente mi baciasse e non si staccasse più.

Ovviamente sapevo che da Hanamichi non avrei potuto aspettarmi niente del genere.

Figurarsi, un eterosessuale convinto come lui!

Tempo due secondi e fui smentito completamente.

Mi prese il volto tra le mani e lo avvicinò al suo.

Chiusi gli occhi, immaginandomi una testata che divenne il nostro primo bacio.

Passionale, tormentato, assoluto.

Se non mi avesse retto per le braccia, mi sarei sciolto completamente sul pavimento.

Credo di essere stato in quello spogliatoio a baciarlo e a toccarlo per ore.

Lui era confuso, non sapeva nemmeno cosa stessimo facendo. Io, invece, lo sapevo eccome e non desideravo altro che arrivare fino in fondo!

Ciò che temevo di più era che potesse cambiare idea, darmi della checca e fuggire via a gambe levate.

– Fa’ sesso con me. – trovai il coraggio di dirgli prima che tutto divenisse chiaro ai suoi occhi.

Lui mi guardò spaesato.

Forse era la prima volta che eravamo occhi negli occhi. Non so cosa lui lesse nei miei ma io percepii una sola cosa: dolcezza.

Abbassò lo sguardo e subito pensai che ormai era tornato in sé, che tutto si era dissolto come una bolla di sapone.

Poi si voltò nuovamente a guardarmi e mi baciò.

Fu la seconda volta in un sol giorno che mi sorprese.

Quella sera, a casa mia, facemmo l’amore per la prima volta.

Ricordo ancora la carne debole che cedeva, le piccole ferite che si aprivano, il corpo che si ribellava all’intrusione di quello che fino a qualche istante prima era il corpo del mio nemico.

Senza essermi preparato mentalmente e fisicamente, gli diedi tutto, persino il mio dolore.

Fu la prima volta anche per lui.

Ne sarebbe seguita una seconda, una terza, una quarta, una milionesima.

Io e lui abbiamo condiviso il letto per due anni che ci sono sembrati una vita intera.

Non esisteva notte se lui non la passava con me, non esisteva giorno senza che io e lui ci guardassimo intensamente, di nascosto dal mondo.

Quello che ci è mancato è stato solo il coraggio di parlare apertamente di quello che provavamo. E non soltanto con gli altri, anche tra noi!

Dopo gli allenamenti, facevamo i compiti insieme, cenavamo insieme, andavamo in camera a baciarci e a toccarci come due forsennati e poi silenzio.

Avevamo un rapporto d’amore a tutti gli effetti ma non siamo mai riusciti a dircelo.

Questo da parte mia, che sono sempre stato silenzioso, era assolutamente comprensibile.

Ma da Hanamichi non era accettabile in alcun modo!

Dannazione, non stava mai zitto, parlava di tutto con tutti – anche troppo per i miei gusti – e, quando si trattava di noi, passava ore a guardarmi negli occhi e ad accarezzarmi la frangia.

A essere sincero, la situazione al tempo non mi pesava eccessivamente.

Non l’ho mai forzato a parlare e quando lui mi ha chiesto dei chiarimenti, sono sempre stato zitto. Soprattutto perché le sue richieste erano tutte strampalate e prive di senso.

– Secondo te sono gay? – mi chiese una notte. E di certo non era questa la domanda che volevo.

– Secondo me sei solo idiota. – gli risposi per le rime.

Ovviamente, pure quella volta finì in rissa.

Fatto sta che passarono due anni in cui le paure e i silenzi e i sentimenti crebbero a dismisura.

Avviai le pratiche per il trasferimento negli States all’inizio del terzo anno; non perché desiderassi davvero di andarci; semplicemente seguivo un percorso che era già stato deciso e sottoscritto.

Feci quella richiesta quasi meccanicamente.

Quando ebbi l’assenso, tutto diventò più concreto, fin troppo concreto.

Avrei dovuto lasciare Hanamichi, l’unica persona che mi avesse mai amato!

Ci rimuginai su tutta la notte e il sentimento maggiore che emerse fu come un moto di tranquillità.

Quell’ostinarci a nascondersi, quei continui silenzi, la paura sempre più pressante mi avevano messo una tensione tale che mi venne solo una gran voglia di scappare.

Gli Stati Uniti si rivelarono perfetti per quello scopo.

Non erano in discussione i miei sentimenti per Hanamichi. Avevo solo bisogno di stare con me stesso così da riflettere su come affrontare il nostro rapporto.

A diciotto anni non potevo rinunciare al sogno della mia vita per amore. Era troppo presto, tant’è vero che in due anni non eravamo riusciti a creare un rapporto che potesse definirsi tale.

Quando Hanamichi vide per caso i documenti del trasferimento, diede di matto. Non mi parlò per un mese intero finché non lo vidi in riva al mare, la sera prima della mia partenza.

Inutile dire che finimmo dritti nel mio letto e da lì non ci muovemmo fino al sorgere del sole.

Ricordo ancora quella notte. Il dolore non era più sul fondo del mio corpo ma era al centro, al centro del mio petto.

La mattina seguente gli consegnai una lettera che gli avevo scritto nei suoi giorni di silenzio. Nelle mie intenzioni iniziali, avrebbe dovuto leggerla una volta che il mio aereo fosse decollato.

Parte di quanto gli avevo scritto non resistetti dal dirglielo a voce.

No, non gli rivelai i miei sentimenti. Ero, e sono, un tipo di poche parole.

Gli dissi la sola cosa che mi premeva in quel momento: «Aspettami!».
 
 
 
 
Hanamichi, purtroppo, nei miei cinque anni di assenza, non mi ha aspettato.

Non provo rancore per questo; d’altronde è stata soprattutto colpa mia. Avrei dovuto coltivare il nostro rapporto a distanza, dirgli che l’amavo e non avrei amato nessun altro ma non l’ho mai fatto.

In cinque anni di assenza, non gli ho mai mandato nemmeno un messaggio.

Non so giustificare questo mio silenzio. Credo semplicemente che sia stato per paura di essere rifiutato. Temevo che lui non avesse compreso fino in fondo il motivo della mia partenza e i miei reali sentimenti.

In sostanza, l’unica chiamata che ho fatto ad Hanamichi è stata la sera prima del suo matrimonio.

Esatto, matrimonio!

A rivelarmelo fu il nostro ex compagno di squadra Mitsui. Nel mio periodo di permanenza negli States, lo sentivo almeno una volta al mese. Gli avevo detto della mia relazione con Hanamichi – chi meglio di una persona con un rapporto omosessuale poteva capirmi! – e lui mi teneva aggiornato su ciò che gli accadeva.

Per i primi mesi, Mitsui vide Hanamichi poco quindi non riuscì a dirmi molto. Poi in autunno lo incontrò e il mio rossino gli parlò di una vita tutto sommato normale: studiava fisioterapia, giocava nella sua squadra universitaria e aveva preso ad allenare lo Shohoku.

Insomma, un vita piena di cui io non facevo più parte.

Dopo tre anni in cui tutto sembrò scorrere normalmente e anche lentamente, Mitsui mi rivelò la notizia che fece crollare ogni mia certezza.

– Non so come dirtelo, Rukawa!

– Che è successo? Hanamichi sta bene? – chiesi. La distanza a volte crea allarmismi inesistenti.

– Hanamichi sta per diventare padre. Il mese prossimo si sposa!

Strappai il filo che teneva legato la cornetta al telefono con tutta la forza che avevo in corpo. Per la precisione, l’ho tenuto staccato un mese intero. Fino al giorno precedente alle nozze.

Era un sabato di primavera. Composi il vecchio numero di Hanamichi, nella speranza che non l’avesse cambiato e riconobbi subito la sua voce. Più che la sua voce, a essermi nota fu la sua risata.

Rideva, sì, stava ridendo! Il mio Hanamichi non era più mio e ne era felice…

E io ci sono stato così male che non ho pronunciato parola. Ho solo spento il telefono e pianto, solo pianto.

Non sapevo cosa aspettarmi, cosa davvero volessi dirgli ma di certo non volevo sentire la sua felicità!

Non volevo nient’altro che mantenesse la sua promessa di aspettarmi.

Ciò di cui mi pento maggiormente di quel periodo è, ovviamente di non essermi fatto sentire ma anche di non essermi rivolto alla persona giusta.

Hanamichi non aveva un rapporto strettamente confidenziale con Mitsui e, di conseguenza, quest’ultimo conosceva gli eventi principali della sua vita senza conoscerne le reali motivazioni. Ma non sapevo con chi altri parlare!

Avevo una paura fottuta di chiamare Hanamichi. Mi restava solo Yohei ma lui era troppo vicino al rossino; sarebbe stato come parlare direttamente con lui!

Fortunatamente Mitsui ha poi intuito qualcosa che ha fatto scattare la molla del mio ritorno in Giappone.

Due mesi dopo le nozze di Hanamichi, chiamai Mitsui per sapere come stesse andando la vita coniugale di quello stronzo di un idiota.

Esatto, al tempo, ai miei occhi, Hanamichi era stronzo e pure idiota.

E Mitsui mi rivelò qualcosa che sarebbe stato per me più sconvolgente della notizia stessa della gravidanza.

– Ieri Hanamichi è venuto a far visita a me e a Kiminobu. – mi disse – Gli abbiamo chiesto come stesse, cosa facesse ma era molto giù…

– E con questo? – lo esortai.

– Quando gli ho domandato del perché del suo stato, mi ha detto «Voi avete ciò che io ho perso tempo fa».

Quelle sono state le parole che hanno cambiato davvero la mia vita.

Mi amava ancora! Ne ero certo! Lo sentivo anche a distanza!

Dovevo tornare da lui il prima possibile e, tra l’altro, con un carico di giustificazioni.

Hanamichi di certo non avrebbe abbandonato moglie e figlio, cadendo fra le braccia di chi non si era fatto sentire per cinque anni! Dunque, avevo bisogno di un pretesto.

Magari di farlo venire a Chicago così che potessimo trascorrere del tempo insieme, da soli.

Una volta in Giappone, ci sarebbero stati i giornalisti, sua moglie e probabilmente la sua caparbietà. Ero convinto, conoscendo il suo orgoglio, che inizialmente non avrebbe voluto nemmeno parlarmi.

Decisi di giocare tutto sulla sua carriera. Dovevo procurargli un ingaggio negli States!

Hanamichi è un talento della natura, molto più di quanto sia io stesso, e in Giappone era totalmente sprecato. Non ci sarebbe voluto molto a trovare una squadra interessata.

Trascorsi le notti seguenti a vedere le sue partite di campionato – le avevo registrate e catalogate tutte – e scelsi la finale da cui era uscito vincitore per mostrare le sue caratteristiche al mio coach. Esatto, decisi di partire proprio dai Bulls.

In quella partita aveva giocato, non da Dio ma come un vero e proprio Dio del basket. Hanamichi era stato feroce e preciso, appassionato e razionale.

In cinque anni aveva miscelato alla perfezione le sue doti innate con ciò che gli avevo insegnato quando eravamo insieme.

Inutile dire che il coach quando vide il video rimase sconvolto. Davanti a lui c’era il talento più nascosto della storia!

Gli fissò un provino e io finalmente potevo tornare in Giappone con la scusa pronta.

Fino ad allora mi era stato impedito di rientrare in patria per alcune ristrettezze contrattuali. Grazie ad Hanamichi, la clausola poteva considerarsi decaduta e dopo cinque anni facevo ritorno a casa, dal mio amore.

Alla stampa giustificai il mio rientro dichiarando di voler discutere con la federazione giapponese di un’eventuale convocazione in nazionale.

In parte era anche vero: il contratto mi permetteva finalmente di giocare in Giappone. Ma il vero motivo del mio viaggio era solo uno e aveva i capelli rossi.

Chiamai Mitsui e gli dissi di organizzare una cena per il mio rientro: dovevano essere presenti tutti, altrimenti Hanamichi avrebbe capito l’imboscata!

Quando lo rividi, me ne innamorai di nuovo.

Era ancora più alto di un tempo, con i lineamenti più marcati – da uomo maturo – e aveva i capelli rossi, ormai cresciuti, raccolti in un codino.

A dir poco mozzafiato!

In quel frangente mi eccitai al solo pensiero di essere stato stretto da quelle braccia forti.

Tra noi non ci furono altro che sguardi e frecciatine finché non riuscii a restare solo con lui.

La serata era stata piacevole. Avevo rivisto i miei amici, ricordato i tempi andati ed ero stato allegro come non mai.

Avevo parlato e sorriso e non mi capitava da tanto, visto che negli States, non sono mai riuscito a creare rapporti simili a quelli maturati durante gli anni del liceo.

Quella sera poi, davanti a me, c’erano le persone a me più care e l’unica persona che avessi mai amato.

Mitsui riuscì a far sì che io e Hanamichi restassimo da soli, chiedendogli se potesse darmi un passaggio in auto fino all’albergo.

Lui prima si tirò indietro, poi ha accettato quasi sotto costrizione.

Un po’ ci rimasi male ma di certo non potevo aspettarmi che mi buttasse le braccia al collo.

In cuor mio sapevo che non mi avrebbe mai detto di no. Ma il provino con i Bulls era la carta che dovevo giocarmi. Facevo affidamento soprattutto su quest’ultimo!

È stato quando ha parcheggiato l’auto dietro il mio albergo e Hanamichi mi ha guardato negli occhi che ho capito di non aver bisogno di Chicago né dei Bulls.

Lui non mi avrebbe chiesto nemmeno una giustificazione.

Mi sarebbe bastato dirgli «Stanotte resta con me» per farlo tornare mio per sempre.
 
 
 
 
Quando io e Hanamichi abbiamo lasciato l’aeroporto di Tokyo, non ho potuto stringergli la mano come desideravo.

C’erano i soliti giornalisti e ho dovuto anche allontanarmi da lui affinché non capissero che le nostre partenze erano correlate. Non era ancora il momento di far sapere in giro che Hanamichi avrebbe potuto essere il terzo giocatore giapponese dell’NBA né tantomeno che andava a letto con il secondo giocatore giapponese dell’NBA.

Fortunatamente in aereo non c’era la stampa.

Lui è stato molto teso per tutto il volo. Diceva di essere preoccupato per il viaggio ma sapevo bene che il suo pensiero era rivolto soprattutto alla moglie e al piccolo Kaede.

Già, Kaede. Il figlio di Hanamichi si chiama proprio come me.

Ancora non ci credo. Come non credo alla storia che il bambino abbia il mio nome per mero caso.

L’idiota minimizza sempre le sue esternazioni d’affetto nei miei confronti, figurarsi se veniva a dirmi di aver dato il mio nome a suo figlio!

Pensando alla sua apparente freddezza in aereo, l’ho guardato negli occhi e gli ho sorriso.

Non sapevo ancora se Hanamichi avrebbe deciso di lasciare la moglie per me ma sapevo che mi amava. Era più di quanto potessi pensare e meritare.

Atterrati, venne un autista a prenderci all’aeroporto e a condurci al mio appartamento.

Una volta raggiunto l’ultimo piano, per la precisione il centocinquantesimo, l’idiota è entrato in casa tutto imbarazzato. Si è guardato in giro a lungo e ha cercato accuratamente di evitare esclamazioni di ammirazione, anche se la sua mandibola avrebbe toccato volentieri terra.

So bene di avere un appartamento da qualche milione di dollari ma la condizione economica prescinde dalla mia personalità e dai miei sentimenti.

Senza molte spiegazioni, l’ho condotto in camera da letto e gli ho fatto poggiare i bagagli di fianco all’ampio letto matrimoniale.

Lui mi ha guardato arrossendo e io non ho potuto fare a meno di sorridergli: Hanamichi, anche se per poco, avrebbe vissuto da me; il mio sogno d’amore, pur se a breve termine, sarebbe divenuto realtà.

Per rendere meno imbarazzante la situazione, gli ho chiesto se volesse farsi una doccia.

– Va’ prima tu, io disfo un attimo i bagagli. – mi ha risposto.

Allora, senza pensarci troppo, mi sono diretto in bagno. Dopo qualche minuto, sotto il getto dell’acqua, ho intravisto, attraverso i vapori, la faccia di Hanamichi che mi guardava dall’esterno della cabina.

Non essendo abituato a condividere la casa con altri, mi è preso un colpo.

– Idiota, vuoi farmi morire d’infarto? – gli ho chiesto, aprendo l’anta semitrasparente che ci separava.

– Scusami volpe – ha risposto grattandosi la testa – non avevo capito che questo fosse il bagno.

In effetti, il fatto che il bagno sia separato dalla camera da letto da una semplice porta a scorrimento deve averlo confuso.

– Non importa. Non c’è di certo bisogno che bussi con me. – gli ho risposto.

Lui è arrossito ancora più di prima e per smorzare i toni, sono andato dritto al sodo. Ho aperto completamente la cabina della doccia e l’ho trascinato sotto il getto d’acqua.

In fretta ci siamo liberati dei suoi vestiti ormai bagnati e abbiamo inaugurato la nostra vita di coppia negli States.

Praticamente il giorno successivo l’abbiamo trascorso trascinandoci tra letto, cucina e bagno. Credo che non siamo riusciti nemmeno per un istante a indossare i boxer.

L’indomani ci siamo costretti a uscire, visto che era la data fissata per il provino.

Abbiamo raggiunto la palestra dei Chiacago Bulls con la mia macchina che ha voluto guidare Hanamichi per scaricare la tensione.

Al provino erano presenti sia il coach sia il presidente della squadra, quest’ultimo come supervisore. L’allenatore ha subito messo alla prova Hanamichi, chiedendogli varie tecniche di gioco.

Dopo una mezz’oretta di domande noiosissime, il coach mi ha chiamato dagli spalti su cui mi ero posizionato.

Mi ha chiesto di cambiarmi per giocare un uno contro con il “provinato”. Voleva appurare le sue reali potenzialità e, perché no, la nostra complicità in campo.

Era parecchio tempo che io e lui non eravamo insieme su un campo da gioco – la partitella di allenamento allo Shohoku non faceva testo – quindi non sapevo se saremmo riusciti a giocare come in passato.

Fin dai primi secondi, però, mi sono reso conto che il tempo non era mai realmente trascorso.

È stato l’“uno contro uno” più bello della mia vita, non solo perché giocavo con Hanamichi e quello scontro avrebbe cambiato completamente le nostre vite, ma anche perché io e lui su un campo di basket riusciamo a creare un’armonia e una competizione che non ho mai vissuto con nessun altro. Durante quello “scontro” l’ho ricordato e impresso nella mia memoria, per sempre.

Per la prima volta, nella storia, Hanamichi mi ha battuto, e, sebbene qualcuno possa pensarlo, non l’ho lasciato vincere!

Volevo che il presidente e il coach capissero davvero quanto lui sia bravo, talentuoso e preparato e avrei potuto mostrarglielo solo giocando al meglio.

Hanamichi è migliorato tantissimo, è diventato un giocatore completo. Rimane il miglior rimbalzista con cui mi sia mai scontrato ma ora è anche un buon tiratore.

Sì, in quell’occasione – sarà stata la sua sete agonistica – ho dovuto ammettere che Hanamichi è stato più in gamba di me.

Quando siamo tornati a casa, sembrava Capodanno. Ho preso lo champagne dal frigo e abbiamo bevuto e fatto l’amore per tutta la notte finché non ci siamo sentiti totalmente sfatti.

Mancavano solo le visite mediche e Hanamichi sarebbe tornato a tutti gli effetti un mio compagno di squadra. E per la prima volta avremmo potuto essere anche compagni nella vita!

Non poteva lasciarmi per la moglie. Non dopo quello che avevamo vissuto e potevamo vivere.

Dopo una settimana trascorsa a vivere come la coppia più felice del mondo, è arrivata la chiamata di Yohei.

L’ennesima chiamata che avrebbe cambiato le nostre esistenze.

Mito ci avvertiva che su una rivista giapponese stavano per uscire delle foto che ritraevano me ed Hanamichi in atteggiamenti intimi.

Ciò significava: fine del matrimonio per lui e, probabilmente, fine della carriera per noi.

Non sapevo come la squadra avrebbe potuto prendere una relazione omosessuale di due giocatori e il fatto che uno di questi fosse stato ingaggiato proprio su consiglio dell’altro!

Purtroppo non sono riuscito a bloccare in alcun modo l’uscita di quelle fotografie.

Hanamichi è caduto in una sorta di stato catatonico per due giorni; credo in tutto simile al periodo seguente alla mia partenza. Continuava a cambiare canale alla tv e a mordersi le labbra, senza dire una parola.

Io, da parte mia, provavo ad avvicinarmi, ma non mi ha mai degnato di uno sguardo.

Si riprendeva solo quando riusciva a parlare con Yohei.

In una di queste telefonate, abbiamo deciso di rivelare tutto alla moglie di Hanamichi, prima che venisse a scoprire la nostra relazione dai media.

Io e Hanamichi non potevamo di certo parlarle telefonicamente né tantomeno tornare in Giappone. In questo modo, la “patata bollente” è finita nelle mani di Yohei.

Quest’ultimo credo abbia accettato, soprattutto, perché si è sentito responsabile, avendo presentato lui Sakura al mio idiota.

Le foto che ritraevano me e Hanamichi sono uscite il giorno successivo a quando Sakura ha saputo di noi. Erano immagini scattate un pomeriggio in cui mi ero recato allo Shohoku a salutare Hanamichi e i suoi ragazzi. Avevamo giocato una partitella insieme, poi c’era stato un bacio nello spogliatoio.

Sì lo so, siamo stati peggio di due adolescenti in calore!

In una seconda foto ci tenevamo mano nella mano fuori casa mia e in una terza eravamo in auto fuori al mio hotel. Fu la sera in cui facemmo l’amore per la prima volta dopo tanto tempo.

L’unica cosa che sono riuscito a fare per tamponare la situazione è stato indire una conferenza stampa con la quale, principalmente, tenere i giornalisti lontani dalla famiglia di Hanamichi. Era questo che premeva a lui e di conseguenza a me.

Rivelandogli questo mio piano, sono riuscito a tranquillizzarlo. Anche se, temo, non abbia creduto nemmeno per un istante alle mie doti oratorie. D’altronde, non aveva nemmeno tutti i torti: ero a dir poco terrorizzato di dover parlare della mia vita privata in diretta mondiale!

Poi c’era un’altra situazione che mi tormentava: avrei voluto che fosse Hanamichi a parlare di me a sua moglie. Insomma, avrei voluto che lui la lasciasse, non perché costretto, ma perché innamorato di me.

Non ho mai messo in dubbio i suoi sentimenti per me, sia chiaro, ma in questo modo non avrei più potuto sapere quanto tempo ci avrebbe messo Hanamichi a rivelare tutto alla moglie, e soprattutto, se l’avrebbe mai fatto.

Mentre rispondo alle domande dei giornalisti in conferenza, nella mia mente continuano a scorrere gli eventi che ci hanno portato fin qui e, ovviamente, è sempre presente davanti a me l’immagine di Hanamichi.

So che i suoi pensieri, in questo momento, non sono rivolti a me ma soprattutto a suo figlio che ha bisogno di protezione.

E io adesso sono l’unico che possa dargliene.

La cosa, ammetto, mi infastidisce non poco. È da stupidi essere gelosi di un marmocchio ma per me è difficile immaginare che l’amore di Hanamichi e Sakura è riuscito a creare dal nulla una vita. E il nostro amore, così grande, così sconfinato, non sarà mai in grado di farlo.

Quell’esserino sporco e piagnucoloso è sangue del suo sangue. Inestricabilmente legato a lui. E di conseguenza, lo sarà anche lei con…

Mi volto alle mie spalle. Dietro di me, coperto da una parete di cartone che lo rende invisibile ai giornalisti, c’è Hanamichi.

Gli avevo chiesto espressamente di non venire ma non ha voluto saperne. A casa si sarebbe sentito più impotente di quanto in realtà già non sia.

In ogni caso, dobbiamo assolutamente evitare che la stampa ci veda insieme: non possiamo permetterci che altre immagini di noi due comincino a circolare sui network internazionali.

Vogliamo che il bambino non entri in possesso in futuro di fotografie simili, né, soprattutto, che qualcuno possa fargli del male proprio a partire da tali foto.

Fortunatamente la squadra ha deciso di supportarci, venendoci a prendere fin sotto casa con un’auto dai finestrini oscurati e presenziando, con la persona del coach e del presidente, alla mia conferenza.

Non nascondo che quando i giornali hanno scritto della nostra storia, il presidente abbia dato di matto.

Immagino non sia piacevole vedere due “tori” che si sbaciucchiano negli spogliatoi di un liceo. Ma io e Hanamichi non siamo di certo i prototipi delle checche isteriche e ovviamente smetteremo di avere atteggiamenti intimi in luoghi che non siano casa mia.

È stato così in passato e così continuerà a essere.

Il presidente ha compreso, anche se ha dovuto masticare amaro, mettendo la faccia su una situazione di cui voleva essere informato.

Immagino non sia semplice farsi paladino dei gay, quando probabilmente non lo si è per niente.

Ma poco importa. Io e Hanamichi mostreremo in campo ciò di cui siamo capaci. Non dobbiamo dar conto ad altri di nessun’altra sfera della nostra vita.

Quando esco dalla sala stampa, l’idiota mi aspetta di fianco alla porta che dà sul retro e finalmente sorride.

Vorrei ben vedere: ho difeso sua moglie e suo figlio e ho dichiarato il mio amore per lui a mezzo mondo!

Gli sorrido anche io. Avergli ridato indietro la serenità che finora gli ho tolto, alleggerisce notevolmente il peso che grava sulle mie spalle.

Ringraziamo insieme il presidente e il coach, scusandoci della situazione in cui abbiamo messo la squadra, e ci dirigiamo verso l’autista che ci attende sul cortile retrostante.

Inaspettatamente riusciamo a non farci vedere dalla stampa – devono essere ancora tutti stipati nella sala conferenza – e possiamo tirare un sospiro di sollievo.

– Sei stato bravo. – mi dice Hana, evitando accuratamente i miei occhi in macchina. È sempre imbarazzato quando si complimenta con me.

– Non me ne credevo capace neanche io. – ammetto. Ho avuto enorme difficoltà a dire certe cose.

– Grazie. – mi dice ancora, stavolta voltandosi nella mia direzione.

Io gli metto la mia mano sulla sua così che capisca che io per lui, ora, ci sarò sempre.

Purtroppo l’idillio dura poco.

A quanto pare i giornalisti che non sono riusciti a presenziare alla conferenza, sono stati mandati tutti sotto casa mia!

Il palazzo è praticamente accerchiato e io e Hana siamo costretti a scendere e ad attraversare schiere e schiere di reporter, facendoci spazio.

Quando lasciamo la macchina, vorrei tenergli la mano ma è già tanto che i fotografi ci stiano immortalando mentre scendiamo dalla stessa auto per andare nella stessa casa.

So che i flash delle macchine fotografiche possono accecare e che i giornalisti possano risultare “invadenti”, per questo non stacco mai gli occhi da Hanamichi.

Di solito è poco controllato nelle reazioni. Non sia mai venisse immortalata anche una delle sue risse!

Per fortuna, tira dritto e abbassa lo sguardo.

So come ci si sente, quasi come se si venisse violati nell’intimo.

Non posso fare altro che guardarlo e dispiacermi.

Nel tragitto, lo tampinano di domande: «Cosa ne sarà ora di suo figlio?», «Sua moglie sapeva della sua omosessualità?», «Il suo è stato un matrimonio di copertura?»,

«È grazie a Rukawa se ora gioca nei Bulls?».

Domande a cui ho già risposto e che probabilmente continueranno a fargli fin quando questa storia non verrà relegata a giornaletti di quart’ordine.

Appena riesco a chiuderci il portone di ingresso alle spalle, lo guardo appoggiarsi esausto contro di esso.

Non riesco in alcun modo a placare i sensi di colpa: Hanamichi si trova in questa situazione per colpa mia. È stata la mia notorietà a rovinare la sua reputazione e quella della sua famiglia!

So che io e lui non abbiamo ammazzato nessuno ma tra noi c’è pur sempre una relazione extraconiugale e omosessuale.

Hanamichi, poi, non aveva mai rivelato a nessuno di essere stato con un uomo prima d’ora.

– Mi spiace. – gli dico e lui mi sorride forzatamente.

– Andrà meglio, non potrà che andar meglio. – mi risponde speranzoso, avvicinandosi e appoggiando la sua fronte contro la mia.

I giorni a seguire non si rivelano migliori, anzi sono durissimi per noi.

Hanamichi non riesce a mettersi in contatto con Yohei. Il suo telefono continua a squillare invano. Credo che non risponda semplicemente perché si trova in presenza di Sakura ma l’idiota non vuole saperne.

Per fortuna riesco a convincerlo a non chiamare casa sua in Giappone!

Non è pronto per sentire quello che l’ormai ex moglie ha da dirgli né tantomeno sarà pronta lei a parlargli.

Hanamichi, per quanto si dica forte, è molto fragile quando si vanno a puntellare i suoi sentimenti.

A complicare maggiormente la situazione ci si mette pure Akira Sendoh.

Da qualche anno, l’ex giocatore del Ryonan ha lasciato il Giappone per tentare – finora senza risultati – la carriera sportiva negli Stati Uniti. Attualmente fa l’avvocato in Europa e, ogni tanto, in America.

È venuto spesso a farmi visita sia per ringraziarmi dell’aiuto che gli ho dato nel disbrigo di alcune faccende burocratiche sia perché è innamorato di me da tempi immemori. Inutile nascondercelo

Hanamichi conosceva – più che conosceva, intuiva – già dal liceo i sentimenti di Akira per me ma non credo abbia mai saputo che io e lui siamo rimasti in contatto in questi anni. E la cosa, temo, non gli farà affatto piacere.

Per la precisione, Akira bussa alla mia porta in uno di quei giorni in cui Yohei non risponde al telefono.

Non so come abbia fatto a eludere la sorveglianza della mia guardia del corpo né come sia riuscito a superare la folla di giornalisti stipati sotto il palazzo. Non so neanche come facciano gli altri condomini! Fatto sta che ci è, a mio malincuore, riuscito.

– Si può sapere che ci fai qui? – gli dico a bassa voce. Hanamichi, dopo svariate ore trascorse al telefono, è appena riuscito a prendere sonno.

– Così si accolgono gli amici? Non ci vediamo da due mesi!

– Potevamo non vederci ancora per un po’, la situazione non è proprio adatta…

– Ti riferisci alla folla che si trova sotto al tuo palazzo? Si può sapere cosa è successo? – mi chiede.

Ma è impazzito? Dove ha vissuto finora?

– Akira, non sai niente? – gli chiedo sbigottito.

– Cosa dovrei sapere? Sono tornato ieri da Bruxelles…

Ora mi spiego tante cose. Ma non ho il tempo di dargli spiegazioni. Deve andarsene prima che Hanamichi lo veda. Non è il momento per lui di affrontare altri problemi!

Neanche il tempo di buttare Sendoh fuori di casa che mi trovo un Hanamichi mezzo addormentato di fronte.

– Cos’è questo frastuono, volpe?

– E lui che ci fa qui? – mi domanda Sendoh appena lo vede.

Ok, sono finito.

– Io che ci faccio qui? Tu, piuttosto, depravato di un porcospino? – se ne esce Hanamichi con parole che ci fanno piombare dritti al periodo in cui avevamo sedici anni.

– Calma, sediamoci sul divano e parliamone. – mi tocca intervenire. Ci manca solo di dover sedare una rissa nel mio salotto!

– Lo sapevo che ci saresti tornato insieme! – borbotta Sendoh al mio indirizzo mentre si accomoda sulla poltrona.

Hanamichi invece mi si avvicina e già anticipa i guai in cui finirò: «Se solo scopro che lo frequentavi, – mi minaccia – ti spello vivo». Poi si siede di fianco a me, di fronte a Sendoh.

– Mi sa che faccio prima a farti vedere queste. – dico, rivolto ad Akira, e gli tiro fuori le riviste che ritraggono il bacio tra me e Hanamichi in palestra, immortalato con qualsiasi tipo di filtro e zoom.

Lui le sfoglia in silenzio, sotto lo sguardo torvo di Hana.

– Ma tu non eri sposato? Sempre a rovinare i piani altrui… – dice Akira senza staccare gli occhi dai giornali. Probabilmente si riferisce a possibili mire nei miei confronti.

– Oh, ma di cosa stai parlando? – subito si altera Hanamichi, alzandosi in piedi – Torna nel buco oscuro in cui ti trovavi e non darci più fastidio!

– Ma di cosa stai parlando tu, brutto scimmione? – sorride ironico Sendoh – Io questa casa la frequento abitualmente, sei tu la new entry!

Hanamichi si volta immediatamente verso di me e biascica: «Hai due secondi per negare, poi giuro che ti spacco la faccia!».

– È venuto da me dopo il suo trasferimento, voleva una mano. Nient’altro! – mi trovo a giustificarmi, anche se non dovrei nemmeno farlo. Cioè, in questi cinque anni, nella sua concezione malata, cosa avrei dovuto fare? Rintanarmi in casa e non rivolgere la parola nemmeno al barbone del quartiere?

– Non puoi farmi questo dopo quello che io ho fatto per te. Dannazione, ho abbondato mia moglie, mio figlio, la mia casa! – grida come un matto e comincia a sbracciare, sovrastandomi con la sua altezza.

– Idiota, non ci sono andato mica a letto! Ha semplicemente bussato alla mia porta e gli ho aperto.

– Non mi interessa! – insiste il genio degli idioti – Se in questi anni non hai sentito me, non dovevi sentire nemmeno lui!

– Ti ho detto che non l’ho sentito! – ripeto, allontanandolo da me – È venuto a bussare alla mia porta. Se fossi venuto tu, credi che non ti avrei aperto?

– Ma che potevo saperne di dove vivevi! – alza ancora di più la voce.

– Bastava chiamare la mia squadra per conoscere l’indirizzo. C’è arrivato persino Sendoh! – gli rispondo – Ma forse tu eri troppo impegnato nei preparativi delle nozze…

Io e Hanamichi stiamo costruendo le basi per la terza guerra mondiale quando interviene Sendoh: «Hey, hey, hey! – dice, mettendosi tra noi – Non è il momento per litigare, piuttosto spiegatemi dal principio…».

Hanamichi si posiziona di nuovo sul divano e tiene il muso e le braccia conserte. Io intanto spiego ad Akira l’avvicendarsi degli eventi.

– Avete già chiamato un avvocato? – chiede Sendoh. In effetti ha ragione, non ci avevo ancora pensato…

– A cosa ci servirebbe un avvocato? – si mette sulla difensiva l’idiota, non avendo ancora compreso a pieno la portata della vicenda.

– Tua moglie ne avrà contattato uno. – gli spiega subito Akira – Sicuramente chiederà la custodia esclusiva del bambino.

– Non conosci Sakura, non ne sarebbe mai capace! – gli risponde Hanamichi e io, per quanto sia consapevole della stupidità della sua affermazione, mi ritrovo a essere geloso della fiducia che ancora ripone in quella donna.

Inestricabilmente legato… anche a lei.

– L’hai tradita, hai abbandonato il tetto coniugale e l’hai sputtanata a livello mondiale. Come minimo chiederà la revoca della tua patria potestà!

– Potresti aiutarci tu… – mi trovo a pensare ad alta voce. Mi meraviglio di non esserci arrivato prima!

– Che cavolo dici? Come potrebbe aiutarci Sendoh? – sbraita nuovamente Hanamichi.

– Avvocato Sendoh, per la precisione. – dice il diretto interessato e, come sempre, sorride.
 
 
 
 
– No Kaede, non se ne parla! – ormai Hanamichi non fa che ripetere questo da ore.

– Ma perché? Guarda che Sendoh è un bravissimo avvocato, lavora spesso in Europa e…

– Me ne fotto dell’Europa! – Niente, non mi fa parlare.

– Ok, hai alternative?

– Te lo ripeto, non ho bisogno di un avvocato.

Se non lo amassi, giuro che rinuncerei. In fondo, cosa potrebbe importarmene della custodia di quel moccioso?

Di certo, non avrei la pazienza di crescerlo. Nemmeno di vederlo girare per il mio appartamento, a dir la verità.

Ma ovviamente non posso fregarmene! In questi giorni l’ho visto consumarsi solo perché non è riuscito a mettersi in contatto con sua moglie. Se lei gli impedisse di vedere il piccolo Kaede, ne morirebbe.

– Possiamo chiedere un consulto a Sendoh in modo preventivo. Se poi tua moglie si mostra aperta nei tuoi confronti, lasciamo stare… – provo a giocarmi quest’ultima carta.

– Ma con tanti avvocati proprio Sendoh?

– Te lo ripeto, Akira è bravo nel suo campo e conosce la nostra storia, conosce noi…

– Questo più che un pro, mi pare un contro. Vorrei sapere perché diamine l’hai fatto entrare in casa tua! – ed ecco che ricomincia…

– Per la tua testa distorta, cosa avrei dovuto fare in questi anni? Sprangarmi in casa?

– Tutti, potevi fare entrare tutti ma non Sendoh! Quello ci prova spudoratamente e lo ha fatto anche stasera!

So che Hanamichi ha ragione. Lo sapevo ai tempi del liceo e l’ho saputo quando Akira ha bussato alla mia porta qualche anno fa.

So anche, però, che Hanamichi non è nel ruolo di potermi rivolgere queste parole.

– Pure se ci fossi andato a letto, avrei la coscienza pulita… – gli dico baldanzoso, giocandomi la faccia. Infatti, parte diretto il suo pugno.

Mi massaggio la mandibola. Ormai ci sono abituato: mi ha fatto molto più male in passato. I suoi pugni, da quando ci siamo baciati per la prima volta, non sono più stati veri pugni.

– Non azzardarti neanche a pensare una cosa del genere! – mi intima con voce bassa e cadenzata.

La gelosia di Hanamichi a volte raggiunge livelli patologici. Non solo pretende che in cinque anni non abbia fatto sesso, pretende pure che io non abbia mai pensato di fare sesso…

– Guarda che sono un uomo anche io. Cosa pensi? Che in questi anni non mi sia nemmeno masturbato?

– Non me ne frega un cazzo se ti sei fatto qualche sega. L’importante è che non pensassi a lui, chiaro?

– Dunque, un bacio con un altro uomo, lo capiresti… – mi trovo a dirgli. Ho bisogno di tastare il terreno per capire una sua eventuale reazione.

Hanamichi, però, serra la mascella e mi guarda fisso. Lo sento nervoso a distanza e, senza che nemmeno dica niente, capisco che no, non accetterebbe nemmeno un bacio. Ed è assurdo che il mio fidanzatino del liceo, sposato, con prole e che non si è fatto sentire per cinque anni (sì, perché non si è fatto sentire nemmeno lui!), abbia queste pretese…

– Tu sei mio! – mi risponde sprezzante. Ma è necessario che lo metta al corrente di cosa realmente è accaduto e che capisca che io sono una persona libera e che sono stato tale anche in questi anni.

– Io ti ho detto che non ho fatto sesso con nessun altro ma non ti ho detto che non ho baciato nessuno… – cerco di specificare.

Hanamichi si fa nuovamente vicino e mi intrappola contro il muro.

– Chi? – mi chiede ringhiando.

– Anche Akira, la sera del tuo addio al celibato… – gli confesso. Si è trattato di uno stupido bacio dato in un momento di totale follia ma deve saperlo. Voglio che lo sappia e che sappia che io non sono dipendente da lui!

Purtroppo, non ho neanche il tempo di finire la frase che Hanamichi mi suona un ceffone tale da farmi voltare completamente il capo.

Quando mi giro verso di lui, vedo che prende la giacca poggiata sul divano ed esce.

Dovrei preoccuparmi che possa perdersi in questa grande città a lui sconosciuta, che i giornalisti appostati sotto casa lo tampinino di domande, che lui non torni più da me ma mi preme di più che capisca…

Io non sono più il sedicenne che ha scoperto il sesso con lui, esattamente come lui non è più il sedicenne di allora. Se io ho accettato un matrimonio e un figlio, lui deve accettare un mio momento di debolezza vissuto, per giunta, in una delle sere più brutte della mia vita.
 
 
 
 
Hanamichi torna a casa solo a sera inoltrata.

Decido di tirarmela un po’. Stavolta tocca a me indossare il muso duro.

– Tornato con la coda tra le gambe? – gli chiedo, guardandolo ironico. Ma la passeggiata non l’ha aiutato a schiarirsi le idee: Hanamichi mi squadra con uno sguardo truce, manco avessi commesso un omicidio.

– C’è poco da ridere, Kaede. Su questa cosa non ci passo sopra. – dice e fa sul serio!

– Ricapitolando: io devo passare sul tuo matrimonio e su tuo figlio mentre tu non puoi dimenticare un bacio. Eh sì, un rapporto equo! – provo a ironizzare, anche se so bene che sarà inutile. Hanamichi su certe cose è peggio di un mulo.

– Non sono io quello che è andato via per realizzare il suo sogno, non sono io quello che è scomparso per cinque anni!

Lo ascolto e penso che mi rinfaccerà questa storia per sempre. E già ne ho le scatole piene!

– E tu questi cinque anni non potevi farti sentire? Non potevi cercarmi? – mi alzo dal divano su cui ero seduto e lo raggiungo. Gli parlo piano, voglio che capisca bene che ci sono stati sbagli da entrambi le parti; ne va del nostro rapporto!

– Tu mi avevi detto di aspettarti!

– E mi hai aspettato? – gli domando ancora con il tono del genitore che spiega al figlio cosa ha sbagliato.

– No, non si può aspettare un fantasma! – Hanamichi urla, fregandosene completamente del mio intento rappacificatore. Lo sapevo: ragionare con un testone come lui è del tutto inutile!

– Ti sei risposto da solo. – gli rispondo e mi allontano di nuovo verso il divano. Non ho più voglia di perdere tempo.

– In che senso? – Hanamichi mi ferma, prendendomi per le spalle.

– Semplice, nemmeno io potevo aspettare un uomo che stava festeggiando il suo addio al celibato! – mi sembra tutto così ovvio. Com’è possibile che non capisca?

Io ho baciato un’altra persona quando lui stava per diventare padre. Cioè, il giorno dopo si sarebbe SPOSATO!

– E con tutti proprio Sendoh? Guarda caso si è presentato da te il giorno del mio addio al celibato, sicuramente una coincidenza!

– Eh sì, aveva premeditato tutto pur non sapendo niente di noi due né tantomeno del tuo matrimonio… – Quasi come vincere la lotteria!

– Voglio sapere com’è successo! – Hanamichi non riesce a darsi pace. E io che ancora gli rispondo!

Torno nuovamente sul mio vecchio, amato divano alla ricerca di una rivista sportiva. Devo ignorarlo: ne va della mia dignità e, soprattutto, della mia sanità mentale.

Devo comportarmi come se al suo posto ci fosse una pietra alta un metro e novanta.

Lui, però, non ne vuole sapere di lasciarmi stare. Si avvicina ancora per togliermi il giornale dalle mani e bloccarmi con i polsi contro la spalliera.

Lo fisso negli occhi con sfida, voglio proprio vedere dove arriva la sua idiozia!

– Fin dove si è spinto quell’animale? Ti ha toccato?

– Tu devi essere pazzo! – cerco di divincolarmi ma la sua presa è ferrea. È sempre stato più forte di me ma non l’ha mai avuta vinta, non gliel’ho mai data vinta, soprattutto quando la gelosia gli fa perdere lucidità.

– Dimmi la verità, sei innamorato di lui? Per questo vuoi che mi faccia da avvocato!

– Ma che cazzo dici!? – a quest’ennesima stronzata, mi arrabbio al punto tale da riuscire a spintonarlo via.

Mi alzo dal divano per mettere più distanza possibile tra me e le sue scemenze. Il deficiente però mi raggiunge e mi sbatte con il petto contro la parete, tenendomi fermo il braccio dietro la schiena.

– Ci sei andato a letto? Voglio saperlo! – insiste l’idiota.

Giuro, mi trovo in una situazione in cui non so se ridere o piangere!

Quante volte mi ha già posto questa domanda da quando ci siamo rivisti?

Di quante altre rassicurazioni avrà bisogno?

– Cretino, la vuoi finire di dire cazzate?

Lui però passa da un tipo di violenza a un’altra: prende a baciarmi sul collo, a toccarmi il petto, a sbottonarmi i jeans.

Provo a divincolarmi: non perché non voglia stare con lui ma semplicemente perché non posso permettergli determinate libertà.

Io avrò fatto degli errori ma gli errori ci sono stati da ambo le parti.

Non posso scontare gli ultimi cinque anni solo io!

– Lasciami stare – lo allontano da me, furente – non così! – gli dico, guardandolo freddo in viso.

Ovviamente Hanamichi non si lascia minimamente condizionare, anzi la sua furia diventa incontrollata. Mi trascina per il braccio fino in camera e mi butta sul letto.

Senza tanti complimenti si spoglia e si butta su di me, provando a togliermi quei pochi vestiti che ormai mi ha lasciato.

Io cerco di liberarmi, di guardarlo con astio ma sentirlo vicino a me, così desideroso di me, mi fa completamente perdere il cervello.

Quante volte in passato ci è capitato di far l’amore così?

Per mettere a posto situazioni inconciliabili, per riprenderci quello che è nostro (io e lui), per farci male e scoprire che non ne siamo capaci, che quello che facciamo insieme, ogni cosa, è imprescindibilmente un atto d’amore.

Prendiamo a baciarci come dei forsennati e, se prima cercavo di allontanarlo, mi ritrovo nel giro di qualche minuto, sopra di lui, a seguire i movimenti del suo bacino.

– Dimmi che posso farlo solo io! – mi intima mentre si muove piano dentro di me.

– Guardami! – gli dico. Lui mi fissa confuso. Avvicino i nostri visi per parlargli bocca contro bocca – Io sono un uomo esattamente come te!

– Lo so – sussurra, baciandomi le labbra – purtroppo lo so! – e capisco che ha capito cosa intendo.

Qua non si tratta di essere “uomini” in senso di genere, quanto in senso di “persone”: persone umane che sbagliano, come sto sbagliando io ora concedendogli tutto.

Quando mi rilasso, appoggiando il capo sulle sue spalle, cerco di averla almeno vinta almeno su una cosa.

– È stato solo uno stupido bacio. – gli sussurro.

Lui mi stringe forte a sé, come se temesse una mia fuga.

– Fidati di me – continuo a parlargli, guardandolo negli occhi.

– È inutile, tanto già so quello che vuoi e la risposta è no.

Non quella sera ma l’indomani mattina, chiamiamo Sendoh.

Avevamo scelto il nostro avvocato.

 
   
 
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