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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    20/04/2009    3 recensioni
"Notte buia, senza luna né stelle. Nuvole oscure gravide di pioggia lambivano il cielo notturno. Il deposito ferroviario di South City era immerso nel buio e nel silenzio. Rottami metallici formavano grossi ammassi sparsi disordinatamente qua e là, vecchi tranci arrugginiti di rotaie buttati alla rinfusa sul terreno duro e ghiaioso. Vecchi vagoni ormai in disuso stavano ribaltati e semi distrutti qua e là, i vetri distrutti. Un ombra scivolava silenziosamente tra i rottami, nascondendosi e mimetizzandosi nel buio: era una figura agile e snella; un pallido raggio di luna, sbucato dalle nubi nere, lo illuminò per un istante, mostrando una fluente capigliatura mora e due profondi occhi di un lucente viola, in mano teneva una pistola, era solo un ragazzo." SALVE! Shun è tornata!! Beh, coloro che hanno seguito una mia vecchia fic sanno che mi era spiaciuto molto quando la conclusi. Ecco, ora la sottoscritta si è imbarcata in una nuova avventura! BACK TO THE EXPRESS è il ricominciare del viaggio, del nostro viaggio. Del viaggio dell’AMESTRIS EXPRESS. Questa storia è dedicata a colei che mi ha fatto sorridere, che ha approvato la nascita di questo seguito, che ha dato l’input per la storia. È dedicata a SHIKADANCE. È solo merito suo se questa storia ha visto la luce. Beh, che dire, divertitevi e godetevi questo nuovo viaggio!!! UN BACIO SHUN EPILOGO ONLINE!!! PRESTO, UN CAPITOLETTO SPECIALE!!!
Genere: Romantico, Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Envy, Nuovo personaggio, Roy Mustang, Un pò tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 11

KIMI MONOGATARI

 

“Ed, mi passi il pane?”

“Ecco!!”

“Envy-chan, sei un cuoco formidabile!! Kain, saresti da sposare!!”

“Ma dai, Lust-chan.. non dirmi così, mi metti in imbarazzo.”.

 

L’Amestris Express si era fermato presso una stazione di rifornimento abbandonata lungo la via dell’Ovest così da permettere anche a Greed e Pride di stare con gli altri.

 

Ed erano lì, seduti attorno al tavolo, a ridere e scherzare, parlando del più e del meno, i visi finalmente distesi e fiduciosi, malgrado la stanchezza e i graffi.

 

I tre gemelli sedevano al lato più estremo della tavolata, i due maschi che facevano chiasso col fratellino, mentre la sorella rideva alle battute di Jean; il resto della truppa faceva onore al capolaoro culinario che era lo stufato di Envy e Kain, mentre Maes, seduto dall’altro lato della mensa, cercava di strappare al migiore amico i dettagli dell’accaduto.

 

Per tutta risposta, un Roy decisamente seccato, schioccò le dita, mancandolo per un pelo: “E la prossima volta non sarò così clemente!” ghignò sadico il Comandante; “Però, signore, dovrebbe comunque raccontare ai suoi uomini ciò che le è accaduto, anche perchè, se dovrete affrontare il tenente Archer, dovranno sapere ciò che li aspetta.” affermò Eric, prendendo la parola per la prima volta quella sera.

 

“Non.. preoccuparti.. chomp.. chomp... ne parliamo dopo! Ora godiamoci la cena!” esclamò Breda, con le labbra sporche di sugo.

 

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“Ora però devi spiegarci tutto, Royuccio!” esclamò allegro Mes, una volta terminata la cena e dopo aver sparecchiato.

 

L’interpellato annuì e, tenendo Edward sulle gambe, si guardò attorno, incrociando lo sguardo di Eric, che annuì: “D’accordo, vi racconterò ogni cosa.” affermò, raccogliendo le idee per qualche istante, “Per raggiungervi, Eric mi ha aiutato a scappare, abbiamo attraversato la brughera a ovest e la pianura.” cominciò il militare.

 

Riza poggiò i gomiti sul tavolo: “Perchè lo hai aiutato? Dopotutto sei uno degli uomini di Archer.” chiese lei, seria.

 

Il ragazzo spostò lo sguardo sulla tenente: “Perchè io non sono uno dei suoi fedeli cagnolini, io mi sono arruolato per crcare l’unica persona più simile a un padre che abbia mai avuto, non sono nè mai sarò un suo tirapiedi.” rispose impassibile, guadagnandosi l’attenzione di tutti.

 

Come già era accaduto a Roy e Edward, gli occhi del ragazzo colpirono molto i militari, così vuoti e tristi.

 

“Voglio chiedervi scusa per l’agguato al canyon, non volevo farvi del male, ma dovevo avvicinare il Fullmetal Alchemist senza che mi scoprissero, altrimenti non sarei riuscito a far fuggire Mustang-sama.” aggiunse il ventenne; Hughes si alzò: “ma non hai una famiglia? Qualcuno che si occupi di te?” chiese il moro, levandosi gli occhiali.

 

Il bruno scosse il capo: “Mia madre e mio zio, ma non voglio annoiarvi con la storia della mia vita.”; Jean si accese una sigaretta: “Non preoccuparti, la notte è lunga. Forza, comincia, magari possiamo aiutarti, è il minimo per quello che hai fatto.” affermò il biondo.

 

Il ragazzo guardò attorno con aria confusa, poi scrollò il capo con un sospiro: “D’accordo, ma mettetevi comodi, sarà una lunga storia.”.

 

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“Sono di Central City, mia madre conobbe mio padre molto giovane, ma io non lo ho mai conosciuto, perhè ci abbandonò quando scoprì che mia madre era rimasta incinta. Crebbi con la mamma, che mi tirò su da sola, e mio zio, il fratello della mamma, che fu come un padre per me. Ero molto piccolo, sì, ma ero felice, malgrado tutto; volevo molto bene allo zio e volevo intraprendere la carriera militare per seguire le sue orme, era il mio punto di riferimento, il mio eroe. Ma poi, un giorno, lui e la mamma litigarono.” narrò Eric.

 

“Perchè?” chiese Vato sorpreso, “Lo zio non aveva mai perdonato a papà di averci abbandonato e voleva cercarlo per obbligarlo a prendersi le sue responsabilità, ma mamma non voleva, diceva che ormai non aveva più nulla a che fare con noi. E litigarono violentemente. Tre giorni dopo, ci trasferimmo a East City, dove restai sino a due anni fa. Una volta raggiunti i diciotto, mi arruolai, volevo ritrovare lo zio e farli riappacificare; ci affidarono però ad Archer, che ci portò via come elementi da addestrare come forza speciale di difesa, così almeno diceva lui, ma erano solo bugie. Ci hanno dati per dispersi nella grande battaglia dell’Est, ma non abbiamo mai messo piede sul campo di battaglia.” spiegò Eric, lo sguardo triste e nostalgico.

 

Nel vagone c’era un grande silenzio carico di attesa e domande.

 

“ Ho sentito parlare della vostra lotta contro Bradley, della morte del Fullmetal Alchemist e del suo ritorno, Archer era furioso, voleva vendetta; quando mi ordinò di prendere il comando della squadra per bloccarvi, io decisi di reagire, non volevo più avere a che fare con lui, e così, aiutai il Fuhrer a scappare. Ecco, questa è la mia storia.” affermò con tono malinconico il ragazzo.

 

Hughes gli cinse le spalle con un braccio: “E tuo zio? Hai saputo cosa gli sia successo?” chiese, stranamente agitato, “Purtroppo no. Una volta a East City, chiesi ad alcuni superiori, ma non ricordandomi il nome, non mi hanno potuto aiutare, e poi, forse è morto a Ishbar, mi sembra che sarebbe dovuto partire giusto dopo la litigata...” singhiozzò lui, “Scusate, mi fa male parlarne..” sussurrò, chinando la testa e cominciando a piangere.

 

Alle tristi parole di Eric, il Team si zittì cupo, soprattutto Roy e Riza, sapevano bene quello che significava perdere amici, compagni e anche familiari sul campo di battaglia, avevano passato l’adolescenza a Ishbar, e le ferite, a distanza di anni, continuavano a fare male.

 

No, non le ferite del corpo, le cicatrici erano ormai guarite da tempo, ma le ferite dell’animo, quelle non si sarebbero mai rimarginate, avevano lasciato il loro cuore coi feriti e i morti, il ricordo di quel massacro non sarebbe mai svanito.

 

Edward non disse nulla, lui e Eric erano molto simili, anche lui era orfano, dopotutto, e sapeva cosa voleva dire quella sensazione di solitudine, si rivedeva in quello sguardo vuoto, e portava anche lui nello spirito le tracce della guerra, capiva bene quello che stavano provando: strinse le braccia attorno alla vita del compagno.

 

Riza si alzò, guardando con affetto il bruno: “Su, non pensiamoci più, ormai è passato. Ascolta, alcuni di noi erano di stanza a Ishbar in quel periodo, magari lo abbiamo anche conosciuto, hai qualche elemento che ci permetta di aiutarti? Che so, un soprannome, anche il cognome va bene.” chiese accondiscente lei, guardando alternativamente ora Roy ora il tenente colonnello.

 

Eric si asciugò le lacrime e i suoi occhi si riempirono di nuova speranza: “Il nome non lo ricordo, ero troppo piccino, ma io porto lo stesso cognome della mamma, che è anche quello dello zio.” rispose; Maes sgranò gli occhi, sentiva lo stomaco in subbuglio, il cuore gli batteva forte. A Roy non sfuggì lo strano comportamento dell’amico e intuì al volo ciò che stava per accadere, “Come si chiama tua madre?” intervenne Edward, sporgendosi sul tavolo.

 

Eric sorrise triste: “Saori, Saori Hughes.”.

 

Un silenzio sbigottito cadde nella sala da pranzo, tutti erano increduli e guardavano il ventenne con aria stupefatta.

 

A quella reazione, il ragazzo fu preso dal panico; si ritrasse all’indietro, gli occhi spalancati; “Ho detto qualcosa che non va?” chiese agitato, ma un cenno del Fuhrer lo bloccò, “No, non preoccuparti... Maes...” aggiunse con un sorriso tremulo.

 

L’amico annuì debolmente, e frugò febbrilmente tra le pieghe del colletto della divisa, traendo fuori una sottile catenella d’oro che splendeva alla luce delle lampade: era un ciondolo a forma di stella, alla chiara luminescenza risaltava l’incisione in rilievo sulla superficie.

 

“SAORI E MAES HUGHES”

 

Il bruno ebbe un sussulto e passò le dita sulla lucida superficie metallica; da sotto il colletto trasse un sacchetto vermiglio di velluto e ne trasse un ciondolo identico, mettendolo accanto all’altro: “La mamma, non ti ha mai dimenticato... quando mi arruolai, me lo diede come portafortuna.” mormorò commosso, sentendo le lacrime scivolare piano dagli occhi verdi come il mare.

 

Roy finalmente capì, quegli occhi erano uguali a quelli del suo migliore amico.

 

Hughes gli passò una mano sulla guancia calda per asciugargliela, anche lui piangeva: “ora capisco... Tu sei il piccolo Erii... vi ho cercato tanto, mi siete mancati..” disse con voce rotta, prima di abbracciarlo forte.

 

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Un’ora dopo, erano di nuovo in viaggio e l’Amestris Express correva veloce lungo la pianura.

 

“Dovremmo arrivare all’alba, noi abbiamo tagliato per il bosco, quindi ci abbiamo messo meno tempo ma passando per la ferrovia ci vuole di più” aveva spiegato Eric, quando Greed e Pride gli avevano chiesto delucidazioni sul percorso da seguire; ora, i tre erano spariti nella locomotiva e il resto del gruppo si preparava per andare a riposare.

 

“Envy-chan, ti dispiacerebbe trasferirti?” chiese Lust, con un pacco di lenzuoli e coperte tra le braccia, “No, certo. Chiederò a Havoc se mi ospita da lui!” esclamò allegro il ragazzo, già con la sua borsa sottobraccio, “Sapevo che mi avresti capito, fratellino. Buonanotte!” lo salutò la ragazza, sparendo nella stanza che divideva con Riza.

 

Il ragazzo entrò nello scomparto del tenente e lanciò la borsa sul pavimento: “il vostro superiore mi ha sfrattato, chiedo ospitalità!” rise lui.

I due occupanti stavano giocando a scacchi: “Fa pure, ti aspettavamo.” replicò Breda, muovendo un pedone e mangiando la regina dell’amico, “Scacco matto.”.

 

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Edward stava sdraiato sul letto, già in pigiama, raggomitolato con le ginocchia al petto, gli occhi socchiusi e il respiro leggero; lo scomparto era immerso nella semioscurità, c’era solo una lampada accesa sul comodino.

Il ragazzo si era addormentato, un tremulo sorriso gli illuminava il viso pallido e stanco.

 

In quel momento, la porta del piccolo bagno si aprì e Roy, vestito con una tuta nera, entrò nella piccola stanza, asciugandosi energicamente i capelli appena lavati con un canovaccio: “Ed, sei qui?” interloquì sottovoce, trovandosi davanti il biondino profondamente addormentato; senza dire nulla, il Comandante spense la luce, si sdraiò accanto a lui e coprì entrambi con una calda trapunta per poi stringere le braccia attorno alla sua vita.

 

Per tutta risposta, il ragazzo si mosse e aprì pigramente un occhio: “Dormi, non sarà uno scherzo affrontare Archer.” affermò il moro, “Quel bastardo si pentirà di avermi sfidato..” rise Edward tra gli sbadigli, abbracciandolo a sua volta.

 

I due si addormentarono.

 

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Con uno sbadiglio, Kain mise la testa nel corridoio, tendendo un orecchio, gli era parso di udire delle risate provenire dalla biblioteca.

 

Guardò l’ora, era a malapena l’alba, chi era in piedi oltre a lui?

 

Con la tazza del caffè in mano, uscì, muovendo qualche passo verso la lucida porta rossa poco lontano, aveva ragione: le risate provenivano da lì dentro.

 

Senza tante cerimonie, spalancò la porta: “Chi c’è qui?” chiese.

 

Su un pavimento ingombro di carte e mappe, c’erano Envy, Ed e Eric, intenti a giocare a carte.

 

“Ciao Kain! Vuoi unirti a noi?” propose il detective.

Il sergente maggiore li guardò stupefatto, la tazza ancora tra le mani; un istante dopo scoppiò in una sonora risata: “D’accordo ragazzi, ma vi avverto, quando vincerò, non lamentatevi!!” affermò sornione, poggiandola sul basso tavolino alla sua destra e accomodandosi sul tappeto.

 

In breve, i quattro giovani furono assorbiti interamente dalla sfida a carte, tra le imprecazioni un poco colorite di Edward quando sbagliava, le battute di Envy, le litigate scherzose tra i due.

 

“EVVIVA!! UN ALTRO PUNTO!!” esultò Eric, battendo il cinque con Kain; Edward sbuffò seccato: “Uffa, non è giusto!!” brontolò, incrociando le braccia al petto e buttando le carte per terra.

 

Il biondo mise su un adorabile broncio, come se fosse stato un bimbo a cui un ragazzo più grande ha preso il giocattolo o a cui la madre non vuole comprare il gelato.

 

Envy gli cinse le spalle con il braccio: “Su, non sei un bambino, dovresti anche saper perdere!” esclamò l’investigatore sorridendo; per tutta risposta, Acciaio si volse verso di lui, il viso mortalmente serio.

Lo prese per il bavero del pigiama, guardandolo fisso negli occhi: “Chi sarebbe il mocciosetto? Questa me la paghi Envy-chan!!! Oh, se me la paghi!!!” sbottò, scagliandosi sull’amico con un urlo belluino.

 

I due cominciarono a rotolarsi sul tappeto, ingaggiando una lotta amichevole, come due cuccioli che si litigando un osso, tra le risate di Kain; “Ehi, ma non dovremmo fermarli?” fece Eric, intimorito da quello scatto, “Non preoccuparti, scherzano! Non si fanno nulla!” lo rassicurò Kain.

 

“Tu sei il mocciosetto!!” continuò il moretto, bloccandolo a terra per i polsi, “M-O-C-C-I-O-S-E-T-T-O!!” sillabò lentamente il coetaneo, un ghignetto sadico dipinto sul viso pallido.

 

“AH SI!!?? ADESSO IL MOCCIOSETTO SI PRENDE UNA BELLA RIVINCITA!!!” urlò il biondo, afferrando un cuscino dal divano e alzandosi in piedi: “BANZAI!!” urlò, scagliandosi sull’amico e prendendolo a cuscinate.

I due continuarono la loro lotta imperterriti.

 

Erano talmente presi dalla loro sfida che nessuno dei quattro si accorse di due sagome sulla soglia della porta, coperte dalla tenda rossa che celava l’ingresso, poggiati mollemente contro la parete: “Sono due bambini…” asserì Hughes, infilando le mani in tasca, “e gli altri due non son da meno, visto che si godono lo spettacolo.” Rise divertito Roy, guardando con dolcezza i quattro elementi più giovani di quel loro gruppo godersi spensierati quei momenti di serenità.

 

Il Comandante si era preoccupato molto, non trovando il giovane amante accanto a sé al risveglio, non capiva dove fosse.

Uscito in fretta, si era incontrato, o meglio scontrato, con un Maes che veniva dalla parte opposta, anche lui alla ricerca di qualcuno.

 

Nella fattispecie, di Eric.

Quando però li avevano trovati, tutta l’ansia era scemata nel vederli così tranquilli e allegri, era uno spettacolo davvero bello a vedersi.

 

Maes sospirò e scoccò uno sguardo addolcito al proprio migliore amico, sorrideva: “Forza! Andiamo a far colazione, quando avranno fame, ci raggiungeranno.”

 

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Sotto una pioggia battente e un forte vento, mentre il cielo si riempiva rapidamente di cupe nubi, l’Amestris si fermò a ridosso di una fitta brughiera.

 

Era circa mezzogiorno.

 

“Ecco, siamo arrivati, oltre quegli alberi c’è l’accesso alle prigioni sotterranee.” affermò Eric, affacciandosi dal finestrino.

 

Roy annuì e si mise gli stivaletti.

 

Si era cambiato poco dopo colazione, e aveva indossato una divisa pulita tra quelle che aveva portato dietro Jean.

 

La squadra era pronta a partire.

Edward sospirò: “Ok, io vado allora.” Affermò il biondo, già sulla soglia della porta, pronto a scendere, “Voi aspettatemi qui, torno presto.” aggiunse il ragazzo; Riza afferrò una pistola e gliela lanciò al volo, “Prendila, ti servirà. Vedi di tornare tutto intero, d’accordo?” lo rimbeccò lei, seduta sul divanetto con Hayate in grembo.

 

Ed soppesò l’arma tra le dita, li fissò con un sorriso e la mise nella fondina: “Certo! Massimo un’ora e sono di nuovo qui! A dopo!” esclamò e si gettò fuori dal treno.

Si stava ormai avviando verso la cupa brughiera quando una voce divertita lo richiamò: “Non scordi nulla, mame-chan?” lo sfotté quella irritante vocina; lui si voltò, trovandosi davanti Roy, sportosi dal finestrino, tra le mani, teneva una giacca, “Mettiti questa, se non vuoi ammalarti.” disse, squadrando con occhio critico la sua canotta nera e i suoi pantaloni di pelle; senza attendere una risposta, gliela lanciò.

 

Acciaio la afferrò al volo indossandola, era piuttosto pesante.

 

“Non sperare che ti ringrazi, colonnello di merda.” soffiò il più giovane, incamminandosi nel folto della foresta.

 

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Quel luogo era cupo e spaventoso.

Buio, nonostante fosse giorno avanzato, la scarsa luce impediva a Edward di avere un quadro completo della zona; camminava lentamente, la pistola saldamente in mano e pronta a far fuoco.

 

Quel posto non gli piaceva per niente.

 

Sentiva puzza di trappola lontano un miglio.

 

“è da un pezzo che cammino, mi sembra strano che non ci siano guardie..” sussurrò tra sé e sé, stringendo maggiormente il calcio dell’arma.

 

Fruscii e strani rumori attorno a lui contribuivano a renderlo più nervoso.

 

Improvvisamente, da dietro una grossa quercia, saltò fuori una sagoma buia, che gli sbarrò la strada, gli puntava addosso una pistola a canna lunga.

 

“Ma bene, allora il moccioso si è salvato!” esclamò con tono cattivo, “Ma non per molto.” sogghignò.

 

Fu un attimo e nella foresta risuonarono due spari.

 

SERA!!!

Come? Sono cattiva?

LO SO!!

E certo, perché secondo voi non mi sarei fermata??

Eh no, cari miei!

Visto che il prossimo sarà l’ultimo capitolo, o almeno penso, voglio farvi penare fino all’ultimo!!

Carogna una volta, carogna per sempre!!

 

RINGRAZIO DI CUORE MAMECHAN11, FLY89 E LIRY-CHAN!!!

RINGRAZIO ANCHE LA MIA TSUKICHAN PER L’AIUTO E TUTTI COLORO CHE HANNO SOLO LETTO.

 

UN BACIONE

SHUN

   
 
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