CAPITOLO
11
KIMI
MONOGATARI
“Ed, mi passi il pane?”
“Ecco!!”
“Envy-chan, sei un cuoco formidabile!! Kain, saresti da
sposare!!”
“Ma dai, Lust-chan.. non dirmi così, mi metti in
imbarazzo.”.
L’Amestris Express si era fermato presso una stazione di
rifornimento abbandonata lungo la via dell’Ovest così da permettere anche a
Greed e Pride di stare con gli altri.
Ed erano lì, seduti attorno al tavolo, a ridere e scherzare,
parlando del più e del meno, i visi finalmente distesi e fiduciosi, malgrado la
stanchezza e i graffi.
I tre gemelli sedevano al lato più estremo della tavolata, i due
maschi che facevano chiasso col fratellino, mentre la sorella rideva alle
battute di Jean; il resto della truppa faceva onore al capolaoro culinario che
era lo stufato di Envy e Kain, mentre Maes, seduto dall’altro lato della mensa,
cercava di strappare al migiore amico i dettagli
dell’accaduto.
Per tutta risposta, un Roy decisamente seccato, schioccò le dita,
mancandolo per un pelo: “E la prossima volta non sarò così clemente!” ghignò
sadico il Comandante; “Però, signore, dovrebbe comunque raccontare ai suoi
uomini ciò che le è accaduto, anche perchè, se dovrete affrontare il tenente
Archer, dovranno sapere ciò che li aspetta.” affermò Eric, prendendo la parola
per la prima volta quella sera.
“Non.. preoccuparti.. chomp.. chomp... ne parliamo dopo! Ora
godiamoci la cena!” esclamò Breda, con le labbra sporche di
sugo.
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“Ora però devi spiegarci tutto, Royuccio!” esclamò allegro Mes,
una volta terminata la cena e dopo aver
sparecchiato.
L’interpellato annuì e, tenendo Edward sulle gambe, si guardò
attorno, incrociando lo sguardo di Eric, che annuì: “D’accordo, vi racconterò
ogni cosa.” affermò, raccogliendo le idee per qualche istante, “Per
raggiungervi, Eric mi ha aiutato a scappare, abbiamo attraversato la brughera a
ovest e la pianura.” cominciò il militare.
Riza poggiò i gomiti sul tavolo: “Perchè lo hai aiutato? Dopotutto
sei uno degli uomini di Archer.” chiese lei,
seria.
Il ragazzo spostò lo sguardo sulla tenente: “Perchè io non sono
uno dei suoi fedeli cagnolini, io mi sono arruolato per crcare l’unica persona
più simile a un padre che abbia mai avuto, non sono nè mai sarò un suo
tirapiedi.” rispose impassibile, guadagnandosi l’attenzione di
tutti.
Come già era accaduto a Roy e Edward, gli occhi del ragazzo
colpirono molto i militari, così vuoti e
tristi.
“Voglio chiedervi scusa per l’agguato al canyon, non volevo farvi
del male, ma dovevo avvicinare il Fullmetal Alchemist senza che mi scoprissero,
altrimenti non sarei riuscito a far fuggire Mustang-sama.” aggiunse il ventenne;
Hughes si alzò: “ma non hai una famiglia? Qualcuno che si occupi di te?” chiese
il moro, levandosi gli occhiali.
Il bruno scosse il capo: “Mia madre e mio zio, ma non voglio
annoiarvi con la storia della mia vita.”; Jean si accese una sigaretta: “Non
preoccuparti, la notte è lunga. Forza, comincia, magari possiamo aiutarti, è il
minimo per quello che hai fatto.” affermò il
biondo.
Il ragazzo guardò attorno con aria confusa, poi scrollò il capo
con un sospiro: “D’accordo, ma mettetevi comodi, sarà una lunga
storia.”.
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“Sono di Central City, mia madre conobbe mio padre molto giovane,
ma io non lo ho mai conosciuto, perhè ci abbandonò quando scoprì che mia madre
era rimasta incinta. Crebbi con la mamma, che mi tirò su da sola, e mio zio, il
fratello della mamma, che fu come un padre per me. Ero molto piccolo, sì, ma ero
felice, malgrado tutto; volevo molto bene allo zio e volevo intraprendere la
carriera militare per seguire le sue orme, era il mio punto di riferimento, il
mio eroe. Ma poi, un giorno, lui e la mamma litigarono.” narrò
Eric.
“Perchè?” chiese Vato sorpreso, “Lo zio non aveva mai perdonato a
papà di averci abbandonato e voleva cercarlo per obbligarlo a prendersi le sue
responsabilità, ma mamma non voleva, diceva che ormai non aveva più nulla a che
fare con noi. E litigarono violentemente. Tre giorni dopo, ci trasferimmo a East
City, dove restai sino a due anni fa. Una volta raggiunti i diciotto, mi
arruolai, volevo ritrovare lo zio e farli riappacificare; ci affidarono però ad
Archer, che ci portò via come elementi da addestrare come forza speciale di
difesa, così almeno diceva lui, ma erano solo bugie. Ci hanno dati per dispersi
nella grande battaglia dell’Est, ma non abbiamo mai messo piede sul campo di
battaglia.” spiegò Eric, lo sguardo triste e
nostalgico.
Nel vagone c’era un grande silenzio carico di attesa e
domande.
“ Ho sentito parlare della vostra lotta contro Bradley, della
morte del Fullmetal Alchemist e del suo ritorno, Archer era furioso, voleva
vendetta; quando mi ordinò di prendere il comando della squadra per bloccarvi,
io decisi di reagire, non volevo più avere a che fare con lui, e così, aiutai il
Fuhrer a scappare. Ecco, questa è la mia storia.” affermò con tono malinconico
il ragazzo.
Hughes gli cinse le spalle con un braccio: “E tuo zio? Hai saputo
cosa gli sia successo?” chiese, stranamente agitato, “Purtroppo no. Una volta a
East City, chiesi ad alcuni superiori, ma non ricordandomi il nome, non mi hanno
potuto aiutare, e poi, forse è morto a Ishbar, mi sembra che sarebbe dovuto
partire giusto dopo la litigata...” singhiozzò lui, “Scusate, mi fa male
parlarne..” sussurrò, chinando la testa e cominciando a
piangere.
Alle tristi parole di Eric, il Team si zittì cupo, soprattutto Roy
e Riza, sapevano bene quello che significava perdere amici, compagni e anche
familiari sul campo di battaglia, avevano passato l’adolescenza a Ishbar, e le
ferite, a distanza di anni, continuavano a fare
male.
No, non le ferite del corpo, le cicatrici erano ormai guarite da
tempo, ma le ferite dell’animo, quelle non si sarebbero mai rimarginate, avevano
lasciato il loro cuore coi feriti e i morti, il ricordo di quel massacro non
sarebbe mai svanito.
Edward non disse nulla, lui e Eric erano molto simili, anche lui
era orfano, dopotutto, e sapeva cosa voleva dire quella sensazione di
solitudine, si rivedeva in quello sguardo vuoto, e portava anche lui nello
spirito le tracce della guerra, capiva bene quello che stavano provando: strinse
le braccia attorno alla vita del compagno.
Riza si alzò, guardando con affetto il bruno: “Su, non pensiamoci
più, ormai è passato. Ascolta, alcuni di noi erano di stanza a Ishbar in quel
periodo, magari lo abbiamo anche conosciuto, hai qualche elemento che ci
permetta di aiutarti? Che so, un soprannome, anche il cognome va bene.” chiese
accondiscente lei, guardando alternativamente ora Roy ora il tenente
colonnello.
Eric si asciugò le lacrime e i suoi occhi si riempirono di nuova
speranza: “Il nome non lo ricordo, ero troppo piccino, ma io porto lo stesso
cognome della mamma, che è anche quello dello zio.” rispose; Maes sgranò gli
occhi, sentiva lo stomaco in subbuglio, il cuore gli batteva forte. A Roy non
sfuggì lo strano comportamento dell’amico e intuì al volo ciò che stava per
accadere, “Come si chiama tua madre?” intervenne Edward, sporgendosi sul
tavolo.
Eric sorrise triste: “Saori, Saori
Hughes.”.
Un silenzio sbigottito cadde nella sala da pranzo, tutti erano
increduli e guardavano il ventenne con aria
stupefatta.
A quella reazione, il ragazzo fu preso dal panico; si ritrasse
all’indietro, gli occhi spalancati; “Ho detto qualcosa che non va?” chiese
agitato, ma un cenno del Fuhrer lo bloccò, “No, non preoccuparti... Maes...”
aggiunse con un sorriso tremulo.
L’amico annuì debolmente, e frugò febbrilmente tra le pieghe del
colletto della divisa, traendo fuori una sottile catenella d’oro che splendeva
alla luce delle lampade: era un ciondolo a forma di stella, alla chiara
luminescenza risaltava l’incisione in rilievo sulla
superficie.
“SAORI E MAES HUGHES”
Il bruno ebbe un sussulto e passò le dita sulla lucida superficie
metallica; da sotto il colletto trasse un sacchetto vermiglio di velluto e ne
trasse un ciondolo identico, mettendolo accanto all’altro: “La mamma, non ti ha
mai dimenticato... quando mi arruolai, me lo diede come portafortuna.” mormorò
commosso, sentendo le lacrime scivolare piano dagli occhi verdi come il
mare.
Roy finalmente capì, quegli occhi erano uguali a quelli del suo
migliore amico.
Hughes gli passò una mano sulla guancia calda per asciugargliela,
anche lui piangeva: “ora capisco... Tu sei il piccolo Erii... vi ho cercato
tanto, mi siete mancati..” disse con voce rotta, prima di abbracciarlo
forte.
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Un’ora dopo, erano di nuovo in viaggio e l’Amestris Express
correva veloce lungo la pianura.
“Dovremmo arrivare all’alba, noi abbiamo tagliato per il bosco,
quindi ci abbiamo messo meno tempo ma passando per la ferrovia ci vuole di più”
aveva spiegato Eric, quando Greed e Pride gli avevano chiesto delucidazioni sul
percorso da seguire; ora, i tre erano spariti nella locomotiva e il resto del
gruppo si preparava per andare a riposare.
“Envy-chan, ti dispiacerebbe trasferirti?” chiese Lust, con un
pacco di lenzuoli e coperte tra le braccia, “No, certo. Chiederò a Havoc se mi
ospita da lui!” esclamò allegro il ragazzo, già con la sua borsa sottobraccio,
“Sapevo che mi avresti capito, fratellino. Buonanotte!” lo salutò la ragazza,
sparendo nella stanza che divideva con Riza.
Il ragazzo entrò nello scomparto del tenente e lanciò la borsa sul
pavimento: “il vostro superiore mi ha sfrattato, chiedo ospitalità!” rise
lui.
I due occupanti stavano giocando a scacchi: “Fa pure, ti
aspettavamo.” replicò Breda, muovendo un pedone e mangiando la regina
dell’amico, “Scacco matto.”.
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Edward stava sdraiato sul letto, già in pigiama, raggomitolato con
le ginocchia al petto, gli occhi socchiusi e il respiro leggero; lo scomparto
era immerso nella semioscurità, c’era solo una lampada accesa sul
comodino.
Il ragazzo si era addormentato, un tremulo sorriso gli illuminava
il viso pallido e stanco.
In quel momento, la porta del piccolo bagno si aprì e Roy, vestito
con una tuta nera, entrò nella piccola stanza, asciugandosi energicamente i
capelli appena lavati con un canovaccio: “Ed, sei qui?” interloquì sottovoce,
trovandosi davanti il biondino profondamente addormentato; senza dire nulla, il
Comandante spense la luce, si sdraiò accanto a lui e coprì entrambi con una
calda trapunta per poi stringere le braccia attorno alla sua
vita.
Per tutta risposta, il ragazzo si mosse e aprì pigramente un
occhio: “Dormi, non sarà uno scherzo affrontare Archer.” affermò il moro, “Quel
bastardo si pentirà di avermi sfidato..” rise Edward tra gli sbadigli,
abbracciandolo a sua volta.
I due si addormentarono.
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Con uno sbadiglio, Kain mise la testa nel corridoio, tendendo un
orecchio, gli era parso di udire delle risate provenire dalla
biblioteca.
Guardò l’ora, era a malapena l’alba, chi era in piedi oltre a
lui?
Con la tazza del caffè in mano, uscì, muovendo qualche passo verso
la lucida porta rossa poco lontano, aveva ragione: le risate provenivano da lì
dentro.
Senza tante cerimonie, spalancò la porta: “Chi c’è qui?”
chiese.
Su un pavimento ingombro di carte e mappe, c’erano Envy, Ed e
Eric, intenti a giocare a carte.
“Ciao Kain! Vuoi unirti a noi?” propose il
detective.
Il sergente maggiore li guardò stupefatto, la tazza ancora tra le
mani; un istante dopo scoppiò in una sonora risata: “D’accordo ragazzi, ma vi
avverto, quando vincerò, non lamentatevi!!” affermò sornione, poggiandola sul
basso tavolino alla sua destra e accomodandosi sul
tappeto.
In breve, i quattro giovani furono assorbiti interamente dalla
sfida a carte, tra le imprecazioni un poco colorite di Edward quando sbagliava,
le battute di Envy, le litigate scherzose tra i
due.
“EVVIVA!! UN ALTRO PUNTO!!” esultò Eric, battendo il cinque con
Kain; Edward sbuffò seccato: “Uffa, non è giusto!!” brontolò, incrociando le
braccia al petto e buttando le carte per terra.
Il biondo mise su un adorabile broncio, come se fosse stato un
bimbo a cui un ragazzo più grande ha preso il giocattolo o a cui la madre non
vuole comprare il gelato.
Envy gli cinse le spalle con il braccio: “Su, non sei un bambino,
dovresti anche saper perdere!” esclamò l’investigatore sorridendo; per tutta
risposta, Acciaio si volse verso di lui, il viso mortalmente
serio.
Lo prese per il bavero del pigiama, guardandolo fisso negli occhi:
“Chi sarebbe il mocciosetto? Questa me la paghi Envy-chan!!! Oh, se me la
paghi!!!” sbottò, scagliandosi sull’amico con un urlo
belluino.
I due cominciarono a rotolarsi sul tappeto, ingaggiando una lotta
amichevole, come due cuccioli che si litigando un osso, tra le risate di Kain;
“Ehi, ma non dovremmo fermarli?” fece Eric, intimorito da quello scatto, “Non
preoccuparti, scherzano! Non si fanno nulla!” lo rassicurò
Kain.
“Tu sei il mocciosetto!!” continuò il moretto, bloccandolo a terra
per i polsi, “M-O-C-C-I-O-S-E-T-T-O!!” sillabò lentamente il coetaneo, un
ghignetto sadico dipinto sul viso pallido.
“AH SI!!?? ADESSO IL MOCCIOSETTO SI PRENDE UNA BELLA RIVINCITA!!!”
urlò il biondo, afferrando un cuscino dal divano e alzandosi in piedi:
“BANZAI!!” urlò, scagliandosi sull’amico e prendendolo a
cuscinate.
I due continuarono la loro lotta
imperterriti.
Erano talmente presi dalla loro sfida che nessuno dei quattro si
accorse di due sagome sulla soglia della porta, coperte dalla tenda rossa che
celava l’ingresso, poggiati mollemente contro la parete: “Sono due bambini…”
asserì Hughes, infilando le mani in tasca, “e gli altri due non son da meno,
visto che si godono lo spettacolo.” Rise divertito Roy, guardando con dolcezza i
quattro elementi più giovani di quel loro gruppo godersi spensierati quei
momenti di serenità.
Il Comandante si era preoccupato molto, non trovando il giovane
amante accanto a sé al risveglio, non capiva dove
fosse.
Uscito in fretta, si era incontrato, o meglio scontrato, con un
Maes che veniva dalla parte opposta, anche lui alla ricerca di
qualcuno.
Nella fattispecie, di Eric.
Quando però li avevano trovati, tutta l’ansia era scemata nel
vederli così tranquilli e allegri, era uno spettacolo davvero bello a
vedersi.
Maes sospirò e scoccò uno sguardo addolcito al proprio migliore
amico, sorrideva: “Forza! Andiamo a far colazione, quando avranno fame, ci
raggiungeranno.”
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Sotto una pioggia battente e un forte vento, mentre il cielo si
riempiva rapidamente di cupe nubi, l’Amestris si fermò a ridosso di una fitta
brughiera.
Era circa mezzogiorno.
“Ecco, siamo arrivati, oltre quegli alberi c’è l’accesso alle
prigioni sotterranee.” affermò Eric, affacciandosi dal
finestrino.
Roy annuì e si mise gli
stivaletti.
Si era cambiato poco dopo colazione, e aveva indossato una divisa
pulita tra quelle che aveva portato dietro
Jean.
La squadra era pronta a partire.
Edward sospirò: “Ok, io vado allora.” Affermò il biondo, già sulla
soglia della porta, pronto a scendere, “Voi aspettatemi qui, torno presto.”
aggiunse il ragazzo; Riza afferrò una pistola e gliela lanciò al volo,
“Prendila, ti servirà. Vedi di tornare tutto intero, d’accordo?” lo rimbeccò
lei, seduta sul divanetto con Hayate in grembo.
Ed soppesò l’arma tra le dita, li fissò con un sorriso e la mise
nella fondina: “Certo! Massimo un’ora e sono di nuovo qui! A dopo!” esclamò e si
gettò fuori dal treno.
Si stava ormai avviando verso la cupa brughiera quando una voce
divertita lo richiamò: “Non scordi nulla, mame-chan?” lo sfotté quella irritante
vocina; lui si voltò, trovandosi davanti Roy, sportosi dal finestrino, tra le
mani, teneva una giacca, “Mettiti questa, se non vuoi ammalarti.” disse,
squadrando con occhio critico la sua canotta nera e i suoi pantaloni di pelle;
senza attendere una risposta, gliela lanciò.
Acciaio la afferrò al volo indossandola, era piuttosto
pesante.
“Non sperare che ti ringrazi, colonnello di merda.” soffiò il più
giovane, incamminandosi nel folto della
foresta.
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Quel luogo era cupo e spaventoso.
Buio, nonostante fosse giorno avanzato, la scarsa luce impediva a
Edward di avere un quadro completo della zona; camminava lentamente, la pistola
saldamente in mano e pronta a far fuoco.
Quel posto non gli piaceva per
niente.
Sentiva puzza di trappola lontano un
miglio.
“è da un pezzo che cammino, mi sembra strano che non ci siano
guardie..” sussurrò tra sé e sé, stringendo maggiormente il calcio
dell’arma.
Fruscii e strani rumori attorno a lui contribuivano a renderlo più
nervoso.
Improvvisamente, da dietro una grossa quercia, saltò fuori una
sagoma buia, che gli sbarrò la strada, gli puntava addosso una pistola a canna
lunga.
“Ma bene, allora il moccioso si è salvato!” esclamò con tono
cattivo, “Ma non per molto.” sogghignò.
Fu un attimo e nella foresta risuonarono due
spari.
SERA!!!
Come?
Sono cattiva?
LO
SO!!
E
certo, perché secondo voi non mi sarei fermata??
Eh
no, cari miei!
Visto
che il prossimo sarà l’ultimo capitolo, o almeno penso, voglio farvi penare fino
all’ultimo!!
Carogna
una volta, carogna per sempre!!
RINGRAZIO
DI CUORE MAMECHAN11, FLY89 E LIRY-CHAN!!!
RINGRAZIO
ANCHE LA MIA TSUKICHAN PER L’AIUTO E TUTTI COLORO CHE HANNO SOLO
LETTO.
UN
BACIONE
SHUN