Buon
pomeriggio a tutti, lettori e lettrici di EFP!
Eccomi
qui, dopo una assenza di più di due settimane! Spero che
l'attesa
valga questo capitolo, anche se ce l'avevo pronto da un po' purtroppo
non avevo proprio il tempo materiale per postare il nuovo capitolo,
quindi ho dovuto per forza rimandare.
Comunque
sia, sono molto felice di notare come stia piacendo questa storia
nata come un semplice passatempo che prevedeva poco impegno, anche se
mi sto già affezionando ai vari personaggi!
Ringrazio
quindi le varie persone che hanno deciso di mettere la storia tra
preferiti/seguiti (è davvero importante per me!) e anche
coloro che
commentano i capitoli! Vi ringrazio davvero per il tempo speso, e
auspico dei commenti anche per questa volta, ma comunque vada grazie
anche solo per la lettura!
Detto
ciò, vi lascio alla lettura e vi avviso che sono
già alla stesura
del prossimo!
Un
abbraccio,
~Sapphire_
~It's too cliché
Capitolo tre
Tom
stava, come al solito, aspettando Aaron.
La
situazione iniziava veramente a pesargli in quell'ultimo periodo
–
non tanto perché non fosse abituato al ritardo cronico del
suo
migliore amico, ma perché in quegli ultimi giorni sembrava
star
peggiorando in maniera preoccupante.
Era
seduto al solito tavolo di quel piccolo locale etnico, quello posto
poco più in là dell'entrata, a destra; osservava
da circa un quarto
d'ora il piccolo vaso di fiori posto al centro del tavolo –
fiori
per cosa poi? Mica lui e Aaron erano una coppia – e conosceva
a
memoria quella cavolo di rosa rossa; quello stelo lungo e sottile,
segnato da appena due spine appuntite, i petali leggermente ricurvi e
tinti di un rosso sangue, alcune gocce d'acqua che li imperlavano.
Ora
mi alzo e me ne vado,
pensò un
attimo. Ma non l'avrebbe fatto. Avrebbe aspettato come suo solito,
per poi, all'arrivo di Aaron, insultarlo per sfogare la rabbia;
avrebbe ascoltato le sue scuse pigolate e, dopo essersi passato una
mano sul viso, strofinandosela esausto, avrebbe lasciato perdere come
suo solito.
In
fondo era quello che succedeva ogni santissima volta.
Mentre
attendeva che l'amico arrivasse ripensò vago a quello che
era
successo tre giorni prima: l'arrivo stranamente puntuale di Aaron e
la mancata assenza di quella April.
Non
aveva detto all'amico come mai non vedesse l'ora che quelle tizie
arrivassero, e d'altronde Aaron non gliela aveva più
chiesto, in
quanto i vari momenti dopo era stato troppo occupato a calmarsi
–
cavolo, due ragazze erano sedute al loro stesso tavolo e Gwen stava
cercando di fare conversazione con lui! - quindi aveva lasciato
cadere il discorso.
Era
andato anche il giorno dopo e quello dopo ancora da Starbucks,
insieme ad Aaron ovviamente, nella speranza che quelle tre venissero
e quindi April provocasse un attacco di cuore all'amico. Ma niente.
Le tre non si erano fatte più vedere in quel posto e Tom in
qualche
modo credeva di esserne il colpevole.
Si
era reso conto di piacere a Gwen e anche di aver fatto domande su
domande a proposito di April, facendo quindi supporre un interesse
nei suoi confronti. Forse aveva fatto ingelosire Gwen che aveva
preferito non far mettere più piede alle amiche in quel
Starbucks e
probabilmente aveva considerato che, per evitare figure imbarazzanti,
sarebbe stato meglio evitare lei stessa quel luogo. Ovviamente erano
tutte supposizioni, ma ne era abbastanza sicuro, aveva sempre avuto
un certo intuito.
Tom
era deluso, contando che non sapeva neanche come ritrovarle.
Sospirò,
stiracchiando i muscoli irrigiditi dalla posizione.
Mentre
si guardava attorno, cercando con lo sguardo Aaron – che
ovviamente
non era ancora arrivato – i suoi occhi furono però
attirati da
un'altra figura: una ragazza che camminava rapida tra i tavoli con
difficoltà sui suoi tacchi dodici, con corti capelli biondi
e un
paio di occhiali rossi.
«April!»
Tom
urlò involontario, attirando lo sguardo di altre persone ma
soprattutto della ragazza, che volse lo sguardo nella sua direzione.
Notando
come fosse in dubbio se avvicinarsi o meno, Tom le fece cenno di
venire.
«Ehi»
borbottò incerta April, camminando in modo talmente lento
che
sembrava volesse scappare da lì.
Il
sorriso di Tom si incrinò un poco notandolo, ma fece finta
di
niente.
«Ehi!
Come mai qui?» domandò vivace.
Quasi
non ci credeva: nel momento in cui aveva perso la speranza, ecco che
una scintilla compariva tra la cenere.
«Cibo
d'asporto» disse solo la ragazza, facendo dondolare una busta
di
fronte a lui con un cenno. Tom annuì.
«Sei
da sola? Perché se è così puoi sederti
con me» iniziò; notando
come la ragazza fosse sbiancata alla proposta, precisò
«Cioè, deve
venire un mio amico. Possiamo cenare tutti e tre insieme se
vuoi»
A
quelle parole April sembrò riprendere un po' di colore,
facendo
sperare Tom.
Accetta
dai, così potrò fare uno scherzetto ad Aaron,
pensò.
Ma
April fece un cenno di diniego con la testa.
«Mi
spiace, ma non posso, una mia amica mi sta aspettando» fece
con tono
di scuse.
Tom
fece una smorfia.
«Beh
dai, allora perché non mi tieni compagnia fino all'arrivo
del mio
amico?» insistette. April fece un passo indietro, con una
faccia
indecisa.
«Non
credo sia il caso. Devo tornare urgentemente a casa, mi sta
aspettando» replicò.
In
uno scatto, Tom l'agguantò per il braccio, facendo
immobilizzare
April.
«Per
favore» sussurrò, con il tono più
suadente che riuscì a fare.
Vide
chiaramente April sciogliersi a quelle parole, un vago sorriso che
spuntava sulle sua labbra tinte di rossetto. Poi però
ridiventò
seria di botto e si scostò con forza.
«Mi
dispiace, ma devo proprio andare» disse con fermezza. Sul
volto di
Tom si dipinse un'espressione delusa.
«Proprio
non puoi?» continuò, cercando di esercitare il
proprio lato tenero.
April tentennò un poco.
«No
davvero. Non insistere. Scusa ma devo scappare, ciao!» e
senza
dargli tempo di replicare sfuggì dal tavolo, da lui, e dal
locale
stesso, praticamente precipitandosi fuori per scomparire
definitivamente.
Un
minuto dopo, Aaron entrava.
«Ehi!
Scusa il ritardo, ma sono solo venti minuti questa volta eh?»
fece
con tono scherzoso Aaron, sorridendo forzato.
Tom
alzò lo sguardo con l'odio che bruciava al suo interno.
Un'altra
occasione sprecata.
«Ti
uccido»
«Finalmente,
iniziavo a pensare ti avessero rapita»
May
si rivolse così all'amica, girando la testa dal divano su
cui era
appollaiata e osservando April che, tra le nuvole, si levava le
scarpe cercando di non cadere.
«Tutto
bene?» domandò, giocherellando con una ciocca di
capelli castani.
April parve notarla solo in quel momento.
«Eh?
Sì, sì. Tutto a meraviglia» rispose un
po' stralunata.
May
la guardò assottigliando gli occhi: i capelli scompigliati
come se
ci avesse passato più volte la mano, lo smalto nelle unghie
leggermente mangiucchiato e il rossetto quasi scomparso, segno che si
era morsa più volte le labbra.
«Non
sembra» replicò. Poi si girò di nuovo
verso la tv, facendo finta
di nulla «Ma se non vuoi parlarmene fai come vuoi»
continuò
facendo l'offesa.
Subito
sentì April che si lanciava sul divano, la busta sempre
stretta tra
le mani.
«No,
dai, non fare così! Stavo solo pensando a una
cosa» si scusò
mugolante la bionda.
Cede
sempre.
«E
cosa?» indagò. April si morse il labbro, mentre
cercava di prendere
tempo aprendo la busta con il cibo e iniziando a sistemarlo sul
tavolino davanti al divano. May, osservandola, non poteva fare altro
che attendere paziente.
Vide
April lanciarle un veloce sguardo con la coda dell'occhio, come per
vedere se stesse sempre aspettando, ma ovviamente May continuava a
mantenere lo sguardo puntato su di lei.
Alla
fine la bionda sbuffò e, dopo aver finito di sistemare la
cena, si
sedette con poca grazia sul divano, incrociando le gambe e tirandosi
su gli occhiali che le erano scivolati sul naso.
«Hai
presente Tom, quello di cui ti ho raccontato l'ultima volta?»
mugugnò. May annuì.
«L'ho
rivisto prima, al ristorante, era seduto a un tavolo e stava
aspettando un amico»
«E...?»
la spronò May.
April
scrollò lo spalle.
«Io
non lo stavo neanche vedendo, è stato lui a chiamarmi! Mi ha
fatto
cenno di avvicinarmi e sembrava così esaltato nel trovarmi
lì, mi
stavo addirittura spaventando. Mi ha pure proposto di rimanere
lì a
cena, ma io gli ho spiegato che non potevo, che tu mi aspettavi e
sono fuggita via» spiegò la ragazza.
May,
alzandosi dal divano per andare a prendere le posate, le
lanciò una
veloce occhiata.
«Potrebbe
essere interessato a te, che c'è di male? Piuttosto,
perché non
arrivi al punto e mi dici cosa ti preoccupa realmente di tutto
questo?» chiese con un mezzo sorriso, già intuendo
la risposta.
April
gonfiò le guance come una bambina.
«Lo
sai perfettamente. Magari ci sta provando, magari io gli do corda,
magari Gwen mi ammazza perché gli ho soffiato il
ragazzo» borbottò
seguendo con lo sguardo l'amica che tornava rapida con le posate.
May
rise ascoltando l'amica che si mostrava così preoccupata,
quando
invece con i ragazzi finiva sempre per essere spregiudicata e
accattivante.
«Non
ridere, scema! Non voglio che a lavoro il clima si faccia difficile,
poi mi deconcentrerei e non riuscirei a lavorare bene»
continuò a
mugugnare la bionda.
«Ma
che ti importa? È un posto di lavoro, non una festa in cui
si deve
andare d'accordo per forza con tutti. Inoltre sapevi già che
il
clima si sarebbe fatto teso alla fine dello stage, se è per
quello o
per un ragazzo che ti importa? Se ti piace, lascia perdere
Gwen»
tagliò corto May, iniziando a mangiare.
«Ma
non lo conosco nemmeno! E poi non so, ho paura che mi molli dopo una
notte come fanno tutti...» piagnucolò.
«Questo
è perché sono gli uomini sono tutti degli idioti
superficiali che
non riescono a vedere oltre un paio di tette e un bel culo»
rispose
ironica «Tranne Adam, ovviamente. Ma lui è
speciale» puntualizzò
con un rapido sorriso innamorato.
«Comunque,
se non te la senti e preferisci mantenere un buon rapporto con questa
Gwen, lascia perdere il tizio»
«Credo
che farò così» le diede ragione April,
iniziando a mangiare anche
lei.
May
sorrise tra sé, vedendola più tranquilla.
Afferrò il telecomando.
«Beh,
allora, che si guarda oggi?»
Il
tipico e familiare trillo dell'ascensore colse Aaron mentre era
leggermente sovrappensiero e si riscosse vedendo le porte che si
aprivano per farlo passare. Attraversò il corridoio dalla
moquette
blu scuro sapendo alla perfezione dove andare e fermandosi di fronte
a una porta precisa, uguale a tutte le altre, bianca e con una
targhetta dorata che segnava il numero 309.
Suonò
il campanello con insistenza mentre faceva dondolare distratto un
pacco dove spiccava chiara la scritta Starbucks.
Dopo
un paio di minuti, numerosi scampanellii e vaghe imprecazioni che
giungevano da dietro la porta, quest'ultima si aprì di
scatto dando
così la possibilità al giovane rosso di osservare
Tom che, come al
solito, gli lanciava occhiate di fuoco.
«Mi
spieghi che problemi hai tu?» lo apostrofò
irritato il moro.
Aaron
gli sorrise candido, avanzando e costringendo l'altro a spostarsi di
lato, poi appoggiò con nonchalance la busta sopra il tavolo
dell'open-space.
«Buongiorno
anche a te stellina. Su, perché non mi fai un bel sorriso?
È un
nuovo e bellissimo giorno» tubò felice Aaron,
mentre l'amico lo
guardava preoccupato.
Ma
nella testa del ragazzo nulla poteva anche solo pensare di turbare la
bolla di felicità che si era creata da quella mattina
presto,
rendendolo su di giri ed euforico. Anzi, qualcosa c'era, ma per
fortuna non vedeva ragazze entro il suo raggio di sopportazione.
«Ma
ti sei fatto qualcosa prima di venire?» ironizzò
Tom, lasciandolo
però ben presto perdere e avvicinandosi interessato al
sacchetto di
Starbucks; ci frugò dentro, tirando fuori un pacco di
quattro donuts
e due frappuccini sui quali spiccavano degli smile.
«Ti
porto la colazione e tu mi tratti così?» rispose a
tono Aaron.
«Mi
hai svegliato nella maniera che odio di più e pretendi che
io non ti
tratti così?» continuò Tom, sedendosi
sull'isola che fungeva da
tavolo e addentando un dolce.
«Che
sarà mai, insistevo solo perché tu non ti
svegliavi» puntualizzò
il rosso, prendendo una delle due bevande e assaggiandola.
«Ti
ricordo che è domenica»
«E
che sarà mai»
«Piuttosto
perché mi hai portato la colazione? Mi fai sentire
più gay del
solito oggi» glissò direttamente Tom, consapevole
che altrimenti
sarebbero rimasti così per tutto il giorno.
Aaron
si illuminò come un albero di Natale.
«Mi
volevo solo scusare per il ritardo di ieri sera»
agitò la mano per
far cenno all'altro di non replicare – cosa che stava
già facendo
«Ma già che ci sono andiamo fuori a pranzo per
festeggiare»
terminò con un inquietante tono esaltato.
«Festeggiare?»
fece interrogativo Tom, mentre, tra un morso e l'altro, sorseggiava
il suo frappuccino.
Il
sorriso di Aaron, se possibile, si allargò ancora di
più.
«Mi
hanno telefonato un'oretta fa da lavoro. Ti ricordi la versione demo
che ho preparato da mettere online sul sito dell'azienda?»
non
attese una risposta, ovviamente Tom se la ricordava
«In
pratica ha riscosso un sacco di successo e una rivista ha chiesto di
poter intervistare il creatore» terminò con
soddisfazione.
Tom
lo guardò un poco stupito.
«Ma
dai! Complimenti amico, finalmente ti stai facendo notare
eh?»
replicò, sorridendogli e sporgendosi per dargli una pacca
sulla
spalla.
Aaron
sorrise di risposta.
«Grazie!»
«E
quando sarà questa intervista?»
«Mi
hanno detto martedì alle undici in punto, mi hanno anche
accennato
di voler scattare un paio di foto»
Tom
rise.
«Oddio,
conoscendoti vorrei proprio assistere» disse fra le risa.
Aaron
sbuffò con un'espressione infastidita, assomigliando in
tutto a un
bambino.
«Molto
divertente» bofonchiò.
Aaron,
oltre ad avere un brutto rapporto con le donne e la
puntualità,
aveva problemi anche con le macchine fotografiche: era un ciocco di
legno privo di scioltezza e finiva sempre per risultare parecchio
rigido nelle foto, con una paresi facciale al posto di un sorriso.
«Hai
intenzione di ridere ancora per molto?» borbottò
poi, notando come
l'amico non frenasse le risa.
«Ok,
ora la smetto» disse Tom alla fine, il viso arrossato e un
sorriso
ancora sul volto.
«Sai
già chi ti intervisterà?»
domandò ancora l'amico.
«Non
ricordo bene il nome, credo un certo Joel Collins o qualcosa del
genere» rispose vago, afferrando anche lui un donut e
mordendolo.
«Uh,
non una donna, peccato»
«Ci
tieni tanto a vedermi terrorizzato?»
«Beh,
è uno dei miei più grandi divertimenti»
rispose con un sorriso
mellifluo.
Aaron
si limitò a lanciargli un'occhiata truce, senza dire nulla;
subito
dopo però, gli strappò dalle mani la colazione e
lo spinse giù
dalla sedia.
«Ehi!»
«Fila
a lavarti e non farmi incazzare, altrimenti faccio pagare a te il
pranzo»
«Ah
ah, come no» cantilenò Tom, ma senza insistere
rubò l'ultimo morso
al suo dolce e corse in bagno iniziando a spogliarsi e lanciando i
vestiti dove capitava.
Aaron
sorrise divertito guardandolo.
«Ah,
guarda che ho dato il tuo numero a una tipa!» urlò
Tom già
nell'altra stanza.
Aaron
sbiancò.
«Cosa?»