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Autore: Sapphire_    26/06/2016    2 recensioni
Se una donna fissata con il rosso incontra un uomo dai capelli rossi che ha paura del sesso opposto, cosa pensate che possa succedere?
April Montgomery è quella donna, Aaron Marlowe quell'uomo, ed entrambi vivono la propria vita in quel pulsante nucleo sempre vivo di New York, che in seguito a un fortuito evento tra i due - un vero e proprio cliché - farà da sfondo anche ai loro successivi incontri.
In fondo, il modo migliore per eliminare una fobia è affrontarla, no? Forse non tutti sarebbero dello stesso avviso...
Dal testo:
«Ma sei un idiota?» furente, alzò lo sguardo verso l'idiota che le aveva appena fatto fare una figuraccia di fronte a tutti. Gli occhiali le erano scivolati sul naso e in un primo momento non vide niente, ma li tirò su e una visione la colpì.
Alto, bell'aspetto, sguardo freddo e dagli occhi scuri, piercing al labbro e un importantissimo dettaglio.
«Che bellissimi capelli rossi!»
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Buona sera a tutti!
Rieccomi qui con il secondo capitolo di questa mia nuova long!
Ok, avevo detto che il capitolo fosse già pronto e nonostante questo pubblico dopo venti giorni... Ma capitemi, tra ultime verifiche, studio pre-esame ed esame stesso sono stata parecchio occupata, e i pochi momenti liberi li ho passati a poltrire.
Nonostante ciò spero che il capitolo vi piaccia, anche se non si è ancora entrati nel vivo della storia perché ho intenzione di creare qualche situazione prima di farli effettivamente incontrare. Diciamo che sto ancora creando il “sottofondo” della storia, anche perché come forse ho già detto – o forse no, non ricordo a dire il vero – vorrei intrecciare altri personaggi nella storia e non concentrarmi solo su loro due, anche se ovviamente saranno i personaggi principali.
Non so che altro aggiungere se non che il terzo capitolo è pronto e il quarto sto per iniziarlo, anche se non so ancora quando pubblicherò il prossimo perché sono ancora piuttosto impegnata!
Finisco dicendo un enorme grazie a coloro che hanno messo la storia tra preferiti/seguiti (mi avete reso
enormemente felice) e anche a chi ha recensito! Spero di ricevere qualche commento anche questa volta, ma in caso contrario andrà bene comunque.
Adesso vi lascio al capitolo, buona lettura!

Un abbraccio,

~Sapphire_




~It's too cliché





Capitolo due

Tom in quel momento era veramente spazientito. Sentiva la rabbia partirgli dal cervello per irradiarsi in tutto il corpo, facendolo fremere e spingendolo a tamburellare nervosamente le dita sul piano liscio del tavolo dell'adorato Starbucks, dove la sua tazza di caffè era ormai fredda.
Nulla poteva calmarlo in quel momento, né gli aromi della caffetteria che solitamente lo mettevano di buonumore, tanto meno la musica alle orecchie – abbastanza bassa però per sentire il vociare in sottofondo.
L'unica cosa che – sapeva – l'avrebbe fatto calmare sarebbe stata l'improvvisa comparsa di Aaron Marlowe. Magari con una statua in suo onore in segno di scuse. O magari gli sarebbe andata bene anche solo la testa dell'amico, senza tutto il resto. Così avrebbe potuto gongolare di fronte al fatto che no, questa volta non ti perdono il ritardo.
Il cellulare si illuminò sul tavolo, iniziando a vibrare. Tom lesse sul display il nome dell'amico, lo prese con aria infastidita e trascinò la cornetta verde. Non parlò, sapeva che non ce n'era bisogno.
«Scusa scusa scusa! Davvero Tom, questa volta non è colpa mia!»
A Tom venne quasi da ridere sentendo la voce disperata dell'amico.
Oh, fai bene a disperarti, non hai la minima idea di cosa ti farò una volta che arrivi, pensò con aria sadica.
«Sì, beh, come al solito immagino» rispose sibilando sarcastico. Sentì un vago piagnucolio in sottofondo e capì che Aaron in qualche modo era veramente spaventato dal suo tono.
«Non odiarmi – davvero Tom, non farlo – però non posso venire!»
Al sentire quelle parole, la bocca di Tom si aprì in una perfetta circonferenza.
«Prego?» chiese sbalordito.
«Non è colpa mia – lo giuro! Solo che Isabel è stata male a scuola, i miei non potevano andare a prenderla e tutte le mie sorelle sono occupate – ma ci pensi? Cinque cazzo di sorelle che mi stanno sempre attorno a impicciarsi dove non devono e ora spariscono!» parlò frettoloso Aaron, facendo incazzare ancora di più Tom.
«Noi dovevamo vederci per il nostro progetto! Hai presente, brutto idiota? Quello che stiamo facendo assieme, che il nostro stronzissimo capo ci ha assegnato l'altro giorno ed è da consegnare per la prossima settimana. Quello per cui non abbiamo tempo» rispose furioso.
«Scusa!» pigolò ancora Aaron, con una vocina che mai una persona avrebbe potuto attribuire a lui.
Ma Tom non continuò ad ascoltare quelle scuse – in quel momento veramente fastidiose. Gli attaccò direttamente il telefono in faccia e lo mandò al diavolo attirandosi gli sguardi di qualche cliente lì attorno, tornato subito a farsi i fatti propri dopo l'occhiata inviperita del moro che si passava una mano tra i capelli con aria disperata.
Ciò che lo faceva incazzare non era tanto il bidone che gli aveva tirato Aaron – non era la prima volta purtroppo considerando l'amico, il suo ritardo cronico e le sue cinque sorelle sempre tra i piedi – ma che non dovevano incontrarsi per una chiacchierata tra amici, bensì per un lavoro importante!
Pensando alle urla del loro capo se non gli avessero consegnato il lavoro in tempo, Tom rabbrividì leggermente.
No Tom, non pensarci. Riuscirete a finire il progetto in tempo. Quando vi mettete assieme, tu e Aaron, siete veloci a lavorare.
Eh sì, ok, ma avevano comunque un sacco di roba da fare ancora.
«Ehi, sembri aver avuto una brutta giornata!»
Una mano gli si posò sulla spalla mentre una voce squillante lo distraeva dai suoi pensieri disperati. Alzò lo sguardo, ritrovandosi davanti una ragazza dai lunghi capelli castani e gli occhi azzurri.
«Gwen» disse solo dopo un attimo di incertezza, salvandosi in corner dato che gli stava per uscire Glenda.
No, era Gwen il nome di quella fastidiosa ragazza che da una settimana e mezzo a quella parte lo importunava ogni giorno da Starbucks.
Sorrise falso.
«Gwen, ma che sorpresa» continuò con un vago tono tetro. La ragazza gli sorrise luminosa.
«Sono venuta qui per la pausa pranzo, con le mie amiche. A proposito, loro sono Melanie e April» dicendo questo indicò le ragazze proprio dietro di lei, che lo guardavano la prima piuttosto indifferente e la seconda incuriosita – cavolo, non le aveva proprio notate.
Lanciò loro una veloce occhiata: la prima sembra abbastanza scocciata del trovarsi lì – ma come faceva? Starbucks è un posto bellissimo! - aveva dei corti capelli neri e gli occhi scuri, poco truccata e con una vaga aria da maestrina. La seconda invece era tranquilla, forse un po' euforica, ma non tanto per lui quanto di suo – sì, sembrava una tipa che si esaltava facilmente. Aveva un corto caschetto biondo, liscio, con una frangia spostata sulla fronte, e un paio di occhiali rossi, la prima cosa che si notava in lei.
«Ciao, io sono Tom» borbottò solo. Le due ragazze risposero al saluto e si sedettero insieme a Gwen, poggiando ciascuna il proprio pranzo.
«Allora, come mai oggi tutto solo? Di solito non c'è quel ragazzo insieme a te?» iniziò Gwen, cercando di fare conversazione con Tom che, del canto suo, non aveva proprio voglia di parlare ma piuttosto di picchiare qualcuno – anzi, picchiare Aaron.
«Non poteva venire» disse solo, sperando che la conversazione si chiudesse lì. Ma sapeva di essere un illuso a pensarlo soltanto.
«E quindi ora che fai?» insistette la ragazza.
Tom lanciò uno sguardo alle altre due: se Melanie rimaneva indifferente alla situazione e mangiava isolandosi da tutti – e lui la stava proprio invidiando per questo – April ascoltava i tentativi dell'amica con un sorriso divertito, molto probabilmente comprendendo che lui non avesse voglia di parlare.
Se lo capisci, idiota, aiutami.

April si divertiva un sacco osservando la scena.
Poco prima avevano iniziato la pausa pranzo dal lavoro – e ne aveva veramente bisogno. Per ora il suo compito consisteva solo nel correggere le bozze di coloro che scrivevano seri articoli, ma stava imparando tanto anche così, nonostante il suo fosse un lavoraccio. Certo, aveva il suo piccolo articoletto da scrivere ed era già tanto, ma per quella mattina aveva preferito impegnarsi sulle bozze da consegnare entro la sera.
Gwen, la sua collega di stage, aveva insistito ad andare da Starbucks e trascinarci anche lei e Melanie, l'altra collega. All'inizio non era stata molto contenta, avrebbe preferito andare al locale dove pranzava di solito e dove andava con Melanie – anche se le sembrava di andarci da sola, contando come la collega stava sempre zitta; ma appena Gwen aveva accennato a un ragazzo che voleva vedere e che era tanto carino – e aveva un amico veramente bello a quanto pare! - si era lasciata trascinare facilmente.
Si trovava bene con loro, più o meno, anche se sapeva che non sarebbero state colleghe per sempre: lo stage era per tre, quello era vero, ma alla fine ne avrebbero preso solo una di loro.
Ma fino a quel momento preferiva godersi quei momenti tranquilli, dove ancora non c'era quella forte competitività tipica dei posti del lavoro.
E per questo era lì, da Starbucks, trascinata da Gwen e osservando i suoi tentativi di fare conversazione con quel Tom che invece pareva non aver proprio voglia di parlare.
Peccato che non ci sia anche l'amico, avrei voluto vederlo, pensò vaga. Beh, almeno poteva gustarsi un siparietto divertente mentre mangiava.
«Ora niente, poco fa cercavo di rilassarmi da solo» rispose il ragazzo mentre la fissava.
Dentro di sé, April rise.
Sì, si rendeva conto che il ragazzo aveva capito come lei si stesse divertendo alle sue spalle e come anche, in qualche modo, avrebbe potuto tirarlo fuori dai pasticci, ma perché farlo?
«Beh dai, posso aiutarti io a rilassarti!» continuò Gwen, la frase vagamente equivoca che fece ridacchiare April.
Quel Tom inarcò un sopracciglio e fissò la castana senza particolare espressione, ma poi non disse niente.
«A che punto sei con le tue bozze Gwen?» intervenne April, precedendo di un secondo l'amica che stava per porre l'ennesima domanda al povero ragazzo; il tizio in questione le lanciò una vaga occhiata riconoscente.
«Sono ancora un po' indietro, stare molto al computer mi stanca gli occhi e non riesco a lavorare per troppo tempo di seguito» rispose la ragazza. April annuì.
«A proposito, hai più ritrovato il completo che avevi perso?»
April guardò l'amica, improvvisamente triste.
Già, aveva raccontato anche alle sue colleghe il triste episodio della sua lingerie e, mentre Melanie non aveva fatto altro che fare spallucce, Gwen aveva riso di gusto.
«No purtroppo. Cavolo, me la sogno ancora di notte quella fantastica lingerie! Dovevi vederla, era bellissima, con tutto quel pizzo e quel rosso così acceso» iniziò a lamentarsi.
A quelle parole però notò come Tom, che fino a quel momento pareva poco interessato al discorso delle due donne, si fosse girato all'improvviso per guardarla in maniera strana.
«Tutto a posto?» gli chiese, stranita.
«Hai perso una lingerie?» indagò il ragazzo.
April lo fissò, stupita che una cosa del genere potesse interessagli.
Magari è uno a cui piace travestirsi.
«Oh, è stato uno stupido incidente. Appena dopo averla comprata mi sono scontrata con un idiota e per sbaglio ci siamo scambiati le buste. Ora mi ritrovo con un paio di boxer che non mi servono a niente e senza il mio completino per cui ho dovuto attingere ai miei risparmi» spiegò, mantenendo il tono triste e subito dimentica della strana reazione dell'uomo.
Lui non disse nulla, la guardò e basta, mentre uno strana luce si faceva strada nei suoi occhi. Poi sorrise.
«Oh beh, doveva proprio essere un idiota» disse solo, sempre con uno strano sorriso sulle labbra.
Questo tizio è davvero strano.

Tom non ci poteva credere.
Era quella ragazza. Era quella April!
Mentre glielo raccontava quasi stentava a crederci. Certo, New York era proprio piccola se potevano accadere cose del genere.
Finalmente si trovava da solo nel suo appartamento; era appena tornato dall'azienda nella quale aveva lavorato fino alle dieci e ora si gustava un po' di meritato riposo mentre prendeva dal frigo una birra e la sorseggiava di fronte alla tv.
Se pensava che, se solo Aaron non avesse casualmente saltato l'appuntamento, si sarebbero visti...
Già rideva alla reazione dei due, ma soprattutto dell'amico. Quella April gli era sembrata una ragazza molto vivace e forse un po' invadente, ma in un modo non fastidioso, più che altro divertente. Gli piaceva come ragazza, solo che c'era un problema: una tipa come lei era quel genere che più spaventava Aaron con il tipico modo di fare acceso, civettuolo e in certi sensi esplicito. Più li immaginava assieme e più gli veniva da ridere.
Sarebbero assurdi!
Da un lato lo solleticava l'idea di dirlo subito ad Aaron, dall'altro invece preferiva aspettare per vendicarsi un po'. Gli serviva l'occasione giusta per farli incontrare quando meno Aaron se lo aspettava e fargli prendere un colpo.
Sì, sarebbe stato veramente divertente vedere la sua faccia che incontrava quella di lei, riconoscerla come colei che aveva preso i suoi boxer e “regalato” la, a quanto pare preziosa, lingerie.
Mentre finiva la birra e metteva un canale di musica per poter andare a preparare qualcosa da mangiare – c'era cibo in frigo? Quand'era l'ultima volta che aveva fatto la spesa? Cavolo! - pensava a come avrebbe fatto per la sua piccola vendetta. Perché infatti per lui si trattava di una vendetta riguardo all'ennesimo bidone che gli aveva fatto l'amico. E davvero, gliela avrebbe fatta passare se non gli si fosse presentata così l'occasione per vendicarsi.
«Allora, come potrei fare?» mormorò tra sé aprendo il frigo e notando che c'era solo un uovo. Fece una smorfia di fronte al triste scenario e decise, senza neanche aprire la dispensa, di ordinare una pizza.
Mentre afferrava il telefono per la cena continuava a pensare.
Potrei farla venire a lavoro. Posso chiederle il numero e invitarla all'azienda, giusto un salto, e gliela mostrerò ad Aaron all'improvviso. Sì, si potrebbe fare.
Interruppe l'organizzazione dei suoi piani solo un minuto, giusto per dare l'ordinazione e il suo indirizzo. Ci avrebbero messo una mezz'ora buona. Sbuffò mentre si ripeteva di essere paziente – ma aveva fame, accidenti!
Quella potrebbe essere un'opzione, oppure cos'altro potrei fare? Potrei farli incontrare da Starbucks, domani dovrebbe venire e Gwen mi stava accennando di tornare insieme alle sue amiche. Mh sì, potrei fare anche così.
Pensando questo afferrò il cellulare e scrisse rapido un messaggio ad Aaron, intimandogli di venire il giorno dopo da Starbucks all'ora di pranzo per lavorare. Un minuto dopo gli arrivò la risposta dell'amico che diceva assolutamente sì; era la risposta che si aspettava in fondo, dopo l'appuntamento mancato di quel giorno sapeva che Aaron sarebbe venuto anche morente da lui.
Sorrise divertito.
Oh, non vedo l'ora che sia domani.

Quando Aaron entrò all'interno dello Starbucks, proprio dove lo stava aspettando Tom, vide l'ultima cosa che mai si sarebbe potuto aspettare.
Credeva di trovare Tom lanciando lampi e fulmini dagli occhi, due corna sulla sua testa e una lingua biforcuta pronta a morderlo al momento giusto. Sì, un po' disgustosa come scena, ma era quello che d'altro canto meritava, considerando l'enorme pacco del giorno prima. E invece trovò qualcosa che lo fece rabbrividire ancora di più.
Tom, seduto al solito tavolo, il computer di fronte a lui spento e niente cuffie alle orecchie, sorseggiava il suo solito caffè con un sorriso angelico dipinto in faccia. Era da solo, ma sembrava che qualcuno gli avesse appena detto la cosa più bella del mondo, una notizia fantastica che l'aveva reso l'uomo più felice della terra.
Si avvicinò cauto.
«Ehi» disse piano, aspettandosi delle urla da un momento all'altro. Urla che non arrivarono.
«Aaron, amico mio! Ti aspettavo!» tubò invece felice il moro, facendogli cenno di sedersi affianco a lui. Aaron obbedì docile.
«Sei stato puntuale oggi, eh?» lo stuzzicò il moro, continuando però a sorridere. Aaron si mosse sulla sedia, a disagio, e si passò una mano tra i capelli.
«A quel proposito... Scusa ancora. Davvero, è stata una cosa all'ultimo momento, stavo già venendo quando mi ha chiamato mia madre e mi ha chiesto di andare a prendere Isy, non potevo dire di no» disse ancora a disagio. Tom fece un vago cenno con la mano.
«Ah, non preoccuparti! Non fa niente, possono capitare cose del genere» rispose tranquillo.
Aaron annuì un poco stranito, per poi guardarsi attorno.
«Ma stiamo aspettando qualcuno?» domandò poi all'improvviso. Tom gli lanciò un'occhiata di sottecchi.
«Perché me lo chiedi?»
«Beh, hai l'aria di uno che non vede l'ora che succeda qualcosa» borbottò facendo spallucce. Tom rise.
«A dire la verità sì, stiamo aspettando qualcuno»
«E chi?»
«Delle amiche» rispose il ragazzo, sogghignando. Aaron sbarrò gli occhi.
«Chi?» ripeté piano. Tom gli poggiò una mano sulla spalla con fare amichevole.
«Oh, non preoccuparti. Ti piaceranno, te lo assicuro. Specialmente una. Credo proprio che faccia per te»
Aaron impallidì.
«Tom, ne avevamo già parlato o sbaglio? Non voglio che tu mi presenti delle ragazze, potrai farlo quando te lo chiederò, ma fino a quel momento smettila. Ti ricordi cos'è successo l'ultima volta?» dicendo l'ultima frase Aaron rabbrividì.
«L'ultima volta era cinque anni fa, avevi ventun anni e un disperato bisogno di perdere la verginità. L'ho fatto per il tuo bene, fidati» rispose il moro, prendendo un sorso di caffè.
«Quindi farmi bere a tradimento fino a rendermi ubriaco, chiudermi in una stanza con una ragazza quando non ero capace né di intendere né tanto meno volere e in un momento in cui avevo gli ormoni impazziti lo chiami “farlo per il tuo bene”?» chiese, concludendo la domanda con una vaga nota isterica.
«Che sarà mai. Ti è piaciuto no? E poi quella ragazza la conoscevo, era una tipa brava, sapeva mettere a proprio agio» rispose Tom, con un tono leggermente annoiato.
«Non mi interessa se la conoscevi! Dio, Tom, ho passato una settimana facendomi tre docce al giorno per togliermi la sensazione di lei sotto di me-»
«Tu dentro di lei magari»
«-non è quello il punto cazzo!» strillò Aaron, attirandosi qualche occhiata.
«Spero davvero che tu non stia per fare di nuovo qualcosa del genere»
E il sorriso che fece Tom a quella frase pareva proprio voler dire “oh, sarà anche meglio”.
Il rosso stava per alzarsi e andarsene – perché aveva la netta sensazione che di lì a poco sarebbe successo qualcosa di veramente brutto – ma proprio in quel momento Tom lo afferrò per la camicia e lo riportò giù, guardando oltre di lui.
«Eccole eccole! Stanno entrando!» mormorò eccitato il moro.
Aaron si girò lentamente verso la porta, temendo quello che avrebbe visto – perché cavolo, Tom sembrava così dannatamente euforico per quella situazione e non riusciva neanche a capire perché. Che aveva quella tizia di così speciale da voler fargliela conoscere?
Guardando in direzione della porta però, Aaron vide entrare due ragazze. Una aveva dei capelli castani, lunghi, tenuti in una coda alta; da lontano gli sembrava avesse gli occhi chiari. Poi spostò l'attenzione verso la seconda ragazza.
«Cosa hanno di speciale quelle due?» bofonchiò Aaron girandosi verso l'amico che era diventato immobile. Il suo sguardo pareva essersi spento all'improvviso.
«Dov'è April?»
Tom non diede il tempo alle ragazze neanche di sedersi, subito fece loro una domanda, alternando rapido lo sguardo tra la castana e la seconda ragazza, una mora dall'aria piuttosto indifferente.
Gwen lo guardò stupita.
«Ciao anche a te Tom. Grazie dell'interessamento, sto bene, e tu?» rispose ironica la ragazza. Tom a malapena fece caso a quelle parole.
«Perché non è venuta anche lei oggi?» insistette. Aaron lo guardo confuso.
April è quella che voleva presentarmi? Ma che avrà di speciale?, pensò confuso.
Gwen fece una smorfia infastidita.
«Le hanno dato delle bozze all'ultimo momento da correggere e ha preferito saltare la pausa pranzo per continuare a lavorare» rispose seccata.
«Perché questo improvviso interessamento per lei?» indagò infastidita, mentre si sedeva senza aspettare l'amica che si era velocemente allontanata per prendersi da mangiare.
Aaron, in tutta quella situazione, continuava a stare zitto e osservare alternativamente i due ragazzi. Ma Tom continuava a non fare particolare caso alle domande della castana e Aaron pensò che dovesse essere davvero infastidito per l'assenza di quella April.
Beh, meglio che non ci sia, una ragazza in meno, si consolò mentre iniziava a provare il tipico disagio di quando delle ragazze si sedevano vicino a lui.
«E non può proprio venire?» proseguì il moro.
La ragazza lo fissò gelida.
«Evidentemente no» rispose secca. Spostò poi lo sguardo verso di Aaron.
«Se non ricordo male tu sei Aaron giusto? Non so se ti ricordi, ci siamo visti qualche volta qui da Starbucks» si rivolse verso il rosso che fece un vago cenno con la testa, senza negare né assentire.
«Mh» bofonchiò.
A dire la verità non si ricordava di quella tizia. Solitamente cercava di rimuovere dalla sua testa tutti i volti e i nomi femminili della gente che incontrava – a patto che non fossero importanti, quello era ovvio.
Notando come Gwen si fosse infastidita ancora di più alla sua risposta piuttosto fredda, sospirò desolato.
Ecco perché mi fanno paura: non riesco a capirle, sono così strane!
E mentre elaborava quel triste pensiero si rendeva conto che quello sarebbe stato uno dei pranzi più lunghi della sua vita.

April, presa dal computer e dalle bozze, a malapena notò le sue due colleghe che rientravano dalla pausa pranzo. Terminò rapida di leggere l'ultima frase, poi alzò lo sguardo e sorrise allegra.
«Ehi! Com'è andata la pausa pranzo?» domandò vivace.
Alla sua domanda però vide Gwen stringere i pugni, molto irritata, e ignorarla. Guardò confusa Melanie.
«È stato un pranzo piuttosto strano» disse solo la mora, scrollando le spalle e andando alla propria scrivania, riaccendendo il pc per rimettersi al lavoro.
April, ancora più confusa, guardò l'altra.
«Tutto bene? Come mai sembri arrabbiata?» domandò.
Gwen la guardò, gli occhi che lanciavano lampi.
«Oh, non sono arrabbiata. Solo che è stato un pranzo piuttosto noioso» iniziò, con un improvviso e falso sorriso «Si sentiva la tua mancanza» terminò sibilando.
April inarcò le sopracciglia, confusa.
«Che intendi?»
«Intendo» Gwen sollevò gli occhi in precedenza abbassati dal computer «che a quanto pare hai fatto colpo. Tom non finiva di chiedere come mai non c'eri, dov'eri, che stavi facendo e un sacco di altre noiose domande»
April spalancò gli occhi stupita.
«Tom?» disse lentamente.
«Tom» ripeté Gwen.
«Tom. Tom stava chiedendo di me. Ma sei sicura? Ieri non sembrava molto interessato alla mia presenza» fece con tono dubbioso. L'altra scrollò le spalle.
«Non lo so e non mi interessa» borbottò solo, poi iniziò a lavorare senza degnare più nessuno di uno sguardo.
April la fissò per qualche istante, tamburellando le dita sulla scrivania.
Non capiva. Il giorno prima quel ragazzo non sembrava minimamente interessato a lei, e ora non faceva altro che fare domande a suo proposito?
Sospirò, alzandosi per andare nella saletta adibita a piccola caffetteria, con macchinette per gli snack e le bevande e alcuni divanetti. Si prese un tè caldo, aggiungendo accuratamente quattro cucchiaini di zucchero – sì, forse erano troppi, ma a lei piacevano le cose molto dolci – per poi gustarselo di fronte alla vetrata enorme che si affacciava sulle strade di New York.
«Non credo che fosse particolarmente interessato a te»
La voce di Melanie la prese alla sprovvista, facendole rovesciare qualche goccia di tè sul pavimento. Si girò a guardarla, notando che si stava prendendo un caffè.
«Scusa?» fece.
Melanie le lanciò un veloce sguardo.
«Non credo che fosse particolarmente interessato a te» ripeté la giovane.
«Avevo capito. Ma perché dici così?»
«Non so. È una mia impressione. Credo però che volesse presentarti il suo amico. Non mi ricordo però come si chiama» continuò indifferente.
April si morse un labbro pensierosa.
«Era carino?» chiese poi, con un sorrisetto.
«Mh, non saprei. A me non piacciono i ragazzi» rispose solo quella.
April spalancò la bocca.
«Cosa?»
Melanie la osservò per un attimo, soffiando leggera sul caffè caldo.
«Sono lesbica. Non lo sapevi?» chiese.
«Oh. Beh, no. Cioè, non credevo lo fossi» rispose, sorpresa. L'altra sorrise, per poi bersi il caffè tutto d'un sorso.
«Beh, ora lo sai» disse, per poi uscire dalla sala. Si bloccò un attimo sulla porta, girandosi appena verso la collega.
«Ah, mi pare che quel tipo avesse un piercing al labbro, ma non ne sono sicura» fece solo, per poi uscire definitivamente dalla stanza, lasciando April a guardare nel posto in cui fino a quel momento era lei.

  
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