Buona
sera a tutti!
Rieccomi
qui con il secondo capitolo di questa mia nuova long!
Ok,
avevo detto che il capitolo fosse già pronto e nonostante
questo
pubblico dopo venti giorni... Ma capitemi, tra ultime verifiche,
studio pre-esame ed esame stesso sono stata parecchio
occupata, e i pochi momenti liberi li ho passati a poltrire.
Nonostante
ciò spero che il capitolo vi piaccia, anche se non si
è ancora
entrati nel vivo della storia perché ho intenzione di creare
qualche
situazione prima di farli effettivamente incontrare. Diciamo che sto
ancora creando il “sottofondo” della storia, anche
perché come
forse ho già detto – o forse no, non ricordo a
dire il vero –
vorrei intrecciare altri personaggi nella storia e non concentrarmi
solo su loro due, anche se ovviamente saranno i personaggi
principali.
Non
so che altro aggiungere se non che il terzo capitolo è
pronto e il
quarto sto per iniziarlo, anche se non so ancora quando
pubblicherò
il prossimo perché sono ancora piuttosto impegnata!
Finisco
dicendo un enorme grazie a coloro che hanno messo la storia tra
preferiti/seguiti (mi avete reso enormemente
felice) e anche a chi ha recensito! Spero di ricevere qualche
commento anche questa volta, ma in caso contrario andrà bene
comunque.
Adesso
vi lascio al capitolo, buona lettura!
Un
abbraccio,
~Sapphire_
~It's too cliché
Capitolo due
Tom
in quel momento era veramente spazientito.
Sentiva la rabbia partirgli dal cervello per irradiarsi in tutto il
corpo, facendolo fremere e spingendolo a tamburellare nervosamente le
dita sul piano liscio del tavolo dell'adorato Starbucks, dove la sua
tazza di caffè era ormai fredda.
Nulla
poteva calmarlo in quel momento, né gli aromi della
caffetteria che
solitamente lo mettevano di buonumore, tanto meno la musica alle
orecchie – abbastanza bassa però per sentire il
vociare in
sottofondo.
L'unica
cosa che – sapeva – l'avrebbe fatto calmare sarebbe
stata
l'improvvisa comparsa di Aaron Marlowe. Magari con una statua in suo
onore in segno di scuse. O magari gli sarebbe andata bene anche solo
la testa dell'amico, senza tutto il resto. Così avrebbe
potuto
gongolare di fronte al fatto che no, questa
volta non ti
perdono il ritardo.
Il
cellulare si illuminò sul tavolo, iniziando a vibrare. Tom
lesse sul
display il nome dell'amico, lo prese con aria infastidita e
trascinò
la cornetta verde. Non parlò, sapeva che non ce n'era
bisogno.
«Scusa
scusa scusa!
Davvero Tom, questa
volta non è colpa mia!»
A
Tom venne quasi da ridere sentendo la voce disperata dell'amico.
Oh,
fai bene a disperarti, non hai la minima idea di cosa ti
farò una
volta che arrivi,
pensò con
aria sadica.
«Sì,
beh, come al solito immagino» rispose sibilando sarcastico.
Sentì
un vago piagnucolio in sottofondo e capì che Aaron in
qualche modo
era veramente spaventato dal suo tono.
«Non
odiarmi – davvero Tom, non farlo
– però non posso venire!»
Al
sentire quelle parole, la bocca di Tom si aprì in una
perfetta
circonferenza.
«Prego?»
chiese sbalordito.
«Non
è colpa mia – lo giuro! Solo che Isabel
è stata male a scuola, i
miei non potevano andare a prenderla e tutte le mie sorelle sono
occupate – ma ci pensi? Cinque cazzo di sorelle che mi stanno
sempre attorno a impicciarsi dove non devono e ora
spariscono!»
parlò frettoloso Aaron, facendo incazzare ancora di
più Tom.
«Noi
dovevamo vederci per il nostro progetto! Hai presente, brutto idiota?
Quello che stiamo facendo assieme, che il nostro stronzissimo capo ci
ha assegnato l'altro giorno ed è da consegnare per la
prossima
settimana. Quello per cui non abbiamo tempo»
rispose furioso.
«Scusa!»
pigolò ancora Aaron, con una vocina che mai una persona
avrebbe
potuto attribuire a lui.
Ma
Tom non continuò ad ascoltare quelle scuse – in
quel momento
veramente fastidiose. Gli attaccò direttamente il telefono
in faccia
e lo mandò al diavolo attirandosi gli sguardi di qualche
cliente lì
attorno, tornato subito a farsi i fatti propri dopo l'occhiata
inviperita del moro che si passava una mano tra i capelli con aria
disperata.
Ciò
che lo faceva incazzare non era tanto il bidone che gli aveva tirato
Aaron – non era la prima volta purtroppo considerando
l'amico, il
suo ritardo cronico e le sue cinque sorelle sempre tra i piedi
– ma
che non dovevano incontrarsi per una chiacchierata tra amici,
bensì
per un lavoro importante!
Pensando
alle urla del loro capo se non gli avessero consegnato il lavoro in
tempo, Tom rabbrividì leggermente.
No
Tom, non pensarci. Riuscirete a finire il progetto in tempo. Quando
vi mettete assieme, tu e Aaron, siete veloci a lavorare.
Eh
sì, ok, ma avevano comunque un sacco di roba da fare ancora.
«Ehi,
sembri aver avuto una brutta giornata!»
Una
mano gli si posò sulla spalla mentre una voce squillante lo
distraeva dai suoi pensieri disperati. Alzò lo sguardo,
ritrovandosi
davanti una ragazza dai lunghi capelli castani e gli occhi azzurri.
«Gwen»
disse solo dopo un attimo di incertezza, salvandosi in corner dato
che gli stava per uscire Glenda.
No,
era Gwen il nome di quella fastidiosa ragazza che da una settimana e
mezzo a quella parte lo importunava ogni giorno da Starbucks.
Sorrise
falso.
«Gwen,
ma che sorpresa» continuò con un vago tono tetro.
La ragazza gli
sorrise luminosa.
«Sono
venuta qui per la pausa pranzo, con le mie amiche. A proposito, loro
sono Melanie e April» dicendo questo indicò le
ragazze proprio
dietro di lei, che lo guardavano la prima piuttosto indifferente e la
seconda incuriosita – cavolo, non le aveva proprio notate.
Lanciò
loro una veloce occhiata: la prima sembra abbastanza scocciata del
trovarsi lì – ma come faceva? Starbucks
è un posto bellissimo! -
aveva dei corti capelli neri e gli occhi scuri, poco truccata e con
una vaga aria da maestrina. La seconda invece era tranquilla, forse
un po' euforica, ma non tanto per lui quanto di suo –
sì, sembrava
una tipa che si esaltava facilmente. Aveva un corto caschetto biondo,
liscio, con una frangia spostata sulla fronte, e un paio di occhiali
rossi, la prima cosa che si notava in lei.
«Ciao,
io sono Tom» borbottò solo. Le due ragazze
risposero al saluto e si
sedettero insieme a Gwen, poggiando ciascuna il proprio pranzo.
«Allora,
come mai oggi tutto solo? Di solito non c'è quel ragazzo
insieme a
te?» iniziò Gwen, cercando di fare conversazione
con Tom che, del
canto suo, non aveva proprio voglia di parlare ma piuttosto di
picchiare qualcuno – anzi, picchiare Aaron.
«Non
poteva venire» disse solo, sperando che la conversazione si
chiudesse lì. Ma sapeva di essere un illuso a pensarlo
soltanto.
«E
quindi ora che fai?» insistette la ragazza.
Tom
lanciò uno sguardo alle altre due: se Melanie rimaneva
indifferente
alla situazione e mangiava isolandosi da tutti – e lui la
stava
proprio invidiando per questo – April ascoltava i tentativi
dell'amica con un sorriso divertito, molto probabilmente comprendendo
che lui non avesse voglia di parlare.
Se
lo capisci, idiota, aiutami.
April
si divertiva un sacco osservando la scena.
Poco
prima avevano iniziato la pausa pranzo dal lavoro – e ne
aveva
veramente bisogno. Per ora il suo compito consisteva solo nel
correggere le bozze di coloro che scrivevano seri articoli, ma stava
imparando tanto anche così, nonostante il suo fosse un
lavoraccio.
Certo, aveva il suo piccolo articoletto da scrivere ed era
già
tanto, ma per quella mattina aveva preferito impegnarsi sulle bozze
da consegnare entro la sera.
Gwen,
la sua collega di stage, aveva insistito ad andare da Starbucks e
trascinarci anche lei e Melanie, l'altra collega. All'inizio non era
stata molto contenta, avrebbe preferito andare al locale dove
pranzava di solito e dove andava con Melanie – anche se le
sembrava
di andarci da sola, contando come la collega stava sempre zitta; ma
appena Gwen aveva accennato a un ragazzo che voleva vedere e che era
tanto carino – e aveva un amico veramente bello a quanto
pare! - si
era lasciata trascinare facilmente.
Si
trovava bene con loro, più o meno, anche se sapeva che non
sarebbero
state colleghe per sempre: lo stage era per tre, quello era vero, ma
alla fine ne avrebbero preso solo una di loro.
Ma
fino a quel momento preferiva godersi quei momenti tranquilli, dove
ancora non c'era quella forte competitività tipica dei posti
del
lavoro.
E
per questo era lì, da Starbucks, trascinata da Gwen e
osservando i
suoi tentativi di fare conversazione con quel Tom che invece pareva
non aver proprio voglia di parlare.
Peccato
che non ci sia anche l'amico, avrei voluto vederlo,
pensò vaga. Beh, almeno poteva gustarsi un siparietto
divertente
mentre mangiava.
«Ora
niente, poco fa cercavo di rilassarmi da solo»
rispose il
ragazzo mentre la fissava.
Dentro
di sé, April rise.
Sì,
si rendeva conto che il ragazzo aveva capito come lei si stesse
divertendo alle sue spalle e come anche, in qualche modo, avrebbe
potuto tirarlo fuori dai pasticci, ma perché farlo?
«Beh
dai, posso aiutarti io a rilassarti!» continuò
Gwen, la frase
vagamente equivoca che fece ridacchiare April.
Quel
Tom inarcò un sopracciglio e fissò la castana
senza particolare
espressione, ma poi non disse niente.
«A
che punto sei con le tue bozze Gwen?» intervenne April,
precedendo
di un secondo l'amica che stava per porre l'ennesima domanda al
povero ragazzo; il tizio in questione le lanciò una vaga
occhiata
riconoscente.
«Sono
ancora un po' indietro, stare molto al computer mi stanca gli occhi e
non riesco a lavorare per troppo tempo di seguito» rispose la
ragazza. April annuì.
«A
proposito, hai più ritrovato il completo che avevi
perso?»
April
guardò l'amica, improvvisamente triste.
Già,
aveva raccontato anche alle sue colleghe il triste episodio della sua
lingerie e, mentre Melanie non aveva fatto altro che fare spallucce,
Gwen aveva riso di gusto.
«No
purtroppo. Cavolo, me la sogno ancora di notte quella fantastica
lingerie! Dovevi vederla, era bellissima, con tutto quel pizzo e quel
rosso così acceso» iniziò a lamentarsi.
A
quelle parole però notò come Tom, che fino a quel
momento pareva
poco interessato al discorso delle due donne, si fosse girato
all'improvviso per guardarla in maniera strana.
«Tutto
a posto?» gli chiese, stranita.
«Hai
perso una lingerie?» indagò il ragazzo.
April
lo fissò, stupita che una cosa del genere potesse
interessagli.
Magari
è uno a cui piace travestirsi.
«Oh,
è stato uno stupido incidente. Appena dopo averla comprata
mi sono
scontrata con un idiota e per sbaglio ci siamo scambiati le buste.
Ora mi ritrovo con un paio di boxer che non mi servono a niente e
senza il mio completino per cui ho dovuto attingere ai miei
risparmi»
spiegò, mantenendo il tono triste e subito dimentica della
strana
reazione dell'uomo.
Lui
non disse nulla, la guardò e basta, mentre uno strana luce
si faceva
strada nei suoi occhi. Poi sorrise.
«Oh
beh, doveva proprio essere un idiota» disse solo, sempre con
uno
strano sorriso sulle labbra.
Questo
tizio è davvero strano.
Tom
non ci poteva credere.
Era
quella ragazza. Era quella April!
Mentre
glielo raccontava quasi stentava a crederci. Certo, New York era
proprio piccola se potevano accadere cose del genere.
Finalmente
si trovava da solo nel suo appartamento; era appena tornato
dall'azienda nella quale aveva lavorato fino alle dieci e ora si
gustava un po' di meritato riposo mentre prendeva dal frigo una birra
e la sorseggiava di fronte alla tv.
Se
pensava che, se solo Aaron non avesse casualmente saltato
l'appuntamento, si sarebbero visti...
Già
rideva alla reazione dei due, ma soprattutto dell'amico. Quella April
gli era sembrata una ragazza molto vivace e forse un po' invadente,
ma in un modo non fastidioso, più che altro divertente.
Gli
piaceva come ragazza, solo che c'era un problema: una tipa come lei
era quel genere che più spaventava Aaron con il tipico modo
di fare
acceso, civettuolo e in certi sensi esplicito. Più li
immaginava
assieme e più gli veniva da ridere.
Sarebbero
assurdi!
Da
un lato lo solleticava l'idea di dirlo subito ad Aaron, dall'altro
invece preferiva aspettare per vendicarsi un po'. Gli serviva
l'occasione giusta per farli incontrare quando meno Aaron se lo
aspettava e fargli prendere un colpo.
Sì,
sarebbe stato veramente divertente vedere la sua
faccia che
incontrava quella di lei, riconoscerla come colei che aveva preso i
suoi boxer e “regalato” la, a quanto pare preziosa,
lingerie.
Mentre
finiva la birra e metteva un canale di musica per poter andare a
preparare qualcosa da mangiare – c'era cibo in frigo?
Quand'era
l'ultima volta che aveva fatto la spesa? Cavolo! - pensava a come
avrebbe fatto per la sua piccola vendetta. Perché infatti
per lui si
trattava di una vendetta riguardo all'ennesimo bidone che gli aveva
fatto l'amico. E davvero, gliela avrebbe fatta passare se non gli si
fosse presentata così l'occasione per vendicarsi.
«Allora,
come potrei fare?» mormorò tra sé
aprendo il frigo e notando che
c'era solo un uovo. Fece una smorfia di fronte al triste scenario e
decise, senza neanche aprire la dispensa, di ordinare una pizza.
Mentre
afferrava il telefono per la cena continuava a pensare.
Potrei
farla venire a lavoro. Posso chiederle il numero e invitarla
all'azienda, giusto un salto, e gliela mostrerò ad Aaron
all'improvviso. Sì, si potrebbe fare.
Interruppe
l'organizzazione dei suoi piani solo un minuto, giusto per dare
l'ordinazione e il suo indirizzo. Ci avrebbero messo una mezz'ora
buona. Sbuffò mentre si ripeteva di essere paziente
– ma aveva
fame, accidenti!
Quella
potrebbe essere un'opzione, oppure cos'altro potrei fare? Potrei
farli incontrare da Starbucks, domani dovrebbe venire e Gwen mi stava
accennando di tornare insieme alle sue amiche. Mh sì, potrei
fare
anche così.
Pensando
questo afferrò il cellulare e scrisse rapido un messaggio ad
Aaron,
intimandogli di venire il giorno dopo da Starbucks all'ora di pranzo
per lavorare. Un minuto dopo gli arrivò la risposta
dell'amico che
diceva assolutamente sì; era la risposta che si aspettava in
fondo,
dopo l'appuntamento mancato di quel giorno sapeva che Aaron sarebbe
venuto anche morente da lui.
Sorrise
divertito.
Oh,
non vedo l'ora che sia domani.
Quando
Aaron entrò all'interno dello Starbucks, proprio dove lo
stava
aspettando Tom, vide l'ultima cosa che mai si sarebbe potuto
aspettare.
Credeva
di trovare Tom lanciando lampi e fulmini dagli occhi, due corna sulla
sua testa e una lingua biforcuta pronta a morderlo al momento giusto.
Sì, un po' disgustosa come scena, ma era quello che d'altro
canto
meritava, considerando l'enorme pacco del giorno prima. E invece
trovò qualcosa che lo fece rabbrividire ancora di
più.
Tom,
seduto al solito tavolo, il computer di fronte a lui spento e niente
cuffie alle orecchie, sorseggiava il suo solito caffè con un
sorriso
angelico dipinto in faccia. Era da solo, ma sembrava che qualcuno gli
avesse appena detto la cosa più bella del mondo, una notizia
fantastica che l'aveva reso l'uomo più felice della terra.
Si
avvicinò cauto.
«Ehi»
disse piano, aspettandosi delle urla da un momento all'altro. Urla
che non arrivarono.
«Aaron,
amico mio! Ti aspettavo!» tubò invece felice il
moro, facendogli
cenno di sedersi affianco a lui. Aaron obbedì docile.
«Sei
stato puntuale oggi, eh?» lo stuzzicò il moro,
continuando però a
sorridere. Aaron si mosse sulla sedia, a disagio, e si passò
una
mano tra i capelli.
«A
quel proposito... Scusa ancora. Davvero, è stata una cosa
all'ultimo
momento, stavo già venendo quando mi ha chiamato mia madre e
mi ha
chiesto di andare a prendere Isy, non potevo dire di no»
disse
ancora a disagio. Tom fece un vago cenno con la mano.
«Ah,
non preoccuparti! Non fa niente, possono capitare cose del
genere»
rispose tranquillo.
Aaron
annuì un poco stranito, per poi guardarsi attorno.
«Ma
stiamo aspettando qualcuno?» domandò poi
all'improvviso. Tom gli
lanciò un'occhiata di sottecchi.
«Perché
me lo chiedi?»
«Beh,
hai l'aria di uno che non vede l'ora che succeda qualcosa»
borbottò
facendo spallucce. Tom rise.
«A
dire la verità sì, stiamo aspettando
qualcuno»
«E
chi?»
«Delle
amiche» rispose il ragazzo, sogghignando. Aaron
sbarrò gli occhi.
«Chi?»
ripeté piano. Tom gli poggiò una mano sulla
spalla con fare
amichevole.
«Oh,
non preoccuparti. Ti piaceranno, te lo assicuro. Specialmente una.
Credo proprio che faccia per te»
Aaron
impallidì.
«Tom,
ne avevamo già parlato o sbaglio? Non voglio che tu mi
presenti
delle ragazze, potrai farlo quando te lo chiederò, ma fino a
quel
momento smettila. Ti ricordi cos'è successo l'ultima
volta?»
dicendo l'ultima frase Aaron rabbrividì.
«L'ultima
volta era cinque anni fa, avevi ventun anni e un disperato bisogno di
perdere la verginità. L'ho fatto per il tuo bene,
fidati» rispose
il moro, prendendo un sorso di caffè.
«Quindi
farmi bere a tradimento fino a rendermi ubriaco, chiudermi in una
stanza con una ragazza quando non ero capace né di intendere
né
tanto meno volere e in un momento in cui avevo gli
ormoni
impazziti lo chiami “farlo per il tuo
bene”?» chiese,
concludendo la domanda con una vaga nota isterica.
«Che
sarà mai. Ti è piaciuto no? E poi quella ragazza
la conoscevo, era
una tipa brava, sapeva mettere a proprio agio» rispose Tom,
con un
tono leggermente annoiato.
«Non
mi interessa se la conoscevi! Dio, Tom, ho passato una settimana
facendomi tre docce al giorno per togliermi la sensazione di lei
sotto di me-»
«Tu
dentro di lei magari»
«-non
è quello il punto cazzo!» strillò
Aaron, attirandosi qualche
occhiata.
«Spero
davvero che tu non stia per fare di nuovo qualcosa
del genere»
E
il sorriso che fece Tom a quella frase pareva proprio voler dire
“oh,
sarà anche meglio”.
Il
rosso stava per alzarsi e andarsene – perché aveva
la netta
sensazione che di lì a poco sarebbe successo qualcosa di
veramente
brutto – ma proprio in quel momento Tom lo afferrò
per la camicia
e lo riportò giù, guardando oltre di lui.
«Eccole
eccole! Stanno entrando!» mormorò eccitato il moro.
Aaron
si girò lentamente verso la porta, temendo quello che
avrebbe visto
– perché cavolo, Tom sembrava così
dannatamente euforico per
quella situazione e non riusciva neanche a capire perché.
Che aveva
quella tizia di così speciale da voler fargliela conoscere?
Guardando
in direzione della porta però, Aaron vide entrare due
ragazze. Una
aveva dei capelli castani, lunghi, tenuti in una coda alta; da
lontano gli sembrava avesse gli occhi chiari. Poi spostò
l'attenzione verso la seconda ragazza.
«Cosa
hanno di speciale quelle due?» bofonchiò Aaron
girandosi verso
l'amico che era diventato immobile. Il suo sguardo pareva essersi
spento all'improvviso.
«Dov'è
April?»
Tom
non diede il tempo alle ragazze neanche di sedersi, subito fece loro
una domanda, alternando rapido lo sguardo tra la castana e la seconda
ragazza, una mora dall'aria piuttosto indifferente.
Gwen
lo guardò stupita.
«Ciao
anche a te Tom. Grazie dell'interessamento, sto bene, e tu?»
rispose
ironica la ragazza. Tom a malapena fece caso a quelle parole.
«Perché
non è venuta anche lei oggi?» insistette. Aaron lo
guardo confuso.
April
è quella che voleva presentarmi? Ma che avrà di
speciale?,
pensò confuso.
Gwen
fece una smorfia infastidita.
«Le
hanno dato delle bozze all'ultimo momento da correggere e ha
preferito saltare la pausa pranzo per continuare a lavorare»
rispose
seccata.
«Perché
questo improvviso interessamento per lei?» indagò
infastidita,
mentre si sedeva senza aspettare l'amica che si era velocemente
allontanata per prendersi da mangiare.
Aaron,
in tutta quella situazione, continuava a stare zitto e osservare
alternativamente i due ragazzi. Ma Tom continuava a non fare
particolare caso alle domande della castana e Aaron pensò
che
dovesse essere davvero infastidito per l'assenza di quella April.
Beh,
meglio che non ci sia, una ragazza in meno,
si consolò mentre iniziava a provare il tipico disagio di
quando
delle ragazze si sedevano vicino a lui.
«E
non può proprio venire?» proseguì il
moro.
La
ragazza lo fissò gelida.
«Evidentemente
no» rispose secca. Spostò poi lo sguardo verso di
Aaron.
«Se
non ricordo male tu sei Aaron giusto? Non so se ti ricordi, ci siamo
visti qualche volta qui da Starbucks» si rivolse verso il
rosso che
fece un vago cenno con la testa, senza negare né assentire.
«Mh»
bofonchiò.
A
dire la verità non si ricordava di quella tizia. Solitamente
cercava
di rimuovere dalla sua testa tutti i volti e i nomi femminili della
gente che incontrava – a patto che non fossero importanti,
quello
era ovvio.
Notando
come Gwen si fosse infastidita ancora di più alla sua
risposta
piuttosto fredda, sospirò desolato.
Ecco
perché mi fanno paura: non riesco a capirle, sono
così strane!
E
mentre elaborava quel triste pensiero si rendeva conto che quello
sarebbe stato uno dei pranzi più lunghi della sua vita.
April,
presa dal computer e dalle bozze, a malapena notò le sue due
colleghe che rientravano dalla pausa pranzo. Terminò rapida
di
leggere l'ultima frase, poi alzò lo sguardo e sorrise
allegra.
«Ehi!
Com'è andata la pausa pranzo?» domandò
vivace.
Alla
sua domanda però vide Gwen stringere i pugni, molto
irritata, e
ignorarla. Guardò confusa Melanie.
«È
stato un pranzo piuttosto strano» disse solo la mora,
scrollando le
spalle e andando alla propria scrivania, riaccendendo il pc per
rimettersi al lavoro.
April,
ancora più confusa, guardò l'altra.
«Tutto
bene? Come mai sembri arrabbiata?» domandò.
Gwen
la guardò, gli occhi che lanciavano lampi.
«Oh,
non sono arrabbiata. Solo che è stato un pranzo piuttosto
noioso»
iniziò, con un improvviso e falso sorriso «Si
sentiva la tua
mancanza» terminò sibilando.
April
inarcò le sopracciglia, confusa.
«Che
intendi?»
«Intendo»
Gwen sollevò gli occhi in precedenza abbassati dal computer
«che a
quanto pare hai fatto colpo. Tom non finiva di chiedere come mai non
c'eri, dov'eri, che stavi facendo e un sacco di altre noiose
domande»
April
spalancò gli occhi stupita.
«Tom?»
disse lentamente.
«Tom»
ripeté Gwen.
«Tom.
Tom stava chiedendo di me. Ma sei sicura? Ieri non sembrava molto
interessato alla mia presenza» fece con tono dubbioso.
L'altra
scrollò le spalle.
«Non
lo so e non mi interessa» borbottò solo, poi
iniziò a lavorare
senza degnare più nessuno di uno sguardo.
April
la fissò per qualche istante, tamburellando le dita sulla
scrivania.
Non
capiva. Il giorno prima quel ragazzo non sembrava minimamente
interessato a lei, e ora non faceva altro che fare domande a suo
proposito?
Sospirò,
alzandosi per andare nella saletta adibita a piccola caffetteria, con
macchinette per gli snack e le bevande e alcuni divanetti. Si prese
un tè caldo, aggiungendo accuratamente quattro cucchiaini di
zucchero – sì, forse erano troppi, ma a lei
piacevano le cose
molto dolci – per poi gustarselo di fronte alla vetrata
enorme che
si affacciava sulle strade di New York.
«Non
credo che fosse particolarmente interessato a te»
La
voce di Melanie la prese alla sprovvista, facendole rovesciare
qualche goccia di tè sul pavimento. Si girò a
guardarla, notando
che si stava prendendo un caffè.
«Scusa?»
fece.
Melanie
le lanciò un veloce sguardo.
«Non
credo che fosse particolarmente interessato a te»
ripeté la
giovane.
«Avevo
capito. Ma perché dici così?»
«Non
so. È una mia impressione. Credo però che volesse
presentarti il
suo amico. Non mi ricordo però come si chiama»
continuò
indifferente.
April
si morse un labbro pensierosa.
«Era
carino?» chiese poi, con un sorrisetto.
«Mh,
non saprei. A me non piacciono i ragazzi» rispose solo quella.
April
spalancò la bocca.
«Cosa?»
Melanie
la osservò per un attimo, soffiando leggera sul
caffè caldo.
«Sono
lesbica. Non lo sapevi?» chiese.
«Oh.
Beh, no. Cioè, non credevo lo fossi» rispose,
sorpresa. L'altra
sorrise, per poi bersi il caffè tutto d'un sorso.
«Beh,
ora lo sai» disse, per poi uscire dalla sala. Si
bloccò un attimo
sulla porta, girandosi appena verso la collega.
«Ah,
mi pare che quel tipo avesse un piercing al labbro, ma non ne sono
sicura» fece solo, per poi uscire definitivamente dalla
stanza,
lasciando April a guardare nel posto in cui fino a quel momento era
lei.