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Autore: BlackBeast    15/07/2016    2 recensioni
[Overwatch]
[Overwatch][Overwatch][Overwatch]Questa piccola storia tratta di come si sono conosciute ed innamorate Pharah e Mercy, ovviamente niente di tutto ciò fa parte della vera storia dei personaggi quindi ogni avvenimento è completamente inventato da me.
La storia sarà “scritta” da entrambe, preciserò chi narrerà ad inizio capitolo.
A grandi linee, nella storia troverete momenti romantici e di azione mescolati bene tra di loro per lasciare spazio alla relazione tra le due donne.
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Mercy.

Sembrava una mattina come tante altre, sveglia presto, doccia e subito in mensa a bere un caffè, giusto per essere più sveglia in caso di emergenza.

Stavo sorseggiando l’amara bevanda osservando Tracer che già di prima mattina si teletrasportava per tutta la stanza infastidendo il povero gorilla occhialuto più che paziente con lei; a un tratto un imprecazione attirò la mia attenzione facendomi sollevare lo sguardo cercando di capire chi avesse urlato pochi secondi prima, quasi istintivamente guardammo tutti il povero Jack che subito, con un cenno della testa, negò di essere stato lui.

Decisi di affacciarmi fuori dalla porta della mensa notando poco distante una ragazza accasciata al muro, completamente imbrattato di sangue, che veniva sollevata da alcuni assistenti. Chi era?

Velocemente mi avvicinai a loro lasciando la tazza a terra andando a guardare in che condizioni riversava la donna, sembrava molto mal concia ma non così tanto dato che scagliò via uno degli infermieri urlandogli contro di stargli lontano; storsi il naso, andava sedata ma non saremmo mai riusciti ad avvicinarla così tanto per farlo.

Tornai subito in mensa facendo un cenno con la mano a Winston esclamando “Vieni con me! Abbiamo un ferito qui fuori e non riescono a tenerla ferma!”. Mi seguì senza esitare ed appena ebbe a tiro la ragazza, che aveva appena lanciato via un altro assistente, la caricò sbattendola rovinosamente al muro “N-non era di certo questo che intendevo … Ah, va bene così, meglio di niente …” sospirai passandomi una mano nei capelli.

Aiutai i due ragazzi a rialzarsi mentre il corridoio si riempiva di vociferare e di persone incuriosite per quello che era appena successo. Lanciai un altro sospiro avvicinandomi alla donna dalla pelle scura guardandola bene in viso, inginocchiandomi davanti a lei, per poi spostargli i capelli dal volto rabbrividendo “Questa … è la figlia di Amari” ci fu il silenzio, perché era lì? Di certo non cercava la madre, era anche solo stupido pensarci. Mi chinai leggermente passandomi il suo braccio dietro al collo tirandola su con un piccolo aiuto di Jack a cui sorrisi dirigendomi poi verso il mio studio, avrei avuto molto da fare con quella donna.

Lasciai la ragazza sul lettino prendendo immediatamente dalla mia scrivania lo stetoscopio per sentire il suo battito; le alzai la maglietta logora e posai il dischetto metallico dello strumento sul petto chiudendo gli occhi ascoltando il suo cuore, forse un po’ debole ma niente di grave, probabilmente aveva preso un brutto colpo in battaglia. Ora restava solo un dubbio, cosa ci faceva lì? Da quello che sapevo non era parte dell’organizzazione.

Immersa dai miei pensieri mi avvicinai alla mobile contenente ogni tipo di medicinale o garza prendendo del disinfettante, ago con filo ed alcune bende ma qualcosa andò storto. Troppo tardi mi accorsi che la figlia di Amari era sparita e nemmeno ebbi tempo di elaborare la situazione che mi ritrovai con un braccio intorno al collo che mi stringeva, mi voleva soffocare.

Presa dal panico iniziai a tastare ogni angolo della mobilia che riuscivo a raggiungere afferrando con fatica un paio di forbici che piantai nella gamba della ragazza, od almeno ci provai “Tu hai …” mormorai senza fiato. “Già, gambe bioniche.” rispose con voce tranquilla. “ … T-ti pre … go.” battei con foga le mani su braccio che mi stava strozzando cercando di toglierlo dal mio collo. Finalmente mi lasciò facendomi cadere a terra giusto qualche secondo prima che svenissi; alzai lo guardo verso di lei che se ne stava lì, impassibile, a guardarmi dritta negli occhi “ Non mi piacciono i dottori.” ringhiò tenendosi la ferita che ancora grondava sangue.

Mi tremavano le mani per lo spavento ma il mio “istinto di dottore” mi imponeva di aiutarla, anche perché era la figlia di una vecchia compagna di squadra; mi alzai lentamente afferrando un panno da un tavolinetto di ferro sentendo il suo sguardo su di me, mi agitava “… Stai … Stai ferma e basta.” dissi quasi come una supplica. “… Sbrigati se proprio devi, dottoressa.”. Subito le tolsi la mano dalla ferita che copriva tamponandola con quel pezzo di stoffa.

Guardavo intensamente la ragazza, addirittura distolse lo sguardo “Vatti a sedere per favore e mi raccomando tieni stretta la ferita sotto il panno, ti medico e puoi andare.” mi sbrigai a compiere il mio lavoro, dovevo ammettere che avevo una paura tremenda di una sua reazione ad ogni rantolo.

Finito di medicare la ragazza pulì la sua ferita con molta cura alzandomi poi dalla sedia che avevo posizionato davanti a lei tirando un lungo sospiro mentre mi passavo la mano sul collo molto arrossato, faceva male se dovevo essere onesta “Grazie, anche se non ce ne era bisogno.” mi stupirono quelle parole, non che un suo grazie cambiasse quello successo poco prima. “Sai, è il mio lavoro, Fareeha.”. “Come … Chi diavolo sei bionda?” chiese avvicinandosi. “Piombi qui nel nostro rifugio e poi cerchi di ammazzarmi, credi veramente di essere nella posizione di fare domande?!” urlai furiosa. “Vedi di startene buona od io … io … Beh ti faccio sbattere fuori a calci in culo!” battei il pugno sulla scrivania smuovendo qualche oggetto posto su quest’ultima. Sentii la porta aprirsi, era Winston “Angela aspetta, è una di noi.”. Ero su tutte le furie, cosa era, una giustificazione? Stavo per sbraitare anche a lui ma, con molta calma, decisi di contare fino a dieci chiudendo gli occhi riaprendoli poco dopo fulminando il gorilla e la ragazza che si accingeva a rimettersi la maglietta stracciata.

Erano solo le due di pomeriggio, avevo appena finito di pranzare nel mio studio in compagnia dell’egiziana dato che le sue condizioni non le permettevano di muoversi più di tanto quindi se ne stava lì, seduta a gambe incrociate sul lettino mentre guardava con sguardo leggermente disgustato le foto della madre, evidentemente non le andava proprio a genio; presi un sorso d’acqua dalla bottiglietta poggiata sulla scrivania sentendo poi l’altra rantolare qualcosa “Ti fa male qualcosa?” chiesi alzandomi dalla sedia. “No, è che … credevo di aver perso questa foto ma invece a quanto pare Ana l’ha lasciata a te, scelta di pessimo gusto.” sibilò tirando via quella foto di lei da piccola. Inarcai un sopracciglio raccogliendola tornando ad osservarla, non potevo credere che quella davanti a me fosse la figlia di Amari; ricordavo chiaramente quella bambina che scorrazzava per tutta la base giocando, un po’ con tutti, a fare gli eroi. Feci un respiro profondo avvicinandomi a lei mettendo lo sgabello di fronte a Fareeha “E così finalmente fai parte della nostra squadra, tu madre sarebbe orgogliosa.” mi guardò con disprezzo. Abbassò lo sguardo porgendomi le foto poggiando poi la schiena sul muro tirando un lungo sospiro. “Non sono qui per l’orgoglio di qualcuno, io mi guadagno il rispetto e l’onore perché sono quelle le cose che voglio e come vedi sono molto determinata.” forse era fin troppo determinata.

La guardai scendere con calma dal lettino dirigendosi verso la porta d’acciaio “Ti dispiacerebbe mostrarmi la mia stanza? Ho paura di perdermi.” mi disse sorridendo, mi fece arrossire, e poi … come potevo dirle di no?

Mi tolsi il camice lasciandolo sull’appendi abiti uscendo dalla stanza accennando un sorriso all’altra facendole cenno con la testa di seguirmi, sembrava quasi come se la ragazza fosse quella di una volta, quella piccola bambina a cui disegnavo in volto lo stesso segno della madre o compravo dolcetti. Scesi le scale, guardando di tanto in tanto dietro di me per accertarmi che mi stesse seguendo, zoppicando ovviamente.

Mi fermai davanti al numero di stanza che mi disse lei accennandole ancora un sorriso prendendo dalla sua mano le piccole chiavi aprendo poi la porta guardando all’interno accendendo subito la luce, le avevano dato una stanza minuscola oppure se la era scelta lei? La feci passare guardando come si lasciò subito cadere sul letto tirando un sospiro rilassato, davvero non riuscivo a capire se sentiva dolore o no. Mi avvicinai con calma sedendomi sul letto non staccando mai lo sguardo da lei, non riuscivo proprio capire cosa mi attraeva di quella donna che poche ore prima aveva cercato di ammazzarmi “Tu conosci mia madre ed il mio nome, quindi mi viene spontaneo chiederti … Ci conosciamo?”. Rimasi un attimo perplessa, adesso voleva anche un dialogo? Sistemandomi la gonna nera aprii bocca “Si, lavoravo con tua madre quando Overwatch fu fondata molti anni fa, delle volte ci siamo viste ma si parla di quando avevi una quindicina d’anni … In realtà mi stupisce un po’ che non ricordi nulla, abbiamo passato qualche anno insieme alla fine. Si vede che il tempo trascorso qui non deve essere stato rilevante per te.” mormorai quest’ultima frase, quasi non volendomi far sentire dall’altra.

Mentre l’altra si accennò a rispondere alla nostra, appena iniziata, chiacchierata la sua voce fu sovrastata dal rumore assordante della sirena, il dovere chiamava. Mi alzai in fretta dal letto correndo ad indossare la mia tuta venendo fermata al volo dalla ragazza che mi prese per il braccio “Posso venire anch’io, ho la corazza leggermente danneggiata ma posso aiut-” la interruppi mettendo la mano sulla sua togliendomela dal braccio mostrando uno sguardo serio “No, sei ferita, zoppichi, vedi di dormire ora.” aggiunsi spingendola leggermente sul letto obbligandola a sedersi.

Subito le diedi le spalle correndo fuori dalla stanza, dovevo prepararmi per il campo di battaglia.

  
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