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Autore: _Blanca_    15/07/2016    4 recensioni
«Mi segue» disse Anna.
«Di che cosa parlate, miss Hawkins? Chi vi sta seguendo?»
«La morte.»

Ottobre 1875. Dalle coste della Nova Scotia, Anna Hawkins si imbarca per l’Inghilterra, dove vivrà con gli zii Woodhams, ricchi borghesi del Kent. Anna sa che vivere nel cuore dell'Impero, tra i bianchi sudditi della regina Vittoria, non sarà semplice. Lei è una Metis. È figlia di un inglese, che ha fatto fortuna come cacciatore di taglie, e di una donna della Prima Nazione. Ma Anna sa anche di non poter tornare indietro. Il suo viaggio è una fuga. Una fuga dalla solitudine, dalle responsabilità, da un destino che la terrorizza. La nuova esistenza nel Kent, tuttavia, si rivelerà diversa da qualsiasi speranza o timore. Anna dovrà affrontare i segreti di una vecchia casa e di una stanza che non deve mai essere aperta; dovrà tenere testa a una zia decisa a odiarla e a uno scrittore di racconti del terrore, capace di dare un’impronta fin troppo realistica agli incubi di carta e inchiostro. E, sullo sfondo del tutto, toccherà a lei risolvere l’enigma di un misterioso suicidio.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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VIII. Hypericum





Alle otto in punto, attorno al tavolo della colazione, il signor Woodhams diede una notizia che lasciò moglie e nipote parimenti stupefatte. Ma per ragioni diverse. Se Anna si ritrovò a dover gestire sorpresa e gratitudine, la signora Woodhams arrivò a metter giù la tazzina del tè, per poi tamponarsi con il tovagliolo le labbra, serrate in una linea dura e diritta, dietro alla quale imprigionò qualsiasi avvisaglia di emozione.«Pensate davvero che sia una scelta opportuna?» chiese.
«Opportuna e corretta» disse lo zio Woodhams, sbucciando la testa del suo uovo alla coque. «Anna è mia nipote. Verrà inclusa tra gli eredi dei miei beni.»
«Vi ricordo che i suoi genitori non erano sposati.»
«Fosse anche stata adottata, ciò non mi toglie il diritto di includerla tra gli eredi.»
Le labbra della signora Woodhams ebbero un primo percepibile tremito.
«Questa vostra scelta sembra un capriccio.»
«Non sta a voi mettere parola sulla gestione del denaro» le ricordò il marito, in tono più alto ma con calma maggiore. «Ormai è deciso. Prima della fine del mese farò cambiare il testamento. E ho preso un’ulteriore decisione.» Si rivolse ad Anna: «Il prossimo anno andremo a Londra.»
Anna sorrise, confusa. «Londra? Perché?» Aprì il sorriso. «Per i dinosauria?» scherzò, rubando un quadratino di cioccolata dal piattino accanto al burro.
«La scelta spetta a te. Ma mi auguro che tu decida per qualcuno nato, quanto meno, in questo secolo. — Parlando seriamente: hai ventidue anni. Puoi ancora partecipare a una o due Stagioni con la ragionevole speranza di uscirne vittoriosa.»
«E che cosa dovrei vincere?»
«Un marito.»
«Oh...» Anna camuffò il disagio dietro un altro mezzo sorriso. «Pensavo di dover sposare William Hall» ironizzò.
«Non precludiamoci le possibilità.»
Anna tacque e rifletté, sbocconcellando il cioccolato. Di Londra aveva avuto una sgradevole prima impressione, ma adesso l’idea di tornarvi per un periodo limitato non le dispiaceva. Non per i dinosauri o per i londinesi. E in quanto ai mariti, considerava la possibilità di trovarne uno remota, improbabile e semplicemente ridicola. Era l'inaspettata occasione di allontanarsi da Bon Fleur a tentarla. Vedeva una nuova via di fuga.
Inoltre, l’entusiasmo dello zio sapeva essere contagioso: per il resto della colazione, con la signora Woodhams barricata dietro un religioso silenzio, il signor Woodhams si esibì in entusiaste descrizioni degli svaghi londinesi: i musei e il teatro, l’opera e il balletto, i giardini, le corse dei cavalli, le esposizioni botaniche...
«Ma quando andremo, zio?» lo interruppe Anna. «Quand’è questa—com’è che l’avete chiamata? Stagione?»
«In primavera. Subito dopo la Pasqua.»
Anna guardò la triste e fosca mattina di novembre che si stendeva fuori dalla finestra.
«La primavera è lontana.»
Lo zio Woodhams accolse la delusione della nipote con un sorriso di bonario compiacimento. «Ma è pur vero che Londra ha le sue regole particolari. Vedi, gli eventi della Stagione, a Londra, vengono anticipati alla prima seduta del Parlamento — subito dopo Natale.»
«E non possiamo andare a Londra dopo Natale?»
«Se sei tanto impaziente, una soluzione si può trovare. Per quanto mi riguarda, mi è impossibile lasciare il birrificio in inverno, ma forse tua zia sarà disposta a trasferirsi a Londra, in gennaio?» Guardò la moglie, in attesa di una risposta.
La signora Woodhams, chiamata in causa, costrinse il volto in un sorriso affilato.
«Caro marito, sapete bene che io non amo Londra.»
«Già, già...» Lo zio strofinò il mento rasato di fresco. «Abbiamo pur sempre dei buoni amici, nella capitale. Chiederemo a qualcuno di loro la gentilezza di ospitare Anna. Ai Morris, magari. O ai Connelly. O alla vedova Beecham. Chissà se cerca ancora una dama di compagnia. Curate ancora una corrispondenza con lei, Vivian?»
La signora Woodhams tastò la trina del colletto con i pallidi polpastrelli.
«Posso pronunciare la mia onesta opinione?»
«Come sempre, mia cara.»
«Ebbene, se desiderate condurre Anna a Londra, portatela pure tra cavalli e giardini, ma per l’amor di Dio, e della vostra dignità, non presentatela in società. Le sale di Londra sono un covo di serpi. Ma serpi d'alto rango. La più raffinata ragazza del Kent sarebbe all’istante giudicata una rozza campagnola. In quanto ad Anna, tanto varrebbe presentarsi con un orso ammaestrato. — Volete vederla ammogliata il prima possibile? Molto bene. Io sarò la prima a rallegrarmi, nel vederla lasciare questa casa. Ma sono fermamente convinta che la contea rappresenti un terreno di caccia più che adeguato alla sua situazione.»
Venne interrotta dall’entrata di Lily: era appena arrivata una lettera da Maidstone, indirizzata al signor Woodhams.
Lui l’aprì. Lesse. E sorrise.
«La signora Hall organizza una cena.»
«A quando?» indagò la moglie.
«Sabato venti. Vedrai, Anna: la famiglia ti piacerà. Hanno due bambine deliziose e la giovane signorina Hall è tua coetanea. Sarà una piacevole compagnia, per te.»
«Anna non può partecipare alla cena» disse la signora Woodhams.
Marito e nipote la fissarono.
«E perché mai?» domandò lui. «È stata invitata. È qui, nero su bianco.»
«La sua educazione non è adeguata a un evento sociale.»
«Non si tratta di una cena di gala! È un incontro pressoché informale, tra amici di vecchia data.»
«Proprio perché saranno presenti persone di cui abbiamo guadagnato stima e rispetto sarà opportuno evitare di metterci in ridicolo davanti a loro.»
Anna seguiva il duello tra gli zii: la schiena curva, un gomito puntellato sul tavolo e il mento affossato contro il palmo. Era mattino presto — troppo presto per scaldarsi per gli abituali insulti da parte della signora Woodhams.
«Se Anna non dovesse venire» insistette lo zio, «la signora Hall si ritroverà con un gruppo di invitati dispari.» Rilesse l’invito. «Tredici, per di più! Le dame saranno in meno di uno, rispetto ai signori uomini. Non vogliamo certo mettere in difficoltà la padrona di casa. Anna deve partecipare.»
«La signora Hall troverà una sostituta, se l'avvertiamo in anticipo. Anna resterà a casa.»
«Sciocchezze. Anna verrà con noi.»
«Non possiede abiti adatti.»
«E questo sarebbe un impedimento?» rise lo zio. «Domani mattina, accompagnerete Anna da Seaver. Comprate pure tutti gli abiti che ritenete necessari. Per la cena. — E per Londra. In quanto all’educazione, sono certo che nelle prossime due settimane, sotto la vostra guida, signora, le mancanze saranno sanate.»
La moglie parve a corto di risposte. E Anna riuscì a prendere la parola.
«Zio, a me non dispiace restare a casa» disse, tranquillamente.
«No, cara. Non devi vivere reclusa per far contenta tua zia.»
Anna avrebbe voluto confessare che la felicità della zia Vivian era l’ultimo dei suoi pensieri. Temeva, piuttosto, che ospiti e invitati, per quanto meno serpi degli altezzosi londinesi descritti dalla signora Woodhams, non potessero avere comunque idee differenti da quest’ultima. E Anna si sentiva stringere lo stomaco all’idea di venir esposta agli sguardi scrutatori di un gruppo di benestanti signorotti di campagna. L’avrebbero studiata e giudicata come fosse stato un bizzarro animaletto giunto da un paese lontano.
Ma il signor Woodhams l’ebbe vinta, sia sulla moglie che sulla nipote; e quando gli zii uscirono per recarsi alla funzione, ad Anna fu lasciato tra le mani il Manuale di Etichetta.
Il libro però, aperto al capitolo delle maniere a tavola, rimase abbandonato sullo scrittoio. Anna si rigirava l’anello tra le dita, osservava il limpido cristallo e non pensava più né a Londra né alla cena degli Hall. Andò al vanity e ripose l’anello nel vecchio cofanetto. Non l'avrebbe più indossato, e il secco toc del coperchio, suggellò la decisione presa all’aurora.

*

Tra le stoffe e i manichini di Seaver — un'elegante sartoria in Gabriel's Hill — Anna venne sottomessa alle sevizie della moda, per l’occasione incarnata dai gusti della signora Woodhams. Cercavano un abito per la cena a Ellsworth House e, in ordine, vennero bocciati un vestito lilla, un completo di taffettà verde smeraldo e una seta blu cosparsa di fiori d’argento.
«Sei troppo scura. È impossibile trovare un colore che ti doni» commentò la signora Woodhams, seduta su di un divanetto, inflessibile esaminatrice degna dell'inquisizione spagnola.
Anna si sentiva morire: di caldo e di insofferenza. Continuava a venir trascinata tra il paravento di tela e la triade di specchi, seguita come un'ombra da una sartina armata di spilli e fettuccia.
«Perché devono essere così stretti alle ginocchia?» sibilò. «Tanto varrebbe legarsi le gambe e andare in giro saltellando...»
«È la nuova moda» pigolò la sarta.
«Gran bella moda...»
«Non borbottare» la richiamò la signora Woodhams. «È maleducazione.»
«Sto dicendo» disse Anna, voltandosi verso la zia, «che queste gonne sono scomode.»
«Non ha importanza. Ciò che importa è che diano valore al personale.» La signora Woodhams si alzò e comparve nello specchio, alle spalle di Anna. «Ricorda: è dovere di una donna mostrarsi sempre elegante, composta, raffinata, ma senza dar l’impressione di essere artefatta. Devi considerare come un tuo esplicito compito il renderti gradita allo sguardo altrui.»
«Credo che abbiate confuso i doveri di una donna con le qualità di un centrotavola.»
«Devi abbandonare questa inclinazione al sarcasmo.»
«Perché devo essere seria, madam? Voi siete abbastanza seria per tutte e due.»
La signora Woodhams ignorò Anna e si rivolse alla sarta: «Vorrei vedere altri abiti già confezionati, per favore.»
Il desiderio venne esaurito, quando due commesse entrarono nella stanzetta con una bracciata di vestiti. Anna, in corsetto e sottoveste, era stramazzata sul divanetto. E da lì non si mosse, mentre la zia Woodhams esaminava i nuovi modelli.
La scelta finale ricadde su di un abito di un vivo e lucido color avorio.
Anna tornò nella parte del manichino con riluttanza ma, terminata la vestizione, quando si guardò allo specchio dovette ammettere, almeno con sé stessa, che il vestito era la cosa più bella ed elegante che avesse mai avuto indosso. Le maniche erano lunghe fino ai gomiti, la scollatura quadrata e adeguatamente profonda; una fascia color ambra stringeva la vita, a mo’ di cintura, e uno strato di merletto del medesimo colore, leggero come il velo di una sposa, era drappeggiato sopra le balze della gonna. Nel complesso, l'abito era comunque scomodo quanto i precedenti, ma la signora Woodhams aveva scelto bene: Anna era scura e non vantava una figura giunonica; l’ambra e l’avorio ravvivavano l’incarnato e il taglio semplice, seppur raffinatissimo, del modello evitava di farla somigliare a una goffa bamboletta infagottata in metri e metri di stoffa in eccesso.
«Passabile» decretò la signora Woodhams, dopo aver osservato Anna da ogni lato. «Ma dovrai indossare un corsetto più stretto.»
«È davvero necessario?» esalò Anna.
«Sì.»
Anna guardò la sarta, in cerca di supporto. Ma la sarta, che stava sistemando l’orlo, le remò affabilmente contro: «In effetti, ho notato che avete la vita un po’ troppo larga. E sapete come si dice?  'La vita perfetta è quella che può venir racchiusa, nella sua interezza, tra le mani di un cavaliere.'»
Anna fu tentata di ribattere che se un uomo si fosse azzardato a posare le mane su di lei, la circonferenza della sua vita sarebbe stato l’ultimo dei problemi del suddetto uomo. Optò, invece, per piantarsi le nocche sui fianchi e commentare con un tagliente: «E scommetto che qui vendete dei corsetti adatti? Quando si dice la fortuna.»
La sarta si schermò dietro un risolino.
«Anna taci» ordinò la zia. 
Trovato l’abito per la cena, la signora Woodhams scelse stoffa e modelli per il resto del guardaroba, che le sarte avrebbero confezionato nei giorni a venire: due cappotti, quattro abiti da giorno, tre da passeggio, tre da sera.
Quando lasciarono Seaver, mezzodì era passato ma il tempo di spendere i soldi dello zio Woodhams era lungi dal giungere al termine. Fu la volta non di una ma di due modisterie: venne acquistata biancheria nuova, due cappellini, un paio di guanti lunghi e due paia di guanti all’uncinetto; un girocollo di raso (da abbinare al vestito per la cena), un parasole e un ventaglio, due diverse borsette e un borsellino di velluto per le monete. Anche gli stivaletti con le stringhe furono giudicati inadatti: ne servivano di nuovi, dotati di bottoni e dal tacco rigorosamente a rocchetto. E alla fine, il povero Bert dovette trovare il modo stipare le scatole sia sul retro della carrozza che all'interno della vettura.
«Com'è possibile spendere tanto tempo in vestiti» borbottò Anna, accasciata in un angolo della carrozza. Bert stava, finalmente, conducendo fuori da Maidstone. «Sono esausta.»
«Povera nipote mia» ribatté algida la signora Woodhams. «Sei stanca di spendere denaro altrui per circondarti di belle cose.»
Anna sussultò.
«Ma io non li volevo nemmeno i vestiti nuovi!»
«Nondimeno, li stai ricevendo. Dovresti pronunciare più parole di gratitudine e meno borbottii.»
Anna ammutolì. In quel momento, la carrozza stava attraversando un incrocio e lei vide un bambino, col viso sporco e i vestiti rattoppati, che spazzava la strada dagli escrementi dei cavalli.

*

A Bon Fleur, il signor Woodhams sfregò le mani quando vide il risultato delle spese della moglie. «Non gioite troppo» disse lei. «Esteriormente sarà presentabile, ma servirà più di qualche ora in sartoria per rimediare ai suoi modi.»
Due giorni dopo, come previsto, lo zio Woodhams lasciò la villa e il primissimo mattino, freddo e nebbioso, fu lo sfondo dei saluti: Anna baciò e si lasciò baciare e dopo che lo zio fu salito in carrozza ― a Maidstone, lo attendeva il treno per Londra ― la signora Woodhams abbandonò la nipote sul portico, a osservare la vettura che si allontanava. La partenza del marito lasciò la signora Woodhams nella totale indifferenza. La donnna mostrò, tuttavia, l'intenzione di soddisfare la volontà di lui e mise subito le cose in chiaro con Anna. «Se non posso evitare di mostrarti al mondo» dichiarò, «sappi che farò quanto in mio potere per trasformarti in qualcosa di cui non debba necessariamente vergognarmi.» E Anna si chiese se dovesse considerare un peggioramento il fatto che la zia si fosse riferita lei usando il termine 'cosa', piuttosto che creatura o scimmia.
Da mattino a mezzodì, e da mezzodì alla sera, le giornate di Anna si ridussero a un elenco di regole da imparare a memoria: come sedersi, come restare seduta e come alzarsi; come, quando e in che maniera salutare; come, quando, di quali argomenti e con quale tono di voce era permesso discorrere. Persino il modo di guardare, di tenere le mani in grembo o di portare un ombrello andavano rettificati secondo le regole del bon ton. Anna, raschiando il fondo della pazienza, sopportava. Ma tra una riverenza e uno sventolio di ventaglio, arrivò a chiedersi quale fosse il modo più appropriato, per una signorina, di sbattere la fronte contro il muro.
Un pomeriggio, dopo l’ennesima mattinata piovosa, un vento greco trascinò via le nubi, rivelando una distesa di pallido azzurro. Il sole inondava il boudoir della signora Woodhams: cadeva sui fiori dei tappeti indiani, sui ricami rosso e oro della dormeuse, sul legno laccato dello scrittoio, sopra il quale la signora teneva i registri di economia domestica e un tomo la cui stazza biblica, e la lunghezza del titolo, Anna reputava vagamente agghiacciante: Mrs Beeton's Book of Household Management.
«Canto Nono. Sahara. Preludio. Tragedia della moglie» stava leggendo Anna, seduta vicino alla finestra; schiena diritta e mento basso, reggeva il libricino con entrambe le mani, tenendolo adagiato sulle ginocchia serrate. Era controllata a vista dalla signora Woodhams, che ricamava seduta sulla dormeuse, e non osava abbandonarsi a una posizione più rilassata.
La zia aveva deciso che ogni giorno, per un’ora e mezza ― non un minuto di meno ― Anna doveva dedicarsi alla lettura ad alta voce di quella che definiva «buona poesia e utile prosa inglese»; gli insegnamenti morali le avrebbero giovato e l’esercizio l’avrebbe aiutata a correggere il suo «sgradevolissimo accento» in favore di una pronuncia pulita e signorile.
«L’uomo dev’essere compiaciuto; ma compiacerlo è della sposa il piacere. Giù, nell’abisso delle necessità di lui, ella si getta, dona... don―» Anna si mangiò il resto del verso in uno sbadiglio.
«Non sbadigliare in quel modo» disse la signora Woodhams, senza interrompere l’abile lavorio dell’ago.
«Se potessi leggere qualcosa di meno noioso, non dovrei preoccuparmi di trattenere gli sbadigli» rispose Anna, asciutta.
La zia tirò con grazia il filo verso l'alto.
«Hai almeno compreso l’insegnamento del poema?»
Anna ispirò e diede la stura al rosario di aggettivi con l'entusiasmo di un penitente in confessionale.
«Una donna deve essere una moglie servizievole. Obbediente. Devota al marito, e ai figli. Sempre  altruista. Sempre pronta a confortare. Sempre con una parola gentile sulle labbra. E ― e ― sapete cosa, madam?» Chiuse il libricciolo e lo schiocco secco fece rizzare la testa a Milton, che sonnecchiava ai piedi della signora Woodhams. «Quale donna riuscirebbe mai a essere davvero così perfetta? Patmore dei miei stivali! Se gli uomini vogliono davvero un angelo, invece di una donna, che vadano in chiesa, rubino una statua e se la piazzino in salotto.»
La signora Woodhams accolse lo sfogo con ammirevole freddezza. «Impara a tenere le tue opinioni per te, Anna.» E continuò a ricamare.
«Ma perché? Perché gli uomini hanno deciso così? Un gruppetto di uomini, un bel giorno, afferma che le donne devono essere composte e silenziose e ecco che dobbiamo comportarci tutte allo stesso modo? ― Per quanto mi riguarda, questa faccenda della cieca obbedienza è una gran stupidaggine. Ragionate: chi ci assicura che tutti uomini sappiamo sempre quale sia la cosa migliore da fare? E se il marito in questione fosse un criminale? Se impazzisse con la vecchiaia? O se fosse semplicemente un citrullo? Pretendete di trasformarmi in una donnina tutta obbedienza e sguardi miti ma io lo vedo benissimo che voi, per prima, non siete mai d'accordo con le decisioni di mio zio.»
La signora Woodhams calò le pallide palpebre sui piccoli occhi scuri. Abbassò il telaio. «Non ammetto di sentire parole come ‘solfa’, ‘piazzare’ e ‘citrullo’ uscire dalla tua bocca.»
«Oh, per favore!» sbottò Anna. «Sto facendo tutto quello che mi chiedete. Ho persino iniziato a indossare il corsetto e questo maledetto sellino.»
«Anna.»
«Insomma, dovete censurare il mio vocabolario anche quando sono in casa?»
«Come è possibile che tu non comprenda?»
«Comprendere cosa?»
«Le buone maniere sono tutto.»
«Pensavo che i soldi fossero tutto...»
«Un villano arricchito sarà sempre considerato né più né meno di un fenomeno da baraccone. Le maniere impeccabile e una reputazione adamantina sono il lustro della nostra classe.»
«Una reputazione adamantina, eh? Ecco perché vi date tutti tanta pena per nascondere i panni sporchi.»
La signora Woodhams la fissò.
«Di che cosa stai parlando?»
Anna si nascose dietro una scrollata di spalle. «Parlo in generale.» Si era chiesta spesso se i Blackwell avessero confidato alla signora Woodhams delle domande che lei gli aveva posto. Ma né la zia, né i due domestici, avevano mai detto o fatto qualcosa al riguardo; nemmeno il più piccolo accenno.
La signora Woodhams volse lo sguardo alla finestra.
La porta del boudoir era socchiusa e, dall’atrio, giunsero i battiti della pendola. Erano le due del pomeriggio.
«Basta così con la lettura» disse la zia.
«Ma manca ancora mezz’ora.»
«Chiaramente, oggi non sei in grado di concentrarti. Sei troppo agitata. Va a fare una passeggiata. L'aria e il movimento gioveranno ai tuoi nervi.»
Anna aggrottò le sopracciglia e non si mosse: l’invito a uscire di casa era tanto insolito da risultare sospetto.
«Va fuori» rincarò la signora Woodhams.
Anna ancora tentennava. Ma, alla fine, non volle  sprecare l'inaspettata libertà.

*

La campagna era desolata, la strada piena di pozzanghere e non c’era modo di evitare di affondare gli stivaletti nel fango. Il vento si era placato, ma nonostante il sole, l'aria mutava il respiro in vapore e presto Anna sentì le guance e la punta del naso pizzicare. Incrociò un carretto, carico di legna: lo conduceva un contadinotto che le rivolse un sorriso sdentato; giunse al bivio e là si attardò, indecisa se riprendere la via di casa o proseguire verso East Farleigh. Mentre valutava, e sfregava le mani infreddolite, il suo sguardo andò alla magione bianca sull’altura: lo spettro tondo e perlaceo della luna piena era già sorto sopra la casa.
Anna prese la via per il villaggio.
Ma non andò lontano.
Dovette fermarsi prima di voltare oltre la dolce incurvatura della strada, che piegava attorno a un tozzo carpino rimasto senza una foglia: si udiva il suono, sempre più vicino, di un cavallo al galoppo. Anna si tolse della strada, riparando sul muretto, basso e diroccato, che in quel tratto la costeggiava. Sedette. Attese. E notò l’erba che infestava il muro: dalle fessure tra le pietre, spuntavano steli pieni di foglioline lunghe, strette e ancora verdi, a dispetto dell'autunno. Anna si chinò a strapparne un mazzolino. Guardò le foglie in contro luce: davano l’impressione di essere cosparse di fori piccoli come capocchie di spillo.
L’attimo dopo, lasciò cadere il braccio in grembo e si voltò verso l'albero: il cavallo portava in sella un cavaliere.
E il cavaliere era William Hall.
Lo scrittore dovette riconoscerla subito: tirò le redini e fece fermare il cavallo proprio davanti ad Anna. Toccò la falda del cappello con la mano inguantata, in cui stringeva il frustino.
«Buon pomeriggio, signorina Hawkins.»
«Buon pomeriggio.»
Anna restò seduta; osservava cavallo e cavaliere dal basso, con le mani strette al bordo del muretto. Nella bestia perfettamente strigliata, dagli zoccoli piccoli e la criniera lunga e corvina, riconobbe un vigoroso esemplare di morello arabo.
«Dove siete diretta?»
«Da nessuna parte in particolare. Passeggio. Voi dove ve ne andate?»
«Vago anche io. Le giornate di sole stanno diventando rare. Ne approfitto per cavalcare.» Batté affettuosamente la mano sul collo del cavallo. Poi, tacque. Contemplava il viso di Anna e Anna, dal canto suo, non distolse lo sguardo. Immersi nella morente, quasi onirica luce di novembre, l’incarnato del signor Hall le parve alabastrino; né il freddo né la cavalcata non erano riusciti ad arrossargli il viso. L’azzurro degli occhi, però, mostrava un che di vivido, intenso ed espressivo che Anna non ricordava di aver scorto in precedenza, né a Bon Fleur, né alla pensione. E nonostante tutto, non riusciva a decifrare le intenzioni di lui: ogni respiro sembrava trattenere una parola, sospesa sulle labbra socchiuse.
«Dovrò parlare con vostra zia» disse William. «Non dovrebbe lasciarvi passeggiare sola. Qualcosa di spiacevole potrebbe accadervi.»
Anna sbuffò.
«Non datele false speranze.»
«Parlo seriamente: potreste incappare negli zingari.»
«Finiremmo per ballare e cantare insieme.»
William increspò un sorriso. Un sopracciglio spiovente si innalzò più dell'altro. «Raccogliete erbe prima del tramonto e non temete la compagnia degli zingari. Dev’esserci della strega in voi.»
«Da quel che dite tutti, mi pare di capire che ci vuole poco per essere una strega, qui in Inghilterra.»
«Sapete come chiamiamo l’erba che avete tra le mani?»
«Erba di San Giovanni. Cresce anche in Nova Scotia. Ma mia madre diceva che non era originaria di laggiù. La portarono i coloni.»
«Difatti. È originaria della nostra isola. Il suo nome scientifico è Hypericum perforatum.»
«Siete uno scrittore o un botanico?»
«L’iperico è il genere di pianta che mi interessa. Taluni le danno il nome di Scacciadiavoli. Sapete indovinare il motivo?»
Anna fissò William, assottigliando le palpebre. Non nascose il senso di sfida che le suscitava la conversazione. ‘Crede di potermi impressionare con qualche romanzata’ pensò. Rispose, schietta e imperturbata: «Dicono abbia il potere di allontanare gli spiriti maligni.»
Il sorriso di William si tinse di una sfumatura a metà tra sollazzo e soddisfazione.
«Naturalmente. Come ho potuto credere che non lo sapeste. ― A questo punto, posso lasciarvi senza temere per la vostra incolumità: sapete difendervi da qualsiasi spirito malevolo o dispettosa fata che infesta la nostra bella campagna.»
«Sfortunatamente, non conosco una pianta che tenga alla larga gli scrittori.»
«Sul mio onore: sono innocuo.»
«Chi mi assicura che, da un momento all’altro, non mi sguinzaglierete contro una prosa terribile?»
William umettò le labbra. Poi, le strinse. Ma non smarrì del tutto il sorriso.
«Credo che il mio ultimo editore condividesse i vostri timori.»
«E allora come lo avete convinto a pubblicarvi?»
«Non l’ho fatto. Ha rifiutato.»
«Ah...» Anna si guardò attorno. Da lì, era ancora possibile vedere la magione sull'altura. La indicò al signor Hall con un gesto della mano. «Sapete chi abita in quella casa?»
William parve sorpreso della domanda.
«Ma come? Non vi hanno detto chi sono i vostri vicini?»
Anna scosse il capo.
«Fantasmi.»
La fronte di Anna si aggrottò.
«Almeno, in questo periodo dell’anno» soggiunse William, con un sorriso morbido. «Al momento, è disabitata. La casa appartiene alla mia famiglia. Mio fratello e mia nuora hanno l’abitudine di rifugiarvisi in estate. E a Natale. Ogni anno, organizzano un ballo per la Vigilia. È una vecchia tradizione di famiglia. ― Mi auguro che quest’anno avremo un’ospite in più.»
Anna rispose con una scrollata di spalle e lasciò cadere il discorso, insieme all'iperico, che gettò a terra; sperava che William interpretasse il silenzio come un invito a riprendere la sua strada, per permettere a lei di continuare sulla propria. E lo scrittore sembrò intendere: toccò di nuovo il cappello e chinò il capo. «Godetevi il resto della passeggiata, miss Hawkins.» Con un colpetto di talloni, spronò il cavallo.
Ma Anna aveva già cambiato idea. Scese dal muretto.
«Signor Hall!»
William si fermò, facendo voltare il cavallo.
‘Chiediglielo. Chiedigli della fontana.’
«Io...»
William la guardava, e attendeva.
«Io... vorrei leggere i vostri racconti, uno di questi giorni.»
«Lusingato. Il vostro interesse è un complimento.»
E ripartì.
Anche Anna si rimise in cammino, rimproverandosi la sua perenne incostanza. Quando fu a East Farleigh, passeggiare per il villaggio non le tolse dalla testa  l'incontro con William Hall. Senza rendersene conto, dedicò allo scrittore ― e a quei suoi malinconici occhi azzurri ― più pensieri di quanti fosse solita a dedicare a qualunque altro uomo. E, nel contempo, pensava ai progetti dello zio Woodhams: un marito e un matrimonio. Fu il ricordo del viscido mercante di pellicce a mettere a tacere la girandola di condiscendenti fantasie. ‘Ma che vai pensando!’ si disse, in un moto di rabbia generale.  ‘Nessun uomo decente ti reputerebbe amabile. Non sei abbastanza... angelica.’

*

Quando Anna tornò a Bon Fleur, era ormai buio. Temeva un rimprovero da parte della zia ma nessuno le venne incontro, né nel vestibolo, né nell'atrio. Il parlour era vuoto. La biblioteca deserta. Bussò alla porta del boudoir e le rispose il silenzio. Eppure, le lampade erano accese.
Calò nel seminterrato dove, con un certo sollievo, trovò Lily in cucina.
La cameriera armeggiava al tavolo, con un pestello e vasetti di erbe essiccate. Un bollitore era sulla stufa. «Oh, eccoti!» esclamò Lily. «Ma che t’è saltato in mente? Restare fuori fino a tardi! Avevo paura ti fossi smarrita! E non sarebbe stata davvero la sera adatta: tua zia si sente male.»
«Come? Che le è successo?»
«Non lo so! La signora Blackwell è con lei, in camera. Non mi ha lasciata entrare.» Rovesciò nella ciotola del pestello un cucchiaio di valeriana.
Anna lesse le etichette sugli altri barattoli: melissa, meliloto, tiglio, biancospino, arancio e violetta. «Queste sono erbe calmanti.»
«Mi ha detto la signora Blackwell di preparare questo infuso.»
«La zia ha avuto una crisi di nervi?»
«Davvero, non lo so!» ripeté Lily. «Ma ha chiamato la signora Blackwell appena il signor Hall è andato via.»
«Il signor Hall? William?»
Lily annuì, vigorosamente.
«È stato qui? ― Strano! L’ho incontrato, sulla strada per il villaggio, non mi ha detto di avere una visita in programma.» Tuttavia, la stranezza era mitigata dal sapere per certo che le visite dello scrittore erano sempre improvvisate.
Ma Lily, finendo di sminuzzare le erbe con il pestello, rifilò ad Anna uno sguardo di sottecchi. «Ci credo ― che non te l’ha detto!» bisbigliò.
Anna la fissò.
«Che intendi?»
Lily scosse il capo.
«Niente...»
«No ― riconosco quella faccia. L’avevi il giorno del mio arrivo. Che cosa c'è?»
«Niente» ripeté Lily.
Ma Anna continuava a scrutarla.
E la cameriera incassò il capo tra le spalle.
«Io non so cosa sia successo esattamente, però...» Si azzittò. Occhieggiò verso la porta. Poi, sussurrando in tutta fretta, come chi confessa un peccato o una vergogna, disse: «Madam ha ricevuto il signor Hall al piano di sopra.»
«E allora? C’è un salottino, di sopra.»
«Non erano nel salottino, Anna. Li ho visti entrare in camera da letto.»
Anna sprofondò nel mutismo. Poi, lentamente, distorse la bocca in una smorfia di spaesamento. Infine, rise: un verso corto, sfiatato, nervoso. «No!» esclamò, con il sorriso congelato. «So cosa stai pensando. E non voglio pensarlo. Perché è impossibile. E... e... disgustoso.»
Lily chinò lo sguardo. «Impossibile o meno» disse, a mezza bocca, «è comunque un comportamento che non mi sarei mai aspettata dalla padrona. Se qualcuno lo venisse a sapere, pensa a come ne uscirebbe la sua reputazione. E quella del signor Woodhams.»
«Io penso che tu stia lavorando troppo di fantasia.»
Lily rialzò gli occhi, di scatto.
«Tu accusi me di lavorare troppo di fantasia?»
«Per quanto ne sappiamo, potrebbero aver giocato a carte. Certo, la camera da letto è una scelta... insolita, ma ― capisci cosa intendo.»
«A dirla tutta, non credo siano rimasti in camera.» Lily gettò un secondo sguardo alla porta. «Il signor Hall era qui da venti minuti, o poco meno, e io ero in biblioteca, a passare la cera sul pianoforte, quando ho sentito dei rumori. Provenivano proprio da sopra la biblioteca.»
«Dalla nursery?»
«Già! La camera è collegata alla nursery.»
«Che... che genere di rumori?»
«Prima ho sentito un rumore di mobili che venivano spostati. Almeno ― così sembrava. E poi, e su  questo ci metto la mano sul fuoco, ho udito un urlo. Brevissimo. Strozzato. Sono sicurissima che fosse la voce di madam.»
«Mia zia ha urlato e nessun altro l’ha sentita?»
«Bert era fuori, nelle stalle. E la signora Blackwell era quaggiù, nel tinello: qui sotto non deve aver udito nulla.»
Anna decise di andare a informarsi da sé: corse su per la scala a chiocciola, ma non appena fu dinanzi alla camera della zia, non ebbe il tempo di sollevare il braccio e bussare, che la porta si aprì e lei si ritrovò faccia a faccia con la signora Blackwell, e il suo famigliare cipiglio.
«Lily mi ha detto che mia zia―»
«Vostra zia ha bisogno di riposo e silenzio» la interruppe la cuoca. Uscì dalla camera, costringendo Anna a indietreggiare, e si chiuse la porta alle spalle. Dall’altro lato, si udì lo scatto della serratura. «Non è successo niente. Solo un po’ di stanchezza. ― Sciò! Lasciate in pace vostra zia. E andate a togliervi quegli stivaletti infangati, per l'amor di Dio ― guardate come avete ridotto il pavimento!» Spostò Anna di lato, togliendosela da dinanzi; e mentre la cuoca marciava verso le scale, Anna la sentì borbottare: «Dannata ragazzina ― le avevo detto di tacere»
Anna se ne stette lì, a fissare truce la scura superficie della porta, indecisa. Non sopportava la zia Woodhams quand’era calma, davvero voleva affrontarla dopo una crisi di nervi? Perché recitare la parte della nipote preoccupata quando, in cuor suo, non provava alcun affetto per quella donna? Arretrò e si diresse nella propria stanza da letto.
La signora Woodhams restò in camera per il resto della serata. Il mattino seguente, non scese per la colazione, non fece chiamare Anna e impartì disposizioni alla signora Blackwell senza alzarsi dal letto. Verso le dieci, però, giunse una lettera. Il corriere fu fatto attendere nel vestibolo perché il messaggio chiedeva una risposta immediata. Lily consegnò la lettera alla padrona e, cinque minuti più tardi, ne mise una scritta di fresco tra le mani del corriere.
Fu proprio Lily a informare Anna: la lettera proveniva da Ellsworth House.
«E come sta mia zia?» chiese Anna.
«Mi è parsa stanca, ma tranquilla.»
In quanto ad Anna, non aveva il permesso di vedere la zia; e lei era ben disposta a rispettare il divieto.
Dopo pranzo, Anna mentre riposava sul sedile della finestra del parlour, con Milton tra le braccia e lo sguardo perso in direzione del viale ― il vetro era rigato: un’acquazzone si era rovesciato sulla campagna attorno a mezzogiorno ― vide una carrozza oltrepassare il cancello.
Avevano ospiti.








➽ Note
Il poema letto da Anna è The Angel in The House (L’Angelo del Focolare) scritto tra il 1854 e il 1862 da Coventry Patmore. Ha per soggetto la descrizione del matrimonio e della moglie ideale. L’altro libro nominato in questo capitolo (Mrs Beeton's Book of Household Management) era, all’epoca, un popolarissimo e dettagliato manuale per la gestione dell’economia domestica e della cura della casa. Un ‘must have’ di ogni buona moglie borghese.

È d’obbligo un enorme grazie a chi continua a passare di qui ٩(♡ε♡ )۶
Ho anche notato che sono saliti i lettori silenziosi che hanno inserito la storia tra i preferiti e seguiti. Sappiate che vi ho visto ― e che vi lovvo assai. Io cercherò di continuare con gli aggiornamenti regolari e forse, più avanti, potrei riuscire a portare il ritmo a due capitolo alla settimana. ❤

   
 
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