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Autore: DemoneDiCristallo    15/07/2016    2 recensioni
Max è un uomo di trentanove anni con un figlio da crescere e gravissimi probelmi economici. Rimasto vedovo, deve combattere contro una situazione critica. Ma cosa accade dopo che viene in possesso del leggendario drago di zaffiro?
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tornai a casa, e senza pensarci due volte, chiamai il numero di telefono riportato sul giornale.  Una piccola luce di sperenza,  cominciava a intravedersi in fondo al tunnel. << Pronto buongiorno, chiamo per l'annuncio riportato sul giornale Daily Express, se non sbaglio cercate personale per le pulizie in un magazzino, potrei avere più informazioni? >> Una voce femminile rispose al telefono << Salve, mi lasci un recapito, quanti anni ha, e la sua residenza >> << Mi chiamo Max Gilsson, ho trentanove anni,  e vivo ad Edmolton >> << Oh bene, alllora la distanza non sarà un problema per lei. Ok Max, ci lasci un nuomero di telefono, la contatteremo il prima possibile per fissare un colloquio lavorativo >> Cosi feci. Speravo con tutto me stesso, che avrebbero chiamato per fissare il colloquio. L'unica cosa positiva di questa situazione, è che mi ha costretto a smettere di fumare. Fumavo più di venti sigarette al giorno, ma per pensare al mio benessere, e soprattutto a quello di mio figlio, ho dovuto smettere.  << Papà chi era? >> chiese Andrew, uscendo dalla porta della cameretta. << Nessuno amore, era la solita offerta telefonica di qualche operatore. Tu non preoccuparti, anzi vai in bagno che adesso facciamo la doccia. >> non volevo dirgli del lavoro, per non dargli false speranze.  << Ma papà, guarda l'orologio, è quasi mezzogiorno, io ho fame! >> disse Andrew piagnucolando. << Hai ragione tesoro, che sbadato. >> Avevo la testa talmente sottosopra, che non avevo quasi più la concezione del tempo. << Adesso ti preparo un pranzetto con i fiocchi, che ne dici? La doccia la farai più tardi >> << Si! >> Esclamò il bambino. Potevo leggere la felicità nei suoi occhi, e questo era una pugnalata per me. Quale padre al mondo, avrebbero resto felice il proprio figlio,  un bambino, con un piatto di pasta diverso dal solito? Mangiammo, ridemmo e parlammo del più e del meno.  Lo portai alle giostre, e tornati a casa, gli feci la doccia. Era molto tempo che non ce lo portavo, e con i soldi della chiesa, avevo deciso di farlo divertire un pò. Passarono le ore, e cominciò a calare la notte. Portai il bambino a letto, e mi coricai di fianco a lui. Poggiò la sua piccola testa sopra il mio braccio, e cominciammo a parlare.  << Papà, dov'è la mamma? >> mi chiese il piccolo << Beh vedi Andrew, la mamma è in un posto migliore, dove giocano e si divertono tutto il giorno >> risposi con voce pacata << Dici davvero? >> << Si, e ogni tanto ci osserva, per vedere come stiamo >>. Mia moglie morì in ospedale, fu investita in pieno da un furgone, con a bordo il conducente in stato di ebrezza. Era bella, decisamente troppo bella. Passarono due giorni, e non ricevetti alcuna chiamata. Le mie speranze si stavano pian piano sciogliendo come neve su un termosifone, quando improvvisamente il telefono cominciò a squillare. Risposi immediatamente, e udì una voce maschile, dura e imponente << Sabato, alle 14:30, in via Mc.Ginfley 143 >> << Come scusi? >> e la voce nuovamente << Sabato, alle 14:30, in via Mc.Ginfley 143 >> e poi aggiunse << Citofoni al cognome di Branton. Scala A, terzo piano >> << Nono aspetti, un attimo devo prendere nota! >> ma il telefono venne riagganciato.  << Sabato, 14 e 30...com'era la via? Mc...Mc. Ginfley, e il civico? Mi sembra 143.  Il cognome era Brandon, scala A al secondo o al terzo piano, non ricordo >> Cominciai a ripetermi di continuo le informazioni lasciate dalla voce al telefono, cercando di fretta e furia carta e penna per prendere nota.  Eravamo ancora a giovedì, altri due giorni e sarei venuto a conoscienza, di cosa il destino avrebbe riservato per me. << Mi raccomando, fai il bravo >> Misi lo zaino per la scuola sulle spalle di Andrew, e lo accompagnai all'entrata della scuola. Improvvisamente sentì chiamare il mio nome << Signor Gilsson, vorrei parlarle un attimo >> era la maestra di mio figlio. << Si, mi dica>> << Ecco vede, vorrei parlarle di suo figlio. Utimamente io e la mia collega stiamo notando un cambiamento comportamentale nel bambino. Diventa sempre più asociale, non parla con nessuno, e delle volte risponde male alle maestre, me compresa. So che ha perso la mamma da poco tempo, e vede, vorrei consigliarle qualcuno con cui farlo parlare, e magari sfogarsi >> << Mio figlio non ha bisogno di psicologi, o cose simili. Ce la caviamo benissimo da soli. E poi come crede che prenderebbe la cosa? Non è stupido, ha solo sette anni, ma lo capirebbe >> risposi con tono leggermente irritato << Non la prenda come un offesa personale, tutti i bambini dopo aver avuto traumi, hanno bisogno di parlare con qualcuno che li comprenda. Si fidi di me, può solo che far bene a suo figlio. Le lascio questo tesserino nel caso cambiasse idea. Vi è riportato il numero di una psicologa molto brava con i bambini. Ci pensi su, e nel caso fissi un appuntamento.>> Ci pensai su per qualche secondo, e poi con aria infastidita presi il tesserino, e lo infilai nel portafogli in tasca ai jeans. << La ringrazio.>> << Adesso devo andare che i bambini mi aspettano. La saluto.>> Quel tesserino era l'ennesima umiliazione. Mio figlio aveva me per parlare, e avevo paura che uno strizzacervelli non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Presi l'autobus e tornai a casa. Mi sedetti sul divano, e accesi la televisione. Non davano nulla di interessante, ma la televisione era solo un pretesto per fare qualcosa, in realtà avevo tutt'altro per la testa. Come mai il tizio che mi ha chiamato, non mi ha lasciato neanche il tempo di prendere nota? Eppure questo non mi sembra un comportamento adatto per assumere potenziali lavoratori. Alle 13.00 sarei dovuto andare a scuola a riprendere Andrew, e decidetti di passare il tempo cercando qualche altro annuncio lavorativo. Chiamai tutti quelli che rientravano nei limiti delle mie possibilità, ma per uno scherzo del destino, nessuno di questi rispose.  Successivamente mi corricai sul divano, e mi addormentai. Non avevo dormito bene durante la notte, e il sonno si era impadronito di me. Quando mi svegliai, un brivido ghiacciato mi attraversò la schiena. Erano le 12.49 minuti, tra undici minuti Andrew sarebbe uscito da scuola. Mi misi le scarpe il più velocemente possibile, e uscì di corsa. La scuola era a circa un chilometro da casa. Ero a piedi, non avrei mai fatto in tempo. Avevo le mani tra i capelli, non sapevo cosa fare e aspettare l'autobus sarebbe stato inutile, quando per un enorme colpo di fortuna, vidi passare un ragazzo con una biciciletta. << Hey! Hey!>> Gli urlai. << Prestami la tua bicicletta, ho un urgenza!>> << Cosa fratello? Ma ti sei bevuto il cervello? >> << Ti do dieci dollari, prestami quella cazzo di bicicletta ho detto! >> insistetti urlando << No te lo scordi amico, chi me lo dice che poi me la riporterai indietro? >> non avevo altro tempo da perdere. Spinsi il ragazzo a terra, montai in sella e pedalai, pedalai come un forsennato. << Sei un bastardo! >> Urlò il ragazzo correndomi dietro per qualche metro. Un passante si avvicinò al ragazzo e gli disse << Cos'è successo?>> << Quello stronzo mi ha rubato la bicicletta! >> Alla fine riuscì ad arrivare a scuola in tempo. Mi liberai della bicicletta, e passai a prendere mio figlio. Tornando a casa, notai un veicolo nero parcheggiato proprio sotto l'appartamento, e una donna che bussava alla porta.
   
 
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