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Autore: micavangogh    16/07/2016    0 recensioni
La guerra era scoppiata.
Non una di quelle di cui si legge nel libri di scuola.
Una guerra contro una civiltà sconosciuta, un popolo di cui il poco che si credeva di conoscere era scritto in libri di fantascienza.
E come combattere ciò che si credeva fantasia se non con la magia stessa?
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: Incest, Triangolo
Capitoli:
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Mi svegliai in una camera buia.
Era notte? Era giorno?
Non avrei saputo dirlo data l'assenza di finestre.
Feci per alzarmi, ma terribili fitte alla schiena e alla testa mi fecero bloccare immediatamente.
Ero attaccata ad una strana flebo, un liquido dal colore giallastro mi scorreva nelle vene probabilmente già da ore, se non da giorni.
Quanto avevo dormito? Non lo sapevo definire.
Mi sfilai l'ago dal braccio e cercai di alzarmi con movimenti più cauti e lenti.
Passo dopo passo, riuscii a raggiungere la porta, ma come sospettavo era bloccata.
Riuscii però ad arrivare all'interruttore della luce, una luce fioca che rischiarì la stanza, ancora più inquietante di quanto immaginassi.
Non che ci fosse niente di particolare in quella camera.
Era tutta bianca, muri, mobili, lenzuola.
Staccavano solo il color metallo della flebo, il liquido giallastro al suo interno e una strana porzione di carne secca con accanto una bottiglia d'acqua, sul comodino color avorio.
Alla vista del cibo sentii lo stomaco reclamare le diverse ore di digiuno, dubitavo che la flebo contenesse una qualche sostanza nutriente.
Mangiai, o meglio, trangugiai il tutto in pochi minuti e dopo di che bevvi gran parte della bottiglietta.
Ancora quello strano liquido che mi avevano rifilato in laboratorio prima della grande operazione.
Cosa mi avevano fatto? E che razza di acqua avevano? erano le domande che maggiormente mi balenavano nell'anticamera del cervello.
Immersa nei miei pensieri non sentii i passi che si avvicinavano alla mia camera e quando aprirono la porta feci un salto degno di olimpiadi per lo spavento.
"Vedo che è in forma, signorina Martin"
"Tutto alla grande"
Dissi indietreggiando, mi tremavano le mani.
Era il dottor Durmen.
"Su, non sia così spaventata. Non la voglio uccidere, non ora almeno"
Un ghigno sulle sue labbra scarne mi diceva che le sue parole non erano poi così sarcastiche "sono venuto a vedere come si sente, ha subito un intervento piuttosto pesante rispetto ai soliti"
Lasciò galleggiare quelle parole dall'aspetto tetro nell'aria per un po', poi continuò "ma vedo che procede tutto perfettamente. Il Generale aveva ragione, può iniziare l'addestramento già domani"
Dette queste ultime parole si voltò verso la direzione da cui era venuto
"Dottor Durmen!" 
"Si cara?" Si voltò con un sorriso che era tutto meno che rassicurante
"Che tipo di intervento è stato?"
"Oh mia cara lo vedrai" si fermò, aumentando poi la larghezza del sorriso.
"Lo vedrai molto presto" e se ne andò definitivamente, lasciandomi lì, una strana sensazione che mi cresceva da dentro.
Passarono poche ore prima che mi riaddormentassi. Poche ore trascorse sdraiata sul letto a fissare il soffitto e a pormi domande di cui non avevo risposta.
Quando sarebbe finito tutto?
Cosa mi avevano fatto? 
Ero diventata uno di quei mutanti che si vedevano a volte in tv?
O ero l'ennesimo abominio che tardava a manifestarsi?
Come sarebbe stato l'addestramento?
E mille altre ancora, che solo l'incredibile stanchezza e mancanza di forze riuscì a zittire.
La mattina stranamente mi sentivo in perfetta forma.
Ancora per poco, pensai staccando dalla porta il foglio firmato dottor durmen che mi ricordava l'inizio degli addestramenti. Ancora una volta mi trovai sul monotono comodino bianco cibo e, questa volta, attenzione attenzione:
Un normale succo alla pesca.
Trovai inquietante il fatto che qualcuno si insinuasse nella mia stanza mentre dormivo.
Raccolsi dalla sedia la tuta che mi era stata lasciata e andai in bagno per farmi, finalmente, una doccia e prepararmi.
Lo scorrere dell'acqua sul mio corpo mi diede un sollievo che, in circostanze diverse, non avrei mai provato dal momento che l'acqua era gelata.
Prima di rivestirmi rimasi davanti al piccolo specchio che si ergeva sopra al lavandino.
Guardai il mio corpo, in cerca di qualcosa che provasse che ero davvero cambiata, ma non trovai niente.
Quando scesi quasi mi diede sollievo entrare in una stanza normale.
Tutto quel bianco che mi aveva circondata fino a quel momento mi dava i brividi.
Le facce degli altri ragazzi non erano poi così diverse da quella che credevo di avere io, tutti ancora troppo scossi per lasciar trasparire alcuna emozione.
Mi colpì vedere bambini in quella stanza, in quella situazione.
Sapevo che anche i ragazzini di 12 anni ultimamente venivano chiamati durante le varie raccolte a causa dei parecchi fallimenti.
Ma quelli non potevano avere più di 11 anni, la stessa età di Mike, mio fratello minore. 
Il peso che mi colpiva il petto ogni qualvolta rivolgessi un pensiero alla mia famiglia era immaginabile.
Avevo lasciato mio fratello di 11 anni a prendersi cura di un padre invalido e di una madre inesistente da ormai parecchio tempo.
Mio fratello maggiore, Matthew, era invece stato reclamato nei primi anni di sperimentazione e non lo vidi più da quel giorno.
Non potei ascoltare i miei pensieri malinconici ancora per molto, una voce robotica proveniente da un autoparlante mi bloccò.
"Benvenuto tredicesimo gruppo. L'addestramento avrà inizio tra cinque minuti", una pausa di pochi secondi e poi ricominciò, "e ricordatevi di non causarvi danni troppo gravi, non siete voi il nemico"
E dopo di che ricadde il silenzio, coperto da qualche rumorio.
Certo che qua sanno proprio come rassicurare la gente, pensai.
Esattamente cinque minuti dopo un grande portone blindato si aprì, scoprendo un'immensa sala adorna di manichini, armi e altri attrezzi super tecnologici per trasformare anche la persona più pacifica del mondo in una macchina da guerra.
Una voce autorevole ci arrivò dalle spalle, facendoci voltare tutti di colpo: 
"gruppo tredici, io sono Marie Saint, vostra tutrice e allenatrice, insieme ai soldati Fredrick e German" due ragazzi, non avevano più di venticinque anni, fecero un passo avanti, portandosi a fianco della signora di circa trent'anni che si ergeva di fronte a noi, apparendo immensa nonostante fosse minuta e di piccola statura.
"sarete addestrati e tenuti nella struttura a tempo indeterminato, uscirete solo per eventuali attacchi o simulazioni" scese dalla pedana che la sosteneva fino a pochi secondi prima, "ora forza, prendete un'arma su cui volete focalizzarvi di più, naturalmente vi porteremo ad un livello accettabile con ognuna, ma è importante che ogni guerriero trovi la sua arma, il suo gioiello".
Si trasferirono tutti in massa davanti all'enorme vetrina ricca di arnesi di ogni genere, alcuni ti trasmettevano i brividi solo a guardarli. io non avevo esperienza con le armi, non avevo niente a che fare con quell'ambiente di cui tutto mi intimoriva così tanto.
Fui l'ultima ad avvicinarmi a quella gigantesca esposizione, quando la ressa si era finalmente placata. Nonostante in molti avessero fatto razzia e avessero preso più armi del dovuto, la scelta era comunque vasta per una che sapeva che, con una o con l'altra, sarebbe stata ugualmente un disastro.
Scelsi un arco, il più semplice e il più minuto. non il più minaccioso e nemmeno il più articolato, non avrebbe fatto differenza. Nonostante non sapessi nemmeno reggerlo in mano in quel momento, contavo sul fatto di imparare ad utilizzarlo e, nel caso avessi proprio dovuto combattere, avrei potuto farlo a distanza.
certo, pensar già a come svignarsela il primo giorno non era il più valoroso dei pensieri, ma, al diavolo.
"Ei tappetto, hai scambiato quell'arco per una borsetta?"
Mi girai di scatto, con una faccia che probabilmente tradiva l'aggressività con cui avrei voluto rispondere. Intenta a pensare alle mie solite stronzate non mi ero nemmeno accorta di essere fissata da un bel gruppetto di gente, che nel frattempo se la stava sghignazzando cercando, invanamente, di coprirsi con la mano.
"E tu che diamine vuoi?" balbettai queste parole con una tale insicurezza, che il mio piano di apparire la classica stronza con la risposta sempre pronta mi si frantumò in mille pezzi addosso.
Alzai lo sguardo verso il volto che mi aveva rivolto parola prima della mia gaffe.
Era un ragazzo moro, occhi verde intenso, alto e massiccio, ma non troppo.
Era un figo, niente da dire. Un figo che naturalmente, come vuole la legge della figaggine, la gentilezza l'aveva rinchiusa all'interno di quelle gabbie di ferro che erano i suoi addominali. 
Feci per andarmene quando un vento gelido mi accarezzò il collo, un cristallo di ghiaccio era apparso tra le mani del ragazzo. 
"Io sono Lucas, ma puoi anche chiamarmi ragazzo ghiaccio, tappetta", fece qualche passo verso di me, così velocemente che non feci in tempo a spostarmi, "e tu? che mi dici del tuo grande talento 'artificiale'?" 
Sbuffai e mi girai nuovamente, senza dire niente in risposta, velocizzai il passo e puntai all'angolo dove c'era l'area di tiro.
Non avrei saputo dire se scappavo per paura, vergogna, fastidio o perchè, semplicemente, non avrei saputo rispondere a quella domanda.
La signora Marie si avvicinò a me, squadrò il mio arco e dopo di che mi fece passare in rassegna.
"Sai cosa si dice di un'arma?"
Feci cenno di no, guardando con occhio più critico di prima l'aggeggio che avevo scelto e insultandomi mentalmente per il pessimo inizio.
"L'arma è la prima carta di presentazione per un guerriero.
Con quel giochino non ti prenderebbero sul serio nemmeno se tu fossi un Cosplay."
Si avvicinò alla vetrinetta delle armi e prese una lancia dorata, che prima non avevo notato.
Me la lanciò e, stranamente, riuscii ad afferrarla al volo.
"Ora si ragiona già di più".
Guardai per qualche minuto, incapace di dire qualcosa, le rifiniture precise di quello che sembrava più un capolavoro che un oggetto di massacro.
Mi stava giusto all'interno del pugno il manico.
Era una lancia dritta, che andava ad assottigliarsi mano a mano che si avvicinava alla punta, affilata come un rasoio.
Avevo sempre pensato che oggetti del genere pesassero un'immensità, troppo per il mio corpo gracile e senza la minima ombra di muscoli.
Invece era stranamente leggera, mi sentivo meno goffa di quanto avevo pensato con in mano quell'arma.
"Aveva ragione il generale.." si fermò un attimo abbassando il capo, poi proseguì "quell'arma è fatta proprio giusta per te".
Dette queste parole andò a rimproverare un gruppo di ragazzotti che aveva già iniziato a fare rissa.
Non capivo il senso delle metà delle parole che mi dicevano in quei giorni, ma il mio cervello era arrivato ad un punto di sopportazione tale, da cancellare ogni tipo di pensiero appena esso mi sfiorava. Avevo la testa libera, completamente vuota.
Presi la lancia e la tirai verso il bersaglio, mancandolo miseramente.
Non era nemmeno arrivato a sfiorarlo.
Sentii uno sghignazzare familiare avvicinarmisi alle spalle e dopo di che una mano mi toccò una spalla.
"Guarda che anche cambiando quello scassone della tua ex arma con una migliore, non accade un miracolo"
Mi voltai verso di lui. Lucas. Questa volta la risposta fu più diretta
"Non mi sembra di aver chiesto un tuo parere"
"Era una constatazione, tappetta"
"La finisci di chiamarmi così e ti levi dalle palle? Sai, con questa cosa" feci cenno alla mia lancia, che nel frattempo ero andata a riprendere "non deve essere difficile colpire a qualcuno che mi sta a due centimetri di distanza"
"Non faresti male nemmeno ad una mosca"
Feci per andarmene ad un'altra postazione quando lui nuovamente mi fermò
"Insomma, se non mi vuoi dire che tipo di esperimento hanno fatto su di te, dimmi almeno come ti chiami.
Sai, giusto per non dover usare quel nomignolo che ami tanto e evitare di avere una lancia conficcata nel petto."
Mi girai, questa volta non provai rabbia.
Diedi uno sbuffo, probabilmente di sollievo, non mi ero accorta di trattenere il respiro.
"Courtney, mi chiamo Courtney.
E, prima che tu me lo richieda altre migliaia di volte, non ho ancora la più pallida idea di cosa abbiano fatto di me."
E dette queste parole, mi diressi alla stazione di arrampicata.
   
 
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