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Autore: Adeia Di Elferas    16/07/2016    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Come le era capitato spesso anche in altre occasioni, Caterina stava cercando di stemperare la tensione con l'esercizio fisico.
 Aveva preso parte a una delle esercitazioni delle guardie della rocca di Ravaldino, approfittandone sia per passare in rassegna le truppe di stanza sia per tenersi in allenamento. Non era uno spettacolo nuovo o inusuale, per i soldati della rocca, vederla in assetto da esercizio, impolverata, sudata e con la spada spuntata in mano, ma per il messaggero che giunse da Roma quella mattina la scena fu piuttosto inusuale.
 Era stato il castellano a farlo entrare senza indugio, dato che aspettavano in effetti notizie da Roma e quell'uomo portava con sé il vessillo di Raffaele Sansoni Riario. Gli indicò il cortile, dicendogli che lì avrebbe trovato la Contessa.
 La staffetta era arrivata fino al punto esatto in cui gli era stato detto di cercare la signora di Forlì, ma quello che trovò lo lasciò basito. Nel centro di un gruppo di uomini in armi stavano due individui col viso coperto da un caschetto di cuoio imbottito, intenti a darsi battaglia con lunghe spade senza filo, incitati da tutti i presenti.
 Il romano adocchiò l'unico che sembrasse avere un'aria innocua, un ragazzo poco più che ventenne, che osservava la scena con un sorriso un po' distaccato, ben lontano dalle grida scalmanate che lanciavano gli altri. Anche i suoi abiti erano di foggia superiore e il modo in cui teneva le braccia appoggiate a uno dei pali per i cavalli fecero pensare al messaggero di aver trovato finalmente un nobile, in quel ginepraio di zoticoni.
 “Vossignoria saprebbe dirmi dove posso trovare la Contessa Sforza Riario?” chiese il romano, dopo essersi avvicinato sufficientemente al giovane.
 Questi smise subito di sorridere e lo guardò con occhio indagatore: “Che volete da lei?”
 Il messaggero si affrettò a rispondere, un po' seccato dal tono supponente usato da quell'elegante forlivese: “Arrivo da Roma, sono stato inviato da suo cugino, il Cardinale Sansoni Riario per importanti comunicazioni.”
 Senza aspettare altro il giovane cominciò a fare un fischio ben forte, tanto da mettere tutti a tacere e chiamò a sé uno dei due duellanti, con ampi gesti della mano, annunciando: “Sono arrivate notizie da Roma!”
 La staffetta avrebbe voluto evitare quella perdita di tempo, perciò provò a ribadire: “Io sto cercando la Contessa Sforza Riario per...”
 Ma il duellante appena arrivato ai bordi del cortile, si tolse il caschetto di cuoio e, liberando all'aria calda dell'agosto i capelli biondi, guardò il romano e disse: “L'avete trovata.”
 L'uomo restò basito, ma cercò di dissimulare: “Oh, ecco... Bene...” farfugliò.
 “Chi è stato eletto, allora?” chiese Caterina, con una certa apprensione.
 L'uomo si guardò un momento in giro, sentendosi gli occhi di tutti quei soldati addosso e rispose: “Hanno eletto il Cardinale Rodrigo Borja, che si impose il nome di Alessandro VI.”
 La Contessa non riuscì a dissimulare molto la sua sorpresa. Era stata convinta per tutto quel tempo che alla fine l'avrebbe spuntata davvero Carafa, e invece...
 “Giacomo – disse in fretta al ragazzo che l'aveva chiamata poco prima – organizza subito una riunione del mio Consiglio ristretto.” abbassò la voce e soggiunse: “Stavolta anche Ottaviano.”
 Poi la donna guardò il messaggero e pose due domande di fila, senza dargli troppo tempo per pensare: “Avete altro da comunicarmi? Che clima c'è in Vaticano?”
 “No, null'altro da dire, mia signora. Il clima a Roma è molto particolare...” fece la staffetta, ma Caterina stava ascoltando solo con un orecchio, l'altro già intento a raccogliere i commenti di quelli che le stavano vicino.

 Giacomo Feo era riuscito a trovare in giro per la rocca e nelle sue vicinanze tutti i più fidati consiglieri della moglie, mentre per Ottaviano la ricerca fu più difficile.
 Lo trovò all'ultimo minuto, quando stava per desistere. Il ragazzino era a cavallo, con uno dei precettori e il fratellino Livio che con i suoi otto anni non ancora compiuti pareva ugualmente più saldo in sella rispetto al tredicenne Ottaviano.
 “Vostra madre vuole che partecipiate al suo Consiglio.” disse Giacomo, indirizzandosi al Conte Riario con una certa deferenza solo perché era presente anche un precettore.
 Il ragazzino alzò il mento, mentre il cavallo scalpitava appena e ribatté: “E perché?”
 “A Roma è stato eletto un nuovo papa e vostra madre vuole discutere la situazione con tutti i suoi Consiglieri.” rispose Giacomo, irritandosi.
 “Io non sono un suo Consigliere.” rimarcò Ottaviano, con una vena di infantile lagnanza nella voce.
 “Siete il Conte, infatti – si intromise il precettore, nel tentativo di arginare un litigio come quelli che aveva più volte visto scoppiare tra il Governatore Generale e il suo pupillo – e come tale è bene che stiate al fianco di vostra madre che è vostra reggente e vi mostra la via.”
 Ottaviano guardò il suo maestro e poi Giacomo e infine Livio, che aspettava di vedere che sarebbe accaduto con la bocca un po' aperta e gli occhi spalancati. Tanto per non sfigurare di fronte al fratello minore, il Conte decise di accettare.
 “E sia. Quando sarà la riunione?” domandò, atteggiandosi ad annoiato signore che concede la propria presenza per pura grandezza di spirito.
 “Adesso, se vi degnate di seguirmi.” rispose secco Giacomo.
 Per il Governatore Generale era già pesante condividere alcune ore del giorno, in particolare quelle dei pasti, con quel ragazzino. La prospettiva di dover passare dell'altro tempo con lui a causa delle riunioni indette da Caterina era ancora peggio. Tutte le volte che doveva parlargli si sentiva sempre sull'orlo di prenderlo a male parole, cosa che a volte capitava, quando Caterina non era nelle vicinanze, e sempre di più temeva di lasciarsi sfuggire qualcosa di peggio.
 Niente e nessuno, infatti, poteva persuaderlo del fatto che Ottaviano non fosse stato in alcun modo coinvolto nelle congiure che per poco non avevano portato la Contessa e lui stesso nella tomba. Sarebbe bastato poco, molto poco, a Giacomo, per inveire contro il Conte, accusandolo apertamente di aver tramato alle sue spalle.
 Dall'incidente di Tossignano in poi, il Governatore Generale aveva cercato di convincere la moglie di essere tornato del tutto alla normalità. In realtà, però, la tensione e la paura provati in quelle ore concitate non l'avevano più abbandonato del tutto. Aveva cominciato a fare incubi, a guardarsi le spalle e – un po' se ne vergognava – ad annusare con attenzione il cibo e il vino prima di servirsene, per controllare che non vi fosse dentro del veleno.
 Più aveva vicino Ottaviano, poi, più si sentiva in pericolo.
 “Va bene, vi raggiungo subito, allora.” fece il ragazzino, staccandosi dal precettore e da Livio per avvicinarsi a Giacomo, che era a piedi.
 Normalmente sarebbe stata buona creanza per Ottaviano, benché fosse il Conte, smontare di sella e proseguire verso la rocca a piedi, di pari passi con Giacomo. Tuttavia l'irrequieto primogenito della Tigre di Forlì non aveva alcuna intenzione di dare quella piccola soddisfazione all'amante di sua madre.
 Dopo averlo affiancato, diede di speroni alla sua cavalcatura e lo anticipò sulla strada verso la rocca, alzando un gran polverone, nella speranza di insozzare il più possibile la fine giacchetta di seta nera che l'arrogante Governatore Generale aveva indossato per la prima volta proprio quel giorno.

 “Per noi dunque è un buona elezione.” parafrasò Luffo Numai, cercando di capire meglio quello che la sua signora intendeva dire.
 “Che quello spagnolo sia difficile da comprendere e da prevedere lo sappiamo tutti – disse Caterina, senza dare adito a troppe speranze – tuttavia lui è il padrino di mio figlio Ottaviano e a quanto pare anche i nostri cugini, il Cardinale Della Rovere e il Cardinale Sansoni Riario hanno votato per lui, il che mi fa credere che sperino che si tratti di un papa favorevole a questa famiglia.”
 Nel sentirsi nominare, Ottaviano si era fatto un po' più dritto sulla sedia, orgoglioso di essere il figlioccio del nuovo papa.
 Giacomo non aveva potuto fare a meno di sentirsi preoccupato per quell'ennesimo scatto in avanti fatto dal giovanissimo Conte. Era ormai palese per entrambi che erano l'uno il rivale dell'altro e che si stavano contendendo non solo l'ammirazione e l'approvazione, ma anche l'amore di Caterina.
 Solo, pensava Giacomo, quel tipo di sentimento era abbastanza legittimo per un marito, ma non per un figlio.
 “Allora come ci muoveremo?” domandò il castellano di Ravaldino, che prima di tutti aveva capito quanto quella elezione avesse lasciato interdetta la Contessa.
 “Indiremo tre giorni di festa nelle terre di Forlì e di Imola – decretò Caterina, che aveva già pensato a come dosare al meglio le moine e le distanze con Rodrigo Borja, un uomo che aveva sempre detestato, per quanto ne riconoscesse le capacità – specificando bene in ogni omelia e in ogni preghiere che questo nostro festeggiare è solo dovuto al legame che vi è tra mio figlio e il nuovo papa.”
 Luffo Numai annuì: “Molto saggio, mia signora.”
 Giacomo, il castellano, Ottaviano e gli altri pochi presenti guardarono Numai e Caterina senza capire. Le loro menti non erano abbastanza addentro ai giochi fini e impercettibili del potere per comprendere come quella piccola sfumatura avrebbe fatto capire ad Alessandro VI che la Contessa lo vedeva come un alleato, ma con riserva. Non si festeggiava, infatti, la sua investitura: semplicemente si rimarcava il suo legame di lunga data con la famiglia dei Riario.
 “Dopodiché – proseguì Caterina, senza perdersi a spiegare quel dettaglio a chi non l'aveva capito – manderò come ambasciatori Giovanni Delle Selle e Antonio Baldraccani per Forlì e Michele Maccherelli con Pietro Calderini per Imola.”
 “Non bastano due ambasciatori in tutto, uno per Forlì e uno per Imola?” chiese a quel punto Ottaviano, parlando per la prima volta in sede di Consiglio.
 Giacomo si innervosì non poco, nel rendersi conto che egli stesso avrebbe fatto quella richiesta, se non fosse stato costretto al silenzio da una promessa fatta alla moglie nel privato del loro Paradiso.
 Caterina guardò il figlio per un momento, come sorprendendosi del suo spirito d'iniziativa, ma lo liquidò con un laconico: “No, ne mandiamo due per città.”
 “E cosa faremo dire ai nostri ambasciatori?” domandò Oliva, che da buon ex ambasciatore conosceva bene il peso che le parole di quei quattro messi improvvisati avrebbero avuto alla corte di Roma.
 “Ricorderemo al papa il suo legame coi Riario – elencò Caterina – e chiederemo tre anni di Giubileo per Forlì, il permesso di usare i soldi delle elemosine per costruire il nuovo convento delle monache e che Roma ci mandi padri confessori in grado di sciogliere vincoli, voti, contratti e tutto quanto.”
 La scelta della richiesta, così decisa e inattesa, lasciò tutti gli uomini presenti senza parole. Si erano aspettati che la Contessa avrebbe sì rimarcato l'amicizia con la famiglia Borja, ma anche che avrebbe tenuto basse le richieste, quando invece domandare tre anni di Giubileo per una città come Forlì era decisamente una pretesa sopra le righe.
 “Non so se il nuovo papa acconsentirà...” disse con un certo scetticismo Luffo Numai, distaccandosi per la prima volta in quella sede dalle decisioni della sua signora.
 “Non credo che vorrà inimicarsi le nostre terre, proprio ora che Napoli e Milano stanno per affrontarsi in campo aperto.” fece notare la Contessa: “Comunque decida di schierarsi, quel maledetto Borja avrà bisogno della via Emilia, per i suoi maneggi.”
 A lasciare interdetti i Consiglieri di Caterina non fu tanto l'appellativo usato per descrivere il papa, quanto la sua apparente propensione a non prendere davvero una posizione certa in merito alla guerra che probabilmente sarebbe esplosa di lì a poco.
 “Se favorisse una parte a voi contraria? Gli permettereste comunque di passare per Forlì e Imola?” chiese, un po' preoccupato, il castellano di Ravaldino.
 Giacomo aspettava con ansia la risposta della moglie e altrettanto faceva Ottaviano. Se il primo sperava di sentire la moglie propendere con decisione per una delle due parti, al fine di poterne guadagnare qualcosa, il ragazzino temeva qualsiasi risposta della madre, sentendosi profondamente impreparato per il passaggio di un esercito nelle sue terre.
 “Per ora nessuna parte mi è contraria.” fece notare la Contessa, incrociando le braccia sul petto e lanciando uno sguardo rapido, ma significativo, al marito, come a impedirgli una volta di più di prendere la parola senza averne avuto il permesso: “E in ogni caso, basterà che Borja pensi che io lasci passare i suoi uomini, non è necessario che poi io lo faccia davvero.”
 “Si tratta di una linea d'azione molto rischiosa, mia signora.” provò Numai, allargandosi appena il colletto del camicione, per respirare meglio.
 “Nè più né meno che schierarsi apertamente per Napoli o per Milano.” ribatté Caterina e in un attimo dichiarò sciolta la seduta.
 Ottaviano salutò tutti i Consiglieri man mano che gli passavano di fronte prima di uscire dalla stanza e qualcuno di loro, in particolare Oliva, si felicitò con lui per la carica ottenuta dal 'padrino'.
 “Il figlioccio del papa...” sussurrò Giacomo, passandogli accanto, mentre Caterina era ancora intenta a parlottare con Luffo Numai: “Un passo già in Vaticano.”
 Ottaviano comprese quello che il Governatore Generale intendeva dire. Era una minaccia, nemmeno tanto celata, che lo voleva fuori dalla rocca, fuori da Forlì, lontano dalle sue terre, magari con anche un abito talare addosso.
 Il Conte stava per controbattere aspramente a quella provocazione, quando vide con la coda dell'occhio la madre avvicinarsi e tanto gli bastò per perdere ogni baldanza.

 “Per caso hai anche tu dei voti da sciogliere?” chiese Giacomo, insinuante, non appena la moglie di Bernardino lasciò la stanza.
 Caterina si stava guardando allo specchio, controllandosi la discriminatura dei capelli, per accertarsi che non ve ne fossero di bianchi. Da qualche tempo aveva il terrore di scoprire quel monito di invecchiamento anche nella sua chioma. Aveva sentito più di una forlivese più o meno sua coetanea lamentarsi dei capelli che ingrigivano o che diventavano bianchi e da quel momento aveva iniziato a farvi attenzione. Per quanto nel suo ricettario avesse raccolto più di una ricetta per rimediare a quel segno tangibile degli anni che passavano, non aveva alcuna intenzione di provarli su di sé.
 “Ti sembro il tipo di persona che fa voti alla Madonna?” chiese la Contessa, con una certa ironia.
 Giacomo, però, era del tutto serio e un po' se la prese anche, quando la sentì parlare a quel modo.
 Una delle tante cose su cui non avevano ancora trovato un punto in comune era la fede religiosa. Se da un lato Giacomo accusava Caterina di non essere abbastanza credente e fiduciosa nella divina provvidenza, così Caterina dileggiava Giacomo per la sua fede tanto cieca da sembrare mera superstizione.
 “Ma questi padri confessori che vuoi far venire in città potranno sciogliere anche i voti matrimoniali?” domandò il ragazzo, facendosi serio.
 Fu la volta di Caterina di adombrarsi. Quella strana domanda aveva riaperto nella sua mente degli scenari che ormai visitava spesso con la sua immaginazione. Giacomo si stava facendo sempre più prestante e indubbiamente più adulto e non erano poche le donne che lo avevano notato.
 Per il momento alla Contessa sembrava che il marito nemmeno si rendesse conto degli sguardi che attirava e dei commenti ammiccanti che venivano fatti al suo indirizzo, ma temeva che prima o poi avrebbe visto e sentito e allora, forse, si sarebbe accorto del colossale errore che aveva commesso unendosi a una donna più vecchia di lui, già madre e seduta su uno scranno tanto insignificante quanto pericoloso.
 “Perché vorresti saperlo?” fece Caterina, continuando a guardarsi allo specchio, ma spiando di nascosto la reazione di Giacomo, il cui riflesso era appena visibile in un angolo vicino alla cornice.
 La smorfia che assunse il suo viso non era di facile interpretazione, per cui a Caterina non bastò sentirgli dire solo: “Curiosità, nulla di più.”
 Quasi decisa a chiedergli apertamente se mai si fosse pentito di averla sposata, la Contessa lasciò la specchiera e raggiunse il marito, che stava sulla sua poltroncina accanto al caminetto. Erano varie sere, ormai, che l'accendevano, per far fronte al freddo che riusciva a passare sotto la porta e dalle finestre. L'autunno stava appena cominciando, ma tra vento e pioggia l'inverno sembrava davvero a un passo.
 Mentre lo guardava, a Caterina parve che Giacomo fosse così giovane, troppo giovane, per lei. I suoi occhi, per quanto non più brillanti come quando si erano conosciuti, erano ancora vivi e svelti, la pelle liscia del suo volto era increspata appena da un velo di barba incolta e il suo fisico asciutto gli toglieva pure qualche anno.
 Sentendosi di colpo del tutto inadeguata, Caterina abbassò lo sguardo, senza più la decisione che l'aveva spinta ad alzarsi e avvicinarsi al marito, e quando parlò lo fece quasi con un sussurro: “Ti stai stancando di me?” chiese.
 Giacomo si accigliò, ma prima che riuscisse a rispondere in qualche modo, ella proseguì: “Cominci a renderti conto che sono troppo vecchia per te, vero? Forse dovresti trovarti una ragazza della tua età o anche più giovane, visto che nel nostro mondo è l'uomo, quello che deve essere più vecchio, ecco trovala e...”
 Mentre nella testa di Caterina si affollavano delle immagini che aveva cercato di rimuovere – una serva che guardava di nascosto Giacomo arrossendo, una popolana che dava di gomito all'amica ridacchiando e parlottando animatamente, due nobildonne di Forlì che gli facevano la riverenza mentre lo squadravano con un interesse ben diverso da quello di una cittadina qualunque nei confronti di un Governatore – Giacomo si alzò di scatto e la prese per le spalle.
 “Caterina, che stai dicendo? Smettila.” le disse, con voce imperiosa, costringendola ad alzare lo sguardo su di lui: “Sei solo tesa per la storia del nuovo papa.”
 Gli occhi verdi della Contessa incontrarono quelli del ragazzo che l'aveva fatta rinascere dopo la morte del suo primo marito e, una volta di più, trovarono in loro sollievo e sicurezza.
 “E poi lo sai che ti trovo attraente tanto vestita di seta, quanto con addosso brache da uomo e qualche pezzo d'armatura.” concluse Giacomo, con un tono un po' burbero, quasi in imbarazzo per quella dichiarazione d'amore sui generis: “Le altre non mi interessano e non mi interesseranno mai.”
 Caterina preferì lasciarlo con quella convinzione e si lasciò abbracciare, come se davvero si fosse convinta che Giacomo non avrebbe mai provato alcun interesse in nessun'altra donna, mentre dentro di sé sapeva che prima o poi quel giorno sarebbe arrivato.

   
 
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