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Autore: G RAFFA uwetta    18/07/2016    0 recensioni
Il Male ha tracciato il suo destino, Kathell sarà in grado di spezzare il legame che li unisce?
Dal testo: "In un tempo lontano, in cui i bisbigli erano le anime dei morti che calpestavano la lussureggiante Valley Korenbloen, tra i ghiacciai perenni, il Caos generò Làm Nhùc Xàu. Egli, come un bimbo curioso, vagò solitario seminando il terrore, soffocando i popoli nel dolore. Rubò il sapere agli Spiriti Erranti, fagocitandoli e sputando le ossa in tumuli bianchi. Il Destino, mosso a pena, dal Fuoco dei Giusti plasmò un castigatore dandogli il compito di scindere il Dolo. Carny, questo il suo nome, adempì al suo dovere in modo ligio, forgiò parti di sé in arma per sopprimere lo scempio; puntellò e smembrò quell'essere fino a ridurlo in cenere. Forte del suo dominio, custodì fiero ogni singolo dardo mostrandosi degno di essere un Eletto. Sulla via del ritorno, cadde vittima della corruzione scialacquando se stesso e il prezioso bottino. Negli effluvi del tempo si perse ogni traccia; solo al sorgere delle Ere il fiore del Fato designò il cammino, un placido scorrere di istanti impressi a fuoco sulla giovane carne."
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Genere: Angst, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quiver of Souls, il cuore gelido dell'Inferno

Cap. 2 Una bambola di pezza

"Chi è affamato di gloria divora l'uomo che è in lui" Stanislaw J. Lec.

La grande regione a sud di Xabiana, la capitale, era un luogo arido e desolato. Lunghi canaloni, un tempo sede di un ricco fiume dalle acque cristalline, ora solo un pallido rigagnolo, scavavano la terra come un cancro addentrandosi nelle profondità del terreno. Forti venti caldi abbattevano continuamente le fragili pareti e disperdevano la sabbia sui rigogliosi campi più a nord. Era impossibile camminare tra quelle crepe sanguinanti, il suolo era incandescente come se un fiume di lava scorresse impetuoso appena al di sotto della sottile crosta. Alti ponti erano stati costruiti per tener collegate le abitazioni scavate nella roccia, volte e archi creavano una cattedrale che si perdeva nel paesaggio sorvegliato da due tonde lune avvolte nella foschia. Blocchi di pietra, dalla tonalità del blu intenso, mettevano in risalto le ampie aperture, come squarci sanguigni, oltre le quali languivano torce dalla resina profumata ricavata dalla Geur Van Viooltjes1, pianta che cresceva solo sull'isola dei moleb, umanoidi provvisti di soli tre arti. Nessuno aveva più memoria di come appariva un tempo quella terra, ora, la Brug der Zuchten2, apparteneva alla Pythia3 Michell, donna dal volto senza età, che l'aveva vinta ai dadi quando ancora era un luogo fertile. Temeraria e dalle fattezze bellissime, non godeva di una buona fama. Sapeva essere giusta ma, al contempo, non ammetteva l'insubordinazione; la Steengroeve4 di Mimito, dove si diceva amasse ritirarsi a giocare, era il luogo in cui molti smarrivano la strada per non fare più ritorno. La sua dimora, anch'essa ricavata nella friabile montagna, era costituita da una grande sala e per accedervi si oltrepassava un altissimo portale interamente intagliato nella roccia lavica. Specchi e mobilio di antica fattura si alternavano contro le pareti rivestite interamente da indistruttibili piastrelle color cobalto; comodi divani, tappezzati di seta importata, erano collocati davanti a bassi tavolini sempre riforniti delle migliori prelibatezze dolciarie di Xabiana. Dietro una pesante tenda color castagna, si nascondeva l'area riservata ai domestici mentre l'unica porta, che celava la stanza privata di Michell, era sorvegliata da due grossi moleb, resi più feroci a causa della castrazione inflittagli alla nascita, sebbene l'operazione fosse stata dichiarata illegale dallo Statuto Vigente di Xabiana. Dai finestroni aperti sui canaloni entrava senza ritrosia l'aria resa pesante dalla canicola. Lavorando per inerzia, dei pigri ventilatori incanalavano l'afa lungo aperture scavate nelle pareti, lasciando dietro di sé il profumo speziato dei pochi arbusti che riuscivano a sopravvivere a quell'inferno.

Il portone si spalancò e Michell fece il suo ingresso. Con movenze feline attraversò il lungo salone facendo ondeggiare la veste color miele che le fasciava il corpo esile, una lunga cappa bronzea, il cui cappuccio copriva la testa, era appoggiata sulle gracili spalle, calzari alti fino al ginocchio completavano l'abbigliamento. Senza prestare attenzione ai villani, assiepati intorno ai molteplici tavolini, inforcò la porta e si inoltrò nelle proprie stanze. Nessuno spiraglio permetteva all'occhio indiscreto di scrutare attraverso la spessa porta, anch'essa in pietra lavica; i due moleb, rigidi nella loro postura, erano degli ottimi guardiani, un loro sottile ringhio bastava per far accapponare la pelle dalla paura. Si reggevano sulle zampe posteriori mentre l'altro arto, di dimensioni ridotte, rimaneva piegato lungo il corpo peloso. Le sfumature bronzee della pelliccia variavano in base a come la luce la colpiva; il muso, corredato di una bocca sporgente dalle labbra prominenti, ricordava quello dei lupi e gli occhi, solitamente bigi, erano completamente ciechi. Si spostavano orientandosi con l'eco delle loro ringhia, che fungeva da sonar. L'olfatto assumeva un ruolo importante nella loro vita perché permetteva loro, non solo di riconoscere le tracce delle prede durante la caccia, ma anche di farsi una mappa mentale del corpo delle vittime.

― Trovato quello che stavi cercando? ― Chiese apprensiva una Voce che sembrava scaturire da una pietra blu incastonata sopra il camino; era un perfetto ovale, un pozzo freddo dove nemmeno le fiamme del camino riuscivano a riflettersi.

― Non ancora, ― rispose infastidita Michell, ― il giostraio era solo una falsa pista, il Quiver of Souls non è mai arrivato a Quanticore. ― Mentre parlava si spogliò degli indumenti, rimanendo nuda al centro della stanza vuota; vi erano solo il camino perennemente acceso, sulla parete a est, e un grande braciere, incavato al centro del pavimento, dove un filo di fumo saliva in spirali dall'aroma inebriante del bergamotto.

― Non hai molto tempo, lo sai vero? ― Insistette la Voce, ― l'Acacia Fate sta per fiorire.

― Lo so, lo so, smettila di ricordarmelo! ― Rispose esasperata calciando lontano gli indumenti smessi per poi entrare senza indugio nel braciere. ― Ho ancora sette giorni di tempo e se fallisco torno da dove sono venuta, e stavolta sarà per sempre! ― Concluse con un ringhio.

Una piccola scintilla si staccò dal camino e incendiò il braciere. Filiformi fiamme nere presero a vorticare intorno al corpo della donna come unghie di rapaci famelici che stringevano la preda. Un fumo denso avvolse la stanza ricreando la giusta densità per permettere alla creatura di emergere; il calore si fece più intenso sciogliendo lo strato di carne che racchiudeva il corpo del demone. Scie di luce giostravano in cerchio come piccole comete intorno ad un sole che stava per sorgere. Le prime ad apparire furono le ali nere e possenti, aperte e pronte a servire come una spada sguainata da un prode cavaliere. I lunghi capelli scuri come la notte si gonfiavano come spire di serpenti pronti ad azzannare, le braccia lunghe, dalla pelle scura, terminavano con dita dalle unghie ricurve e taglienti. Un corpo ben modellato emerse dalla foschia, leggermente illuminato dai riverberi del fuoco, vestito in modo succinto; il seno sodo era a malapena contenuto da due coppe in oro legate con fili di seta intrecciata, lo slip era composto da piume d'aquila intrecciate ad anelli d'argento. Le lunghe gambe brune presentavano delle piccole sporgenze affilate come rasoi. Il viso era imperturbabile, lo sguardo fisso e rivolto altrove, lontano, verso un luogo che solo lei poteva scorgere; gli occhi erano vividi, caldi e brucianti come il fuoco da cui era stata generata. Uscì scalza dal braciere mentre il calore imprimeva ombre infuocate sul duro pavimento.

― Ora mi sento meglio, ― disse, striracchiando le membra come se fossero intorpidite. Anche la voce era cambiata, non era più il trillare gioioso degli usignoli ma sembrava piuttosto che il suono fosse sempre in movimento tra lamine d'acciaio che vibravano in disaccordo. ― Hai nuove idee su dove possa essere, Blauw5? ― Chiese impaziente rivolgendosi alla pietra blu.

― Sto aspettando di ricevere notizie dalla capitale, Michell. ― Rivelò la pietra, ― vedrai che il giostraio arriverà, ammetto il mio errore ma se tu mi permettessi...

― No! ― La interruppe perentorio il demone, ― tu rimarrai incastrata lì. Ho faticato per averti e soprattutto per possederti. Ho perso privilegi e poteri e tu mi servirai finché non otterrò ciò a cui sono destinata. ― Concluse voltando le spalle. Per un attimo, la pietra sembrò diventare diafana, come se improvvisamente non fosse più in quel luogo; il fondo buio del camino sembrò ingiottire le vivaci fiamme. Durò un battito di ciglia il tempo che il demone, rivolto alla porta, esclamasse:

― Kum! ― Uno dei moleb di guardia spalancò la porta, dietro il corpo massiccio spuntò, non visto, un volto fanciullesco che sgranò gli occhi sorpreso e impaurito. ― Ho fame, ― disse il demone sventolando una mano verso il colosso, ― sai cosa devi fare! ― Gli intimò. Il moleb si ritirò silenzioso inchinando appena il grosso capo. Chiusa la porta, Michell si girò verso il camino notando subito lo strano silenzio della pietra.

― Novità? ― Chiese golosa, già pregustando il suo pasto.

― Il giostraio è a Steengroeve, ― disse, ― se esce indenne dal labirinto avrai ciò che ti spetta. ― Un sorriso avido e cattivo deformò il volto del demone, altrimenti sempre privo di espressione.

― Perfetto. ― Decretò euforica per poi accogliere il moleb accompagnato da un villano. ― Benvenuto, ― disse melliflua, mentre quest'ultimo sgranava gli occhi dall'orrore. Kum indietreggiò e, digrignando i denti, rientrò nel salone mantenendo il capo chino; l'uscio si chiuse dolcemente sovrapponendosi al brusio scontento dei visitatori e quello rude dei ringhi dei moleb. In un attimo, Michell gli fu accanto.

L'uomo rimase fermo e congelato, gli occhi spaventati erano in frenetico movimento in cerca di una via di fuga. Il demone prese a girargli attorno, annusando e approvando la corporatura di quel corpo tremante, tastando la solidità delle carni.

― Uhm, ― disse, allungando l'ultima lettera come se stesse assaporando un piatto prelibato. ― Ottima scelta. ― La lingua viscida guizzò sulla pelle sudata, leccando via le goccioline; subito si formò una scia rossastra che, lungo tutta la mandibola, scendeva fino alla scapola sinistra. ― Davvero ottimo. ― Si compiacque avvicinando il polso dell'uomo al naso, secondo il demone era il punto più afrodisiaco, ― il fiuto di Kum non si smentisce mai.

Michell premette il seno contro la solida schiena dell'uomo e intrecciò le braccia al torace leggermente villoso, i polpastrelli stuzzicarono i capezzoli facendoli gonfiare. Poi, la mano scese sinuosa tra le cosce e si compiacque si trovare il membro appena eccitato. Denudò i denti, affilati come rasoi, e morse un punto sul collo, dove la lanugine dei capelli nasceva, imponendo, attraverso la saliva, la sua volontà all'uomo; si scostò, sciogliendo quella specie di abbraccio, succhiando le piccole gocce di sangue che scendevano lente sulla schiena. Tenendo la mano posata sulla spalla, lo aggirò piazzandosi davanti, impresse una lieve spinta per fare in modo che il corpo si accasciasse sul pavimento duro. Michell lo guardò soddisfatta – una bambola di pezza – pensò, sedendosi a cavalcioni sull'inguine dell'uomo. Iniziò a strusciare il sedere sodo in piccoli movimenti circolari mentre le mani accarezzavano il torace, l'uomo prese a mugolare eccitato. Lentamente, piegando la schiena ad arco, raggiunse il viso sotto di lei, che aspettava estatico con gli occhi socchiusi. Per alcuni istanti vezzeggiò la pelle del collo, succhiando piano un punto dietro le orecchie, senza mai interrompere le carezze e la sollecitazione all'inguine. L'uomo alzò i fianchi, premendo forte verso l'alto, in cerca di sollievo per quel piacere inaspettato che gli divorava le carni, le ciglia scure tremavano appena mentre la bocca si spalancava in cerca d'aria, le iridi erano appannate dalla lussuria, fisse negli occhi gialli del demone che bruciavano di una passione a lui sconosciuta. Benché Michell fosse intrigata aveva un'impellente bisogno da soddisfare, una necessità primordiale che si agitava per venire a galla. Repentina si impossessò della bocca dell'uomo che prese a uggiolare come una bestia ferita, le lunghe gambe e le cosce tornite aderirono al corpo dell'uomo in modo che le escrescenze entrassero nelle carni come un coltello affilato nel burro. Si strinse a lui con più vigore e, facendo perno con le braccia, le lunghe unghie seppellite in profondità nel petto scosso dai fremiti, si impossesò della lingua e tirò forte fino a quando non riuscì a estrarla dalla gola dell'uomo; la considerava un trofeo. Dopo di che fece scempio di quel corpo tanto da ridurlo a un mucchio di ossa bianche. La fame del demone non si assopì, voleva ancora giocare, cacciare, godere di quelle dolci carni arrendevoli e la consapevolezza che i tempi erano giunti a maturazione la rese ancora più feroce.

Quella notte banchettò e si accoppiò molte altre volte.


 

 

 

Note autrice: questa storia partecipa al contest ”Poker d'immagini” indetto da Najara87 sul forum. Le immagini che ho scelto sono le seguenti:

Personaggio: http://www.pikky.net/ggk

Paesaggio: http://www.pikky.net/hgk

Oggetto: http://www.pikky.net/jgk

Scena: http://www.pikky.net/kgk


 

Alcuni nomi inventati li ho tradotti in olandese.

Buona lettura e sono graditi i commenti.


 


 

1 Profumo di viola in olandese

2 Ponte dei sospiri in olandese

3 pitonessa in olandese – termine riferito alle antiche sacerdotesse del culto di Apollo; in questa storia mi serviva una parola che rappresentasse un capo e nascondesse delle origini mistiche, ho ritenuto questo il più adatto

4 Cava in olandese

5 Blu in olandese

 
   
 
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