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Autore: Old Fashioned    18/07/2016    16 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Capitolo 6

Il piantone si affacciò nell’ufficio del maggiore Stuart e compuntamente annunciò: “Il caporale Grice chiede di vederla, signore.”
L’ufficiale alzò gli occhi dal foglio d’ordini che stava compilando. “Fa passare,” rispose.
L’uomo entrò con aria decisamente compiaciuta e si mise sull’attenti.
“Riposo, caporale Grice. Voleva vedermi?” lo incoraggiò il maggiore.
“Ho qualcosa per lei, signore.” Gli tese una rivista.
Stuart la prese: era Signal, un periodico tedesco. In copertina c’era l’immagine di un Messerschmitt 109 dal muso dipinto di rosso. Il nostro più abile pilota! recitava il titolo.
“Sarebbe un giornale che parla di quello.” disse Grice. “O almeno così mi ha detto Fraser, che ha studiato il tedesco a scuola.”
“Da dove viene?”
“Era a bordo di un bombardiere crucco che hanno abbattuto vicino alla costa. Se lo voleva prendere uno del 12° Squadron, ma io gli ho fatto capire che spettava a lei, signor maggiore.”
Stuart sorrise. Conoscendo Grice, poteva immaginare quali sottili strumenti di persuasione avesse utilizzato. Probabilmente aveva detto a quello del dodicesimo che se non gli avesse dato la rivista gli avrebbe spaccato il muso.
“Grazie, caporale. Mi sarà molto utile,” gli disse solennemente.
L’altro sorrise orgoglioso. “Lo sapevo!” rispose. “Magari se scopre le abitudini di quel bastardo, con rispetto parlando, le sarà più facile abbatterlo, vero?”
“Immagino di sì.”
“Beh, io ho scommesso una sterlina con quello del dodicesimo che sarà lei ad abbatterlo, signore.”
“Allora immagino che dovrò darmi da fare, caporale. Non posso certo farle perdere una sterlina.”
“Grazie, signore!”
Il sottufficiale se ne andò tutto soddisfatto.

Ostentando una sorta di signorile distacco, Stuart dapprima posò la rivista da una parte e riprese a compilare il suo foglio d’ordini. Sorrise con indulgenza della sollecitudine del sottufficiale, che si era accaparrato il periodico confidando in chissà quali misteriose capacità propiziatorie dello stesso, poi cominciò a rivolgergli occhiate sempre più frequenti e alla fine lo prese e si mise a sfogliarlo.
Scorse distrattamente inaugurazioni di scuole, riunioni della Hitlerjugend, consigli di economia domestica per le massaie tedesche e parate militari e alla fine trovò quel che cercava: un lungo e circostanziato articolo, ricco di illustrazioni, sul Cavaliere di Valsgärde.
Fu un’atroce delusione.
Di tutto s’era aspettato, tranne quel ragazzone biondo che dalla foto lo occhieggiava allegro brandendo un boccale di birra pieno a metà.
Si era aspettato un von Qualcosa con il monocolo e la sigaretta infilata nel bocchino di ebanite, altezzoso e severo, o magari uno di quei nazisti fanatici, segaligni e dallo sguardo di rapace.
Heinz Müller invece sembrava un contadino bavarese che avesse scambiato i Lederhosen con la combinazione di volo.
Müller, poi. Altro che aristocratico. Era come dire Smith o Brown.
Il muso rosso del suo aereo non aveva niente a che fare col Barone Rosso: era stato il risultato di una bravata compiuta dopo una notte di libagioni, ed era poi rimasto per motivi puramente propagandistici. Il nome Cavaliere di Valsgärde, che tanto accendeva le fantasie delle fanciulle inglesi e non solo, era stato quasi casuale.
Il primo aereo che mi hanno assegnato ce l’aveva dipinto sulla capottatura del motore, spiegava Müller nell’intervista, e così il nome è rimasto.
Ma chi è il Cavaliere di Valsgärde? chiedeva la giornalista.
Risposta: Non lo so. Un tizio del medioevo?
Stuart chiuse la rivista con la sensazione di essere stato vittima di uno scherzo di pessimo gusto. Aveva quasi il sospetto che di lì a poco la porta si sarebbe spalancata e qualcuno sarebbe entrato prendendolo in giro per come si era immaginato quel dannato crucco con l’aereo mezzo rosso.
Il novello von Richthofen, lo studioso di mitologia norrena, l’aristocratico di antico lignaggio… tutte fandonie.
La macchina da guerra che ogni giorno tirava giù almeno due o tre aerei inglesi era un giovanottone grande e grosso con la profondità di pensiero di un Labrador.

All'inizio aveva pensato di far vedere quella copia di Signal agli altri piloti dello Squadron, ma dopo aver letto l'articolo ci aveva rinunciato. Era rimasto troppo deluso.
Relegò la rivista nel più basso dei cassetti della scrivania, infilandola sotto un mucchio di carte. Provava quasi una vaga sensazione di imbarazzo, come se avesse appena fatto una scoperta vergognosa o sconveniente.
Andò al circolo ufficiali.
Trovò ad accoglierlo l'immancabile John Poynter, seduto nella sua solita poltrona.
“Ciao, George,” lo salutò il capitano.
Stuart si accomodò accanto a lui sprofondando a sua volta in una poltrona.
“Giornataccia?” s'informò discretamente Poynter.
“Ogni giorno di guerra è una giornataccia, direi,” replicò asciutto il maggiore.
“E abbiamo proferito la massima della sera,” rispose l'altro. “Adesso mi vuoi dire cosa c'è?”
“Quel dannato tedesco.”
“Il tuo amichetto dal muso rosso?”
“Non è il mio amichetto!” ribatté il maggiore alzando leggermente la voce, “Io lo odio quel dannato bastardo.”
Poynter si strinse nelle spalle. “Dicono che l'odio sia l'altra faccia dell'amore,” osservò distrattamente.
Stuart sbuffò indispettito: detestava i momenti di filosofia da pub dell'amico. “Non credo proprio che sia il mio caso,” brontolò.
“Eppure sei sempre a parlare di lui, ogni volta che ti alzi in volo speri di incontrarlo, se qualche pilota di un altro Squadron lo impegna in combattimento sei geloso... Non eri così preso nemmeno quando corteggiavi la tua fidanzata.”
“Non dire idiozie.”
Il capitano non replicò, ma fece il sorriso di Monna Lisa.
L’altro rimase a sua volta in silenzio. Era andato al circolo con l’intenzione di parlare a John della faccenda dell’articolo, ma vista la piega che la conversazione aveva preso non se l’era sentita, era sicuro che l’amico avrebbe fatto le più sconce illazioni sulla sua delusione di fronte alla vera identità del Cavaliere di Valsgärde.
Lui stesso, del resto, era rimasto piuttosto stupito dalla propria reazione. Si era sentito esattamente come quando da piccolo si era appostato in salotto per vedere Babbo Natale e invece era arrivata sua madre in camicia da notte e bigodini.
“Credo che mi berrò qualcosa,” disse semplicemente.
“Alla buon’ora,” rispose Poynter, sempre col suo sorriso da Monna Lisa.
“Penso di averne anche il diritto, no? È tutto il giorno che sgobbo.”
“Io non ho detto niente.”
Stuart lasciò passare qualche secondo, poi sbottò: “Cosa vorresti insinuare, che sarei una specie di invertito?”
Poynter lo guardò stupito. “Cosa?”
“Tutti quei discorsi sull'odio che sarebbe l'altra faccia dell'amore. Io non amo quel nazista bastardo, chiaro? Io lo odio e voglio vederlo morto!”
“Va bene, George, ora non ti scaldare,” rispose l'altro pacato, “la mia era solo una battuta.”
Il maggiore tacque. Si rendeva conto di aver alzato la voce più del necessario, alcuni dei presenti si erano addirittura voltati incuriositi da quel tono duro. Sperò solo che non avessero colto l'argomento della conversazione.

   
 
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