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Autore: Emmastory    18/07/2016    5 recensioni
Esisteva il regno di Aveiron. Fiorente sin dalla notte dei tempi, era governato da un Re e da una bellissima regina, scomoda all'intero regno. Scosso da una tragedia, ospita ancora i suoi abitanti, ridotti alla fame, al freddo e alla povertà. La colpa è da imputarsi a uomini e donne chiamati Ladri, e prima che il regno soccomba alle loro continue razzie, qualcuno deve agire. Rain è una ragazza sola, figlia di un amore che le genti definiscono proibito. Gli incubi la tormentano assieme ai ricordi del suo passato, e con il crollo della stabilità che era solita caratterizzare le sue giornate, non le resta che sperare.
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-I-mod
 
 
Capitolo V

Misure drastiche

Per l’ennesima volta, in un nuovo ciclo solare, la buia notte lasciava il suo posto al giorno. Il sole spuntava, e un suono ormai conosciuto mi distraeva. Ero ancora nella mia stanza, e qualcuno bussava. “Avanti.” Dichiarai, voltandomi in direzione della porta ancora chiusa. Alcuni attimi dopo, questa si aprì, rivelando la presenza di Stefan e del dottor Patrick. Entrarono quasi contemporaneamente, e alla loro vista, sorrisi. “Abbiamo la soluzione.” Disse Stefan, sorridendo a sua volta. “Davvero? E quale sarebbe?” chiesi, curiosa. In quel momento, un nuovo sorriso si dipinse sul mio volto, e mantenendo il silenzio, attesi una qualsiasi risposta. Per pura sfortuna, il mio sorriso parve destinato a spegnersi solo poco tempo dopo, poiché le parole che sentii ebbero come unico potere quello di minare il mio morale, spedendolo a centinaia di metri sotto terra. “Mi duole dirlo, ma dovrai tagliarti i capelli.” Confessò il dottor Patrick, guardandomi con aria seria e al contempo addolorata. Lasciando che il silenzio si impadronisse di me, non parlai, limitandomi quindi a pensare. Non volevo. Sapevo bene che i miei lunghi capelli erano l’unico ricordo che avevo di mia madre, e per nessuna ragione al mondo avrei lasciato che un paio di metalliche forbici deturpassero la somiglianza che condividevo con lei. “Non se ne parla.” Sbottai, scattando in piedi come una molla. “Rain, ti prego, ragiona. Se non lo fai, Lady Fatima potrebbe scoprirti!” rispose Stefan, afferrandomi un polso e tentando di riportarmi alla calma. “Ho detto che non se ne parla, ora fuori da questa stanza.” Replicai, sperando che recependo il messaggio mi lasciassero da sola. “Ma Rain…” biascicarono entrambi, non riuscendo comunque a convincermi. Quella frase morì nelle loro rispettive gole, e guardandoli con occhi colmo d’ira e odio, sentii una giusta rabbia crescermi dentro come una robusta quercia nata da una piccola e insignificante ghianda. “Fuori di qui! Gridai, alterandomi di colpo e non badando al tono che utilizzai nel farlo. Spaventati dalla mia reazione, entrambi decisero di andarsene, e una volta rimasta da sola, mi sedetti di fronte allo specchio. Sollevando lo sguardo, non vidi che la mia immagine riflessa, e iniziando a piangere e singhiozzare debolmente, posai lo sguardo sul paio di forbici lasciate sulla piccola scrivania in legno presente nella mia camera. Le mie lacrime ne bagnarono le lame senza alcun ritegno, e specchiandomi per una seconda volta, meditai. Ancora una volta, ero ferma e inerme, in una posizione di vero e proprio stallo. Avrei potuto farlo e sperare di salvarmi dall’ira di Lady Fatima unita a quella del Leader, o mostrarmi testarda e mantenere la mia attuale immagine. Piangendo in silenzio, sentii il mio stesso cuore battere con forza, e stringendo i pugni, mi decisi. “Fallo.” Mi dissi, parlando con me stessa e tenendo saldamente in mano quelle ormai famose e al contempo maledette forbici. Con l’arrivo della sera, dissi addio alla mia fluente chioma simbolo della mia bellezza, e addormentandomi solo poco tempo dopo, mi sentii morire internamente. Non riuscivo a crederci. Avevo perso i miei genitori, ero stata salvata da degli sconosciuti dei quali finalmente riuscivo a fidarmi, e ora questo. Agli occhi di molti, cambiare pettinatura poteva sembrare un gesto normale e privo di rilevanza, ma non per me. Poteva apparire patetico, ma i miei capelli erano letteralmente una parte di me, e dopo averli tagliati, mi sentivo diversa, e per qualche strana ragione, non più padrona del mio stesso corpo. Cadendo preda del sonno, immaginai il mio avvenire, e continuando a riflettere, capii di essere stata costretta ad adottare misure a dir poco drastiche.
   
 
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