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Autore: shamarr79    19/07/2016    5 recensioni
Scrivo, perchè molto di più avrei voluto leggere su Magnus Bane, cercando di riempire vuoti e silenzi lasciati dalla Clare; voglio fantasticare, su di lui, sui suoi amori, su Alec, ovviamente, ma anche immaginare i suoi capricci, le angosce, gli amici, i nemici. Ma essenzialmente Magnus, potente e fragile come solo una forza della Natura può essere. Seguendo la trama dei libri, mi intrufolo tra le pagine, alla ricerca di spazi da riempire con le parole. Un riferimento in alto indica il capitolo in cui mi inserisco, ripeto solo qualche parola del libro, per farvi orientare senza essere noiosa. Si inizia quando ancora Magnus e Alec non si conoscono, entrambi sono insoddisfatti e nervosi, alla ricerca di qualcosa che ancora non comprendono. Il Magnus della Clare è il riferimento, ma scrivendo diventa sempre più autentico, distinto e poetico. Anche Cat per me è una figura importante, perchè non riesco ad immaginare un Magnus senza una Cat, grande amica del cuore. Il resto è mio. Scrivo per me, inutile negarlo, ma spero che vi piaccia. E, lo scrivo sinceramente, sarò lieta di leggere qualsiasi cosa, brutta o bella, vi venga in mente ascoltando di queste righe sparse il suono.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Catarina Loss, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3

L'odore che non sa staccarsi da terra (Città di ossa, tra i capitoli 13 e 14)

 

Camminava a passo svelto nel buio luccicante della notte di Brooklyn, svelto.

Le voci degli ospiti appena usciti dal locale sparivano lentamente nell'aria, ad ogni passo c'era più silenzio, ma sentiva su di sé ancora addosso l'odore dolciastro del Locale (o ...di lui?), un odore soave, caldo, potente, come di sandalo e mirra. Gli piaceva quell'odore su di sé, i vestiti ne erano pieni, le mani anche. Le immagini rullavano in testa, un carosello senza controllo odori suoni, brividi eccitazione angoscia. Assurdo, non aveva mai provato nulla, nulla di simile. Di solito si annoiava a morte, ritagliato nel suo rifugio appartato a guardare da un tavolo nell'angolo le imprese amorose di Jace e Izzy, infastidito e ferito per entrambe. Questa sera il palcoscenico era suo, tutti per qualche istante erano spariti, aveva sentito su di lui quegli occhi lucenti verde smeraldo con venature d'ambra, inesorabili e dolci, lo seguivano, lo assorbivamo, lo incantavano, da togliere il respiro. Ora, solo ora, respirava, ma a fatica.

Aveva preso Isabelle per mano, cercava di concentrarsi su di lei, attorno il mondo era un panorama sfocato, continuava a ripeterle parole consolanti del tipo “non è colpa tua, alla fine lo sai che i mondani si cacciano nei guai, poteva capitare a chiunque” o “le feste dei nascosti sono pericolose, ma per fortuna è ancora vivo, anche se … da topo”.

Isabelle singhiozzava e lui non aveva ancora capito il perché, in verità. Tenesse già cosi' tanto a quel mondano? Si sentiva in colpa? Del resto aveva promesso a Clary di occuparsi del suo amichetto super-speciale. O semplicemente era una situazione ridicola e la grande Izzy dominatrice dei Nascosti e sterminatrice di demoni non poteva farsela fare così sotto il naso? Orgoglio o sentimenti? La questione non gli era chiara, ma non importava poi tanto, conosceva sua sorella. Dovevano al più presto tornare a casa. Lei dopo una doccia calda e magari anche una camomilla si sarebbe resa conto che era tutto assolutamente recuperabile. Erano arrivati alla fermata della metrò, in una mano sua sorella l'altra sulla giacca da Cacciatore, stretta e nascosta, come a tenere qualcosa di prezioso da nascondere al mondo intero.

“E se non riprendesse più la sua forma umana?”

“Hai sentito Magnus, il rattus norvegicus tornerà come nuovo in qualche ora. Di lui c'è da fidarsi, sa quel che dice”.

Da quando lo chiami per nome?”

“Posso chiamarlo topo di fogna, se preferisci; non volevo essere scortese; ti arrabbi se lo chiamo mondano”.

“Non Simon ... Magnus”.

A sentire quel nome Alec sussultò. In realtà era esattamente a lui che pensava, da minuti lunghi come eternità, nella sua mente richiamava a memoria ogni singolo istante passato a quella festa e lui …. odiava le feste!.

“Beh...cioè , cosa …, come dovrei chiamarlo? Magnus è il suo nome ... è scritto sulla targhetta!”.

“Chiedevo così, per dire. Lo conosci da 30 minuti, lo hai visto per 10 e lo chiami per nome. Solitamente ti fanno tutti schifo anche dopo mesi non hai idea di come chiamarli; hai continuato a chiamare Meliorn la fata maschio per settimane”. Silenzio. “Così per dire, magari... ti ... piace?”

“No! Assolutamente. È uno stregone!”.

Le parole uscirono come un'esplosione, il gesto fu così netto che Isabelle sgranò gli occhi, era così stupita dal tono e dalla tensione del fratello che per qualche minuto smise di commiserarsi e il broncio lasciò spazio al solito sorriso malizioso.

“Peccato”.

“Cosa? ...Che c'entra, adesso? Perché ...peccato? Cosa' è il tuo nuovo migliore amico?”

“Amico? Se fossimo intimi sarebbe tutto, tutto, fuorché un amico.. ma l'hai visto? È bello da togliere il fiato, occhi fenomeno, un fisico micidiale da sbatterlo sul divano, metà sala lo guardava con la bava alla bocca e poi … hai visto c'era di tutto li, vampiri, fate, esseri che neanche io avevo mai visto, con un solo gesto li ha mandati via tutti... erano terrorizzati che potesse anche solo alzare la voce. Deve essere molto potente”.

“Non penso che l'epiteto “Sommo Stregone” di qualche posto te lo diano così per caso, devi essere tanto, tanto potente. Dopo il nostro scherzo un vampiro è andato da lui inferocito, l'hai messo completamente k.o. solo agitando l'indice della mano sinistra ... semplicemente grandioso. e poi, quando fa magie potenti gli occhi gli diventano ancora più verdi, si appiattiscono e risplendono, come ad un felino di notte”.

Alec aveva parlato a ruota, totalmente infervorato, gli occhi brillavano e il tono della voce era... come dire... eccitato, pensò Izzy.

“Non ti piace, però, niente, neanche un po'? Bello, figo, supersexy, potente, elegante e niente...ma tu che gusti hai? Si può sapere?”.

Solo biondi e che siano tuo fratello, avrebbe voluto aggiungere Isabelle, ma non lo fece, lo avrebbe ferito senza motivo, ma lo guardò dritto negli occhi. Alec lesse le parole nello sguardo della sorella e abbassò di nuovo gli occhi a terra.

C'era la metro. I ragazzi si voltarono in direzione di Jace e Clary, ma loro erano ancora lontani “Andate avanti” disse Jace. "Dobbiamo parlare. Torniamo a piedi". Alec voleva rifiutarsi, ma Izzy lo trascinò sul vagone, almeno qualcuno aveva preso una decisione per dare un senso a quella serata assurda. Il suo sguardo malizioso vide scomparire Jace dal finestrino, sorrise per un istante, poi se ne pentì. Anche Alec guardava nella stessa direzione. Quando la metro si infilò nel tunnel i suoi occhi non diedero il minimo cenno ma era evidentemente ferito. Si sedettero, in silenzio, vicini. Anche questa volta Alec aveva più diritto di lei di essere triste così smise di pensare a Simon, era con Clary, del resto, lei se ne sarebbe presa cura. Alec guardava verso il nulla, quasi ipnotizzato dalle luci che sfecciavano come stelle filanti nell'oscurità; Isabelle avrebbe voluto parlare, dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma stavolta proprio non aveva nessuna idea.

“Bane non gli si addice, sa di … vecchio. Stregone è troppo formale. Per forza … Magnus, devo chiamarlo ...”. Le parole uscirono dalla bocca di Alec come fossero bisbigli; la sorella ne rimase così stupita che non chiese nessuna spiegazione per paura che smettesse anche di respirare; Alec sembrava immerso nei suoi pensieri...

 “Il cognome Bane sa di … grande; mi aspetterei un uomo sulla cinquantina, in doppio petto, non un ragazzo in jeans e maglietta con le labbra blu scuro, gli occhi colorati di marrone e profumo al sandalo”.

 Suo fratello che indovinava un profumo, follia pura. “Si chiama glitter, serve a questo... c'è di tutti i colori”, disse.

 “Il marrone gli stava bene, si intonava agli occhi verdi” a dire queste parole Alec sorrise all'aria e arrossì; Isabelle fece davvero una gran forza su se stessa per non ridere.

“Allora ... almeno un po' … ti piace?”

“Non è che mi piace e che, oggettivamente, uno così piace, cioè è…. è oggettivamente molto molto bello. Piacerebbe a chiunque, non solo a me, cioè per me ... in prima persona ... intendo”.

“Capito". Mentì, non aveva capito una sillaba. "Allora ... perchè hai detto no, prima?”

“Perchè tu sicuramente intendevi ti piace per te e non ti piace in sé … sono cose completamente diverse”.

“Ovvio. Completamente diverse, profondamente... diversissime”. Izzy non voleva in nessun modo contraddire il fratello. “Magari, però, anche lui ... in sè e per sè ... ti ha notato”

“Uno così nota qualsiasi cosa, nel raggio di chilometri. Mi ha guardato solo per un po', dritto negli occhi, con lo sguardo fisso, senza muoversi”; Alec fece un sospiro, come per richiamare alla memoria quel momento, esattamente com'era stato, istante dopo istante e arrossì di nuovo … “ magari era solo cortese”.

“Non mi sembra uno che ti guarda dritto negli occhi... per pura cortesia e poi, occhiolino, frase ammiccante. C'ero al - chiamami quando vuoi - anche se tu eri su un altro pianeta e pure lui...abbiamo sentito tutti. Vorse avresti dovuto chiedergli il numero?”

“L'ho”. Non fu una risposta ma un sussurro.

La metro arrivò ma Isabelle aveva smesso di respirare, suo fratello con il numero di uno stregone e quando stradiavolo aveva avuto il tempo di farselo dare...era così stupita che era rimasta lì impalata come un sasso. Alec la tirò giù dal treno prima di perdere la fermata. Stava per esplodere, non sapeva se inondarlo con una valanga di dettagli, riportarlo indietro e lasciarlo davanti la camera da letto di Magnus come regalo di Natale anticipato o semplicemente dirgli quanto era fiera di lui, finalmente faceva qualcosa … di normale! Era così indecisa che suo fratello parlò per primo.

“Me lo ha dato, mentre uscivano”. Uscì dalla tasca un piccolo pezzo di carta crespa, color rosso intenso, appena ripiegata, impreziosita da un sottilissimo nastro di seta nera e cosparsa di brillantini argentati, con i margini bruciacchiati che elargivano all'aria un grande odore di incenso alle rose. Alec lo tirò fuori come si fa con una reliquia sacra, avrebbe ucciso per quello, probabilmente chiunque, non solo demoni.

“Posso vederlo?” chiese sua sorella, timidamente in realtà, cosa che stupì Alec, sua sorella era tutto, tutto, fuorchè timida.

“Stai attenta!”.

Izzi non ebbe il coraggio di toccare quel brandello di carta. In una grafia antica, molto elegante e molto simile alle rune c'era scritto “A occhi blù. Chiamami quando ne hai voglia”.

Una grande “M” troneggiava sotto, inequivocabile. “Quando” non “se”, notò Izzy. Uno del genere sa cosa provoca negli altri, deciso ma discreto. Ha classe, senza dubbio, pensò Izzy. “Okay, la cortesia è fuori questione. Carta rossa, profumo di rose, inchiostro nero, grafia meravigliosa e incantesimo per fartelo apparire in tasca. Decisamente non è per cortesia che vuole che lo richiami. Dovresti azzardare, è davvero, davvero bello e … sexy da morire!”

Adesso Isabelle aveva proprio azzardato, si aspettava una valanga di dinieghi e rimproveri, richiami alla decenza frammisti a scuse d'ogni tipo, parole urlate o magari balbuzie, qualsiasi cosa, forse anche un pugno sul naso... ma... niente.

Alec smise di accarezzaze il biglietto e lo conservò nella tasca della giacca, guardò le stelle, l'aria fresca della notte gli scompigliò i capelli, inspirò a pieni polmoni. Sentiva l'odore delle foglie di alloro e dei fiori di Bella di notte, un odore rosso e dolce come di frutta matura, forte e delicato insieme, che pareva voler inondare l'aria ma che, nonostante il vento leggero volesse portarlo via, non sapeva staccarsi da terra. Quell'odore, non sapeva proprio staccarsi da terra, come se stesse lì, ad aspettare lui.

Aprì la porta di casa, salirono velocemente le scale. Stava per scomparire nella porta della sua camera. “Non … non era in tasca”. Disse solo e sparì.

Era buio, ma Izzy sapeva che suo fratello era così rosso da illuminare l'intero corridoio e, per la prima volta, era felice, confuso eccitato angosciato elettrizzato, ma felice. Anche se ancora forse, ancora, neanche sapeva di esserlo.

 


 

 

 
   
 
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