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Autore: Xion92    19/07/2016    4 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bene, dopo un capitolo intenso e pesante, ci vuole un qualcosa che faccia molto cazzeggio. Mi scuso per il ritardo di pubblicazione, ma l'avevo già anticipato: d'ora in poi le pubblicazioni saranno irregolari, ma manderò un messaggio privato a tutti quelli che mi hanno lasciato una recensione nel capitolo precedente, oltre alla condivisione su fb.

 

Capitolo 61 – Una pessima prima impressione

 

Era l’una di notte. Ed Angel lo sapeva benissimo, perché l’orologio sul comodino di fianco al letto che le aveva regalato Ryou quando era appena arrivata lì aveva un pulsantino per la retroilluminazione. La ragazza era distesa sopra le coperte, e ogni cinque minuti lo premeva per vedere il tempo che passava. Era tardissimo e lei era sveglia come un grillo.
Non credeva di essere mai stata così di pessimo umore. Quella sera, dopo cena, sapendo che aveva perso l’abitudine di svegliarsi all’alba, Ryou le aveva detto:
“domani è il primo settembre e riaprono le scuole. Quindi stasera va’ a dormire presto, domani alle sei ti voglio in piedi.”
E lei, giusto per fargli dispetto, aveva deciso di restare sveglia. Era per questo che stava continuando a guardare l’ora: era morta di sonno, ma non mollava. In quel momento non stava desiderando altro che avere il letto pieno di chiodi, in modo da non correre il rischio di addormentarsi.
“Potrei scendere a farmi una caraffa di caffè”, ragionò ad alta voce per aiutarsi a tenersi sveglia. Ma non mise in pratica questo proposito: sapeva che il boss aveva l’udito fine quasi quanto il suo, e se si fosse messa a girare per il bar, pure a piedi nudi e con tutte le luci spente sarebbe riuscito a sentirla. E, se l’avesse scoperta, l’avrebbe cazziata fino al mattino dopo.
“Quel bastardo”, borbottò, rigirandosi a pancia in su. “È riuscito a farmi fare quello che vuole lui.”
Si ricordava anche troppo bene i procedimenti fatti un paio di giorni prima.
Prima Keiichiro e Ryou l’avevano accompagnata dal fotografo, che le aveva scattato un sacco di inutili foto in primo piano grosse poco più di un francobollo. Poi erano passati in comune, visto che, pur essendo minorenne, doveva comunque firmare alcune carte. E solo in quel momento Angel si era pentita di non essersi mai finta completamente analfabeta: almeno, in questo modo, poteva sperare in una via di salvezza. E invece niente, il suo nome lo sapeva scrivere e Ryou ne era a conoscenza.
Ancora le faceva male il piede destro: davanti allo sportello, mentre aspettava di apportare la sua firma, l’operatore, chino a compilare i suoi dati su delle scartoffie, le aveva chiesto la data di nascita. Angel, distratta da quell’ambiente nuovo, aveva iniziato a rispondere:
“due ottobre duemilaequa…” e a quel punto Ryou, di fianco a lei, le aveva affibbiato un tale pestone al piede che lei si era corretta immediatamente. “Intendo: millenovecento e ottantanove”, aveva concluso freneticamente, rossa di vergogna.
L’operatore aveva alzato lo sguardo dal foglio e l’aveva fissata strano per un paio di secondi, ma non aveva fatto commenti.
Uscendo, Keiichiro le aveva consegnato una tesserina con su stampata una delle foto che erano state fatte poco prima, e tutti i suoi dati, che poi le aveva letto:
“Momomiya Angel, nata 2 ottobre 1989, stato studentessa. Qui sotto c’è scritto l’indirizzo del Caffè Mew Mew e il tuo numero di riconoscimento. Tienila con te, mi raccomando, che senza quella non puoi fare nulla nella nostra società. E ricordati che la tua responsabilità ce l’ho io, quindi fai pure riferimento a me se qualche agente dovesse chiederti qualcosa.”
Dopo, i due ragazzi l’avevano accompagnata in macchina a comprare la sua nuova divisa scolastica. Quando erano arrivati sulla soglia del negozio, Ryou aveva dovuto acchiappare rapidamente Angel per il colletto della camicia per evitare che se la filasse.
“Non farmi fare figuracce davanti ai commessi”, le aveva ringhiato sottovoce.
Ed Angel, zitta, si era provata quella divisa che addosso a Ichigo era tanto bella e che addosso a lei faceva schifo, almeno per la sua opinione. Non si era opposta, ma aveva mantenuto l’umiliazione stampata in faccia per tutto il tempo che erano rimasti lì dentro.
Durante l’ora di cena ci aveva provato per l’ultima volta.
“Boss, ascolta, te lo giuro, non ho davvero bisogno della scuola. Io le cose le so.”
I due uomini avevano continuato a mangiare senza nemmeno alzare la testa dal piatto.
“Ma non mi dire”, era stato il commento ironico di Ryou. “Stasera va’ a letto presto, che domani alle sei ti voglio in piedi.”
“Ti giuro!” aveva insistito Angel. “So tutto il codice dei samurai a memoria!”
Allora Ryou aveva sollevato la testa di scatto e l’aveva fissata con gli occhi azzurri sbarrati.
“Cos’è che sapresti, tu?”
Allora Angel, incoraggiata, si era alzata spingendo indietro la sedia e si era messa sull’attenti, gambe unite, braccia allineate ai fianchi, mento sollevato, sguardo fisso davanti a sé.
“Gli otto princìpi del bushido!” aveva iniziato a sparare come una mitragliatrice. “Un guerriero deve possedere: giustizia, coraggio, benevolenza, rispetto, sincerità, onore, lealtà, controllo di sé! Il concetto di giustizia: non esistono vie di mezzo tra il giusto e lo sbagliato. Ci sono solo il bianco e il nero. La strada scelta va abbandonata se la si reputa sbagliata. Mai avere esitazione quando si compie un’azione. Il coraggio…”
“Basta! Basta! Ho capito che lo sai!” l’aveva interrotta irritato Ryou.
A quel punto Angel aveva assunto un tono speranzoso. “E quindi che mi dici?”
Lui aveva riabbassato la testa e ripreso a mangiare come se niente fosse accaduto. “Ti dico che stasera devi andare a letto presto, che domani alle sei ti voglio in piedi.”
Al vedere Angel che era rimasta delusa da quella reazione, aveva commentato, un po’ per irritazione e un po’ per tirarla su:
“sai che il padre di Bu-ling è ripartito per la Cina e ora lei e i suoi fratelli sono di nuovo abbandonati a loro stessi? Pensi di essere l’unica ad avere dei problemi? Finiscila con queste storie!”
“A proposito”, fece Angel. “E Heicha? Se vado a scuola, non potrò più vederla…”
Ryou alzò le spalle. “Tranquilla, camperà anche senza di te.”

“Quel… quel…” mormorò Angel fra i denti, distesa nel letto, evitando per buona creanza di metterci l’aggettivo che desiderava. “Ma perché vuole a tutti i costi che vada a scuola? Seguo un codice d’onore degno della casta migliore dell’intera umanità, che altro dovrei sapere? Che… altro… dovrei…?”
“Ehi… dico a te!” la ragazza si sentì scuotere per le spalle con molta poca creanza. “Guarda che non sei la Bella Addormentata, non hai bisogno che ti baci per svegliarti.”
Aprì gli occhi di scatto. La luce della stanza era accesa e Ryou, sopra di lei, aveva un’espressione decisamente spazientita.
Per non farsi fregare, Angel si levò le coperte di dosso con un calcio e si tirò su a sedere.
“Tranquillo, boss, un bacio da te sarebbe l’ultima cosa che vorrei! Ma… per caso dormivo?”
Ryou alzò gli occhi verso il soffitto.
“No, guarda, avevi gli occhi spalancati e io ti ho scosso così, perché mi girava. Ma certo che dormivi, e russavi pure! Sbrigati a vestirti e vieni giù, che poi Aoyama e Ichigo ti passano a prendere. Siamo riusciti a farti mettere nella classe della tua leader, contenta?”
“Uh! Certo! Non si fanno figuracce davanti alla leader!” esclamò agitatissima Angel, saltando giù dal letto e strappandosi di dosso la parte sopra del pigiama. La prospettiva di andare a scuola non le piaceva ancora, ma non poteva certo mostrarsi svogliata e non ligia al dovere davanti a Ichigo.
“Aspetta almeno che esca dalla tua stanza, screanzata!” la rimproverò Ryou, rosso di imbarazzo, uscendo e sbattendo la porta.

Masaya ed Ichigo erano in piedi nel giardino davanti alla porta posteriore del Caffè, in attesa che uscisse la loro compagna. Anche da lì, Masaya riusciva a sentire i battibecchi di lei con Shirogane.
“Allora, ci riesci a pettinarti i capelli un po’ meglio, stamattina?”
“Sì!”
“E magari riesci a legarteli pure?”
“No!”
A quello scambio di battute gli scappò da ridere. Nell’attesa che Angel finisse di prepararsi, guardò di sottecchi la sua ragazza di fianco. E provò dei sentimenti contrastanti: erano passati pochi giorni da quando l’identità di Angel era stata scoperta. Eppure, apparentemente, tra loro non era cambiato assolutamente niente. Angel, dal mattino successivo, non aveva più fatto alcun cenno al pianto a prima vista immotivato che aveva avuto davanti ai genitori di Ichigo. Anzi, non aveva fatto altro che comportarsi esattamente come “prima”. Il suo atteggiamento verso loro due non era mutato di una virgola. E questo era comprensibile: in fondo, lei non sapeva che ora sia Masaya che Ichigo sapevano la sua identità. Lui, dopo un breve periodo di disorientamento e interrogativi sulla naturale difficoltà di accettare come figlia una ragazza che aveva la sua stessa età, era riuscito a superare questo unico ostacolo, e adesso guardava a lei come avrebbe guardato a un bambino che fosse stato veramente suo. Gli pesava parecchio non poter rivelare ad Angel che ormai sapeva chi fosse, ma non poteva fare altrimenti: c’era un motivo preciso del perché lei stessa non voleva che qualcuno lo venisse a sapere. Voleva evitare di sviluppare un vero e proprio legame filiale per rendere il suo inevitabile distacco da loro il meno traumatico possibile. E Masaya sapeva che anche lui sarebbe stato molto male quando sarebbe giunto per Angel il momento di andarsene. La cosa migliore era mantenere le cose stabili fra loro fino a quando quel momento fosse giunto; anche il ragazzo voleva evitare di soffrire troppo quando sarebbe stata l’ora di separarsi. Però, anche se nei modi non era cambiato niente, e lui cercava di mantenere il tutto immutato, non poteva evitare alcune piccole modifiche nel comportamento quando interagiva con lei. Spesso infatti, quando le era vicino gli veniva spontaneo accarezzarla con gli occhi mentre la guardava. Di solito, quando lei volgeva la testa verso di lui, il ragazzo distoglieva lo sguardo in fretta, ma non sempre ci riusciva. Nonostante avesse un’esperienza e un allenamento di una vita sul fingere di essere quello che non era, era anche lui un essere umano. Perciò ogni tanto, quando Angel incontrava il suo sguardo, Masaya rimaneva a fissarla con gli occhi emozionati e desiderosi di un contatto fisico che non ci poteva essere. Ed era sicuro che, in quei momenti, anche lei lo guardasse per un attimo col medesimo sguardo. Quel contatto con gli occhi era sufficiente per lui, anche se avrebbe desiderato di gan lunga poterla toccare di nuovo, come era avvenuto quel pomeriggio. Ma per il momento, così poteva bastare.
Lo stesso non si poteva dire per Ichigo. Da quanto la rivelazione alla sua ragazza era stata deludente, Masaya non aveva più toccato l’argomento con lei. A che sarebbe servito? Lei ormai la verità la conosceva, e lui si aspettava che, dal momento in cui avesse rivisto Angel, si sarebbe quantomeno iniziata ad interessare a lei, ad avvicinarsi di più, a guardarla con una curiosità ed interesse maggiori, come minimo. D’accordo, la reazione che aveva avuto quando le aveva svelato chi fosse quella ragazza del futuro era stata poco appropriata, ma lui non poteva fargliene una colpa, dopotutto. Era infatti una situazione talmente surreale da rendere impossibile affermare quale reazione fosse giusta e quale sbagliata. Era stata una notizia troppo grossa. Ichigo aveva bisogno di tempo per metabolizzare il tutto ed iniziare a guardare Angel con occhi diversi. Masaya era sicuro che sarebbe andata così. Tempo un mese al massimo, e l’avrebbe guardata con gli stessi occhi inteneriti con cui ora la guardava lui. Almeno sperava, perché dal punto di vista del comportamento non c’erano stati progressi: Ichigo trattava Angel nello stesso modo di prima, gentile, amichevole, aperto e con le migliori intenzioni del mondo. Però non aveva subìto alcuna modifica dalla rivelazione che Masaya le aveva fatto, come se non ci fosse proprio stata. Ma il tempo l’avrebbe aiutata. Di sicuro.
“Allora, ragazza, vuoi uscire o no da quella porta?!” Questa era la voce di Shirogane.
“Ci sono la leader e Masaya di fuori?” Questa era Angel che indagava.
La risposta stanca di Ryou: “sì…”
“Digli allora che possono andare avanti… ci vado da sola, a scuola.”
“Esci immediatamente da quella porta, Angel!”
Masaya e Ichigo, a quel punto, avevano visto la porta sul retro spalancarsi con un calcio, e Ryou, che tratteneva Angel con entrambe le mani, spingerla fuori a forza.
“Buongiorno ragazzi. È affidata a voi, lo sapete.”
E chiuse di nuovo la porta senza nemmeno aspettare la loro risposta.
I due ragazzi guardarono la loro compagna. Beh, era vestita diversa dal solito, ma non era niente di particolare: aveva solo addosso la divisa scolastica di Ichigo, con la gonna, la marinaretta e il fiocco rosso sul petto.
La poveretta non sembrava affatto a suo agio conciata così, infatti aveva il viso rosso e lo teneva abbassato, senza nemmeno il coraggio di guardarli.
Ichigo le andò incontro, sorridendo. “Angel, ma ti vergogni? Dai, guarda che a scuola saremo tutte vestite così.”
“Non disturbarti, Ichigo”, mormorò Angel, vergognosissima. “Pure il boss si è messo a ridere quando mi ha visto.”
Masaya non avrebbe mai voluto ammetterlo, ma Angel aveva ragione: quella divisa, che addosso a Ichigo stava così bene e la rendeva così carina, addosso a lei era come qualcosa di contraddittorio, che sembrava non c’entrare nulla. Ma, giustamente, con tutte le ragazze della scuola vestite in quel modo non avrebbe dato poi molto nell’occhio.
“Allora, Angel, i documenti?” le chiese.
“Ce li ho”, rispose pronta lei.
“I quaderni e i libri?”
“Ce li ho.”
“L’entusiasmo?”
“Ehm…” esitò Angel.
“E dai, che la scuola non è poi così male”, intervenne Ichigo, con tono allegro nonostante l’ora.
Masaya scoppiò a ridere. “Da quando hai iniziato a parlarne bene?”
Anche Ichigo si mise a ridere. “Eddai, Aoyama-kun, reggimi il gioco”, lo esortò, dandogli una gomitata leggera.
Ad Angel venne un sorrisetto, ma non sapeva esattamente a quello a cui stava andando incontro.

Durante il percorso Ichigo notò che, mentre lei e Masaya camminavano tranquilli, con solo una lieve ombra in viso per le vacanze appena finite, Angel sembrava invece in lutto per l’aria che aveva. Ichigo decise che non poteva più sopportare di vederla così.
“Dai, Angel, parliamo un po’. Cosa ti è piaciuto di più della vacanza che abbiamo fatto?”
“Ah, ehm…” si scosse lei. “Non mi viene in mente niente.”
Ichigo invece si sentì aumentare la salivazione al pensiero di quello che stava per dire:
“ma dai, la più bella non te la ricordi? Quando abbiamo cucinato alla trapper! E chi se la scorda quella serata?”
Ricordava tutto fin troppo bene: Angel, che era molto esperta in tecniche di sopravvivenza, aveva insegnato una sera ai suoi amici come cucinare senza utilizzare attrezzi di cucina di alcun tipo.
Avevano cucinato di tutto, insieme: avevano fatto il pane che poi avevano avvolto intorno a un bastoncino e messo a cuocere vicino al fuoco, avevano fatto gli spiedini con dei rametti raccolti nel bosco che poi Angel aveva affilato con un coltello, avevano costruito una griglia solo coi rami spezzati, avevano cotto le patate e le uova sotto la cenere. Angel aveva loro insegnato anche un ottimo modo per mangiarsi un dolce con soli due ingredienti: togliere con un coltellino l’interno a una mela, metterci una zolletta di zucchero e metterla a cuocere. Non era alta pasticceria come quella di Keiichiro, ma aveva un sapore selvatico e genuino che nei suoi piatti mancavano.
“Bu-ling non ha mai mangiato niente di tanto buono!” aveva esclamato la più piccola, con le dita tutte sporche di grasso.
“Rimpiango le cene a cinque portate che fanno a casa mia, ma dai, è passabile”, si era degnata di commentare Minto, piluccando il suo spiedino in modo educato.
“Angel-san, tu mangiavi così da te?” aveva chiesto incredula Retasu.
“Non tanto, ma a volte succedeva che una pentola si rovinava, o si bucava, o la perdevamo, o ce la rubavano, e non sempre i venditori vendevano attrezzi da cucina. Quindi abbiamo rimediato arrangiandoci così in attesa che si rifornissero. Mio nonno mi ha insegnato tutto”, aveva risposto Angel, controllando con uno sguardo degno dei migliori chef il grado di cottura del pane sul fuoco.
“Già, Angel sarà tanto impacciata nella civiltà, ma qui nella natura è un’esperta ai massimi livelli. Ora è lei che insegna a noi”, aveva riso Ichigo.

Ripensandoci, anche ad Angel veniva una gran nostalgia, ma non era esattamente la sua priorità in quel momento: intanto, ad un bivio, si stavano avvicinando a loro due ragazze, mai viste prima, una coi capelli corti e bruni, l’altra con dei boccoli biondi.
“Guarda chi c’è!” esclamò allegra Ichigo.
“Buongiorno!” aggiunse Masaya.
“Ichigo! Aoyama-kun!” esclamarono in coro le due ragazze. “Brutto ri incominciare la scuola dopo due mesi di vacanza, eh?”
Poi guardarono incuriosite la ragazza che stava in mezzo ai loro due amici.
“E tu chi sei? Non ti abbiamo mai visto. Sei nuova?”
“Ehm… sì, diciamo di sì… molto piacere, sono Angel Momomiya…” incominciò Angel, incerta, ma venne subito interrotta da quelle due.
“Hai lo stesso cognome di Ichigo? Come mai?”
“Ve lo spiego, ragazze”, intervenne subito Ichigo. “Dovete sapere che lei è una mia cara cugina originaria di Hokkaido che non vedevo da nove anni, ora si è trasferita qui e verrà a scuola con noi. Ha il mio cognome perché è la figlia del fratello di mio padre.”
“Aaah, ho capito”, annuì Moe, impressionata. “È vero, un po’ vi assomigliate. Si vede che siete cugine!”
Angel si sentì sudare freddo: la trovata di essere una sua parente dalla parte del padre era in fondo una grande cavolata, perché di fatto lei assomigliava a Ichigo, che era identica a sua madre, la quale però, secondo quella scusa, non avrebbe dovuto avere niente a che fare con lei. Ma nessuna delle due ragazze appena incontrate sembrò accorgersene. Però era meglio cambiare argomento: non si poteva sapere se potesse venire loro in mente qualcosa.
“E allora… perché parlare di me, quando abbiamo un’intera giornata di scuola davanti? Che si dice in proposito?”
Moe e Miwa parvero completamente dimenticarsi l’eccitazione dovuta a quella nuova conoscenza.
“Già, la scuola. Sai, la prima ora noi abbiamo letteratura con il professor Tanaka, quello che non si sopporta…” gemettero.
Così i cinque ragazzi si affiancarono e ripresero il cammino verso l’istituto.
“Hai mai sentito parlare del professor Tanaka?” chiese Miwa ad Angel, giusto per intavolare una conversazione.
“Non credo…” rispose lei confusa. Si stava sentendo abbastanza irritata, perché era certa di aver già incontrato quelle due in passato, ma non ricordava né quando, né come e né perché, e questo non le piaceva affatto.
“Oh, vedrai”, spiegò Miwa con tono fatalista. “È molto, molto severo, non si lascia sfuggire nemmeno un nostro sbaglio, ed è nazionalista e patriottico in un modo assurdo. Passa la metà delle lezioni a parlare di questioni politiche, e guai se non siamo d’accordo con lui.”
“Ma allora mi piacerà”, risolse Angel, ottimista. “Anch’io penso che Tokyo sia la migliore città del mondo e il Giappone il miglior paese del mondo.”
Parlava in realtà senza cognizione di causa, perché, non avendo mai studiato, Angel non conosceva minimamente altri paesi o città al di fuori della sua terra natìa.
Moe scosse la testa. “Magari lui si limitasse a questo. Vedrai…” e, a quella previsione poco felice, Angel iniziò a mostrarsi un po’ preoccupata.
Ichigo però si intromise. “Dai, non starle a sentire. Vedrai che il primo giorno andrà bene.”
“Già”, aggiunse Masaya. “Tu sta’ attenta ad essere sempre disciplinata e rispettosa, e tutto filerà liscio. Mi raccomando, usa termini formali.”

Arrivati nei pressi della scuola media, Masaya disse alle quattro ragazze:
“bene, io ora mi avvio verso la mia classe. Ci vediamo dopo le lezioni.”
Al vedere Angel che lo fissava con occhi impauriti e imploranti, si mise a ridere e la incoraggiò:
“tu va’ con Ichigo. Poi mi racconterai.”
Allora Angel e le altre lo lasciarono allontanarsi verso un gruppo di ragazzi maschi che lo accolsero fra loro, e la nuova arrivata, che si sentiva un macigno sullo stomaco diventare sempre più pesante, si strinse a Ichigo, mentre si avviavano verso la loro aula.
Non erano ancora entrati in classe e già ad Angel girava la testa: quella scuola era un maledetto labirinto. Corridoi, su cui si aprivano porte che davano in stanze tutte uguali, piene di file e file di banchi. E in giro tantissimi ragazzi della loro età, tutti vestiti uguali, che chiacchieravano in modo vagamente depresso per le lezioni che stavano per ricominciare.
Le quattro arrivarono infine alla loro aula al primo piano, dove già i loro compagni erano quasi tutti seduti, in attesa dello squillo della campanella che avrebbe segnato l’inizio della prima ora.
“Angel, quel banco a destra del mio è il tuo”, le spiegò Ichigo.
La ragazza mora fissò con uno sguardo di odio profondo quella tavola di legno rialzata.
“Dovrò stare seduta qui fino all’ora di pranzo?” chiese sospettosa.
“Ma no, ci sarà una pausa dopo due ore”, le spiegò Ichigo.
Due ore?” ripeté enfaticamente Angel, e volse lo sguardo pregno di desiderio sulla finestra spalancata.
“Se farai una cosa simile, ti butto fuori dalla squadra, ti avviso”, la avvertì Ichigo, che evidentemente iniziava ad averne abbastanza di tutte quelle lagne. “Anch’io facevo come te il primo giorno di scuola, ma avevo sei anni ed ero in prima elementare.”
Allora Angel lentamente, molto lentamente, si sedette sulla sedia di legno davanti al suo banco, sistemandosi un po’ le pieghe di quella gonna che le dava così fastidio e, tirato fuori l’astuccio dalla cartella che si era comprata coi soldi della paga, prese una matita e iniziò a giocherellarci, sentendo già la noia che saliva.
“Buongiorno, signori studenti”, sentì dopo poco una voce adulta, profonda e autoritaria provenire dalla porta.
Tutti i suoi compagni scattarono in piedi all’istante, ed Angel li imitò.
“Buongiorno, Tanaka-sensei”, pronunciarono altre 24 voci all’unisono mentre l’insegnante, in giacca e cravatta, occhiali ed espressione seria, si avviava verso la cattedra.
Soltanto la voce squillante di Angel si sentì stonare in sottofondo.
“Buongiorno, Tanaka-san!”
Al sentire quell’appellativo, il professore si fermò di botto e si voltò a scrutare irritato i suoi studenti.
“Chi ha avuto la sfrontatezza di chiamarmi in questo modo?”
Tutti quanti, senza tornare a sedere, volsero imbarazzati lo sguardo su Angel, che era rimasta impietrita al suo posto, senza capire cos’avesse detto di sbagliato.
Il professore fece passare su di lei uno sguardo indagatore.
“Bene, bene, e tu chi saresti?”
“Sono Momomiya Angel”, rispose lei, utilizzando il linguaggio formale come le era stato detto.
“E chi è Angel?”
“Sono io.”
“Già, certo”, borbottò il professore aprendo il registro e scorrendo l’elenco degli studenti. Alzò di nuovo lo sguardo.
“Tu sei quella nuova, vero?”
“Sì, professore.”
“Che significa il tuo nome?”
Angel iniziò a contorcersi le mani dietro la schiena. “Angelo, credo. Ma credo che sia anche un dolce. Me l’ha detto il mio tutore, che fa il pasticcere e queste cose le sa.”
Allora gli occhi dell’insegnante si fecero più attenti e si misero a scrutarla attraverso le spesse lenti.
“Mi sembri una persona di pura razza giapponese. Perché il tuo nome è inglese?” le chiese sospettoso, al termine del suo esame.
Angel rimase un attimo interdetta; ma che razza di domanda era?
“Veramente, signore, questo dovrebbe chiederlo a mia madre… penso che sarà un po’ difficile, però, visto che non ci ho mai parlato nemmeno io”, disse col tono più rispettoso possibile.
Dette queste parole, guardò di sfuggita Ichigo per chiederle con gli occhi se avesse detto giusto, e la vide che si era coperta la faccia con entrambe le mani. Qualcuno degli altri ragazzi cominciò a ridacchiare.
Il professore allora commentò, asciutto:
“bene, signorina, ci conosciamo da nemmeno cinque minuti e già ho capito che tipo sei. Ti conviene rigare dritto e farmi avere un ripensamento sul tuo carattere, perché quelli come te li liquido prima della fine dell’anno. E ora incominciamo la lezione.”
Tutti gli studenti ripiombarono a sedere, ed Angel, tenendo la testa bassa sul banco, alzò gli occhi verso l’orologio a muro. Le otto e sette. Era lì da nemmeno dieci minuti ed era partita nel peggiore dei modi. La prima impressione che la scuola le aveva fatto non era stata per niente buona. Come avrebbe fatto a sopravvivere fino alla fine della giornata, della settimana, del mese?

 

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Spiegazione linguistica: il termine formale con cui appellare gli estranei solitamente è -san. C'è l'eccezione di -sensei, un termine ancora più formale che viene usato per due sole categorie di persone: gli insegnanti e i dottori. Angel però, che non ha mai avuto a che fare con nessuna delle due categorie, non aveva idea che bisognasse chiamare così il professore. Per questo il suo insegnante si offende, visto che chiamare un professore con l'appellativo -san (che comunque per Angel è già tanto) è considerato una grave mancanza di rispetto.

Intanto, ecco un nuovo disegno che ho finito di colorare ieri. Angel versione gatto in una delle sue espressioni migliori. Link

   
 
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