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Autore: Marty_199    21/07/2016    3 recensioni
"Ma tu chi sei che avanzando nel buio
della notte inciampi nei miei più segreti
pensieri?"
William Shakespeare, Romeo e Giulietta.
***
Alice Blain ha diciotto anni e frequenta il college, è una ragazza con molta fiducia nel suo futuro e nei propri sogni, con una passione innata per la letteratura. La sua famiglia l'ha sempre sostenuta e amata, proprio come Nathan, suo fratello, adottato all'età di sette anni.
Nathan ha ventuno anni, frequenta l'ultimo anno di college ed è pronto per l'università, sa di avere alle spalle un trauma da dimenticare, perché prima dell'arrivo dei Blain la sua non era un'infanzia facile. Ma sa anche che i Blain hanno portato con sé, ciò che per lui è la più grande forma di dolore e amore, sua sorella Alice.
Ma se un sentimento proibito si accendesse tra i due? L'amore non bada alla legge, alle regole o al momento, e i due si ritroveranno a tenere per loro questo sentimento, superando i confini causati da un solo, semplice cognome, e il dolore provocato da un evento che stravolgerà le loro vite... e potrebbe comportare delle conseguenze. Ma queste saranno in grado di separarli?
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO 1.

"Persino quando la scelta è concorde,
la guerra, la morte, la malattia assediano l'amore,
lo rendono momentaneo come un suono,
furtivo come l'ombra, fuggevole come un sogno,
breve come un lampo che in una notte nera
sveli, ad un tratto, cielo e terra,
ma prima che si possa dire "Guarda!",
le mascelle del buio l'hanno divorato.
Così in un istante svanisce ogni cosa che brilla"

William Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate.

 

Il ricordo della sua stanza buia e piccola lo tormentava da quando aveva solo quattro anni, ricordava da sempre una piccola camera con solo l'essenziale e la porta chiusa, una finestra semi aperta e nessuna possibilità di scappare, era così che la sua infanzia si era svolta.
Mentre sedeva sulla poltrona dell'ufficio in cui si trovava il suo sguardo era basso e dall'espressione pensierosa, un'espressione che non si adduceva ad un bambino di soli sette anni.
Nathan non capiva cosa stesse succedendo intorno a sé, osservava con gli occhi inesperti di un bambino gli adulti presenti nella stanza muoversi, guardarlo e rivolgergli calorosi sorrisi, lui rispondeva timidamente, riabbassando lo sguardo senza voler parlare, non si era mai davvero messo a parlare con la sua mamma, né col suo papà, loro non volevano ascoltarlo. Aveva imparato così.
«Nathan?» Il bambino alzò gli occhi sulla donna che gli si presentò davanti, i capelli biondi illuminati dai raggi solari e un sorriso dolce gli affiorava sulle labbra rosse.
«Hai sete o fame?» Nathan scosse piano la testa piena di capelli arruffati e neri, la voce di quella donna era tanto dolce che gli zigomi del bambino si colorarono di un leggero rossore.
«Mi dispiace molto per quello che ti è successo, sei un bravo bambino e certe cose non dovrebbero mai accadere.»
Nathan abbassò lo sguardo sulle sue dita intrecciate, non capiva chi fosse quella donna né cosa volesse, non ricordava il suo nome ed era da un po' di tempo che era confuso, solo pochi giorni prima si trovava nella sua piccola stanza.
«Qui fuori ci sono delle persone che vogliono conoscerti... potrebbero diventare la tua nuova famiglia, la vuoi una famiglia Nathan?»
Il bambino alzò gli occhi castani sulla donna senza dire una parola.
La donna sospirò appena e dopo una dolce carezza sul viso pallido del bambino la porta si aprì, nella stanza si riversarono tre figure; due erano adulti, una donna e un uomo, mentre la terza figura, piccola e minuta, si stringeva alla gamba dell'uomo con un sorriso timido a increspargli le labbra.
Nathan li osservò senza capire il perché fossero lì e gli rivolgessero fugaci sguardi.
«Lui è Nathan» la donna bionda lo indicò, Nathan si irrigidì appena sulla poltrona pensando di aver nuovamente fatto qualcosa di sbagliato e di aver fatto così arrabbiare qualcuno di loro.
«Ciao Nathan, come stai?» La voce dolce della donna lo fece tranquillizzare, era alta e snella, Nathan rimase colpito dalla sua figura e per un momento la paragonò alle fate disegnate che aveva visto su qualche libro da colorare.
Aveva i capelli neri mossi, occhi verdi scintillanti e un viso dai lineamenti dolci e belli, il bambino ne rimase affascinato.
«Bene» rispose con voce timida e bassa, senza mai staccare lo sguardo dalla donna, che sorrise, piegandosi sulle ginocchia e scendendo nella sua visuale, mentre Nathan restava seduto sulla poltrona.
«Io mi chiamo Amber» il bambino annuì appena, per far vedere alla donna che aveva capito ma non aveva idea di come avrebbe dovuto comportarsi.
«Lui è mio marito Mike, mentre la piccolina stretta alla sua gamba è Alice, nostra figli. Alice vieni.»
La donna si girò, rivolgendo lo sguardo verso la bambina che timidamente si sporse oltre la gamba del padre e lo guardò con il rossore a colorarle le guance. Con un piccolo sorriso di timidezza si avvicinò alla madre, indossava un vestitino verde ricoperto di disegni di fiori colorati, i capelli corti neri tenuti fermi da delle forcine rosa, il tutto la faceva somigliare ad una bambola.
«Ciao» esordì la bimba, la voce bassa e insicura, eppure il piccolo Nathan non aveva che occhi per la donna che ora, stringendo un braccio intorno alla bambina, tornava a posare gli occhi verdi su di lui.
«Nathan, so che ti sembrerà strano, ma ti andrebbe ti tornare a casa con noi? Così potremmo conoscerci meglio tutti insieme. »
«A casa mia?» Non voleva che quella donna vedesse la sua casa, era certo che sua madre si sarebbe arrabbiata e gli avrebbe tirato contro delle cose, facendola scappare.
La donna abbassò appenalo sguardo, con espressione triste.
«No, tornerai a casa con noi, avrebbero dovuto portarti oggi ma io volevo vederti prima di persona, ci andremo insieme, starai bene vedrai.»
Il bambino la osservò senza dire niente, non capiva la situazione, non sapeva perché quelle persone fossero lì, ma quella donna gli piaceva e in quel momento era l'unica cosa che contava.

***

Quando Nathan riaprì di scatto gli occhi le figure del suo sogno sparirono vaporizzandosi come acqua nella sua mente, eppure ricordava bene il suo sogno, o meglio il suo ricordo.
Si spostò di lato, allungando un braccio e così colpendo una piccola figura stesa accanto a sé, il mugugno di rimprovero e di fastidio che procurò lo costrinsero a ritirare il braccio.
«Nat mi hai preso sul naso» esordì con voce impastata dal sonno sua sorella.

Nathan sbuffò sonoramente, mettendosi seduto sul letto e passandosi una mano sul volto per scacciare il sonno.
«Tu entri clandestinamente nel mio letto» posò gli occhi su di lei, la sua esile figura era resa appena visibile sotto le pieghe del lenzuolo che la coprivano.
I lunghi capelli neri sparsi alla rinfusa sul cuscino, il viso contorto in una smorfia di fastidio e gli occhi chiusi.
Nathan distolse subito lo sguardo.
«Lo faccio da sempre, dovresti esserci abituato.»
Il ragazzo scese dal letto dando le spalle alla sorella e prendendo una maglietta buttata a caso per terra, coprendo così il corpo allenato agli occhi di Alice.
«E mi pare di averti detto di smetterla più di due anni fa» ribatté con tono fin troppo brusco, passandosi una mano tra i folti capelli neri e girando per tutta la stanza alla ricerca delle sue maledette
ciabatte.

Alice si mise a sedere sul letto, la maglietta che indossava le era calata troppo vicino al seno, Nathan maledì le magliette troppo grandi e si concentrò sulla sua ricerca.
«Ma perché insisti?»
«Alice è ora che comincia a dormire per conto tuo e io mio, cerca di capire.»
«Ma non lo faccio quasi più! Questa è stata una piccola eccezione. »
Nathan alzò gli occhi castani al cielo, per poi rivolgere un fugace sorriso al dolce viso di sua sorella.
«Va bene come vuoi, ora esci e vai a vestirti.»
Alice mise un piccolo broncio scendendo controvoglia dal letto e camminando verso di lui, Nathan si accorse che indossava solo quell'enorme maglietta mentre le gambe erano scoperte e per lui troppo in vista. Rialzò subito gli occhi, puntandoli in quelli grigi di lei.
«Come sei autoritario» lo schernì con una smorfia.
Nathan alzò un sopracciglio nero, poi scuotendo la testa con il sorriso sulle labbra aprì la porta della sua camera per farla uscire.
Alice si sporse e si alzò sulle punte per lasciargli un tenero e casto bacio sulla guancia, per poi uscire dalla sua camera e incamminarsi per il corridoio. Non appena fu fuori, Nathan lasciò andare il fiato che aveva trattenuto nel vederla avvicinarsi, un'altra notte era passata con lei al suo fianco, quella storia doveva finire e subito.
Non appena fu sceso di sotto sentì l'odore delle frittelle di Amber riempire l'aria ed entrargli nelle narici, sembrava lo chiamassero dalla padella nella quale cuocevano. Nathan prese a camminare veloce verso la cucina e non appena fu dentro vide Amber in piedi davanti i fornelli con in mano uno scatolone di latte. La stanza era luminosa e dalle finestre si vedevano i nuvoloni pronti a inondare di pioggia la città di Manhattan.
Nathan si avvicinò piano e con passo felpato alla donna che continuava a dargli le spalle, velocemente le si avvicinò pizzicandole i fianchi con le mani e facendola sobbalzare, un poco del latte nel cartone cascò sul fornello.
Amber lanciò un urletto di gioia e paura, girandosi verso Nathan col sorriso sulle labbra.
«Nathan!» lo rimproverò con la voce di una madre felice di prima mattina nel vedere suo figlio.
«Cucina Amber, adoro le tue frittelle.»
Era da un paio di anni che Nathan aveva preso a chiamare per nome i suoi genitori adottivi, li considerava in tutto e per tutto suoi genitori ma era sempre stato un bambino problematico. Appena arrivato in casa era stato incapace di relazionarsi con loro, non aveva saputo spiccicare parola e non voleva parlare, l'unica che era stata capace di farlo desistere dal suo mutismo era stata Alice, con la sua dolce e innocente insistenza.
All'età di tredici anni aveva picchiato metà dei ragazzi della sua scuola ed era stato costretto a cambiare istituto più volte, nonostante i rimproveri di Amber e Mike, non era stato capace di mettere un freno alla violenza e alla rabbia che sentiva dentro bruciargli come veleno, sentimenti che un bambino di soli tredici anni non avrebbe dovuto provare.
Aveva frequentato vari psicologi, tutti avevano gettato la spugna con lui, tutti lo avevano ritenuto solo disturbato dal suo passato e impossibile da recuperare ma Amber non si era mai arresa e aveva continuato a cercare, fino all'arrivo di Michael Stewart, quell'uomo aveva scavato nella mente di Nathan, lo aveva ascoltato e per la prima volta nella sua vita Nathan si era ritrovato a parlare con qualcuno senza essere subito classificato irrecuperabile.
Aveva preso a fare palestra e boxe regolarmente, sperando che in qualche modo lo sfogo potesse riversarsi nello sport, ciò gli aveva anche permesso con gli anni di mettere su un fisico ben muscoloso, le braccia si erano rafforzate, la pancetta da scolaro adolescente eliminata e sostituita con una muscolatura avuta dopo anni di duro lavoro nel quale si era concentrato nella speranza di allontanare i pensieri nocivi che ogni tanto gli inondavano la mente.
Negli anni seguenti c’erano state cattive compagnie che avevano influenzato la sua vita fino ai diciotto anni, le risse erano all'ordine del giorno e Nathan era convinto che presto Amber e Mike lo avrebbero riportato da dove lo avevano preso, ma ogni volta si era sbagliato.
Col tempo aveva capito che per tutti quegli anni non aveva fatto altro che metterli alla prova, spingerli all'orlo e forse quasi costringerli a convincerli che abbandonarlo fosse la cosa giusta, ed ogni volta loro avevano vinto, tenendolo dentro casa e dandogli quell'affetto che solo una famiglia sapeva dare...ma la prima ad avergli mai dato davvero un'occasione, una speranza e un motivo per sorridere era stata Alice.
Lei aveva da subito fatto parte della sua vita, era per lei che ogni volta si diceva di dover cambiare, per la sua sorellina, quella che a soli undici anni vedendola in tutta la sua fragilità, aveva deciso di proteggere.
Era per questo che ora, a ventun anni chiamava per nome i suoi genitori, era consapevole di ciò che gli aveva fatto passare, era consapevole di non essere in grado di cambiare ma solo di migliorare, forse non si sentiva davvero pronto, forse non lo sarebbe mai stato.
«Oh lo so, ora siediti.»
Nathan fece come gli venne detto e si mise seduto a tavola, una tazza di latte freddo gli era davanti, per il tavolino erano poggiate fette biscottate e cioccolata nel lato di Alice, mentre nel lato di Mike si trovavano due belle uova fritte con bacon e davanti un bicchiere di succo.
Nathan sorrise appena scuotendo la testa, pensando a quanto quei due erano differenti l'uno dall'altra.
«Buongiorno» Alice si mise seduta al suo posto, di fronte a Nathan, guardando con occhi luccicanti il suo latte caldo e le frittelle ancora nella padella. I due si scambiarono un fugace sguardo, uno sguardo complice tipico di due fratelli uniti dagli anni, Nathan aveva imparato a captare ogni minima espressione del suo volto, ogni minimo luccichio di quegli occhi gli era impresso nella mente.
«Io ho fame» cantilenò Alice verso la madre, che con uno sbuffo le rivolse un'occhiata di rimprovero.
«Per fare colazione si aspetta tuo padre, lo sai. Almeno a colazione voglio che siamo tutti quanti.»
Alice roteò gli occhi grigi e spenti da una leggera sonnolenza con impazienza, guardando sognante le frittelle e le fette biscottate poste sul tavolo. Mentre Amber era rivolta verso la padella, Alice allungò la mano verso le fette biscottate per poterne prendere una, Nathan colse l'occasione per schiaffeggiarle la mano e ridere della sua espressione irritata e sorpresa.
«Ma da che parte stai?» sibilò con indignazione Alice, corrugando appena la fronte.
«Se non mangio io nemmeno tu» rispose semplicemente lui, ricevendo in cambio un calcio sullo stinco. Nathan sobbalzò appena sulla sedia, non per il dolore quanto per la sorpresa di quel gesto, che per un qualche motivo gli fece crescere sulle labbra un ghigno di sfida.
«Se vuoi la guerra sorellina l'avrai, ma il capo ha detto che per mangiare si aspetta, non le faccio io le regole.»
«E da quando badi alle regole!» Sbuffò sua sorella scocciata, spostandosi una ciocca nera dietro le spalle, poteva sembrare una piccola strega con mille ciocche di capelli all'aria, leggere occhiaie sotto gli occhi e la sonnolenza ancora visibile sul suo volto... eppure Nathan la trovava sempre com'era, bella in tutta la sua normalità.
La pelle chiara e gli occhi luminosi sotto la luce del sole, all'ombra assumevano del tutto una sfumatura grigia scura e spenta. La cornice di capelli scuri come la notte intorno al viso, erano sempre stati troppi capelli per una sola testa, difficili da domare e tenere in ordine, sopratutto messi a confronto al corpo piccolo che si ritrovava, Nathan aveva constatato che era una corporatura di famiglia, anche Amber era minuta esattamente come sue madre prima di lei, dovevano avere le ossa piccole di natura. Era sempre stata così, il fisico era tutto della madre, ma gli occhi erano identici a quelli del padre. Sapeva che era perfettamente normale, con uno dei denti davanti appena appena storto per una botta che aveva preso da bambina, qualche brufolo che non voleva in alcun modo sparire dal suo volto, forse a causa del suo amore per la cioccolata, e che tendevano a spiccare proprio a causa della sua pelle chiara insieme ad altre piccole imperfezioni che conosceva a memoria.
Tuttavia ai suoi occhi era stata sempre particolarmente bella.
Da sempre Nathan nutriva il sentimento di proteggerla, sentimento che cercava di esternare il meno possibile, proprio come il fatto che la bellezza di Alice per lui risultasse il più grande dei problemi.
Nathan distolse in fretta lo sguardo da lei per posarlo sul suo piatto vuoto, il suo respiro tornò lentamente regolare mentre stringeva piano un lembo di tovaglia senza farsi vedere.
Qualcosa gli bruciava dentro ma non sembrava essere la solita rabbia e per la prima volta dopo tanto tempo, Nathan si ritrovò a sperare che lo fosse.

***

Nel tardo della mattina, dopo essersi preparati velocemente Alice aveva come sempre opposto resistenza a Nathan, che fermo nelle sue convinzioni aveva deciso di accompagnarla al college, all’intera scuola erano stati concessi due giorni in più di vacanza a causa di un allagamento dei bagni per le tubature rovinate. Nathan si era iscritto allo stesso college di Alice, all’inizio era stata una decisione di sola convenienza. Sapeva che il ragazzo attuale di Alice sarebbe stato più che contento di accompagnarla ma Nathan non lo sopportava, odiava l’idea di lasciare sua sorella da sola con quel Bruce, tutto muscoli e poco cervello a detta di ciò che vedeva lui stesso.
«Mi accompagni solo perché vuoi vedere le mie compagne di corso che ti vengono dietro» insistette Alice prendendo il casco dalle sue mani e infilandoselo in testa, più che altro ci era caduta dentro.
«Le vedrei comunque, mi vengono sempre a cercare» le rispose lui ridendo del colpo che Alice gli rifilò col gomito sullo stomaco.
«Idiota.»
Nathan salì sulla moto, passandosi una mano sulla mascella squadrata, da qualche anno oramai era costretto a rasarsi minimo una volta a settimana, e sentendo il leggero pizzicore della barba capì che l’indomani sarebbe arrivato il momento del rasoio. Schiacciò col casco i suoi scuri capelli neri e le fece cenno di salire. Quando Alice salì gli strinse le braccia intorno al busto e Nathan girò appena lo sguardo verso di lei, scorgendola mentre poggiava la testa sulla sua schiena.
«Vai.»
Nathan mise in moto, prendendo a sfrecciare sulla sua moto nero lucido, il rombo potente del motore gli riempì le orecchie ma non abbastanza da impedirgli di scorgere tra tanto rumore, il suono dolce della risata di Alice.
Una volta davanti l’entrata del college l’ampio spazio li accolse, pullulava di ragazzi intenti nel fare casino e nel lamentarsi, dopo due giorni in più di mancate lezioni il ritorno si preannunciava faticoso per tutti. Nathan parcheggiò la sua moto assicurandola con una catena ben spessa, avrebbe fatto di tutto per tenere il più possibile a sicuro il suo meraviglioso mezzo di spostamento, aveva faticato per poterlo avere, sia per il consenso di Amber e Mike che per i soldi che aveva dovuto mettere da parte con i lavori estivi che si era trovato negli ultimi due anni.
Alice al contrario non ci faceva molto caso, smontò dalla sua moto velocemente, sfilandosi l’enorme casco dalla testa e passandosi le mani tra i capelli per sistemarli.
Nathan afferrò il casco dalle sue mani e lo poggiò sul sedile in cuoio nero, guardandola mentre si allontanava velocemente verso un gruppetto di ragazze che avevano già puntato verso di loro lo sguardo, in attesa di poter salutare la loro amica appena tornata.
«A dopo Nathan!» lo salutò girandosi e sorridendo, per poi riprendere a camminare arrivando nel cerchietto ristretto di amiche e abbracciandole una per uno, come fossero passati mesi dal loro ultimo incontro e non solo quattro giorni.
Nathan restò fermo lì, poggiato alla sua moto distante abbastanza per non essere notato dai molti ragazzi presenti. Forse qualcuno lo avrebbe notato, ma per chi lo conosceva sapeva bene che era il fratello di Alice... per chi non lo conosceva sarebbe benissimo potuto passare per il fidanzato di qualcuna delle tante ragazze lì presenti, anche se i suoi occhi erano puntati su una sola figura dai mille capelli neri.
Un ragazzone scuro di pelle e alto il doppio si affiancò ad Alice, facendola sobbalzare, Nathan sarebbe partito in quarta se solo non avesse saputo chi era; Bruce, il ragazzo della sua sorellina.
Gli sorrise in modo languido cingendole con un braccio la vita a avvicinandola a sé, Alice sorrise, uno di quei sorrisi dolci e spontanei che Nathan era solito vedergli, eppure non riusciva a capacitarsi del fatto che fossero rivolti a un altro ragazzo.
Non appena i due si avvicinarono per baciarsi Nathan distolse lo sguardo, consapevole che se avesse continuato a guardare il suo istinto rabbioso si sarebbe svegliato e avrebbe messo a frutto le lezioni ancora presenti di boxe.
Aveva una gran voglia di rompere il naso a quel individuo... ma perché mai avrebbe dovuto farlo? Lui la rendeva felice, era una coppia ormai da sette mesi e Nathan avrebbe dovuto gioire per la sua sorellina.
“Sono solo un fratello rompipalle e iperprotettivo, datti una calmata”.
Prese a ripetersi nella mente per poi lanciargli un ultimo sguardo senza davvero vederli, i suoi occhi erano puntati sul muro lontano della scuola, fingeva di vedere qualcosa che nessuno aveva visto ma che in realtà non esisteva. Davanti a lui si stendeva una massa di ragazzi nel giardino d’entrata, poco distanti dalla folla le scalinate che portavano all’interno del college erano lì, di quel marmo bianco che pareva scurirsi sempre più con gli anni, le enormi porte di entrata ancora chiuse.
L’imponente struttura che circondava in parte il giardino era illuminata dai raggi del sole, le finestre delle aule aperte ma vuote, l’odore di fogna presente pochi giorni prima era stato eliminato e, per quanto possibile in una metropoli grande quanto la loro città, l’aria era tornata pulita dai cattivi odori, facile da respirare.
I dormitori situati al lato del college, in palazzi più bassi e divisi, anche quelli avevano alcune finestre aperte, Nathan si chiese se fosse perché i ragazzi le avevano lasciate così di proposito o fosse entrato qualcuno per aprirle e far cambiare l’aria, sospettava più la prima.
Il giardino nel quale si trovava ora era la parte che più preferiva dell’intera struttura, se non fosse stato per il caos presente avrebbe potuto trovare posto in uno dei tanti tavolini in legno situati per il parco, forse avrebbe potuto sedersi sotto un albero all’ombra invece di arrostire sotto il sole come un’idiota.
Ma tutta la sua esplorazione di un luogo che conosceva ormai come le sue tasche fu interrotta da un ragazzo della sua stessa altezza che gli si posizionò davanti, sventolando la mano come un fazzoletto davanti i suoi occhi.
«Amico ci sei?» Michael, il suo compagno di stanza nonché, almeno così le ragazze lo definivano, migliore amico di Nathan, che sbuffò posando i suoi occhi castani in quelli verdi del suo amico.
«Sì.»
Nathan aveva sempre trovato bizzarro e in parte divertente che il suo compagno di stanza portasse lo stesso identico nome del suo psicologo privato, non era strano perché come nome era molto comune, ma era divertente, almeno per lui, dato che aveva constatato che il Michael suo psicologo aveva scavato nella sua mente portando alla luce aspetti del suo carattere e parti del suo passato che solo il subconscio conosceva. Mentre Michael il suo miglior confidente e amico, non avrebbe saputo tenere un discorso serio per più di trenta minuti consecutivi, era il classico ragazzo che organizzava feste e beveva fino a perdere conoscenza. Nathan lo assecondava con molto piacere con la certezza che se avesse dovuto aprirsi con qualcuno senza temerne la risposta, sarebbe sicuramente stato Michael secondo a vincere nella sua classifica.

   
 
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