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Autore: Afaneia    22/07/2016    2 recensioni
In seguito agli eventi narrati nell'Episodio Delta di Pokémon Rubino Omega, Max ha deciso di sciogliere il Team Magma e di ritirarsi a vita privata, recidendo volontariamente ogni rapporto con tutti coloro che hanno fatto parte del suo piano per servirsi di Groudon. Persino un uomo della sua genialità non è più sicuro di sapere come reinventarsi, dopo aver scoperto di aver inseguito una chimera per quasi tutta la sua vita.
Forse Ivan non ha scelto esattamente il momento più adatto per rivelargli di avere una figlia.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ivan, Max (Team Magma), Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Buongiorno a tutti!

Come al solito, ho un ritardo mostruoso nell'aggiornamento, me ne rendo perfettamente conto: se ci ho messo così tanto a finire di scrivere il capitolo, di cui una buona parte faceva peraltro parte del nucleo iniziale della storia risalente all'estate scorsa, è perché la sessione estiva degli esami non mi ha davvero dato tregua e ho dovuto mettere da parte più di un hobby; e in aggiunta, come se non bastassero le giornate dedicate interamente allo studio, è da maggio che non riesco a trascorrere a casa più di una serata a settimana. Ma ora sono qui, finalmente, e mi scuso sinceramente per il ritardo.

Questo è sempre stato probabilmente il mio capitolo preferito della storia, sul quale ho ragionato davvero un sacco. Mi fa piacere pubblicarlo ora, a distanza di un anno da quando è stato progettato, e rendermi conto di quante cose più o meno grandi siano cambiate nella mia vita... e di quanto comunque rimanga vivida in me l'idea di un amore come questo. Ma meglio non dire altro, per evitare rischi di spoiler!

Come mio solito, i miei ringraziamenti più sinceri a crystal_93 e a Persej Combe per le loro dolcissime recensioni (e per la spinta a pubblicare infine questo capitolo!), e in generale a chiunque continui a seguire la storia in qualsiasi modo. Ogni minimo apprezzamento fa sempre piacere!

A questo punto, direi che davvero non posso fare altro che lasciarvi al capitolo.

Buona lettura!

Afaneia



Capitolo III – Accidenti al diavoletto.


Non c'è quasi giorno che Ivan non cerchi di convincerlo a fare qualcosa, e questo non perché gli stia rinfacciando alcunché. Max lo sa, lo vede nei suoi occhi che Ivan sta disperatamente cercando di aiutarlo, eppure ha l'impressione di essere lontanissimo da lui, a una distanza infinita da ogni suo tentativo di approccio, e si sente come se attraverso quell'enorme distanza deserta che si apre tra di loro ogni sua parola fosse come un urlo che la lontananza soffoca, e che giunge a lui attutito e sfumato e a malapena udibile.

«Potresti tentare l'insegnamento» gli suggerisce Ivan una sera. «Hai due lauree, no? Potresti insegnare geologia... o biologia... o quello che è.»

La sera dopo è la volta di un dottorato di ricerca (Max non vuole neppure scoprire dov'è che Ivan possa aver sentito la parola dottorato, e a ogni modo è alquanto certo che non sappia comunque di cosa si tratta) e quella dopo ancora di un'azienda per prodotti di giardinaggio. Ma quando si accorge che la prospettiva del lavoro non pare scuoterlo, Ivan non si scoraggia affatto. Visto dai suoi occhi, il mondo deve apparire come un luogo ricco di possibilità e occasioni per reinventarsi, per uno che abbia rischiato di provocare l'apocalisse, e Max invidia un poco questa sua visione del mondo. Gli piacerebbe essere in grado di vedere anche lui queste infinite strade che Ivan gli disegna davanti, ma per quanto lo riguarda, davanti a sé egli non vede altro che la terra bruciata che per poco non ha creato davvero.

«Ada mi ha parlato di un corso di primo soccorso qua vicino, sai, per quelli che aiutano sulle ambulanze. I soccorritori, ecco. Non so, magari ti poteva interessare.» Ivan, ho rischiato di uccidere delle persone. Non sono proprio la persona giusta da far salire su un'autoambulanza, ma questo Max non lo dice. Non vuole aggredire Ivan con tutta la sua meschinità.

Ma poi, ancora: «Sai, c'è un gruppo che si occupa di pulire la spiaggia, la sera verso l'ora di cena», e poi altre cose ancora, fino ad arrivare al fondo dell'abisso: «Sai, il sabato mattina c'è un gruppo di volontari che aiuta i bambini della scuola elementare a fare i compiti.»

Non è che Max rifiuti. Ivan si sta impegnando a trovargli un'occupazione molto più di quanto stia facendo lui stesso, ma se si soffermasse a riflettere un solo istante si renderebbe conto che quelle sue mezze risposte incerte sono molto più irrispettose e terribili di un netto rifiuto.

«Ci penserò» dice qualche volta, e altre volte ancora invece: «Beh, sembra interessante», o persino: «Dovrei compilare un curriculum». (Ma chi vuole prendere in giro? Che potrebbe mai scriverci di nuovo? Il suo tentativo di distruggere Hoenn è davvero considerabile una buona referenza? Ah, Max ne ha sentite tante di stronzate in vita sua, ma questa le batte tutte.) Qualche volta dice solo «Grazie», e per tutti i lunghi secondi successivi Max sente lo sguardo deluso, spaesato di Ivan sulla schiena. Sa che vorrebbe una risposta in più, un cenno, la più piccola manifestazione d'interessamento o determinazione in risposta alle sue parole. Nella fissità dei suoi occhi confusi, Max sente che Ivan vorrebbe davvero vederlo alzarsi, muoversi, fare qualcosa: sollevare il telefono, leggere un annuncio, accendere il computer per aggiornare il curriculum... forse gli basterebbe anche solo questo, un minimo segnale d'impegno da parte sua, anche se questo non dovesse comportare alcuna conseguenza pratica: per un po' Ivan si accontenterebbe di vederlo in piedi, colla mente intenta a qualcosa di concreto, e basta.

Ma questo gesto così minimo, questo brevissimo passo, Max non ha ancora alcuna intenzione di compierlo, e non perché non lo voglia, ma perché il semplice atto di sollevare una mano o alzarsi in piedi gli pare richiedere uno sforzo sovrumano, troppo grande e sproporzionato per le sue reali forze, come se ogni parte del suo corpo - non sempre, ma solo quando egli vi si sofferma col pensiero - fosse intrappolata in un unico blocco di metallo immane e pensantissimo, impossibile anche solo a smuoversi, e non valesse neppure la pena di provarci. Ma tutto questo a Ivan non si può dire, semplicemente perché parole per dirlo non esistono a questo mondo, e allora tutto ciò che Ivan vede, quando guarda verso di lui, è il suo compagno che non accenna ad alzarsi dal divano e che a malapena lo ascolta.


In fin dei conti, Max l'ha sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato, prima o poi... e anzi, la pazienza e la capacità di tolleranza di Ivan l'hanno sorpreso oltre ogni dire. È riuscito a sopportare molto più di quanto si sarebbe aspettato mai, ma ora, decisamente, basta.

Non sa neppure dire come sia iniziata. Probabilmente non c'è neppure stato un vero motivo. Semplicemente, quando Ivan è tornato a casa dal lavoro ed è entrato in salotto a salutarlo, l'ha trovato sul divano, più o meno nello stesso identico punto dove l'aveva lasciato stamattina. Non è certo la prima volta che succede una cosa del genere, in realtà, e di certo è proprio questo il problema.

«Che hai fatto oggi, Max?»

La sua voce è tagliente, questa sera, e molto, molto calma. Questa sera, per la prima volta, Max sente che la sua non è una semplice domanda di cortesia. Stavolta esiste una risposta giusta alla domanda, ed egli sa di stare per dare quella sbagliata.

«Ho cercato lavoro.»

Per la cronaca, non è esattamente una bugia, questa. È da settimane ormai che non pensa ad altro che a come poter impiegare la sua miserabile esistenza in un modo un po' diverso che distruggendo Hoenn, e questo coinvolge anche l'intera riflessione sui suoi possibili sbocchi occupazionali... il problema è che nessuna di tutte queste sue immani elucubrazioni lo ha ancora condotto da nessuna parte. Ci ha pensato, è vero, ma tutti i suoi pensieri sono stati perlopiù angoscianti circoli viziosi che iniziavano e terminavano sempre entro la sua testa, e niente di più.

Ivan non risponde, e Max sente che il suo sguardo ora non è più fisso su di lui. Sta guardando il giornale, per esempio, ancora appoggiato sul tavolino dove l'ha lasciato lui stesso questa mattina, e pressoché intonso, e poi altre cose ancora, ma in modo troppo inconsistente perché Max possa intercettare il suo sguardo e dedurne cosa stia pensando.

«Cazzo» borbotta dopo un po', e Max non può proprio fare a meno di sentirsi colto in fallo, a questo punto.

«Senti, Ivan...»

«Lascia stare, Max.» La voce di Ivan è ancora stranamente calma e fredda, gelida e distante da lui quanto gli abissi dell'oceano, e molto più disturbante. Di fronte alla rabbia scostante che il suo tono esprime, Max si scopre improvvisamente ancor più spiazzato di prima, perché di solito, negli ultimi vent'anni, è sempre stato Ivan a infuriarsi e urlare e spaccare i mobili. Perché ora non sta urlando? «Non rimango a cena. Sentirò se Alan ha voglia di una birra al pub, o qualcosa del genere. Non mi aspettare alzato.»

Praticamente l'unica cosa che Max abbia fatto oggi, esattamente come tutti i giorni precedenti da quando si è trasferito in questa casa – oltre ad andare tre o quattro volte al bagno e a guardare un'interminabile serie di televendite, che sembrano essere l'unica cosa che la sua scarsa attenzione sia in grado di seguire - è stato preparare la cena per lui e Ivan. (Non è una cosa ch'egli faccia per sentimento, o per spirito di sacrificio, o per niente del genere. È l'unica cosa sensata che possa fare per occupare almeno una minima parte delle sue giornate, e la fa, senza neppure chiedersi se debba farlo o ne valga la pena o cose simili.) Non sa neppure se il fatto che Ivan non voglia cenare a casa lo intristisca, o lo spaventi, o semplicemente lo faccia sentire come una stupida massaia insensata.

«Oh... giusto. Fai bene.»

Per la sequenza di secondi più infinita e più angosciante ch'egli ricordi d'aver mai provato in vita sua, Ivan non risponde e lo guarda. Max lo sa, lo vede nei suoi occhi che è arrabbiato.

«Aye, Max» risponde finalmente, senza distogliere lo sguardo da lui. «Certo che faccio bene. Perché mai dovrei voler stare qui con te?»

È troppo, Max non può farcela a restare in silenzio. Anche se si era ripromesso di non protestare mai, perché diritti di cambiare le cose sa bene di non averne, e poi perché Ivan non gli appartiene e gli ha già fatto il favore di restare con lui dopo tutta quella storia. Mentre Ivan si volta ed esce a grandi passi dalla stanza, d'improvviso Max si rende conto che non può lasciare che se ne vada così. Per la prima volta in tutta la sua vita, Max scavalca il divano e lo segue nell'ingresso.

«Ascolta, Ivan...»

Ma mentre s'infila di nuovo il pesante giubbotto di pelle, e si fruga più volte le tasche cercando nervosamente le chiavi, Ivan non lo guarda neppure.

«Lascia stare, Max. Io non ero del Team Magma, ti ricordi? Alle tue colossali cazzate non ci ho mai creduto, quindi non affannarti a inventarne un'altra.»

«Ivan... voglio davvero cambiare le cose. È solo che...»

«È solo che cosa

Quando Ivan finalmente si volta e lo affronta, e gli domanda che cosa esattamente lo trattenga dal fare qualcosa, Max lo sa qual è l'unica risposta giusta: la sua meschinità e la sua codardia, e il fondo dell'abisso della sua autocommiserazione. Sarebbe così facile ammettere tutto e sgravarsene la coscienza, certo, e questo sarebbe proprio il momento giusto per farlo. Ma quando è in procinto di ammettere tutto e cercare nella confessione una sorta di pace, Max si ritrova senza voce, perché confessare tutti questi orrori non li farà magicamente sparire, e soprattutto perché si accorge che, in fin dei conti, essi non sono neppure il vero problema.

«È solo che non capisco perché sei rimasto con me.»

Perché Ivan si sia preso carico di questo relitto umano che per poco non ha distrutto Hoenn, perché lo abbia gravato del peso immenso di questa gratitudine e di questo debito ch'egli non potrà saldare mai. Max è sicuro che una risposta semplice a tutti questi perché, da qualche parte, esista, ma al contempo è consapevole che tutta la sua intelligenza non basterà mai ad arrivare a comprenderla appieno; e questo perché, se c'è qualcosa che ha davvero capito in tutti questi mesi, è che se le cose fossero andate diversamente, se, in un qualche universo parallelo distante e diverso dal loro per nient'altro che pochi dettagli, fosse stato Ivan a risvegliare Kyogre, Max non sarebbe rimasto con lui. Anche questa consapevolezza, un poco alla volta, è andata ad aggiungersi al complesso delle sue colpe e della sua gratitudine, ma questa, a differenza di tutto il resto, non si potrà confessare mai.

Tutto ciò che Max può fare, ora, è rimanere immobile a vedere lo sgomento e la rabbia farsi più grandi e più brucianti negli occhi di Ivan, e ad aspettare che finalmente la tempesta del suo rancore si riversi su di lui e lo travolga e lo anneghi, una volta per tutte.

Ma quella tempesta, ch'egli ha contemporaneamente tanto temuto e tanto sperato, non arriva. Allora Max guarda meglio, più a fondo, e si accorge che non c'è solo rabbia negli occhi di Ivan. All'improvviso, ed egli è certo di non sbagliarsi, il suo compagno gli appare tremendamente deluso. Ma perché?

«Per scopare, Max» risponde infine Ivan a voce bassa, molto lentamente; e la sua voce è così carica e vibrante di dolore e di sgomento e di sarcasmo che Max non può proprio sentirsi ferito da questa risposta, perché non è la verità. Ma allora perché sta dicendo questo? «Per quale altro motivo sarei dovuto restare con te? Credevo che lo sapessi... dopo vent'anni.»

Dopodiché, senza attendere da lui nemmeno una parola di risposta, Ivan si volta ed esce di casa in silenzio, senza guardarlo. Non sbatte neppure la porta.

Max è solo, ora. La casa è silenziosa, e questo silenzio pare affliggerlo e angosciarlo più di un intero universo che urli. Ma come si fa a metterlo a tacere?

Max non vuole pensare, non vuole ascoltare, non vuole fare niente di tutto ciò e allora, per l'ennesima volta, fa l'unica cosa che abbia imparato a fare in questi mesi. Si rimbocca le maniche e lava i piatti, sistema in frigo la cena intoccata, pulisce il bagno, le finestre, la cucina, la camera da letto, ogni singola cosa che trovi, e disperatamente si concentra sugli oggetti e sulle proprie mani e cerca di non pensare a niente.

Ma anche la casa ha una fine. Quando ormai praticamente tutto quello che lo circonda brilla o quantomeno profuma di candeggina e disinfettante e deodorante per ambienti, e non gli rimane proprio più nulla su cui mettere le mani, Max si ritrova di nuovo seduto sul divano, e pensare diventa inevitabile. Il silenzio lo circonda ancora da ogni parte, insistente tanto che neppure il mugghiare sordo della lavatrice riesce a coprirlo, ed egli deve dargli ascolto, finalmente, e fronteggiare la realtà.

Per la prima volta in vita sua, Max è costretto a fare i conti col fatto che Ivan potrebbe decidere di non tornare mai più.


Quando finalmente Ivan lo raggiunge a letto e s'infila in silenzio sotto le coperte, al buio, Max si sforza di capire così, senza toccarlo, se indossa o meno il pigiama. Questo gli darebbe almeno qualche indicazione sul suo attuale stato d'animo: solitamente, la massima concessione al vestiario che Ivan ammetta sotto le coperte è un paio di boxer. Se indossasse il pigiama vorrebbe dire che è davvero tanto arrabbiato con lui, ma Max è costretto ad affrontare la dura realtà che neppure uno scienziato plurilaureato può capire che cosa indossa il suo uomo semplicemente dal calore che la sua pelle emana. Può solo rimanere immobile, rannicchiato nella sua metà del letto, e aspettare mentre finge di dormire.

Ivan è rigido, freddamente distante da lui nel letto, e troppo composto. Max sente che anche il suo respiro, di solito rumoroso e invadente anche prima ancora di cominciare a dormire, è lento e misurato, silenzioso, come se Ivan volesse preservare quel silenzio perché sia lui a parlare, o forse avesse troppe cose da dire da non saper da dove cominciare.

Per parte sua, Max non l'ha mai sentito, questo silenzio. Ivan non è certo il tipo da gelido silenzio indignato: la sua rabbia è sempre stata esplosiva e violenta, fulminea e impetuosa come un temporale che tuoni molto più di quanto compia effettivamente, ma stasera è diverso. È la prima volta che Max non sa come prenderlo e questo, stupidamente, lo spaventa. Aspetta.

«Non sono arrabbiato, Max.»

La voce di Ivan è calda e stanca, estenuata, e vibra vagamente di conforto. Non sta mentendo, e all'improvviso Max sente una grande ondata rassicurante invadergli il petto e riscaldarlo. Il sollievo che quelle parole gli danno è stupido e puerile, ma al contempo è così grande che Max non si sofferma neppure a riflettere su questo aspetto.

«Ma non ti chiederò neppure scusa. Lo sai anche tu che ho ragione io.» Ivan fa una pausa, e Max sente chiaramente che si aspetta che sia lui a dire qualcosa, ora. Si ritrova ad annaspare, ma tutto ciò che gli viene da dire è: «Lo so.»

«Mh. Bene» borbotta Ivan, e a questo punto, Max pensa che per stasera basti così. Non si aspetta davvero niente di più, dopo il suo comportamento di tutti i mesi precedenti, e dopo quello che ha fatto, e tutto il resto: dopotutto, Ivan non era tenuto a perdonarlo.

«Ti amo, Max.»

La sua voce è così calda e rassicurante che Max sente che potrebbe tremarne. In una coppia come la loro, e alla loro età, poi, certe sciocchezze non si dicono spesso. Fa parte di quella categoria di cose che a un certo punto si cominciano a dare per scontate, e a quel punto, come tutte le cose che si danno per scontate, si dimenticano.

«Già... ti amo anch'io.»

«Guarda che io lì non ci vengo. Se vuoi, vieni tu qui.»

Anche questo è giusto. Con un sospiro, Max si volta e attraversa con un po' di difficoltà quella striscia gelida di letto inviolato che li separa. Ma una volta varcato il confine, c'è il grande calore accogliente del corpo di Ivan, e Max sente di essere al sicuro come nel mare calmo.

Ivan è in mutande, per fortuna, e Max sa che è sciocco essere tanto contento per una simile inezia ma, dopotutto, non è che gliene importi poi tanto. Le sue braccia sono calde e rassicuranti, e sul suo petto caldo Max dorme per tutta la notte per la prima volta dopo mesi.




(A fine capitolo, per evitare qualsiasi riferimento troppo affrettato al contenuto dello stesso, mi pare opportuno inserire una piccola spiegazione relativa al titolo: l'ho scelto in riferimento a una canzoncina molto usata dai bambini per fare pace. Digitando Accidenti al diavoletto su Google potrete trovare tutte le varianti di questa breve filastrocca, che non so quanto sia effettivamente diffusa in tutta Italia.)










   
 
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