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Autore: Afaneia    08/09/2016    2 recensioni
In seguito agli eventi narrati nell'Episodio Delta di Pokémon Rubino Omega, Max ha deciso di sciogliere il Team Magma e di ritirarsi a vita privata, recidendo volontariamente ogni rapporto con tutti coloro che hanno fatto parte del suo piano per servirsi di Groudon. Persino un uomo della sua genialità non è più sicuro di sapere come reinventarsi, dopo aver scoperto di aver inseguito una chimera per quasi tutta la sua vita.
Forse Ivan non ha scelto esattamente il momento più adatto per rivelargli di avere una figlia.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ivan, Max (Team Magma), Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Capitolo IV – Hai detto una parolaccia.


Hyra ha ancora un po' di vergogna a rivolgersi a lui quando Ivan non c'è, e a dire il vero anche Max non si sente pienamente a suo agio. (Perché quel maledetto, da quando ha scoperto di poter sbolognargli sua figlia ogni volta che vuole, ha cominciato ad aiutare sempre più spesso Alan al lavoro il sabato mattina). Perciò, quando si accorge che Hyra si è messa a sedere al tavolo alle sue spalle e lo fissa in silenzio da un po', senza avere il coraggio di parlare mentre egli sta cucinando, si sente in dovere di dirle qualcosa.

«Hai fame?»

«No, grazie. Ho fatto merenda» risponde sussiegosamente la bambina. Max sente i suoi talloni che percuotono ritmicamente le gambe della sedia e si domanda se dovrebbe dirle che non si fa, ma poi decide di no. Non ha mai confidato molto sulla durata del loro mobilio, a dire il vero, non con Ivan in casa.

«Hai già finito i compiti?»

All'improvviso, come se avesse trovato un coraggio e delle parole che le mancavano da un po', Hyra balza in piedi ed esclama con voce acutissima: «Mi sapresti aiutare col progetto di scienze?»

Max rimane tanto sorpreso che quasi gli sfugge il coltello di mano. Si decide ad appoggiarlo sul lavello, per buona misura, e poi, asciugandosi le mani, si volta lentamente verso la bambina. Hyra la sta fissando con la sua piccola espressione accorata e contratta in attesa di una sua risposta, allora Max si schiarisce la voce e domanda: «Perché lo stai chiedendo a me?»

«Ti prego» sbotta la bambina sbattendo un piede a terra. Non che un gesto del genere, da parte di una bambina che si è fatta pettinare i capelli dal padre meno di tre ore prima, costituisca una grossa minaccia. «Io non so che cosa fare e papà ha detto che tu hai studiato scienze!»

Oh, papà. Max stringe nervosamente il pugno, immaginando di stritolare al suo interno la testa di Ivan: ma certo. Una delle sue solite idee per fargli stringere un rapporto con sua figlia, e anche per trovargli qualcosa da fare. Quando lo capirà che lui non è portato per i bambini?

«Beh, Hyra, tanto per cominciare...»

Ma Ivan o non Ivan, di certo il progetto di scienze non sembra un'invenzione. Hyra la sta fissando con tutta l'aria di una bambina che potrebbe mettersi a urlare o a fare le bizze da un momento all'altro, o qualsiasi altra cosa, e Max non si sente assolutamente in grado di fronteggiare una cosa del genere. E poi, è un progetto di scienze. Di che cosa potrà mai trattarsi? Qualche ricerca sulle rocce e un paio di passeggiate a raccogliere dei campioni? Certo, potrebbe farlo Ivan, ma non è nulla di cui Max non possa occuparsi in un pomeriggio. Hyra lo adorerebbe e fine della storia.

«Di che si tratta?» chiede perciò, appoggiandosi al piano della cucina.

Ma prima di rispondere Hyra vuol mettere le cose in chiaro. «Allora accetti? Accetti?»

La sua eccitazione lo fa quasi ridere. «Ma certo che accetto. Di che si tratta?»

Prima di scoprirlo, deve aspettare che Hyra improvvisi un suo piccolo balletto di giubilo, saltellando in giro per la cucina e strillando la propria vittoria. Dopodiché, quando anche questa piccola manifestazione di gioia è terminata, Hyra torna a sedersi sul bordo della sedia, tutta eccitata, e spiega: «Lo fanno tutte le classi! La terza A ha l'acqua, la terza B ha l'aria, e così via, e poi ci siamo noi che abbiamo la terra. Ciascuno deve fare un progetto e poi facciamo una grande festa e poi facciamo una recita e poi...»

Max la lascia spiegare per un po', senza interromperla, che cosa riguarderà la recita e varie altre cose per cui finge un po' più interesse di quello che realmente prova, e infine chiede: «Bello. Ma tu che progetto vorresti fare?»

È qui che si scatena il dramma.

«Non lo so!» esclama Hyra, cacciandosi le mani tra i capelli in quel modo un po' melodrammatico che hanno i bambini. «Non lo so, capisci? Io non so niente della terra!»

«Beh, non ti preoccupare. Troveremo sicuramente qualcosa» cerca di rassicurarla Max, un po' perplesso da tutte quelle sceneggiate. Non riesce mai a capire perché i bambini ingigantiscano sempre tutto. Si guarda un po' attorno cercando di raccogliere le idee, e a quel punto lo sguardo gli cade accidentalmente fuori dalla finestra. All'orizzonte si eleva una grande montagna, la cui cima è ammantata da una coltre di fumo leggera, che gli dà un lieve disagio quando egli la guarda.

«Possiamo costruire un vulcano» propone con decisione. Tutto fa pensare che sia una buona idea: è una cosa piuttosto banale, realizzabile in appena una manciata di ore, e i bambini vanno matti per quel genere di cose colorate e rumorose.

Ma evidentemente Hyra non è del suo stesso parere: Max la osserva arricciare le labbra sbuffando e fissarlo delusa.

«No, un vulcano no!» protesta scuotendo la testa. «Il vulcano lo fanno tutti. Io voglio qualcosa che faccia schiattare d'invidia tutti i miei compagni!»

Il dovere di un genitore ora, probabilmente, sarebbe quello di rimproverarla e di farle notare che questo non è un linguaggio né un pensiero degno di una bambina come lei; che lo scopo del progetto non è questo, che i valori che contano sono ben altri che l'invidia, che...

È una vera fortuna che Max non sia suo padre.

«Hai ragione. La conosci la tettonica delle placche?»

Hyra dà in un forte sobbalzo sulla sedia, guardandolo sconvolta. «Hai detto una parolaccia!»

Chissà quando è stata l'ultima volta che ha sentito qualcuno pensare che la tettonica delle placche fosse una parolaccia: a Max viene quasi da sorridere. «Non è una parolaccia, è un termine scientifico. Ne deduco che tu non sappia che cos'è. Ma che v'insegnano a scuola?»

Fissandolo in silenzio con l'aria di qualcuno che non sia affatto convinto di non aver appena sentito una parolaccia, Hyra scuote la testa. Allora, domandandosi in silenzio se la punizione per i peccati che ha commesso sia questa, quella di dover spiegare la tettonica a una bambina di sette anni, Max scuote la testa e va a cercare un vecchio manuale.


Lui e Hyra lavorano senza sosta per tutto il week end. È sorprendente quanto una bambina di quest'età sia in grado di appassionarsi a una cosa del genere. Certo, a volte si distrae, guardando fuori dalla finestra o prendendo a chiacchierare di qualche argomento assolutamente inutile in tono irritante, e più di una volta Max ha dovuto salvare l'inizio del loro progetto dall'attentato di un bicchiere di succo di frutta incautamente posato troppo vicino a un gomito... ma certo, il progetto prosegue a una velocità davvero dignitosa. Quando Ivan rientra, quella sera, Max sarebbe pronto a giurare di aver sentito la sua contentezza di vederlo lì, seduto al tavolo a lavorare con sua figlia, da nient'altro che dal suo sguardo incredulo e dalle sue bocca spalancata per la sorpresa. E basta, per fortuna, perché una sola occhiata di Max basta a fargli capire che no, non occorrono commenti. Che ha accettato il progetto di Hyra, e di sottolinearlo proprio non ce n'è bisogno.

Hanno davanti a loro un paio di settimane per concludere il progetto e, anche se per qualche bambino non sarebbero davvero poche, a conti fatti lui e Hyra hanno a disposizione soltanto due week-end: con la massima solennità possibile, Hyra gli ha fatto promettere che durante la sua assenza egli non avrebbe continuato a lavorare al loro modellino senza di lei, e Max, posandosi una mano sul cuore, ha promesso.

Ragion per cui, nella settimana seguente, Max passa molto tempo attorno al progetto - che al momento campeggia in modo piuttosto ingombrante nel loro salotto – a osservarlo e a studiarlo e a riflettere su come poterlo migliorare ancora senza complicarlo troppo, e ad annotare idee su un vecchio taccuino pieno di calcoli che credeva di aver gettato via.

Ma anche se questo semplificherebbe un po' le cose, accelerando il lavoro, e anche se probabilmente Hyra non se ne accorgerebbe neppure, Max neppure una volta solleva la mano per fare fisicamente qualcosa. Sa bene che, da parte sua, è profondamente stupido voler tener tanta fede a una stupida promessa fatta a una bambina di sette anni un po' troppo testarda: dopotutto, è comunque lui a fare la maggior parte del lavoro. Ma egualmente Max non fa niente se non limitarsi a riflettere sul loro progetto in silenzio e a scarabocchiare qualcosa ogni tanto, perché una piccola parte un po' meno cinica della sua mente, dopotutto, lo sa che non sarebbe corretto.

Quando Hyra torna, il week-end successivo, non lo saluta nemmeno. Il suo primo pensiero, non appena varcata la soglia, è quello di precipitarsi in salotto, strillando con la massima apprensione possibile: «Non sei andato avanti senza aspettarmi, vero?»

Così, per tutto il week-end, o quasi tutto, Max si ritrova a monopolizzare completamente l'attenzione di Hyra, e la cosa lo farebbe sentire un po' in colpa, se solo Ivan non girellasse insistentemente per il salotto con quell'odioso sorriso ebete in faccia. Comunque, con suo gran sollievo, il tempo a loro disposizione è sufficiente: domenica sera, quando Ivan carica in auto quasi di peso una bambina ormai praticamente addormentata, il progetto che illustra gli spostamenti delle placche tettoniche è finito, finalmente, e Max potrebbe smettere di interessarsene una volta per tutte.

Eppure, quando come al solito egli si sveglia in piena notte, cogli occhi colmi della luce acciecante del sole e il naso pieno dell'odore salato della pietra bruciante, andare in salotto e sedersi sul bordo del divano, davanti al progeto ormai terminato, è stranamente confortante. Non accende neppure la luce. Anche così, al buio, egli lo conosce così bene da percepirlo, e sarebbe in grado, senza toccarlo, di descriverne perfettamente la forma e l'aspetto e le dimensioni...

Si era dimenticato cosa volesse dire lavorare a qualcosa. Quando torna in camera e s'infila sotto le coperte, sente che Ivan è sveglio dalla diversa qualità del suo respiro, ma non dice nulla, e sa che neppure lui dirà niente. Col viso premuto contro il cuscino e un russare un pochino troppo affettato per poter essere autentico, Ivan sta gongolando (perché sì, è stata sua l'idea che Hyra chiedesse aiuto a lui per il progetto, il merito è anche suo, d'accordo), ma ormai è diventato troppo furbo, e sa che non vale la pena di rischiare di essere soffocato con un cuscino solo per rinfacciargli il proprio autocompiacimento.

Dev'essere maturato, conclude Max tra sé e sé, rigirandosi pigramente sotto le lenzuola. Vent'anni fa avrebbe rischiato.


«Sei assolutamente certo di non voler venire? Non siamo ancora in ritardo. Se vuoi...»

Nei suoi sforzi di essere elegante e rispettabile quando va a scuola di Hyra, Ivan probabilmente non si rende neppure conto di quanto sia dannatamente sexy. Max deve quasi sforzarsi di resistere alla tentazione di dirgli di indossare la giacca, o di abbottonarsi meglio la camicia, o qualcosa del genere. Non servirebbe comunque a nulla, perché la camicia resterebbe comunque dannatamente aderente sul suo largo petto pronunciato, e la giacca non farebbe probabilmente altro che esaltare ancor più la larghezza delle sue spalle robuste.

Ma più ancora che dal suo petto, l'attenzione di Max è attratta dai suoi occhi. Ivan vorrebbe davvero che andasse con lui, a presenziare e ad annoiarsi e a fare finta di divertirsi in mezzo a quella marea di bambini urlanti sovreccitati dagli zuccheri; e questo non tanto, o non soltanto, perché egli speri di trovare un sostegno e una via di fuga nella sua presenza, ma perché da quel mondo di saggi scolastici e dita sporche di crema e ginocchia sbucciate Ivan non lo ha mai considerato estraneo. Max lo sa, questo, perché anche se gli piace fingere il contrario egli è consapevole di cosa dovrebbe significare stare insieme; ma per quanto possa esserne consapevole, egli sa anche che Hyra non è sua figlia, e che quel mondo, per quanto ciò a Ivan possa dispiacere, non gli appartiene.

Per evitare di doverlo guardare direttamente, Max si avvicina e finge di sistemargli il collo della camicia. «Mi auguro che tu stia scherzando. Mi spiace dovertelo dire ma, francamente, tra la festa della scuola di tua figlia e la prospettiva di una serata rilassante in compagnia di un film muto di quattro ore e mezzo, non ho proprio alcun dubbio. Nulla di personale, lo sai.»

Quando, dopo qualche secondo, Max si decide finalmente ad alzare lo sguardo e a incontrare i suoi occhi – perché la scusa del colletto, ormai, non può proprio più reggere – si rende conto all'istante che lo scudo del suo cinismo non l'ha ingannato neppure per un momento. Ivan è serio e assorto.

«Senti, non è per Aima, vero? Perché lo sai che lei non avrebbe nulla in contrario.»

Negare che una parte della sua mente su questo pensiero si è soffermata – il pensiero finalmente d'incontrare Aima, conoscere questa donna distante di cui finora egli non ha conosciuto altro che il nome – sarebbe una bugia tanto spudorata da suonare troppo irreale. Max si limita diplomaticamente a scrollare le spalle. «Non è per Aima. Tranquillo.»

Ma Ivan non accenna a demordere. «A Hyra farebbe tanto piacere, lo sai.»

Questo è un colpo un po' basso però. Max potrebbe quasi pensare che Ivan stia diventando subdolo e mendace quanto lui, se solo non sapesse che è impossibile. «Non dire sciocchezze, non se ne accorgerà nemmeno. E poi è bravissima a esporre la ricerca.»

«Non dicevo della ricerca» prova ancora a borbottare Ivan, ma alla fine anche le sue proteste trovano pace. Sapeva già che non sarebbe riuscito a convincerlo, ma Max gli è grato di averci provato comunque. In fin dei conti, lo sa che Ivan ci proverà sempre.


Quando Ivan ritorna a casa, il mefistofelico dottore sta ormai avventurandosi per la sua via di fuga lungo le fogne, segno che il finale dell'interminabile film si sta avvicinando. Max si sorprende a voltarsi sul divano, con una strana curiosa ansia, che non ricorda di aver mai provato, di vedere Ivan per cercare di dedurre dal suo sguardo come sia andata, prima ancora di realizzare logicamente nella sua mente di volerlo sapere.

«Ehi.» Ivan sembra stanco ma soddisfatto, e piacevolmente compiaciuto di trovarsi di nuovo a casa. Gli appoggia una mano familiare sulla spalla, a mo' di saluto, e guarda verso il televisore. Nel suo sguardo assente e rilassato, che certa ristoro nelle piccole cose che lo circondano, Max percepisce con quale voluttà di riposo si trovi qui ora... e dopotutto, non è poi sorprendente che sia stanco. Ha trascorso le ultime cinque ore in compagnia della sua ex, e in balia di una mandria di bambini sovreccitati, a sorbirsi una serie di ridicole esposizioni a tema ambientale. «Che stai guardando?»

«Oh... un film. È quaso finito.» Scostandosi pigramente sul divano per fargli spazio, Max si decide infine a porre quella domanda. «Allora, com'è andata?»

«Oh, è stato fantastico, Max, a parte per il fatto che era noioso da morire. Hyra era così felice. Pensa che tu sia l'uomo più intelligente del mondo, perciò ti prego di non disilluderla» lo avverte scherzosamente Ivan, mentre si lascia cadere sul divano con la delicatezza di un piccolo terremoto. Si distende su tutto quello che può, fino a trovare la posizione più comoda per appoggiargli la testa sulle ginocchia, e rimane a fissarlo dal basso con aria soddisfatta. Beh, tutto sommato, conclude Max tra sé, sembra andata bene.

«Sono contento» ammette senza sbilanciarsi troppo. «Hyra si è impegnata così tanto.»

«Già, ha spiegato il progetto a tutti i suoi compagni e alle maestre.» Rigirandosi pigramente sulle sue gambe, Ivan guarda distrattamente verso lo schermo, senza neppure sforzarsi di trovare un significato nella sequenza di immagini mute e per lui insensate che vi si susseguono. «Insomma, non avrà vinto, ma non ricordo di averla vista così emozionata almeno da quando...»

Max ha un sobbalzo così inaspettato che Ivan è costretto a sollevarsi immediatamente dalle sue ginocchia.

«Come sarebbe che non ha vinto?» Con un progetto di quella portata, anche se ovviamente non a uso e consumo di bambini di sette anni, Max avrebbe potuto vincere una dannata borsa di studio ai tempi dell'Università. Com'è possibile che Hyra sia stata sconfitta a una stupida gara per bambini? «Vuoi dire che qualcun'altro ha presentato un progetto migliore del suo?»

«Oh, andiamo, Maxie. Mi prendi in giro?» L'idea sembra divertirlo immensamente. «Pensi che un bambino potesse fare di meglio? No, Hyra non ha vinto perché la sua maestra ha detto che l'abbiamo aiutata un po' troppo, e che non sarebbe stato corretto nei confronti degli altri bambini.»

«Oh.»

A dire il vero, Max si sente un po' sciocco per non aver pensato prima a quest'eventualità. Non è molto sicuro di cosa si debba dire a questo riguardo, ma, nel dubbio, fa un tentativo. «Mi dispiace.»

«E di che?»

Qualsiasi suo tentativo di scusarsi o di rammaricarsi o che altro sembra destinata a rifrangersi come un'onda contro l'incrollabile scoglio della contentezza di Ivan. «Non le importava niente di vincere, Max. Ha passato tutta la sera a raccontare in giro quelle cose sulla terra che le hai insegnato tu, e tanto le basta. È intelligente, eh?»

«Oh» borbotta Max, ma ormai più per dar segno di aver capito che perché ne sia veramente convinto. C'è qualcosa che lo perplime in tutto questo, sebbene non riesca esattamente a capire di che cosa si tratti, per la verità. Oltretutto non c'è neppure un vero motivo. Hyra non ha vinto, d'accordo, ma, ora che ci pensa, egli non gliene ha mai neppure sentita esprimere l'intenzione. Tutto ciò che voleva era l'ammirazione dei suoi compagni, e questo l'ha ottenuto.

«Mi dispiace che la maestra vi abbia dato la colpa.»

«Ma dai, mi conosci, Max. Non penserai davvero che mi sarei preso la colpa al posto tuo.» Prima che Max faccia in tempo a suggerirgli che forse la parola che stava cercando era merito, Ivan torna a stiracchiarsi sulle sue gambe come un gatto steso al sole e riprende: «Ho detto alla maestra che Hyra aveva tanto insistito per fare il progetto col mio ragazzo, perché sei uno scienziato e tutte quelle cose lì. L'ho messa a tacere come si deve, avresti dovuto vederla.»

Max non potrebbe rimanere più stupefatto di così. «Hai detto alla maestra di tua figlia che stai con me?»

«Beh, certo. Insomma, andiamo... non avrebbe mai creduto che l'avessi aiutata io, non credi?»

Se si trattasse di un film solo un po' più moderno, ora Max dovrebbe togliere l'audio per poter seguire il discorso di Ivan. «Oh, giusto. E la maestra che ha detto?»

Ivan si limita a scrollare distrattamente le spalle. «Che la cosa importante è che la bambina abbia stretto un buon rapporto con te. Seriamente, che altro doveva dire?»

Beh, in effetti. Mentre si sforza di tornare a dare allo schermo la sua completa attenzione, Max si ritrova a cercare di capire se vi sia qualcosa, in tutto questo, che sia veramente andato storto. Hyra non ha vinto, ma ha ottenuto ciò che voleva. È davvero possibile, per una volta, che sia riuscito a fare una cosa giusta?

Sullo schermo, il dottore sta ormai cominciando la sua ultima celeberrima partita a carte. Mancherebbero davvero pochi minuti all'eccellente finale, ma, dopotutto, non è che questa sia la prima volta che Max lo vede.

Con aria perfettamente indifferente, Max spegne la televisione e domanda: «Andiamo a letto?»

Ivan non potrebbe essere più felice di così.


Buongiorno a tutti!

Copiare questo capitolo è stato, se possibile, un lavoro assai più lungo e faticoso che scriverlo, anche in considerazione del fatto che il mio povero vecchio computer, ormai, comincia a non poterne davvero più. Giuro che ho fatto il più in fretta possibile, ma di più non ho proprio potuto!

Come mio solito, tengo a ringraziare di tutto cuore crystal_93, Persej Combe e StagTree per le loro deliziose recensioni, e in generale, ovviamente, chiunque segua la storia in qualsiasi modo. Fa sempre molto piacere!

Qualche piccola noticina a proposito di questo capitolo: non so se i riferimenti che ho inserito siano sufficienti a riconoscere il film, ma, in caso contrario, si tratta de Il dottor Mabuse di Fritz Lang, del 1922. Dura davvero 270 minuti, ma credetemi, ne vale davvero la pena.

Per quanto riguarda il progetto, ho cercato di descriverlo nei termini più generici che mi fossero possibili per evitare di scadere in imbarazzanti errori: come forse ho già accennato altrove, io studio in un ambito prettamente umanistico e non m'intendo molto di materie scientifiche, meno che mai di geologia. Se qualcuno avesse consigli o correzioni da suggerirmi li accetterei con vero piacere!

Detto questo, non mi rimane proprio altro da aggiungere. Grazie di cuore a chiunque sia arrivato sin qui, e al prossimo capitolo!

Afaneia


   
 
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