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Autore: Ilhem_Rowling    22/07/2016    1 recensioni
Tutti hanno paura di quel complesso processo chiamato 'crescità'. Tutti, persino i figli di Grandi Salvatori del Mondo Magico.
E' giunto il loro momento.
Dal testo:
Se da Rose Weasley tutti si aspettavano che riportasse il massimo dei voti nei M.A.G.O., e che venisse coronata del titolo di ‘Seconda Migliore Studentessa di Tutta la Storia di Hogwarts’ – acquisito da sua madre al termine dei suoi studi dopo la Seconda Guerra Magica –, allo stesso modo, da Albus Severus Potter ci si aspettava un’ultima grandiosa annata e la vittoria per i Serpeverde della Coppa di Quidditch, strappatagli negli ultimi quattro anni dai Grifondoro, capitanati da James Sirius Potter.
Dal capitolo 4: (AlbusxScorpius)
« [...] Dici che vuoi essere qualcuno, indipendentemente dal tuo cognome, e dalla fama che ti porti dietro, ma, Scorpius, possibile che tu non te ne renda conto? Stai soltanto alimentando ciò che gli altri pensano di te»
«E CHE COSA PENSANO DI ME, EH? COSA VOGLIONO CHE FACCIA? COSA VUOLE IL MONDO MAGICO CHE IO FACCIA? [...]»

Rivisitazione dell'omonima fanfiction, pubblicata nel luglio 2013.
Genere: Commedia, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley | Coppie: Lily Luna/Lysander, Rose/Scorpius
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 5:
Comitati e raffreddori


C’è un momento e un luogo adatto per qualsiasi attività. Una stagione perfetta, un mese perfetto, una settimana perfetta, un’ora perfetta. Quello che di più facilitava le attività di Rose Weasley era il clima. Si poteva dire che lei fosse l’unica adolescente inglese che benediva ogni singolo giorno di pioggia su quella benedetta terra. Quindi, a calcoli fatti, aveva parecchi giorni da benedire.
Il fatto era che, durante l’autunno, i posti di quiete ad Hogwarts scarseggiavano, per via dei primi match di Quidditch. I giocatori non si lasciavano certo abbattere dal clima sfavorevole, e si allenavano insistentemente anche sotto la pioggia battente (per non parlare della neve). Ciò, ovviamente, comprendeva anche le infinite e chiassose riunioni di squadra – che molto poco avevano di riunione – che si tenevano solitamente nelle Sale Comuni, e alle ore più spropositate e assurde. Forse per i giocatori di Quidditch, in quel particolare periodo dell’anno (e nei seguenti periodi pre-partita), lo studio poteva passare in secondo piano, ma Rose non poteva di certo accomodare le sue esigenze a quelle di sette esaltati. Comunque, quando ormai settembre era solo un ricordo, e ottobre prendeva posto tra i banchi delle aule oscurate dai milioni di fumi colorati, e dagli scaffali colmi di libri pronti a essere spulciati da migliaia di studenti, le giornate di pioggia divenivano le compagne di studio migliori, se poi si aggiungeva anche quel tavolo isolato nel reparto di Demonologia del XVII secolo della Biblioteca, accanto alla finestra su cui il leggero ticchettio della pioggia sembrava la musica più dolce di tutte, allora il pomeriggio di studio sarebbe stato il più piacevole in assoluto.
Rose si poteva dire quasi dispiaciuta che quel clima così fausto per i compiti si fosse presentato di giovedì, perché i compiti che doveva svolgere per il venerdì non meritavano la sua attenzione per non più di un’ora e mezza, minuto più, minuto meno.
Il fatto che le lezioni del venerdì non comprendessero né Difesa Contro le Arti Oscure, né Trasfigurazione, rendeva il tutto oltremodo deprimente, perché nella prima mezz’ora di quel pomeriggio dal clima ideale per lo studio aveva già accantonato la traduzione ultimata di Antiche Rune, ed era già al decimo dei trentacinque centimetri del suo tema per Cura delle Creature Magiche. In quel momento, l’unica sua preoccupazione era l’eventualità che alla lezione dell’indomani Hagrid potesse avere la brillante idea di portarli nella Foresta ad impantanarsi fin sopra le punte dei capelli.
Dopo un’ora passata a raccogliere quante più informazioni che non risultassero mortalmente noiose possibili in modo da rendere una grazia a quel tema penoso sulle dinastie dei centauri di cui Rose era la sventurata autrice, intervallata da innumerevoli momenti dedicati a scarabocchi che vedevano per soggetto dei rampicanti che attraversavano l’intero margine delle pagine, la ragazza si decise a congedarsi da quell’occasione sprecata, pregando che in un giorno più adatto si sarebbe ripresentato un clima del genere.
Il pomeriggio era ancora piuttosto giovane, e lei si era ritrovata a corto di letture, perché quell’anno aveva deciso di evitare di ficcare nel baule quelle decine di titoli che aveva letto e riletto senza mai capire quando era ormai giunto il momento di lasciarli a casa, ad aspettare il suo ritorno. Il reparto in cui si trovava era uno dei più interessanti che la Biblioteca di Hogwarts avesse, e oltre agli innumerevoli tomi provenienti da menti magiche, vi era una sezione completamente dedicata agli autori Babbani che si erano dilettati nella Demonologia, che fosse antica, medievale, o rinascimentale. Ogni volta non poteva fare a meno di stupirsi di quanti pochi libri babbani dell’epoca antica avesse letto; aveva letto l’Iliade, l’Odissea, e anche un’opera di quelle meno conosciute tra i maghi, che però era la trasposizione di una commedia di un certo Plauto, un autore latino dalla forte tragicomicità.
Andò davanti ad uno di quegli scaffali, e chiuse gli occhi, lasciando che fosse il suo istinto da esperta lettrice con anni di esperienza alle spalle a guidarla nella ricerca di un libro interessante. Il suo indice si scontrò con la copertina rigida di un tomo dalla cospicua ampiezza. Rose aprì gli occhi, e lasciando correre il dito sulla superficie blu del libro, lesse il titolo a lettere d’oro: Metamorfosi.
Non avrebbe potuto trovare nulla di più adatto alla sua situazione attuale di cambiamento continuo. Anche lei era la vittima di una metamorfosi.
Sfilò il libro dal suo antro, e se lo mise sottobraccio. Quel libro le avrebbe svelato molto più di quanto la sua mente potesse anche lontanamente immaginare.





Il Campo era un ammasso informe e disgustoso di fango ed erba smossa, e la pioggia veniva giù carica e sferzante, che qualunque persona avrebbe potuto dire che l’onnipotente Zeus era così furioso da lanciare dardi d’acqua capaci di spaccare le rocce in due parti uguali. I sette ragazzi che imperterriti scorrazzavano da una parte del campo all’altra avevano come unica protezione le mantelle impermeabili delle loro uniformi, che con tutta l’acqua venuta giù erano più utili di un ombrello bucato sotto una grandinata estiva.
Inutile dire che ai loro Capitani tutto ciò non poteva importare di meno. I due ragazzi continuavano a sputare ordini contro i loro compagni, sfidando le correnti e il rombare altisonante dei dardi di Zeus. Non avrebbero mai permesso che delle leggere precipitazioni intralciassero i loro allenamenti. «Se mai dovesse capitare un tempo peggiore di questo, durante la partita? Come vi giustifichereste?» aveva detto la ragazza, rimproverando aspramente la mancanza di spirito guerriero da parte dei compagni, di fronte alle loro proteste sull’uscire con quel tempo maledetto.
Ovviamente nessuno aveva avuto abbastanza fegato da ribattere, perché probabilmente avrebbero soltanto fatto la figura degli idioti visto che Lily non aveva tutti i torti: un tempo del genere avrebbe potuto ripetersi anche durante il loro match di novembre.
Comunque, nonostante fosse stata lei la prima a spronare il resto della squadra a giocare con quelle condizioni, in quel momento stava maledicendo chiunque fosse a capo dell’organizzazione meteo lassù. Era già al quinto starnuto nel giro di sette minuti cronometrati.
Ma non avrebbe mai interrotto l’allenamento, nemmeno se in quel momento un fulmine le avesse colpito la testa. Si fermò per l’ottavo starnuto, e subito dopo si rigettò di peso sulla scopa, pronta ad afferrare la pluffa che le stava venendo incontro in quel momento. Mentre con la sinistra manteneva la presa sul manico, la destra scattò sopra il capo, e fermò il lancio della palla rossa, ficcandosela sotto il braccio e partendo alla carica, ma non prima del nono e del decimo starnuto, arrivati in coppia.
Durante il suo tragitto verso la porta, scansò il suo compagno Murray, che si era affiancato a lei per prendere la pluffa, lasciandolo basito per una tale sconsideratezza nel gioco, e si fermò sulla scopa, lanciando un’occhiata di sbieco a Hugo, che stava osservando i movimenti della ragazzina dalla sua postazione, di fronte all’anello centrale. I due Battitori si fermarono non appena Lily rifiutò l’aiuto da parte dell’altra Cacciatrice, Finnigan. Ora tutta la squadra si era fermata, leggermente sconvolta dalla nuova strategia solitaria di Lily, che in quella sua dimostrazione aveva starnutito ripetutamente altre cinque volte.
Con tutta la forza e l’adrenalina che la ragazza aveva in corpo, in quell’istante, piombò come una furia sull’anello centrale di cui era a guardia Hugo, che la lasciò segnare senza nemmeno preoccuparsi di provare a parare il suo tiro. La guardò sconvolto mentre la rossa si cimentava in una frenetica danza della vittoria a cavallo della scopa, che era accompagnata da decine e decine di starnuti in serie.
I compagni si raccolsero attorno agli anelli, e Hugo urlò sovrastando la pioggia, che non aveva cessato di battere nemmeno per un secondo: «Per oggi può bastare!»
I ragazzi si affrettarono verso gli spogliatoi, rabbrividendo da capo a piedi, una volta scesi dalle scope e messo piede nel caldo tepore che emanavano le cabine delle docce, pronte a dare sollievo a quei corpi sudati e infreddoliti. Lily entrò per ultima, accompagnata dagli starnuti continui che ora sembravano più insistenti che mai. Si sedette sulla panca di fronte al suo armadietto, e cacciò indietro il cappuccio zuppo della divisa; inutile dire che la sua utilità si era rivelata nulla viste le condizioni dei capelli di Lily, fradici fino alla cute. Qualcosa di morbido le atterrò in testa, che le sue dita identificarono come un asciugamano caldo ancora impregnato dell’odore di bucato fresco.
«Idiota» furono le parole del suo salvatore, che le si sedette accanto. Anche Hugo era zuppo, una percentuale di acqua piovana che superava di gran lunga quella corporea ma, al contrario di Lily, lui aveva già asciugato i capelli con un colpo di bacchetta, per evitare di contrarre un malanno.
«Cosa vuoi che ti faccia un po’ d’acqua? Disse colei che grondava pioggia anche dalle dita dei piedi» «È colpa delle scarpe… troppo leggere» si giustificò Lily, scuotendosi l’asciugamano sulla testa.
Il ragazzo scosse la testa, sorridendo, e girò l’angolo, diretto alle docce maschili. «Fatti una doccia, Lils»
Lily divenne rossa più dei suoi capelli, «NON CHIAMARMI LILS!». Da Hugo ricevette in risposta semplicemente una risata fragorosa delle sue.
Entrò in una delle cabine gettando la divisa da Quidditch sulla sedia di fronte alla doccia, maledicendo quel ciarlatano che aveva assicurato l’impermeabilità di questa, anche di fronte alla più violenta delle intemperie. Gli augurò di non trovarsi mai in un vicolo buio in sua compagnia, altrimenti avrebbe avuto dei bei problemi.
Da una delle docce provenne il suono della voce di Melinda Coote, «Lily, tutto bene? Continui a starnutire ininterrottamente da almeno mezz’ora»
«Sì, sì… io – etciù! sto – etciù!... benissimo» rispose a sua volta la ragazza, passandosi un dito sotto il naso. «Tesoro, credo sia meglio se passassi da Madama Chips per farti dare un po’ di Pozione Peperina… ti fa sudare un po’, ma questo raffreddore se ne andrà nel giro di mezz’ora» intervenne Natalie, dalla cabina di fianco alla sua «Ne avevo un po’ nel mio baule – sai com’è, per ogni evenienza –, ma non sono sicura di averne ancora dopo la settimana in cui Joanne ha avuto l’influenza… oh, e Annabeth, credo che tuo fratello me ne abbia fregata un po’ per quel festino per il compleanno di Murray, sabato scorso» aggiunse poi, sovrappensiero.
La voce di Annabeth rimbombò per tutto lo spogliatoio, complice l’eco delle cabine, e la sua posizione, lontana dalle altre ragazze: «L’unico idiota convinto di potersi sballare con una bottiglia di Pozione contro il raffreddore. Pensavo che dopo aver avuto quella bella lezione, avesse imparato che le pozioni medicinali possono avere grossi effetti collaterali… Alla festa per i miei diciassette anni ha ben pensato di creare un nuovo tipo di punch con la Burrobirra e la pozione contro il mal di testa: ha continuato a vomitare per dieci giorni, quel babbeo» lo spogliatoio si riempì di risate, in mezzo ai vapori delle docce. Una ad una, le ragazze uscirono dagli spogliatoi, con i mantelli ben allacciati sopra i menti, e Lily continuò a starnutire fino alla Torre di Grifondoro, senza nemmeno una pausa che non durasse più di trenta secondi.
Fu un sollievo per la sua povera gola varcare il ritratto della Signora Grassa, e immergersi nel tepore della Sala, gentilmente fornito e assicurato dal grosso camino in pietra, al centro della stanza. Salutò le sue compagne e si avviò in direzione dei divani di velluto rosso, ai piedi dei quali il pavimento era occupato da una fomentata partita di scacchi detenuta da una Grifondoro e da un Serpeverde di sua conoscenza. Si annunciò con un «Potter, Weasley» e si gettò sul divano di peso, ricevendo immediatamente in risposta un «Potter» in coro.
Rose lanciò uno sguardo truce ad Albus, che la fissava con aria di sfida e un sorriso beffardo stampato in volto, dato l’evento straordinario che stava per compiersi per la prima volta in assoluto nella storia della Magia: Rose Weasley stava per essere messa in scacco da Albus Potter. Nemmeno i testimoni riuscivano a credere ad una tale circostanza. Rose, nella sua testa, continuava a ripetersi “è solo un colpo di fortuna” oppure “Albus non potrebbe mai batterti a Scacchi Magici!”, negando i fatti davanti a lei.
Lily osservava incredula la scena, pensando di stare contraendo un qualche tipo di malanno dovuto alla pioggia acida che aveva raccolto durante quelle due ore di allenamento di Quidditch, i cui effetti si ripercuotevano sul corpo e sulla mente accompagnati da tremende allucinazioni.
Albus rimase in attesa della mossa di Rose, e sgranò gli occhi all’improvvisa presa di coscienza che… «HO VINTO!» esclamò infatti, saltando in piedi e rovesciando la scacchiera addosso a Rose per la foga. Iniziò a ululare con le mani a coppa sulla bocca, compiendo un giro completo intorno a sé stesso, ed esibendosi in un ballo della vittoria improvvisato sul momento. Rose rimase seduta, con il solito tic all’occhio che le veniva ogni volta che era eccessivamente irritata. Si alzò di colpo, sbraitando contro Albus, e il suo non saper vincere, elencandogli tutte le volte in cui aveva esagerato nelle manifestazioni eccessive di gioia post-vittoria, urlandogli contro che le persone che gli stavano intorno (in special modo lei) venivano irritate dai suoi comportamenti infantili. D’altra parte, Albus non la stava nemmeno lontanamente calcolando, e continuava a crogiolarsi nella gioia della vittoria, soprattutto per il fatto che aveva battuto Rose in qualcosa che richiedeva l’uso del cervello.
Lily, che, per via dei continui starnuti, aveva un mal di testa martellante, continuava a sfregarsi le tempie con le punte delle dita, mentre i due non rendevano la sua situazione migliore per via dei loro schiamazzi. Sentiva che la sua pazienza veniva meno ogni secondo di più. Non aveva mai odiato tanto suo fratello da quella volta in cui le aveva rotto il Boccino giocattolo che suo padre le aveva regalato al suo decimo compleanno. Gli avrebbe volentieri spaccato la sua Black Arrow sulla testa, anche se quella scopa valeva più della stessa vita di Albus.
Rose si era arresa alla perenne infantilità del cugino, ed era sprofondata in una poltrona di velluto strappato, afferrando il libro che aveva lasciato sul pavimento dopo che Albus si era presentato in Sala Comune, lamentandosi di quanto fosse barboso vedere Scorpius e Lysander in camera a “fare finta di fare i compiti solo per non sorbirsi la sua presenza”. Non era la prima volta che una cosa del genere accadeva. Albus sapeva essere molto petulante e morboso, quando si impegnava, e, mentre Lysander era un martire assicurato alla beatificazione subito dopo la sua dipartita, Scorpius sarebbe stato perfettamente in grado di appendere il suo migliore amico per una caviglia e tenerlo sospeso a testa in giù sul soffitto del loro Dormitorio per ore intere, se non per giorni.
L’unica brillante idea che poteva venire ad Albus per scampare al suo infausto destino era quella di scassare le pluffe all’unica persona sulla crosta terrestre che riusciva a tenerlo buono per almeno un paio d’ore. Ovviamente, nessuno aveva calcolato l’eventualità di una sua vincita contro Rose Weasley, e per giunta nel gioco degli Scacchi Magici.
A Lily, in quel momento, apparve nella mente la meravigliosa immagine della testa di Albus che prendeva fuoco all’improvviso.
«Sto per ammazzarti, Albus»
Benedetto quell’essere umano che aveva fatto tacere seduta stante il ragazzo!
Lily alzò lo sguardo, e vide Lysander e Scorpius Malfoy davanti ad Albus, che aveva perso almeno dieci anni di vita per lo spavento, e Hugo appena dietro di loro, che si richiudeva alle spalle il ritratto della Signora Grassa.
Rose alzò appena lo sguardo dal suo libro per concedere un cenno di saluto a Lysander, che ricambiò con un sorriso, mentre Scorpius voltò lo sguardo, rivolgendolo allo stipite del camino, su cui si appoggiò con una sfrontata nonchalance. Lysander intercettò lo sguardo di Lily, e le sorrise avvicinandosi al divano su cui era spaparanzata. «Che razza di egoista, fai un po’ di posto ai senior della scuola, Potter» fece, sedendosi affianco alla ragazza, che si era concessa ad una posizione un po’ più decorosa di quella in cui era fino a quel momento. Sorrise di rimando al ragazzo, poi cercò di concentrarsi su altro, che non fosse l’imbarazzo che provava nello stare a così poca distanza da Lysander. Ovvio che ti renda nervosa, Lily. Lui è molto più grande di te, è solo soggezione.
Ma che diavolo stai dicendo? Comandi a bacchetta chiunque che abbia anche il doppio della tua età, e ti fai intimorire da Lysander?

«Che ci fate qui?» domandò Albus, passando lo sguardo da Lysander a Scorpius, e poi appoggiandosi di spalle al caminetto, «Ti cercavamo» rispose secco Scorpius, sicuramente irritato da una presenza sgradita. Chi è quella persona che si mette a leggere in Sala Comune a quell’ora del pomeriggio, con tutta quella gente che stipava la Torre?
L’occhio del ragazzo si andò a posare inevitabilmente sulle parole stampate sulla copertina del libro che la ragazza teneva ostentatamente al livello del viso, così che non fosse in nessun modo costretta a concedergli anche il minimo sguardo. Riuscì a leggere solo l’autore: Ovidio. Quel nome l’aveva già sentito, se non letto, da qualche parte. Era un poeta latino, se non andava errato. Probabilmente aveva qualche sua opera in casa, o forse l’aveva letto di sfuggita in Biblioteca. Sicuramente non faceva parte della libreria di suo padre, né tantomeno di suo nonno. Forse apparteneva a sua madre, lei adorava i classici. Oppure poteva anche darsi che avesse avuto lui qualche libro di quel tizio? Sì, ricordava bene un titolo… Metamorfosi.
Lo colse l’improvviso dubbio che potesse trattarsi dello stesso libro che stava leggendo – o con cui si stava nascondendo – la rossa. Ma non le avrebbe concesso un altro sguardo.
«Volevamo sottoporti un’idea» stava dicendo Lysander, che si era tirato con la schiena in avanti e guardava fisso Albus. Poi voltò la testa in direzione di Lily, Rose, e Hugo «Anzi, sottoporvi»
«Spara» lo incalzò Hugo, con le braccia conserte dietro la poltrona su cui era seduta la sorella. L’attenzione di tutti si concentrò su Lysander; persino Rose scostò di qualche centimetro il suo libro dal viso, così da poter vedere il ragazzo.
Questi si fregò le mani, e le batté, esagitato alla sua stessa proposta. Guardò ad uno ad uno i suoi compagni, poi, con fare ammiccante disse semplicemente: «Halloween» e si preparò all’entusiasmo generale, che però non arrivò.
«Grandioso, Scamandro. Peccato che Halloween si festeggi addirittura da secoli prima del giorno in cui eri solo uno spermatozoo, pensa un po’» fu il commento sarcastico di Albus, che si beccò una cuscinata in faccia, e un bel «Cretino» da parte di Lysander, che, appurata l’incomprensione generale, si decise a intavolare un discorso esauriente.
«Il fatto è che è passato un bel po’ dall’ultimo festino di Halloween che si è tenuto qui, a scuola» «Da quando ci siamo noi, non ce n’è mai stato uno» intervenne Hugo «A meno che non fosse rientrato in una di quelle feste cui ci vietavate di partecipare con qualche scusa tipo “I troll di guardia nei corridoi mangiano solo i bambini dai dodici anni in giù”» aggiunse poi, ricordando amaramente quanto spesso i più piccoli erano stati gabbati ed esclusi dal divertimento con scuse di quel genere.
«Nemmeno da quando ci siamo noi, in realtà» disse Scorpius, «Sono almeno sette anni che nessuno organizza una festa in privato, come quelle per le partite di Quidditch, in occasione di Halloween. Ci si limita a partecipare al solito e palloso banchetto in Sala Grande, e basta»
«Quindi?» domandò Rose, rivolgendosi esclusivamente a Lysander. Ora aveva richiuso il libro e lo teneva sul bracciolo della poltrona. La sua attenzione era stata completamente catturata dalla discussione.
«Quindi» proseguì Lysander, «Visto che si tratta del nostro ultimo anno» e si rivolse ad Albus, Rose e Scorpius, «Perché non organizzare qualcosa? Potremmo usare la nostra Sala Comune, che si trova più lontana dalle stanze e dall’aula professori, quindi rischieremmo di meno, ed è anche più grande della vostra» fece, allargando le braccia. Gli altri accolsero la proposta con grande entusiasmo, iniziando a discutere e a pensare a varie proposte per la serata, e anche rivolgere la loro attenzione alle piccole accortezze che c’erano da prendere per evitare casini.
L’unica che non si rese partecipe del discorso fu Rose, che rimase per qualche minuto a ponderare privatamente con il suo cervello la questione, che le sembrava fare acqua in più punti. Si morse il labbro, e si risistemò sulla poltrona «Non lo so» borbottò, tormentandosi le calze di nylon.
Lily sbuffò sonoramente, mentre Albus e Hugo si pronunciarono in un lungo «Eddai» di lamento. Lysander scosse la testa, sorridendo, e le tirò un pugnetto sul ginocchio, «Ci avrei scommesso che saresti stata la prima ad opporti, ma se ci aiuterai non rischierai nella maniera più assoluta di finire nei guai, Rose. Te lo giuro sul mio onore» fece, mettendosi la mano destra sul cuore, e poi tracciando una ‘x’ immaginaria sul petto.
«Andiamo, Rose! È anche il tuo ultimo anno, non vorrai rinunciare alla possibilità di goderti ogni singolo evento, legale e non!» intervenne Lily, sporgendosi sul divano per guardare in faccia la cugina. «Fossi in te non mi perderei nemmeno una festa, d’ora in poi» fu il commento di Hugo, che le appoggiò una mano sulla spalla «Non fare sempre il sergente».
«Forza, faccia di bronzo» diede manforte Albus, «Ora che ti è stata anche strappata la carica di campionessa imbattuta negli Scacchi Magici, hai di sicuro molto più tempo libero» e iniziò a ridere, beccandosi subito dopo uno sguardo ghiacciante da parte della ragazza, che lo congelò sul posto.
Rose sbuffò sonoramente, e si prese qualche minuto per pensare; avevano tutti ragione – tranne Albus, ovviamente –, e lei si era ripromessa che avrebbe goduto di ogni singolo istante che le rimaneva da vivere in quel castello. Si era ripromessa che non si sarebbe lasciata sfuggire nemmeno la più piccola delle occasioni, che si sarebbe divertita. Probabilmente, in quel suo ultimo anno, il sergente sarebbe andato in pensione.
Si batté le mani sulle gambe, «Oh, e va bene!» esclamò, in un applauso generale, accompagnato dai fischi di Lysander. La ragazza scosse la testa, e sorrise «Sono sicura che me ne pentirò» fu il suo ultimo commento.
«Ah, cerca di convertire anche Nott al nostro piccolo progetto» aggiunse Lysander, ammiccando in direzione di Rose «I vostri sei anni di clausura terminano qui, signore» e batté le mani, convinto della riuscita della sua missione. Poi si alzò dal divano, e disse «Domattina ci vediamo tutti in Sala Grande, al tavolo dei Grifondoro, e ne discutiamo tutti insieme», tutti annuirono in risposta. «Per il momento non facciamo circolare troppo la voce, mi raccomando» e si congedò assieme ai due compagni Serpeverde, salutando i ragazzi con la mano.
«Donna della pioggia» la voce di Hugo riprese bruscamente Lily dai secondi di troppo in cui aveva indugiato sul ritratto della Signora Grassa chiusosi alle spalle dell’allegra combriccola delle Serpi, e la ragazza si rivolse di scatto al cugino. «Che c’è?» rispose Lily, un po’ brusca «Sei andata da Madama Chips?» le chiese, sapendo benissimo che non le era passato nemmeno per l’anticamera del cervello.
«Perché deve andare da Madama Chips?» intervenne Rose, guardando interrogativa il fratello. Lily stava per ribattere, scuotendo la testa per liquidare la questione, quando Hugo riprese la parola: «Il genio dalla testa rossa, qui presente, si è presa un fantastico – e aggiungerei meritato – raffreddore, sul Campo da Quidditch. E siccome il suo cervelletto» e le bussò sulla testa con le nocche «è più duro della pietra, non vuole andare a chiedere a Madama Chips di farsi dare una controllata». Lily, da dietro la schiena di Hugo, mimava i movimenti del ragazzo, prendendolo in giro letteralmente alle sue spalle, esibendosi in smorfie e pernacchie silenziose. Rose ridacchiò sotto i baffi, e Hugo si voltò immediatamente verso Lily, che però tornò ad un’espressione normale appena in tempo.
«Prendimi in giro, se vuoi, Lily. Ma se ti ammali prima del match, e salti anche un singolo allenamento, ti do in pasto alle sirene del Lago Nero» la rimbeccò puntandole un dito contro.
Lily incrociò le braccia al petto, «Certe volte sei più rompipluffe di James».







Erano almeno due ore che era accovacciata sopra il davanzale della finestra della sua stanza, nel Dormitorio femminile. Si stringeva le ginocchia al petto, per tentare di combattere gli spifferi che si infiltravano nella Torre di Corvonero e le punzecchiavano le punte dei piedi. Non aveva intenzione di prendere un paio di calzini da uno dei suoi cassetti. Avrebbe preferito rimanere lì, immobile, per un periodo piuttosto lungo. Erano giorni che non faceva altro che pensare a cosa le sarebbe toccato di lì a due mesi circa. Dopo che sua nonna si era illegalmente fatta sentire via lettera per confermare ciò che era nei sospetti della ragazza da molto tempo, si era istituito un vero e proprio silenzio epistolare, che non faceva altro che accrescere e nutrire quell’entità che covava da un po’ nel petto di Alexandra chiamata ‘ansia’.
Sapeva che continuare a crogiolarsi nel pensiero di ciò che le sarebbe inevitabilmente toccato le avrebbe nuociuto a livello psicologico e probabilmente anche fisico. A lei non piaceva che la sua mente fosse stipata da quell’unico pensiero. Ma come poteva invertire la direzione dei suoi pensieri con la pioggia che picchiava senza sosta sulla finestra, congelando il vetro che separava il calore del Dormitorio dall’aria sferzante e gelida che soffiava fuori di lì? Era impossibile. Ed era anche inutile.
I problemi non sarebbero scomparsi così come fa il fango dopo un temporale. Anche se fosse uscito il sole in quell’esatto momento, nulla avrebbe cambiato il corso degli eventi. Nulla avrebbe impedito che sua madre e suo padre cambiassero idea sui matrimoni combinati che avevano in programma per lei e i suoi fratelli. Nulla, nemmeno sua nonna, avrebbe impedito che la cerimonia di debutto in suo onore si fosse tenuta appena lei fosse tornata da Hogwarts per le vacanze invernali. Nulla le avrebbe impedito di passare un’intera serata con uomini spaventosamente sconosciuti e privi del suo giovane spirito, che pregava e picchiava contro le sbarre della sua metaforica prigionia di uscire fuori, e supplicava di non essere sottoposto ad una tale tortura.
Conosceva tantissimi altri Purosangue, lì a scuola, ma meno della metà di loro erano costretti al supplizio a cui lei era infaustamente destinata. Per alcuni Purosangue, il desiderio di mantenere intatta la linea di sangue era troppo forte.
La parte razionale del suo cervello la stava pregando di smetterla con i tormenti, e di prendere finalmente coscienza che le cose dovevano andare così e basta. E poi, chissà, magari non le sarebbe andata troppo male. Dopotutto, per quanto antiquati i suoi genitori certe volte fossero, anche loro non avrebbero mai permesso che si sposasse appena finita la scuola. Probabilmente si sarebbe parlato di un possibile matrimonio soltanto molti anni più in là.
Quindi perché continuare a tormentarsi? Lei non aveva nessun diritto di lamentarsi. Forse i suoi genitori le avrebbero fatto solamente un favore, nell’occuparsi della sua vita privata. Lei non aveva mai creduto nell’amore, forse anche per l’idea dell’amore che le era stata impartita. L’uomo e la donna che le avevano dato la vita non potevano certo definirsi un buon esempio di amore nel suo essere più completo. Anche i suoi genitori, dopotutto, si erano sposati per volere delle proprie famiglie, come i loro avi, secondo tradizioni ben più vecchie di loro, e che non avevano mai nuociuto così tanto a qualcuno da provocare danni irreparabili. Chiunque dei suoi famigliari aveva optato per i matrimoni combinati tra Purosangue. Ovviamente, dopo la fine della Seconda Guerra Magica, nessuno faceva troppo caso ormai alle dinastie del sangue. Praticamente nella società erano quasi tutti Mezzosangue. I Purosangue conservatori rimasti erano coloro che un tempo erano stati definiti Mangiamorte, o anche coloro che semplicemente avevano creduto nell’integrità della purezza di sangue e avevano appoggiato la “battaglia” per mantenerla integra, senza davvero prendere parte ad una delle fazioni della Guerra, negli anni novanta. Tra questi, alcuni dei componenti della famiglia di sua madre, i Burke; anche se persino tra loro c’era qualche filo-Mangiamorte, come suo nonno materno, o il suo bisnonno, o alcuni dei fratelli di sua nonna, che lei, fortunatamente, non aveva avuto il privilegio di conoscere, perché alcuni furono uccisi e altri semplicemente si diedero alla clandestinità dopo la fine della Guerra. Suo padre – come aveva scoperto da sé Alexandra – aveva avuto un passato ad Hogwarts piuttosto inclinato in direzione della Magia Oscura, complice anche la sua amicizia con il padre di Scorpius, Draco Malfoy, con cui però aveva interrotto i rapporti prima che venisse trascinato anche lui nel baratro del Lato Oscuro senza speranza di redenzione, per poi riprenderli molto dopo la fine della guerra. Suo nonno paterno, del resto, era un Mangiamorte, e dal poco che riusciva a ricordare di lui, quello che le era rimasto più impresso erano le storie che raccontava ai suoi due fratelli, lontano dalle orecchie di sua madre o di suo padre, su quel letto di morte che l’aveva tenuto al caldo per i due mesi successivi al rilascio da Azkaban, che raccontavano di Babbani catturati e uccisi in maniere indescrivibili e atroci, di streghe e maghi macchiatisi di reati contro la purezza del sangue, che venivano processati e resi alla giustizia «Nel modo giusto in cui avrebbero dovuto marcire per sempre tutti i Traditori del proprio Sangue!». Ricordava la sua voce roca e maligna, come lo stridio del metallo contro una roccia, quel marchio sbiadito che sembrava semplicemente una malattia cutanea, che era stata in grado semplicemente di rovinarlo e portarlo a coprirsi il volto con le sue enormi pellicce nere come la notte che indossava convinto che fossero simbolo di eleganza e di classe, simbolo della ricchezza di un uomo che era stato corroso da una Guerra vana, e ne era uscito sconfitto e come un cane con la rogna, ai margini di una nuova società che non gli avrebbe mai permesso di tornare. Costretto a vagabondare in una ricchezza che era il paradosso più crudele per un uomo che di sano aveva ormai poco e niente. Dopo la fine della Seconda Guerra Magica, suo nonno era stato catturato di nuovo grazie alla collaborazione di Lucius Malfoy, che fornì i nomi e le ubicazioni dei suoi ex compagni datisi alla macchia dopo la caduta del loro Signore. Fu rinchiuso e tenuto ad Azkaban fino al duemiladodici, quando fu spedito nella sua casa natale assieme al figlio per consumare i suoi ultimi due mesi di vita; infatti, gli era stato diagnosticato un comunissimo cancro ai polmoni, scoperto allo stadio terminale. Una fine comune per un uomo che aveva sempre disprezzato coloro che gli erano inferiori. Erano stati fin troppo clementi con lui, nel decidere di concedergli i suoi ultimi giorni da vivere con la sua “famiglia”. Per quanto la riguardava, quell’uomo fu semplicemente una presenza oscura e sinistra nella loro casa. A lei non era permesso nemmeno di guardare in faccia colui che in un altro mondo avrebbe chiamato ‘nonno’. Lei era solo una femmina, lei non era in grado di capire le grandi gesta dei soldati del passato, che erano stati sconfitti per via di una società troppo cieca ed ingenua per comprendere fino in fondo.
Quante di queste stronzate aveva sentito, Alexandra, durante gli anni di prigionia che aveva sorbito tra le mura della sua casa. Fino al momento in cui mise piede ad Hogwarts, a lei e ai suoi fratelli era stata impartita una rigida istruzione in casa. Le uniche persone che vedeva – oltre i componenti della sua famiglia – erano le domestiche della sua casa, che entravano e uscivano liberamente, senza nessun tipo di vincolo a quelle mura maledette, e i numerosi precettori che andavano e venivano per le lezioni. Durante le loro lezioni, lei e i suoi fratelli erano tenuti separati, in antri della magione lontani l’uno dall’altro, senza nemmeno la possibilità di pranzare insieme. L’educazione maschile era diversa da quella femminile. Questo, invece, era il volere di suo nonno materno. Era lui che, in un certo senso, aveva controllato e manipolato suo padre e sua madre per tutti quegli anni.
Inutile dire che fu un sollievo per ognuno di loro ricevere la lettera per Hogwarts, ed uscire da quel penitenziario di cui erano prigionieri.
Ovviamente, quando lei non era ancora in età da Hogwarts, il periodo in cui i suoi fratelli erano lontani era quanto di più desolante e opprimente ci fosse in assoluto. La sola idea di essere sola in quell’ala della loro residenza che era da sempre destinata alle stanze da letto dei bambini la faceva piangere disperata nel sonno, e al solo ricordo di tutte le notti da incubo che aveva passato raggomitolata nel letto, con le lenzuola fin sopra la testa come unico scudo contro ciò che avrebbe inevitabilmente dovuto affrontare non appena il sole fosse sorto, il senso opprimente di quella stanza e di quel periodo le piombò nel cuore assieme alla fredda consapevolezza che, una volta finiti gli studi, quelle notti sarebbero tornate, forse più corte di quanto erano prima.
La punizione più crudele per lei era senz’altro quella di tornare a casa propria, se così poteva definire quel luogo che era stato il nido di un’infelice ragazzina per molti anni, e che sarebbe tornato presto tale, pronto a ingoiare nel suo lurido e buio ventre la donna che lei si accingeva a diventare. Sapeva che sperare di non dover tornare a casa a Dicembre era come sperare in una nevicata nel mese di agosto, ma non le era permesso nient’altro.
E intanto la pioggia continuava a tormentarla, facendola desiderare che il suo cadere non finisse mai se solo il suo battere incessante avesse evitato di rimandarla a casa, e di affrontare ciò che l’aspettava appena fuori dalle mura del castello.
«È permesso?»
Alexandra si voltò di scatto al richiamo che provenne dalla porta della stanza, e si trovò a sospirare nell’istante in cui riconobbe la chioma rossa e i colori della divisa che non c’entravano nulla con quelli dell’intera Torre. «Ehi» la sua voce risultò paradossalmente pacata, dopo il turbinio di pensieri che le aveva stipato la mente in quel lasso di tempo. Si sgarbugliò dalla sua posizione, e sobbalzò leggermente al contatto con il pavimento gelato, pensando che sì, probabilmente era il caso di indossare un paio di calze. Odiava i collant della divisa, ma forse, ripensandoci, non era stata una grande idea quella di toglierseli. Rindossò questi, e anche le calze di lana.
«Non è già ora di cena, vero?» domandò Alexandra, che sicuramente non si era presa la briga di controllare che ore fossero. «No, no. Sono venuta qui perché non ti ho vista tutto il pomeriggio, e… mi è stato assegnato un incarico» rispose Rose, sbuffando dopo le sue ultime parole. Alexandra fece una smorfia interrogativa.
«Prima Lysander ha proposto ad alcuni di noi – visto che è il nostro ultimo anno qui, e che nessuno organizza mai un festino di Halloween da quando ne abbiamo memoria – di organizzare qualcosa per la notte del trentuno» spiegò in maniera spiccia, con il tono di una persona che è stata semplicemente incastrata nella faccenda.
Guardò Alexandra, mordendosi un labbro, e poi disse «Lo so, nemmeno a me piace, ma la questione è: se non ora, mai più. Perciò, tanto vale farcelo piacere, e cercare di goderci ogni istante che ci rimane da passare in questo maledettissimo castello!» sbottò, allargando le braccia e poi incrociandole al petto.
«Ma sì, perché no» rispose dopo un po’ Alexandra, chinandosi sotto al letto per raccogliere le scarpe che aveva buttato lì, «In effetti, mi dispiacerebbe andarmene come una persona che non ha fatto altro che partecipare passivamente alla vita di Hogwarts» bofonchiò con la voce intrappolata nello spazio angusto tra il pavimento e la base del suo letto a baldacchino.
«… E poi, Lysander mi ha detto di dirti che per lui e per il bene di Hogwarts – e cito testuali parole –: il nostro periodo di clausura si conclude qui! Aspetta, hai detto sì?» s’interruppe Rose, che, conscia della posizione che solitamente prendeva l’amica, riguardo le feste, si era cimentata in un discorso su quanto poco avessero partecipato alla vita mondana della piccola comunità che era il corpo studentesco di Hogwarts, escludendo le feste post-vittoria, i compleanni degli amici più stretti, e le feste di Natale di Lumacorno.
Sorrise all’amica, che finalmente riemerse da sotto il letto, con le scarpe in mano, «Woah, non pensavo che ti avrei convinta così facilmente» fece. Alexandra ridacchiò di rimando, e alzò le spalle, «Sai com’è… chiunque può cambiare idea» e le rivolse un occhiolino complice, a cui Rose reagì con una risata. «Tieni a mente queste tue parole, perché un giorno potrebbero tornarci utili» commentò, beccandosi una cuscinata in pieno petto.
«Invece di tirare cuscinate, perché non ti dai una mossa con quelle scarpe, e scendiamo in Sala Grande per la cena, prima che mio fratello insieme alla sua compare finiscano tutti i viveri della tavolata rosso-oro? Io ho bisogno di nutrimento, cara» mugugnò Rose, «E devo anche raccogliere una buona dose di pazienza per la ronda di stasera» aggiunse poi, d’un tratto sottotono per la presa di coscienza che quella sera avrebbe avuto una ronda con McLaggen. Alexandra le posò una mano sulla spalla, «Ti sono vicina» le fece con una mano sul cuore, scoppiando a ridere non appena Rose le rivolse un’occhiataccia delle sue. La ragazza poi le passò un braccio sulle spalle, e se la trascinò in direzione della Sala Grande, tra le proteste di Rose, che bofonchiava e vaneggiava sulla possibilità di farsi attaccare il raffreddore da Lily, così da saltare la ronda.
«Non puoi avere il raffreddore per il resto dell’anno, idiota»
«Oh, sì che posso. Potrei anche prendermi il vaiolo di drago, se mi assicurasse di stare lontana da McLaggen» continuò imperterrita Rose.
«Mi spiace dirlo, ma credo che anche se tu avessi la peste bubbonica, McLaggen non demorderebbe»




«Io dico di sì»
«E io ti ripeto che è impossibile»
«Allora perché non lo sperimentiamo?»
«Perché è una cazzata, Roxanne; ecco perché»
«Non vuoi verificare la mia tesi, solo perché sai che riuscirei a dimostrare che ho ragione, e quindi faresti la figura del fesso»
«Mi auguro che tu stia scherzando»
«Sei sempre stato geloso del mio estro creativo»
Hugo alzò le mani sulla testa, convinto di non riuscire ad andare avanti ulteriormente con quella discussione che lei e Roxanne stavano avendo dal momento in cui avevano messo piede in Sala Grande. C’era il pollo, a cena, e Hugo non era riuscito a goderselo per colpa della sua stupida cugina.
Roxanne si cacciò una mano nel taschino del maglione, e ne estrasse un pezzettino di carta appallottolato delle misure di una pallina da ping-pong. Lo spiegò, e lo spinse con la mano sotto il naso di Hugo, che la stava fissando a bocca aperta. «Okay, spiegami quando hai trovato il tempo di mettere questo schifo di idea su carta»
«Mi è venuto il lampo di genio mentre scendevo le scale» rispose Roxanne, incrociando le braccia al petto, fiera di se stessa e del suo progetto. «No» Hugo afferrò il pezzettino di carta, e lo riappallottolò con rabbia «Tu sei completamente andata» esclamò, lanciando la pallina in direzione dell’ingresso.
«MA CHI È STATO?» gridò il destinatario di quel lancio, che si accorse subito della situazione che si stava verificando al tavolo, e si fiondò sul colpevole. «Hugo!» la pallina volò per due metri, fino a prendere in pieno il lungo naso del ragazzo, che se lo coprì con la mano.
La tavolata dei Grifondoro scoppiò in una serie di sonore risate, accompagnata a tempo dal battere delle mani sulla superficie del tavolo. Rose si unì alle risate, anche se un po’ in colpa per aver messo k.o. il Re dei Grifondoro con una semplice pallina di carta.
Gli diede un buffetto affettuoso sulla guancia, e si sedette accanto a lui. Da parte sua, Hugo s’imbronciò ancora di più. Come si suol dire: oltre al danno anche la beffa.
«Allora, siamo tornati alla fase in cui ci si lanciavano palline di carta? Ragazzi, pensavo foste maturati» li rimproverò con il suo finto tono altezzoso, e un dito inquisitorio puntato contro i commensali. Si servì del pane imburrato e un paio di polpette di carne, e si unì ai discorsi che erano stati intavolati prima che iniziasse il diverbio verbale tra Roxanne e Hugo Weasley.
Lui e Lily avevano spiegato al resto della combriccola l’argomento che si era trattato durante quella riunione improvvisata in Sala Comune, quel pomeriggio, e la proposta era stata accolta con grande successo, e l’unica che sollevò qualche protesta – subito repressa – fu, ovviamente, Molly, che si era poi convertita all’idea, quando Sean le aveva assicurato che non sarebbe stato male. Poi le aveva messo un braccio attorno alle spalle, e la ragazza aveva subito taciuto, arrossendo però in maniera vistosa. Roxanne provava un insano senso di goduria nel vedere la mansuetudine di Molly quando era in compagnia di quel ragazzo. Avrebbero dovuto farlo santo, per lei.
Lupus in fabula, poi, era arrivato Lysander: si era seduto affianco a Lily, ed aveva appoggiato i gomiti sul tavolo, incrociando le mani davanti a sé.
«Piccolo cambio di programma» aveva annunciato, guardando ad uno ad uno i compagni. «Niente riunione domani mattina» e si era susseguito un coro di innumerevoli domande e lamentele, quali “Ma perché?” oppure “Che diavolo” o anche “Come mai?”, e addirittura “Porco Godric, la mia idea è andata a farsi benedire” – di cui si può tranquillamente intuire l’autore.
«Ehi, ehi! Con calma» esclamò Lysander, per farsi sentire nel frastuono generale, «Non intendevo dire che salta tutto. Dio mio, quanto affrettate le cose» e si passò una mano fra i capelli biondo cenere, sbuffando.
«Spiega, allora» fece Lily, puntellandolo con il gomito.
«Volevo dirvi che abbiamo pensato di spostare la riunione…» e qui abbassò la voce, facendo avvicinare gli altri a lui per sentirlo meglio «… a stasera, nella Sala Comune dei Grifondoro»
«E io lo sapevo che era una brutta storia, questa» si lamentò Molly, beccandosi un’occhiata da Roxanne, che invece disse «Se dobbiamo farla nella nostra Sala Comune ci conviene aspettare dopo che si svuoti dei mocciosi del primo e del secondo anno, altrimenti sarà impossibile non farli impicciare». Lysander annuì, con uno sguardo serio che nessuno gli aveva mai visto in faccia prima d’allora. Diciamo pure che Lysander era uno di quei tipi che prendono con serietà solo ciò che interessa loro davvero; organizzare un party all’oscuro degli insegnanti e degli studenti più piccoli rientrava di certo nella categoria delle cose che interessavano Lysander.
«Se non sbaglio, ‘stasera la ronda tocca a voi, Rose, dico bene?» fece poi rivolto alla rossa, riflettendoci un po’ su. Rose alzò gli occhi al cielo, un po’ riluttante nel rispondere perché aveva già anticipato le intenzioni dell’amico. «Senza che tu vada avanti, Lysander. Dovremmo essere di ritorno per mezzanotte, o giù di lì. Francamente spero non più tardi di quell’ora» rispose, «Non ho alcuna voglia di passare più di tre ore con McLaggen» aggiunse poi amareggiata, giocherellando con la forchetta fra le dita, e poggiando il mento sul palmo della mano.
«Quindi potremmo incontrarci per mezzanotte e mezza» propose Hugo. «Il tempo che anche McLaggen si levi dai piedi» aggiunse Roxanne, battendo le mani entusiasta del loro programma. Lysander annuì di nuovo, «Va bene, vado ad avvertire gli altri, allora» e fece per alzarsi, ma Rose lo afferrò per la manica del maglione, trascinandolo di nuovo giù. «Ho convinto Alexandra a collaborare a quest’assurda cosa. Che ne dici di truccare un po’ le carte, Scamandro?» gli sussurrò ad un palmo dal naso, strizzandogli un occhio. Lysander rise, piegando la testa da un lato «Fai tanto la santa, ma mi sa proprio che qui sei la peggiore tra tutti noi, Weasley» mormorò, lanciandole di rimando un occhiolino, e sfregandole una mano fra i capelli. Poi se ne andò salutando gli altri. Lily non aveva potuto fare a meno di osservare quella breve scena, e quello scambio di occhiate un po’ sospette. Spinse via il piatto; non aveva più fame.




«Be’?» Lysander era tornato al tavolo dei Serpeverde, dopo che si era intrattenuto una buona ventina di minuti con i Grifondoro. Albus non aveva smesso un attimo di trepidare e di sforzarsi di leggere le labbra di almeno uno di loro. Inutile dire che non ne era stato capace. Il risultato delle sue osservazioni, se raccontato, sarebbe risultato piuttosto inverosimile e assolutamente non pertinente all’argomento di cui stavano trattando. Lo osservò prendere posto con molta calma. Probabilmente stava godendo della brama di sapere di Albus, e lo stava facendo rodere come un cane a cui viene negato un osso.
«Per le mutande di Merlino, Scamandro, ci vuole così tanto per posare il tuo culo su quella benedetta panca!» urlò, fuori di sé dall’impazienza, facendo voltare verso di lui tutta la tavolata dei Serpeverde e anche dei Corvonero. Scorpius colpì uno stinco di Albus da sotto il tavolo, facendolo inchinare per il dolore. «Bastardo» bofonchiò la vittima, agonizzante e con il naso stampato sulla superficie di legno.
«Via, via Albus, più garbato» lo rimproverò Lysander, agitando una mano a mezz’aria. Gli posò una mano fra i capelli, e glieli accarezzò, così da infastidirlo più di come già era. Infatti il ragazzo, che non sopportava lo stato già disastroso dei suoi capelli, odiava che qualcuno li scompigliasse più di quanto non fossero per conto loro. Si scostò con un brusco movimento della testa, e si sottrasse a quel supplizio. Sia Lysander che Scorpius si diedero a qualche risata sotto i baffi.
Scorpius si rivolse con un cenno del capo a Lysander, «Allora, cosa avete risolto?»
«Ci vediamo nella loro Sala Comune per mezzanotte e mezza circa. Dopo che Rose e McLaggen saranno tornati dalla ronda notturna…» «Dio, che sfiga per quella povera ragazza» brontolò Albus. Lysander fu distratto un secondo dalla reazione di Scorpius, che rivolse lo sguardo al suo piatto per cercare di nascondere quella piccola ma evidente smorfia che gli aveva sfiorato il viso per qualche istante. Si riscosse, e proseguì, riferendo tutto ciò che era stato accordato. «Quindi, appena saranno tutti fuori dai piedi, ci troveremo lì. Albus» scattò su d’un tratto, attirando l’attenzione del ragazzo «È ora di tirar fuori l’armamentario, fratello»
Non c’era bisogno di spiegazioni. Ovviamente Lysander si stava riferendo al Mantello dell’Invisibilità e alla Mappa del Malandrino che appartenevano al padre di Albus, dai tempi in cui i loro genitori frequentavano Hogwarts. In teoria, Albus non avrebbe dovuto essere in possesso di quelle reliquie magiche, e suo padre aveva sempre categoricamente proibito ai figli di farne uso, in qualsiasi luogo, e in qualsiasi momento. Ma loro erano ragazzi, ed Harry lo sapeva bene, e sapeva bene quanto Ginny in particolare disapprovasse l’idea che i suoi figli usassero oggetti magici che potevano tornare utili per spiare le ragazze negli spogliatoi femminili, o fare irruzione nei bagni e nei Dormitori impunemente. Ma, anche se tutto questo era al livello massimo dell’immoralità, loro erano ragazzi, ragazzi in cerca delle loro esperienze, perciò aveva concesso loro di usufruirne in modo consono e nei limiti della decenza. Senza il bisogno di rendere partecipe Ginny di questa sua presa di posizione.
No, né James né Albus avevano mai ricorso all’uso del Mantello o della Mappa per spiare chiunque che fosse, tranne Gazza, o la McGranitt quando erano in giro per il castello in un orario che nessuno dei due avrebbe definito giustificabile. Certo, diciamo che una controllatina alla Mappa in casi estremi, magari per essere sicuro che un qualche suo amico non facesse troppo tardi la sera con la sua ragazza, Albus l’aveva data. Ma solo per l’incolumità di Lorcan… cioè, di quel suo amico.
Prima che Albus ripartisse per la scuola, quell’anno, James aveva dedicato un appassionato e toccante discorso su quanto quei due oggetti fossero una manna del cielo per un ragazzo al suo ultimo anno ad Hogwarts, e non aveva fatto altro che raccomandarlo di usarli come si deve.
Albus gli strizzò l’occhio, e alzò il pollice verso di lui. Lysander sorrise quasi beffardo o con l’aria di chi sa qualcosa in più di qualcun altro: il sorriso di qualcuno che sta tramando qualcosa. Quella sua espressione inusuale confuse Albus, che abbassò la mano, e guardò Scorpius, in cerca di qualche risposta, ma anche il ragazzo stava osservando l’amico leggermente disorientato, e offeso per l’esclusione da quel presunto piano diabolico che Lysander aveva probabilmente intenzione di mettere in atto, senza di lui.
Lysander continuò a sorridere, con lo sguardo in basso, scuotendo leggermente la testa, come uno di quei criminali psicotici che si vedevano spesso nei film babbani degli anni ’80.
Scorpius si sporse sopra il tavolo e gli toccò una spalla, «Amico, tutto bene?». In realtà sperava ancora che il ragazzo cambiasse idea e che lo rendesse partecipe dei suoi pensieri e delle sue macchinazioni, perché ora era convinto che stesse macchinando qualcosa, e sicuramente il suo soggetto era Albus.
Lysander scosse di nuovo la testa, e poi guardò Albus «Ehi, Al!» fece, battendogli una mano sulla spalla «Ho bisogno che tu mi faccia un favore»
Albus lo guardò, un po’ indeciso se stare al suo gioco oppure tirarsi indietro prima di ritrovarsi invischiato in qualcosa che non gli sarebbe piaciuto, ma poi annuì. «Di che si tratta?»
«Vedi, io ho avvertito solo i Grifondoro» rispose enigmatico Lysander, intrecciando le dita davanti a sé, «Ma sarebbe di grande aiuto se anche tu mi aiutassi ad avvertire il resto dei partecipanti al comitato, Al» le ultime parole furono pronunciate molto lentamente, poi il ragazzo appoggiò il mento sulle mani intrecciate, in attesa della risposta di Albus.
Questi scrollò le spalle con una smorfia di indifferenza, «Come ti pare» e fece per alzarsi, ma Lysander lo tirò giù sulla panca. «Ma dove vai?» «Ad avvertire Lorcan» rispose in fretta Albus indicando il punto in cui era seduto il loro amico, chiedendosi dov’è che avesse sbagliato nell’interpretare la frase. «Non hai detto che dovevo avvertire gli altri? Visto che tutti quelli di Grifondoro li hai avvertiti tu, non credo che ci sia qualche Tassorosso che faccia parte del comitato organizzativo, che io sappia… quindi mancano i Corvonero» spiegò, convinto di aver colto le istruzioni dell’amico.
A quel punto, Scorpius guardò Lysander e poi lanciò un’occhiata lungo il tavolo di Corvonero, afferrando immediatamente il concetto. Trattenne l’impulso di scoppiare a ridere in faccia ad Albus per ciò che avrebbe dovuto affrontare, ma si contenne per non rovinare il progetto di Lysander.
«Oh, no» Lysander scrollò una mano «A mio fratello ci penso io»
«Allora non vedo perché ti serva il mio aiuto, amico» sentenziò infine Albus, incrociando le braccia sul tavolo, e sporgendosi sopra di esso. Lysander imitò il ragazzo, sporgendosi a sua volta sul tavolo, portandosi ad un palmo di naso da Albus. «Non c’è solo mio fratello in Corvonero» e pare che quell’unica frase bastò a far comprendere la dinamica della faccenda ad Albus, che indietreggiò inorridito e cereo in volto.
«NO» fu l’unica sillaba che Albus riuscì a pronunciare, perché se se ne fosse concesso un’altra avrebbe probabilmente vomitato. Lo stomaco gli si era rivoltato, e le viscere si erano annodate tra di loro come un gomitolo di lana che viene fatto cadere e subito dopo viene arrotolato alla meno peggio per cercare di nascondere il misfatto.
Lysander non vedeva il problema, «Scusa, ma se non ti piace più lei, che problema c’è? Devi solo avvertirla dell’orario e del luogo della riunione, tutto qui» disse, scrollando le spalle.
«Allora perché non l’avverti tu, visto che devi comunque parlare con tuo fratello?»
Il ragazzo alzò le braccia al cielo, come se la risposta fosse ovvia «Lorcan non sa ancora della festa, del comitato organizzativo, e della riunione, perciò devo parlargliene in privato, e con calma. La Nott, invece, è stata già ben informata da Rose, quindi non sarà una faccenda lunga» rispose «E poi, sono ancora in pessimi rapporti, quei due. Non mi sembra il caso. Perciò rilassati, bello. Sarà più veloce di una punturina, vedrai» e gli sferrò un pugno amichevole sulla spalla.
Albus, seppur ancora non del tutto convinto, si decise ad accettare, con grande giubilo di Lysander, che continuò a battergli dei pugnetti sulle braccia.
«E va bene, e va bene, VA BENE! BASTA!» esclamò Albus, scacciandolo via.
Scorpius, invece, si alzò all’improvviso e scavalcò la panca, «Dove stai andando?» lo richiamò Albus, per un attimo sconcertato da questo suo improvviso desiderio di fuga mistica. Scorpius, soprattutto se di cattivo umore, era solito alzarsi o congedarsi di colpo da un luogo o da una qualsiasi situazione all’improvviso, e certe volte senza guardare in faccia a niente e a nessuno.
Ci voleva davvero un enorme vagonata di pazienza con lui, e fortuna per Scorpius che Albus ne aveva per entrambi.
Scorpius non si voltò, e continuò a camminare, dando le spalle agli amici, rigido come durante una tempesta di neve, e bofonchiò «Faccio un giro, ci vediamo dopo»
Albus e Lysander si guardarono per un attimo, ma entrambi erano consapevoli che quel “ci vediamo dopo” probabilmente avrebbe costituito un bel po’ di tempo.
Poi Lysander si voltò verso il tavolo dei Corvonero, a cui dava le spalle, e proprio in quel momento notò che Alexandra Nott era in piedi e stava congedandosi dalle sue compagne, iniziando ad allontanarsi subito dopo.
Guardò di nuovo Albus, e gli tirò un pizzico sulla mano, facendolo saltare urlando per la sorpresa e per il dolore. «AHIO! Dì, ma sei scemo?»
«Muoviti! Sta uscendo dalla Sala!»
«Cos-»
«E sparisci, Albus!» fece, sporgendosi sul tavolo e spingendo con la mano l’amico, così che si muovesse. Meno male che c’era lui a spronarlo.
Albus si fiondò fuori dalla Sala Grande, fermandosi nel Salone d’Ingresso per ridarsi un contegno, e non sembrare un povero maniaco che rincorre una povera fanciulla, braccandola in una sala vuota per aggredirla. Se si fosse presentato con il fiatone, avrebbe fatto quest’impressione.
Già la ragazza lo credeva un povero scemo, e dopo il loro incontro in Guferia ne aveva avuto la conferma. Bastava un altro passo falso come quello ad etichettarlo come ‘maniaco seriale’ e sbatterlo ad Azkaban. Okay, forse stava un tantino esagerando.
La ragazza stava salendo le scale. Con molta calma, lui fece lo stesso, così che il loro incontro sembrasse del tutto ordinario e casuale, come due studenti qualunque che si trovano in un corridoio dopo le lezioni, in mezzo a tutti gli altri studenti, e si salutano, intrattenendosi a chiacchierare amichevolmente.
Peccato che erano nel Salone d’Ingresso, completamente deserto, nel bel mezzo della cena, loro due soli che non avevano mai intrattenuto alcun tipo di conversazione né amichevole, né di cortesia, mai.
Usa l’immaginazione, Albus.
«Ehi… Nott» usare il suo nome gli parve troppo confidenziale. Fortuna che c’erano i cognomi, che forse erano stati inventati esattamente per questo scomodo tipo di conversazione senza categoria.
La ragazza si fermò all’istante, sobbalzando leggermente. Era convinta che fossero tutti a cena.
Si voltò verso la persona che l’aveva chiamata, e rimase un po’ sorpresa che si trattasse di Albus Potter, visto che loro due non si erano mai frequentati, né tantomeno passavano del tempo insieme, se non durante i compleanni o altre occasioni di quel tipo. Forse era venuto a cercarla per quella specie di festa che stavano organizzando in occasione di Halloween. Sì, era senza dubbio per quella specifica ragione. Ma perché era venuto proprio lui? Poteva benissimo informarla Rose di qualunque cosa che fosse.
«Potter» rispose lei, inchiodando gli occhi su di lui. Le avevano sempre insegnato che in una conversazione non bisognava mai staccare gli occhi dal viso del proprio interlocutore. Era un segno di debolezza e disagio. Mai mostrare quando ci si sente a disagio. Ovvio che si trattasse di un momento del genere.
«Hai bisogno di qualcosa?» lo incalzò, incrociando le braccia al petto e arricciando impulsivamente il naso. Le capitava spesso quando parlava con qualcuno. Era una specie di tic.
«No, non esattamente, ehm…» borbottò Albus, un po’ a disagio anche lui, ficcandosi le mani nelle tasche dei pantaloni, giusto per aggrapparsi a qualcosa che gli mantenesse i nervi saldi. Impulsivamente gli veniva di abbassare lo sguardo. Quello della ragazza era così immobile che metteva i brividi.
Prese fiato per un secondo, «Sono venuto per avvisarti che ci troviamo tutti nella Sala Comune di Grifondoro, alle dodici e trenta di stasera, per iniziare a parlare della festa» spiegò, con un tono da araldo di corte, che gli sembrò così distruttivamente formale.
«Capisco» fu tutto ciò che la ragazza commentò, così Albus pensò che la discussione fosse già finita e, riluttante, decise di congedarsi. Scrollò un attimo le spalle, poi arricciò le labbra «Be’, allora…» «Credevo che ci saremmo incontrati domattina» lo interruppe Alexandra, riprendendo la questione. Forse non voleva concludere così in fretta la loro piccola chiacchierata.
Albus, ora più rilassato, si appoggiò alla ringhiera della scalinata, «In effetti, l’idea era quella» annuì, senza aggiungere altro, così che ci fosse un ulteriore possibilità di prolungare la loro chiacchierata. «Quindi?» chiese infatti lei, rimanendo immobile al suo posto, ma con gli occhi incollati su Albus, che sembrava aver già preso confidenza con la situazione. Beato lui, pensò.
«Nulla» scrollò le spalle, «Abbiamo solo deciso di anticipare a stasera, quando non avremo nessun seccatore fra i piedi, no?»
Alexandra annuì, pienamente d’accordo «Ma certo, capisco» fece una breve pausa, e Albus pensò che la discussione fosse veramente terminata, ma di nuovo la ragazza riprese la parola «In fondo, un conto è fare questa riunione alla luce del giorno, magari in un luogo affollato come la Biblioteca, con chiunque a portata d’orecchi, tra studenti, insegnanti e fantasmi. Un conto, invece, è farlo in una Sala Comune, o in un Dormitorio isolati e ad un’ora improbabile della notte» ponderò, e in uno slancio di coraggio, si portò anche lei vicino alla ringhiera, accostandosi di fianco per vedere Albus, anche se di profilo. Mai staccare il contatto visivo.
«L’unico problema che sorge è quanto tempo ci metteremo» disse Albus, anche lui mettendosi su un fianco, così da guardare in faccia la sua interlocutrice. Fortuna che lei si era messa a debita distanza da lui. Rimasero qualche imbarazzante secondo di troppo in silenzio.
«Già» convenne poi Alexandra, sempre restia dall’abbandonare il contatto visivo, che però Albus aveva interrotto più di una volta per rivolgere la sua attenzione agli scalini di marmo. «Speriamo di non perdere troppo tempo in chiacchiere, e risolvere davvero qualcosa» aggiunse Albus, «Insomma, non vorrei arrivare domani dalla McGranitt con due occhi gonfi e rossi come due pluffe» bofonchiò poi, e per la prima volta, nemmeno lui seppe come, Alexandra rise. E con lui. Non avrebbe mai immaginato di riuscire a raggiungere qualcosa di così lontano e, invece, eccola lì, che rideva, e gli stava di fronte. Rideva per un qualcosa che aveva detto lui. Non era una risata forzata, né troppo prolungata, né inequivocabilmente di pura educazione. Ma una risata. Leggera e breve, anche se non troppo. Una giusta via di mezzo.
«Idem per me. Non credo di voler passare due ore di Incantesimi stesa sul banco, con Vitious sopra la sua pila di libri che spiega gli Incantesimi Non Verbali» commentò a sua volta Alexandra, poggiando una mano sulla ringhiera, «Insomma, per quello c’è Storia della Magia»
Albus parve sconvolto. «È inutile che fai quella faccia» lo rimbeccò lei, notando la sua espressione, incrociando le braccia al petto e inarcando un sopracciglio. Il ragazzo rise. Non l’avrebbe mai detto. «No, scusa, è che non credevo che anche tu fossi una ragazza normale» fece, sottolineando ironicamente l’ultima parola.
«Che vuoi dire?»
«Oh, non prenderla come un’offesa, è che… intendevo che non credevo anche tu potessi odiare, o trovare noiosa una materia qui» spiegò immediatamente Albus, alzando il mento al soffitto, come a voler indicare il castello.
«Io credo che Rüf costituisca l’eccezione che conferma la regola» sentenziò Alexandra, ridendo seguita da Albus.
«Be’, è carino sapere che ci sono altre persone come noi, in questa scuola… Magari dovremmo organizzare una petizione per mandare in pensione quel vecchio cumulo di ectoplasma una volta per tutte» fece Albus, continuando a ridere assieme alla ragazza. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato così facile farla ridere e riuscire a intavolare una discussione civile e non da completo imbranato. «Non credo che il Ministero abbia un reparto per fantasmi pensionati, e non credo ci sia nessun tipo di contributo per loro… anche se Rüf riceverebbe una somma davvero ingente, per tutti gli anni di “lavoro” accumulati. Credo di invidiarlo» commentò invece Alexandra, e si tirò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Albus ebbe l’impulso di stringere il pugno per un istante, poi si rilassò.
«Oh, sul serio tu invidi un tizio che è morto addormentandosi davanti ad un caminetto? Ma fai sul serio?» scherzò, cominciando poi a ridere come un pazzo all’immagine del povero vecchietto che si addormenta da vivo e si risveglia da morto. La sua era una storia davvero divertente, anche se tremendamente triste, dall’altra parte.
Alexandra rise di nuovo, «Poverino»
Poi si voltarono entrambi verso il portone della Sala Grande, da cui iniziava a riversarsi la folla degli studenti «Allora» fece Albus, rivolgendosi di nuovo a lei, «Ci vediamo dopo, sì» lo precedette Alexandra, sorridendogli appena e voltandosi per riprendere la sua precedente meta. Il ragazzo le fece un cenno con la mano, «A più tardi» e sorrise anche lui. Poi un gruppo di studenti lo sorpassò e lui tornò alla realtà.




Rose era rimasta a guardare la porta della Sala Grande, dopo che Albus l’aveva varcata per raggiungere Alexandra, anche lei appena uscita. Le costava ammetterlo, ma Lysander aveva maniere più efficaci, per convincere Albus, delle sue. Anche se non voleva sapere quali fossero. Tutto ciò che succede tra i Serpeverde, resta tra i Serpeverde.
Dovevano essere passati ormai almeno venti minuti, e si chiese se durante questo tempo incredibilmente lungo per gli standard di Albus, fosse successo qualcosa di spiacevole. Sperò che Albus non combinasse nulla per far infastidire o arrabbiare l’amica, perché poi sarebbe stato praticamente impossibile convincerla a continuare con quel progetto della festa, in presenza del ragazzo.
Non riusciva a formulare nemmeno uno scenario positivo e piacevole della loro chiacchierata. Sapeva che Albus andava completamente in panne, quando si trovava a parlare con qualcuno con cui non aveva esattamente rapporti di familiarità. Nessuno avrebbe mai detto che Albus fosse un ragazzo timido, per la maniera in cui, in un certo senso, si atteggiava nei corridoi assieme a Lysander, Scorpius, e il resto della banda. Chiunque non lo conoscesse l’avrebbe inquadrato a prescindere nella categoria degli estroversi. Ma chi invece lo conosceva da tutto quel tempo, come Rose, sapeva bene che in alcuni casi era capace di rivoltarsi in sé stesso come una chiocciola. Bastava pensare a tutti i complessi che ritornavano puntualmente a stuzzicare la sua mente alla vigilia dell’inizio di ogni benedetto anno scolastico. Forse Albus era il ragazzo più insicuro che lei avesse mai conosciuto.
Qualcuno le toccò una spalla. Lei si voltò immediatamente, ritrovandosi di fronte Roxanne. «Allora, vuoi alzarti oppure no? Se ne vanno tutti» fece, andando poi a raggiungere Molly. Anche Rose si alzò.
«Rose» Lily la stava osservando da un po’ di tempo, e continuava a mantenere il viso serio, come se qualcuno le avesse appena comunicato che era stata cacciata dalla sua squadra. Un’espressione dura e indecifrabile, resa ancora più paradossale per via del naso arrossato e gli occhi leggermente lucidi di chi sta per prendersi una bella influenza.
«Dimmi» Rose si incamminò, con Lily al fianco, e insieme uscirono dalla Sala. Di certo Lily sapeva di poter dire qualunque cosa a Rose. Tra di loro c’era una sincerità alle volte quasi scomoda, ma pur sempre necessaria. Lily sapeva che, qualunque fosse la situazione, avrebbe potuto chiedere senza problema alla ragazza ciò che voleva sapere, certa che la risposta sarebbe stata sincera.
«Tu… prima…» Rose si voltò a guardarla dritta negli occhi, con la testa inclinata leggermente di lato ed un sopracciglio alzato «Prima hai detto qualcosa a Lysander. Cos’era?» domandò la ragazza, cercando di assumere un tono indifferente, come di chi butta lì una domanda, giusto per accendere una conversazione. Rose la guardò di nuovo, poi puntò lo sguardo davanti a sé. «Nulla di importante»
Di certo non poteva mettere al corrente di quella situazione tra Albus e Alexandra anche Lily, perché di certo avrebbe infastidito il ragazzo, che non aveva dato a nessuno il permesso di divulgare in giro la cosa, anche se in realtà lui non aveva detto assolutamente nulla a nessuno in merito a tutta la faccenda, ostinato com’era a negare qualunque cosa riguardante l’argomento.
Non ne aveva parlato con Lily, e anche se era sua sorella, e quindi aveva un qualche diritto di sapere, sarebbe stato solo Albus a decidere quando, se, e come dirglielo.
Ergo, questo non era il suo compito. Non toccava a lei informare Lily. Per ora, avrebbe dovuto tenerlo per sé. Avrebbe dovuto escluderla dalla faccenda. Era una cosa tra lei e Lysander. Anche se questo non l’avrebbe mai detto a Lily.
Lily annuì, abbassando lo sguardo sui gradini che stavano salendo, e rimasero in silenzio lungo tutto il resto del tragitto.
Arrivate in Sala Comune si congedarono gli uni dagli altri: Lily, Hugo e Roxanne si sedettero ad uno dei tavolini della sala per una partita di Spara Schiocco, mentre Molly e Sean si accomodarono sul divano a parlare amorevolmente come una di quelle coppie novelle, con esclusione di effusioni in pubblico (che Molly odiava), Rose, invece, salì con aria grave in Dormitorio a prepararsi psicologicamente per ciò che l’attendeva nel giro di un’ora.
Si stese sul letto con un braccio sugli occhi, e una mano sul torace. Natalie la guardava dal suo letto, alzando gli occhi dalla rivista che aveva in grembo, poi sorrise scuotendo la testa. Cambiò pagina, «Dovresti cercare di prenderla più alla leggera» mormorò, mantenendo gli occhi sulla rivista. «Insomma, va bene che un anno passa in fretta, ma se ogni volta che hai una ronda notturna fai tutta questa scena, be’, tesoro mio, quest’anno non passerà mai», Rose si alzò di scatto, mettendosi a sedere sul letto con le gambe incrociate «Ti farei passare tre ore intere con McLaggen, così capiresti il mio dilemma» si lamentò. Poi si gettò di nuovo sul letto.
«È noioso, presuntuoso, viscido, idiota, un pallone gonfiato e…»
«Aspetta, non stavamo parlando di McLaggen? A me sembra che questa sia la stessa descrizione che fai di Scorpius Malfoy» la interruppe Natalie, staccando gli occhi dalla rivista. Si passò una mano fra i capelli e posò la rivista sul comodino.
Rose agitò una mano a mezz’aria, «Fa’ lo stesso: sono fatti della stessa pasta, quei due vermi». Natalie rise, scuotendo la testa, poi si alzò.
«Eh, no! Non puoi riciclare le tue descrizioni» riprese poi, mentre cercava un cardigan nel baule «Nessuno di noi è fatto allo stesso modo»
«Ecco che ci risiamo con i tuoi momenti da filosofo mancato» bofonchiò Rose. Un maglione color malva le si andò a schiantare sulla faccia. «Grazie»
Natalie si avvolse nel cardigan più brutto che Rose le avesse mai visto indosso: era di un color fango così osceno che persino dei vermi avrebbero disdegnato un colore così assurdo per il loro habitat. L’espressione di Rose fu talmente esplicativa del suo disgusto, che Natalie la guardò supplichevole e si strinse nelle spalle, con aria afflitta. «Senti, è un regalo di mia nonna» fece, poi si sfilò i collant e li sostituì con delle lunghe calze di lana rosse.
«Stai cercando di vincere un premio per il guardaroba più osceno dell’anno? No, perché stai vincendo» disse Rose, osservando le calze rosse, che di per sé non erano brutte, ma insieme a quel cardigan costituivano un vero e proprio affronto alla decenza umana. Natalie scrollò la testa, «Non c’è nessuno in questa stanza oltre me e te, e io non mi faccio problemi nel sembrare un rigattiere nella mia camera. Sto solo cercando di scaldarmi» rispose. Si mise davanti alla stufetta che si trovava al centro della stanza, in cui un fuocherello gettava sprizzi bollenti e rossi, e disegnava ombre sul viso e sulla veste di Natalie.
«Diciamo che oggi non c’era il tempo ideale per un allenamento di Quidditch» spiegò la ragazza, girandosi di lato verso Rose «Sono sicura di essermi fatta un abbonamento per un’ipotermia annuale, con l’allenamento di oggi» e si portò le mani giunte a coppa alla bocca per soffiarci dentro. «O, più semplicemente, ti stai prendendo un’influenza» ribatté Rose, alzandosi dal letto e avvicinandosi all’amica. «Certo. Se mi ammalassi, Lily mi sventrerebbe. Non posso perdere gli allenamenti di Quidditch, Rose» protestò Natalie, guardando l’amica, che le stava posando una mano sulla fronte. La ritrasse dopo qualche secondo, «Sono convinta che Lily ti sventrerebbe se tu le svenissi dalla scopa al prossimo allenamento, al posto di sventrarti ora perché sei andata da Madama Chips, cosa che farai adesso!» le ordinò Rose, afferrandola per le braccia e costringendola ad alzarsi.
«Non vorrai infettare l’intero Dormitorio, mi auguro. No, perché io ho da fare» poi ci rifletté su, e aggiunse «Anche se mi piacerebbe rimanere al letto stasera, al posto di sorbirmi quel supplizio». Natalie le lanciò un’occhiataccia, e Rose si strinse nelle spalle «Che c’è? Nessuno verrebbe a controllare se sto davvero male! Potrebbe funzionare» fece, «Certo, e per il resto dell’anno continuerai a saltare le tue ronde notturne, sorvolando sui tuoi doveri da Caposcuola, e questo influenzerebbe molto negativamente sulla tua condotta, ne sei consapevole?» ribatté Natalie, incrociando le braccia.
Rose la guardò interdetta per un attimo, poi le puntò l’indice contro «Hai ragione» e abbassò lo sguardo. Senza poterne fare a meno si costrinse a guardare la sveglia sul comodino di Natalie: erano le nove meno un quarto. Entro quindici minuti avrebbe avuto inizio una delle più atroci torture della sua vita.
Si avviò verso il bagno, si lavò i denti e spazzolò i capelli. Si riallacciò il cinturino dell’orologio da polso; almeno avrebbe potuto tenere sotto controllo il tempo che le restava da passare con McLaggen. «Ti consiglio di andare immediatamente a letto, e anche di prenderti due coperte in più dall’armadio. Oh, e togliti quel cardigan» fece Rose, con solo la testa ancora dentro la stanza e il resto del corpo fuori. Riuscì appena in tempo a ritirare la testa, e a chiudere la porta prima che il cuscino che Natalie le aveva lanciato contro la raggiungesse.
Di sotto era ancora leggermente affollato, ma erano per lo più studenti dal terzo anno in poi. Quasi tutti i mocciosi erano andati nei loro Dormitori, probabilmente a dormire, oppure ad organizzare piccoli pigiama party che si sarebbero conclusi nel giro di un’ora, massimo due.
Eh sì, Rose parlava per esperienza personale: quando si presentava il venerdì sera, lei e le sue compagne saccheggiavano le cucine e rimanevano braccate nella loro stanza a divorare dolciumi e a raccontarsi storie dell’orrore – che di orrore avevano davvero ben poco –, in vista del weekend che le attendeva. Per quasi tutto il primo anno, queste riunioni si concludevano verso le dieci e mezza circa, dopodiché una ad una crollavano sul pavimento imbottito di coperte della camera. Dal secondo anno fino al quinto, le loro festicciole avevano gradualmente acquisito delle ore di durata in più: una volta, al quarto anno, Natalie, Rose e Katherine erano arrivate alle quattro del mattino, ma solo perché Katherine stava raccontando loro del “meraviglioso e affascinante” ragazzo babbano che aveva conosciuto durante le sue vacanze natalizie di quell’anno.
Tutto questo, ovviamente, escludendo le feste di compleanno delle ragazze. Era severamente proibito non organizzare un pigiama party in perfetto stile Grifondoro in un’occasione del genere.
Dal sesto anno, però, pur mantenendo la tradizione dei compleanni, queste feste notturne erano diventate sempre più rare. In un certo senso, le ragazze avevano perso interesse per cose di quel tipo: poteva essere elettrizzante a dodici anni, ma non più a sedici.
Anche se Rose era riluttante nell’ammetterlo, c’era anche un altro fattore da considerare: la loro amicizia si era molto trasformata, durante la loro convivenza ad Hogwarts. Rose, soprattutto, aveva iniziato a selezionare di più se, quando e di che cosa parlare e non parlare con chi che fosse. Persino Natalie, per un bel periodo, poté pensare di non conoscere affatto Rose Weasley, che aveva sempre ritenuto la propria migliore amica. Poi la ragazza aveva iniziato ad approfondire la sua conoscenza e il suo rapporto con Alexandra Nott in maniera più adulta, se così si può dire.
Al loro quinto anno, Alexandra, in uno slancio di coraggio nell’abbattere quelle barriere che separavano la sua vita personale e quella scolastica, aveva invitato Rose per le vacanze di Natale da lei. Inutile dire che dopo quell’esperienza vissuta assieme, grazie anche ad una notte in cui si verificò una tremenda tempesta di neve, e ad un pianto rivelatorio, le ragazze compresero che forse c’era qualcuno di simile a loro con cui rapportarsi.
Dopo di ciò erano cambiate molte cose. Ovviamente lei e Natalie continuavano a frequentarsi e a parlarsi con la stessa assiduità di prima (dopotutto, erano anche compagne di Casa e di Dormitorio), ma con le altre divenne tutto un po’ più pacato rispetto a come era cominciata.
Anche se a volte le dispiaceva ammetterlo doveva dire che erano di più le cose di cui non erano a conoscenza sul conto di Rose Weasley che le cose di cui erano a conoscenza. Un po’ triste, ma effettivo.
Suo fratello e le sue cugine erano ancora al tavolo da gioco, in fondo alla Sala, ma le carte erano state accantonate ad un angolo, sostituite da tre tazze fumanti di denso liquido scuro.
«Cioccolata, Rose?» le chiese Roxanne, accennando ad un piccolo bollitore di rame che doveva contenere quel nettare proibito. Anche Hugo e Lily si accorsero della sua presenza.
Rose prese posto al capo del tavolo, di fronte a Roxanne. Scosse la testa e agitò una mano a mezz’aria, «No, grazie. Magari dopo» rispose.
Lily starnutì due volte, e si passò un dito sotto il naso «Così lo irriterai, Lily» la rimbeccò Hugo, facendo Evanescere un fazzoletto nella sua mano e porgendolo alla ragazza. La rossa lo ringraziò con un cenno della testa, e starnutì di nuovo.
«Aspetti McLaggen?» Hugo si rivolse alla sorella, prendendo un sorso della cioccolata dalla sua tazza. Rose sbuffò e annuì, «Purtroppo il mio è un destino infausto, miei cari giovani» rispose. Si portò il polso all’altezza degli occhi, e sbuffò di nuovo: erano le nove e cinque. Se McLaggen fosse stato in ritardo, sarebbe stato di più il tempo da passare con lui.
Questo lei non poteva accettarlo assolutamente.
Rose guardò Lily, che aveva il naso ancora più arrossato di quanto ricordasse; ed era passata solo un’ora da quando si erano lasciate.
Le posò una mano sul braccio, «Lily, forse è meglio se vai a letto». In uno scatto che poteva sembrare un riflesso involontario, ma che a Rose non passò inosservato, Lily ritrasse il braccio. «Sto bene» rispose, poi starnutì di nuovo «Poi abbiamo la riunione del comitato, non posso mancare». Rose guardò un istante Hugo, poi si rivolse di nuovo a Lily «Ne faremo un’altra sicuramente anche sabato mattina, Lily. Almeno starai meglio. Così ti affaticherai soltanto e peggiorerai la situazione, credimi» le spiegò, con la voce lenta e calma di una mamma che cerca di dire al proprio figlio che non potrà partecipare ad una festa di compleanno perché è malato.
Lily non le diede retta, e si alzò dalla sedia, posando con un tonfo la tazza piena di cioccolata calda, che rovesciò qualche goccia fuori dal bordo. Si affrettò a raggiungere le scale per il suo Dormitorio. Prima di scomparire di sopra, si rivolse di nuovo ad Hugo e Roxanne «Svegliatemi per mezzanotte, vado a riposare un po’» poi si sentirono solo i passi della ragazza e una porta che sbatte.
«Ma che ha?» fece Roxanne, sbigottita per quel comportamento da bambina capricciosa. Lily odiava le bambine capricciose, quindi comportarsi come una di loro per lei era impensabile. «Forse è solo il delirio pre-influenza» constatò Hugo, fissando ancora per qualche secondo le scale. Appurato che Lily non sarebbe scesa molto presto, si concentrò di nuovo sulla sua cioccolata.
«A proposito, anche Natalie credo si stia ammalando» rifletté Rose, picchiando le dita sul tavolo, «Questa è la punizione di Lily» ribatté Hugo.
Rose lo guardò interrogativa, poi rivolse lo stesso sguardo a Roxanne. «Quella testa calda ha voluto continuare gli allenamenti di Quidditch di oggi pomeriggio nonostante il tempo: punizione divina» spiegò lei con una scrollata di spalle, e afferrò con tutte e due le mani la sua tazza, prendendone un sorso piuttosto lungo. Hugo annuì gravemente.
«Tu stai bene, vero?» chiese poi Rose al fratello, «Mi sento offeso nel solo ricevere questa domanda» rispose questi, lanciando un’occhiataccia alla sorella, che rise.
In effetti, Hugo aveva degli anticorpi fuori dal comune. Non si ammalava praticamente mai, un po’ per sua fortuna, un po’ per sua sfortuna. Le uniche volte in cui era stato portato o ricoverato in Infermeria, la causa era sempre e solo il Quidditch.
Oh, tranne quando al secondo anno ebbe un attacco di appendicite, e fu spedito in un comunissimo ospedale babbano di Londra (ovviamente la McGranitt dovette fare uno strappo alla regola sulla Smaterializzazione entro i confini di Hogwarts) per rimuoverla.
Oltre questo, mai un raffreddore, un attacco allergico, un’influenza, un’eruzione cutanea, acne, mal di testa, vescica gonfia… nulla. Forse solo la varicella a due anni.
Lui diceva che era tutto merito del Quidditch, e lo disse anche quando si ruppe un braccio cadendo dalla scopa durante uno dei suoi primi allenamenti; «Ti fortifica» aveva detto.
Improvvisamente le facce di Hugo e Roxanne divennero mostruosamente serie e scioccate, e rivolsero la loro attenzione alle spalle di Rose, che però non fece in tempo a voltarsi perché qualcuno le mise due grosse mani sugli occhi.
«McLaggen!» si divincolò da quelle due padelle da bistecca, e si alzò dalla sedia, inorridita. McLaggen parve deluso, e si imbronciò «Così non vale, Rosie. Dovevi aspettare che io dicessi: ‘Indovina chi sono’, e poi avresti dovuto indovinare» fece, scrollando le braccia lungo il busto.
Rose scosse la testa, e si rivolse a Hugo e Roxanne con uno sguardo che diceva “Ma avete capito con chi ho a che fare?”. I due preferirono concentrarsi sulla cioccolata calda.
«Allora, andiamo?» si riprese poi, con un sorriso smagliante stampato in volto. Rose annuì, sospirando «Certo».
«Con voi ci vediamo dopo» salutò il fratello e la cugina, e si incamminò verso l’uscita della Sala Comune, a debita distanza da quel viscido di Marcus McLaggen.
Uscirono in corridoio, e McLaggen fermò Rose per un braccio, che si voltò con gli occhi al cielo, «Ti ho portato una cosa, Rose» fece il ragazzo, cacciando la bacchetta dalla tasca e puntandola contro la sua mano chiusa a pugno.
Con un leggero e rapido movimento della bacchetta, nella mano di McLaggen comparve uno stelo di un bel verde scuro con in cima uno stretto cesto di petali rossi come il sangue: una rosa.
Che originale, fu il primo pensiero che le venne in testa.
Con un sorriso ancora più grande del precedente, le porse il fiore. Si può dire che Rose tentò di sorridere, ma il pensiero di ciò che avrebbe detto McLaggen l’esatto minuto dopo sulla scelta di quel fiore in particolare, mutò drasticamente il suo tentativo di sorridere in una smorfia indefinita.
Prese la rosa, e si voltò, impugnando la bacchetta.
«Un regalo più che azzeccato, no?» investigò McLaggen, seguendo Rose al piano di sotto con le mani dietro la schiena. «Insomma, una rosa per Rose!» fece poi, quasi aspettandosi un applauso.
Chissà quante altre volte la ragazza si era sorbita questa frase idiota e priva di senso. Analogamente, era come se qualcuno regalasse uno scorpione a Scorpius Malfoy e gli dicesse: «Uno scorpione per Scorpius» il che sarebbe stato sgradevole e offensivo, d’altra parte. Aspetta, ma perché prendere proprio Malfoy come esempio?
«Credo invece che non avresti potuto scegliere regalo più sbagliato, McLaggen» ribatté Rose, pungente.
Girarono l’angolo, e Rose fece cenno a McLaggen di fare silenzio. Sfoderò la bacchetta e puntò la luce contro la colonna che stava loro di fronte. Aveva sentito un rumore attutito di passi. Sperò che non si trattasse di Albus o di Lysander, in giro a combinare qualche danno a Gazza. Sperò che non si trattasse nemmeno di Gazza.
Anche McLaggen sfoderò la bacchetta.
«Okay, al tre lo Immobilizziamo» sussurrò Rose, poi alzò tre dita con la mano sinistra e ordinò «Nox» alla bacchetta. Ne abbassò uno, e mimò il conto con le labbra. McLaggen annuì e puntò la bacchetta, spenta.
Rose abbassò il secondo dito, e mimò di nuovo. Strinse l’elsa della bacchetta, e la puntò lentamente contro il presunto fuggiasco, sperando di nuovo che non si trattasse di Albus, o di nessun altro che non avesse legami di sangue con lei.
Abbassò il terzo dito. «Ora» mormorò McLaggen. Entrambi pronunciarono «IMMOBILUS!» e due sprazzi di luce volarono attraverso il corridoio, e rimbalzarono sulla colonna alla fine di questo, rispedendo l’incantesimo al mittente con varie scintille.
«Giù!» esclamò McLaggen, tirando Rose sotto di sé e coprendola con un braccio. La ragazza si rialzò quasi immediatamente, «Ma sei impazzito?» esplose, alzando le braccia in aria.
«Vuoi svegliare il castello?»
«Ti stavo salvando» si difese questi, sorridendo di nuovo. Rose batté un piede a terra, poi riaccese la luce sulla bacchetta e si avviò verso la fine del corridoio. Osservò alla sua destra e alla sua sinistra, ma non c’era nessuno. Il corridoio era deserto.
«Non c’è nessuno» borbottò, «Me lo sarò immaginato» e scrollò le spalle. Virò a sinistra, e continuò a camminare, senza aspettare McLaggen, che la supplicò di fermarsi e iniziò a implorare perdono per “averla spaventata”. Anche se ciò che aveva infastidito Rose non riguardava l’attentato alla sua vita, ma il fatto che McLaggen l’aveva praticamente atterrata con una gomitata.
Continuarono a camminare per un bel po’, probabilmente per un’ora (magari anche di più, sperava Rose). McLaggen continuava a tentare di spiegare perché era così convinto che la rosa fosse il fiore perfetto in sé, e perché fosse più che adatto ad essere donato a lei.
Si esibì in un lungo e filosofico monologo di quindici minuti almeno su quanto il nome di Rose le calzasse a pennello, e non solo per via dei suoi capelli rossi e il suo temperamento spinoso, ma anche per la passionalità nascosta che McLaggen era convinto avesse.
Sosteneva che servisse solo la persona giusta per farla uscire allo scoperto, e maturarla ogni giorno di più. Era sicuro che Rose sarebbe diventata la donna più bella e più focosa dell’intero pianeta, anche se le serviva un piccolo aiuto.
«Io credo che tu debba solo aspettare di trovare la persona adatta» questa frase la inseriva alla fine di ogni sua spiegazione sul perché, sul come, sul quando, sul dove, sul chi che riguardava tutta la faccenda.
Dire che Rose era stanca di lui era dire poco. L’idea di poterlo Schiantare e andarsene fu così tentatrice che, per ben più di un paio di volte, la ragazza si era voltata con la bacchetta alla mano. Ovviamente poi aveva pensato a tutto il resto, e l’idea le era passata. Bastava continuare a ignorarlo.
In fondo, aveva resistito per due ore intere, poteva ancora farcela senza stenderlo con una fattura o simili. Stavano controllando la zona della Sala Grande da almeno venti minuti, poi arrivarono ai corridoi che davano sul cortile.
Rose controllò l’orologio: le undici e trentacinque. Era quasi finita, poteva farcela.
Si accorse che il tempo le era a favore, perché le balenò in testa un’idea geniale per levarselo di torno forse per il resto della serata. Oh, sì, stava per liberarsene del tutto. E con mezz’ora di anticipo.
Rose e McLaggen arrivarono al bivio in cui il corridoio si separa in due sbocchi e porta ai due cortili esterni, quello del lato est e quello del lato ovest, e alla ragazza parve di non aver mai sentito un odore più piacevole di quello dell’erba appena tagliata proveniente dal cortile ovest, che stava per diventare la culla della sua pace.
Guardò McLaggen, «Ascoltami, Marcus, ho un’idea!» esclamò con fin troppo entusiasmo. Comunque McLaggen rimase con il sorriso stampato in faccia, e un’espressione incantata.
«Visto che il nostro turno è quasi finito» e qui il ragazzo parve aver ricevuto un sonoro ceffone in pieno viso, «Io direi di dividerci e finire con i due cortili esterni, così copriremo più terreno in meno tempo» fece Rose, sprizzando gioia da tutti i pori.
«Io credo sia meglio se li facciamo insieme. Male che vada, passeremo più tempo insieme, io e te» rispose invece lui, strizzandole l’occhio. Rose cercò di mantenere la calma, «Passeremmo un mucchio di guai, se non dovessimo finire a mezzanotte!» ribatté, con un tono ammonitore e severo. «Non credo che tu voglia essere appeso nei sotterranei per i polsi da Gazza» aggiunse poi, riuscendo a provocare l’effetto desiderato: McLaggen sbiancò in volto, poi annuì.
«Per te rischierei qualsiasi cosa, mia dolce Rose. Ma non potrei mai permettere che questi polsi vengano cinti da delle sudice catene» fece, prendendo le mani di Rose, e portandosele al petto. La ragazza si ritrasse di scatto, con una smorfia.
Poi si costrinse di sorridere di nuovo, «Allora siamo d’accordo» disse, poi si ricordò della cosa più importante «Oh, mi raccomando, una volta finito il tuo giro torna immediatamente in Sala Comune. Non vorrei che tu finissi nei guai per causa mia e della mia lentezza! Non aspettarmi, okay?». McLaggen, un po’ riluttante, rispose «D’accordo, Rose. Come desideri tu, ma se ti dovessi trovare in pericolo, grida e io accorrerò subito»
Rose si costrinse a sorridere. Perché ovviamente riusciresti a sentire qualcuno che grida da una distanza di sette piani, circondato da pareti spesse un metro l’una, pensò tra sé e sé.
«Mi sono divertito davvero tanto stasera, Rose» fece McLaggen, prendendole la mano, e stampandoci sopra un bacio. Rose sgranò gli occhi e si allontanò con un cenno della mano. «Ci si vede in giro, McLaggen»
Imboccò il corridoio con la velocità di un corridore che ha appena visto il traguardo, e iniziò a correre davvero non appena vide il cambio di direzione a sinistra del corridoio. Non appena fu certa di essere arrivata all’estremo opposto da dove lei e McLaggen si erano divisi, si fermò, e nonostante l’aria fredda e l’odore della pioggia che era caduta durante l’intera giornata, prese una lunga boccata d’aria, spalancando le braccia, e chiudendo gli occhi. Fu sopraffatta dalla tranquillità di quel posto, a quell’ora. Nessuno studente in giro, né professore, né rospo o gatto di nessun tipo che gironzola fuori dai Dormitori. Nessuna corsa per raggiungere la Sala Grande o una delle aule per le lezioni mattutine e pomeridiane. Nessuna coppietta nascosta dietro una colonna a pomiciare. Nessuna zuffa tra compagni. Nessuno schiamazzo. Nessuna voce. Nessuno. Solo il vento che stuzzicava le foglie della quercia al centro del cortile interno, e il respiro di Rose che andava a tempo con il battito leggermente accelerato del suo cuore. Si sentiva al di là del tempo, come se questo si fosse fermato, cristallizzato in quel momento così prezioso perché era un momento solitario, uno di quei momenti che noi non riusciremmo mai a ricordare se non ce lo godessimo da soli. Soli con noi stessi, e con le gambe che cedono per l’emozione di essere soli.
È così facile sentirsi soli in mezzo ad una folla, ad una festa, durante il pranzo, in famiglia, in classe, passeggiando per la strada, ma quante volte possiamo davvero avere la fortuna di dire che siamo soli?
Non è quel tipo di solitudine che ci fa pizzicare gli occhi e ci attenta la bocca dello stomaco, è quella solitudine che ci fa capire chi siamo, che ci rivela, nel silenzio del momento, un piccolo segreto di noi stessi che nemmeno noi, fino a quel momento, conoscevamo.
Magari è il momento perfetto per una rivelazione interiore. All’improvviso hai un compito da svolgere, qualcuno da incontrare, qualcosa di cui parlare.
Il momento in cui sei solo può durare anche solo un istante, ma in quel preciso momento, quell’intimo momento, avrai la rivelazione che ti spingerà a tornare dove la solitudine non è contemplata, ma sai che potrai ritrovare quel posto, non quando vorrai, ma quando ne avrai bisogno.
Non possiamo cercare noi stessi il posto in cui stare soli. È lui, invece, che viene a cercare noi, quando avverte che è il momento.
E bisogna cogliere quel momento.
Perché c’è sempre qualcosa che può rovinarlo. Come l’odore del fumo di una sigaretta.
Il vento s’impregnò di un acre odore di fumo, un odore sgradevole e pungente.
Rose si guardò intorno, e si chiese se, invece che di una sigaretta, quell’odore non fosse qualcosa di più grande. E se stesse bruciando qualcosa? Forse Hagrid aveva allestito un fuoco per riscaldare gli Ippogrifi, e questo aveva preso volume!
Qualcosa, nell’oscurità, attirò la sua attenzione. Era stato per un secondo, e se Rose non si fosse guardata attorno, probabilmente non l’avrebbe mai notato. Un piccolo cerchietto di brace lampeggiò per un istante nel buio del corridoio, poi fu inghiottito, così com’era venuto. Al suo posto si formò una voluta di vapore. No, non vapore; fumo.
Era senz’altro una sigaretta. Qualcuno stava fumando nei confini di Hogwarts.
Ovvio, molti ragazzi lo facevano, ma quando non c’era il coprifuoco, alla luce del sole. Chi era quel pazzo che poteva avere voglia di uscire con quel freddo, e solo per fumarsi una sigaretta? Sicuramente qualche fuori di testa.
Rose, per un attimo dimentica di essere la Caposcuola e di essere ancora in turno di ronda, si avvicinò senza nemmeno puntare la bacchetta contro il colpevole.
In un’altra situazione, probabilmente, sarebbe rimasta sconcertata nell’appurare di chi si trattasse, ma in quel preciso momento non aveva alcun dubbio di chi si stesse nascondendo a quell’ora in quell’ala isolata del castello, nell’oscurità della penombra.
La ragazza alzò lo sguardo verso il punto in cui il plenilunio gettava ombre bianche sui capelli di quella persona, ma sapeva che il riflesso della luce non aveva alterato nemmeno di una gradazione il colorito “naturale” (per quanto Rose continuasse a considerare quel colore finto) di quella chioma. In un altro momento, Rose si sarebbe annunciata con una delle sue battute, ma rimase in silenzio e immobile, come se l’aura del ragazzo l’avesse istantaneamente congelata sul posto. Nemmeno lui si mosse, sembrava addirittura che non l’avesse notata. Prese un’altra boccata di fumo, accompagnata da un lungo sospiro. Evidentemente quel momento lo stava rilassando. Forse sarebbe stato scortese interromperlo. In fondo anche lei aveva cercato un po’ di pace in quella fredda notte di luna piena.
Il ragazzo aveva le gambe incrociate e la schiena incurvata come a formare un arco: l’effetto che la luce provocava sulla schiena e sul capo la stava incantando in una maniera che lei non avrebbe mai saputo provocare con nessuna magia, nemmeno con condizioni temporali come quelle. Tutti i lineamenti delle spalle e della schiena erano come ricalcati in un disegno ben studiato.
Se non fosse stato chi era, Rose sarebbe rimasta a guadare quella scena anche per sempre.
Rimase dietro la colonna. Ora era certa che lui non l’avesse vista.
Le sarebbe dispiaciuto rompere quell’incantesimo del tempo, in cui la sua figura era cristallizzata in uno scenario di pace e silenzio.
Sapeva che erano pochi quei momenti in cui una persona riesce a stare sola. E sapeva bene che ogni momento, dopo la sua conclusione, poteva non tornare tanto presto e tanto facilmente. Sapeva bene quanto le piacesse stare sola, e sapeva bene quanto poco ci riuscisse. Sapeva bene che lei stessa non avrebbe mai voluto che qualcuno interferisse nel suo attimo di solitudine. La figura appoggiò due dita sul muretto a cui era poggiata, e spense la sigaretta con un lento e calcolato gesto. Della cartina era rimasto poco più che niente, e quell’attimo di pace consumato insieme al tabacco si dissolse nel momento in cui il filtro della sigaretta cozzò contro la superficie di pietra del muretto, sprigionando le ultime ceneri rimaste.
«Evanesco» una timida luce di bacchetta illuminò per un secondo ciò che rimaneva di quell’attimo di solitudine, poi portò via con sé il filtro schiacciato e le ceneri.
La figura si mosse, e ripose la bacchetta all’interno delle tasche. Rose si voltò di schiena, appoggiandosi alla colonna dietro la quale era nascosta, e chiuse gli occhi.
Un ultimo sospiro, di quelli che non si possono trattenere quando si sa che il proprio attimo di solitudine è giunto al termine e che l’attesa del prossimo potrebbe essere straziante, poi, un rumore di passi annunciò a Rose che Scorpius Malfoy se n’era andato.






Era l’una del mattino, ormai, quando la Sala Comune dei Grifondoro si era schierata in due fronti opposti. Più di una volta, nell’arco di quella mezz’ora, si era sfiorata la tragedia, tra gli schiamazzi e i richiami dei partecipanti al comitato organizzativo della festa di Halloween. Fortuna che la riunione avrebbe dovuto essere tranquilla e nel limite della decenza e nel rispetto per i loro compagni assopiti. Da una parte c’erano Lorcan, Roxanne e Albus, che avevano avuto l’idea di dare un tema alla festa, e soprattutto di farne una in costume. Dall’altra c’erano Molly, Hugo, Alexandra Nott e anche Lucy e Louis Weasley, che erano stati informati del loro proposito dopo la cena di quella sera, che sostenevano fosse scontato e ridicolo organizzare una festa in costume, soprattutto visto che loro erano maghi e streghe, e i costumi più diffusi ad Halloween tra i Babbani trattavano interamente del loro mondo, perciò era semplicemente una trovata idiota. «Ci vestiremmo come ci vestiamo tutti i giorni» aveva detto Alexandra, incrociando le braccia sulla faccenda. Lei e Lorcan si erano a malapena salutati, però cercavano di far finta di nulla, e ignorare la spiacevole situazione che si era venuta a creare fra di loro. Albus vigilava su di loro.
Diciamo pure che, in quel caso, il discorso avrebbe potuto concludersi molto facilmente, vista la maggioranza della controparte ma, visto che ancora quattro dei membri ufficiali del comitato non avevano ancora votato, Albus e Roxanne continuavano a non demordere nella maniera più assoluta. Infatti, Lily e Lysander avevano intavolato una loro discussione sul Quidditch, continuando con una serie di frasi del tipo «Il match di novembre sarà dei Grifondoro!» oppure «Noi Serpeverde siamo molto più allenati, prenderemo il Boccino d’Oro dopo i primi dieci minuti!», e così via. Ovviamente erano stati richiamati più volte all’attenzione (soprattutto da Albus), ma quelli li avevano sempre gentilmente invitati ad avviarsi verso quel paese.
Invece, altri due membri mancavano proprio dalla stanza: Hugo aveva incontrato McLaggen in Sala Comune, pochi minuti dopo mezzanotte, di ritorno dalla ronda notturna, e gli aveva riferito che Rose sarebbe tornata da sola, e che non occorreva andarla a cercare. Scorpius aveva comunicato ai ragazzi che sarebbe andato a farsi una sigaretta e poi sarebbe tornato in camera, perché non aveva voglia di rimanere sveglio fino alle tre per sentirli discutere, sapendo che non avrebbero concluso nulla.
«Etciù!»
«È il tuo sesto starnuto nel giro di dieci minuti. Sicura di sentirti bene?» chiese Lysander, porgendo a Lily un fazzoletto. «Non serve che li conti. È imbarazzante» rispose invece la ragazza, prendendo il pezzo di carta e soffiandosi il naso. Si strofinò gli occhi. Aveva davvero una gran voglia di andare a dormire, per dimenticarsi di quel suo continuo starnutire durato quasi tutto il giorno, ma si trovava troppo bene a parlare con Lysander, in quel momento, che avrebbe potuto resistere anche tutta la notte. Sperando di non crollare addormentata prima.
«LILY!» Albus la richiamò di nuovo, e la ragazza si voltò a fulminarlo con lo sguardo. A denti stretti, rispose «COSA CAVOLO C’È?»
«Vorremmo anche la vostra opinione» intervenne Lorcan, in aiuto di Albus, che rimase come immobilizzato dopo la “risposta” della sorella. Quella ragazzina era davvero pericolosa.
Lysander scrollò le spalle, «Ah, non lo so, fratello… quello che volete» fece, agitando una mano a mezz’aria. Roxanne spalancò la bocca indignata «Ti ricordo che è stata una tua idea, quella della festa, Lysander» lo rimbeccò, alzandosi dal suo posto e andandogli a puntare un dito ad un centimetro dal naso.
Il ragazzo indietreggiò, preso in contropiede, poi si scompigliò i capelli con una mano, e diede in una piccola risata «Avete ragione» si scusò, «Comunque ho prestato attenzione, e mi trovo ad essere d’accordo con i contro alla festa in maschera». I pro alla festa, d’altra parte, si diedero ad un coro infinito e lamentoso di «Oooh» prolungati, e per un po’ agli altri sembrò di stare assistendo ad uno di quei canti liturgici che si fanno in chiesa.
Hugo si mise a ridere, e puntò contro Roxanne un indice «Un’altra tua idea bocciata, Rox». La ragazza, d’altra parte, si alzò e spinse il cugino giù dal bracciolo del divano su cui stava appollaiato come un gufo sul suo trespolo. Precipitò a terra con un tonfo, atterrando con le gambe all’aria.
«Così impari» mormorò Roxanne tra i denti, tornando a sedersi.
«Lily?» fece poi Alexandra, girandosi a guardarla. La ragazza ci pensò su per un po’, poi disse «Non sono sicura di poter dare una risposta ora» e starnutì, poi aggiunse «Io non boccerei immediatamente l’idea, ma magari opterei esclusivamente per la maschera».
I ragazzi parvero rifletterci su, «Potremmo prendere una decisione definitiva domani pomeriggio» propose Albus, e Alexandra – con sommo compiacimento da parte del primo – lo appoggiò, «Potremmo incontrarci in Biblioteca» disse.
«Non credo sia una buona idea, in Biblioteca» constatò Roxanne, «E perché?» ribatté Albus, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
«Se Madame Mel si trovasse quindici ragazzini a creare scompiglio in uno dei suoi preziosissimi reparti, ci affatturerebbe» spiegò Hugo, «Peccato che sia una Magonò» bofonchiò Molly, «Sai cosa volevo dire». Molly agitò una mano a mezz’aria come risposta, poi lo ignorò.
«Potremmo anche non andare tutti» disse Lorcan, «Non credo ci sia bisogno della presenza di ognuno di noi». Gli altri annuirono, «Ma chi va?» fece Lucy.
Tutti si scambiarono un’occhiata, poi la loro attenzione fu catturata dal buco del ritratto della Signora Grassa che si stava aprendo, e balzarono in piedi allarmati, alcuni con le bacchette sguainate.
Poi una chioma rossa fece capolino nella Sala, alzando le braccia in segno di resa, sconvolta da quell’accoglienza così brusca, e gli animi si calmarono.
Alexandra si avvicinò a salutare l’amica, sussurrandole di nascosto nell’orecchio «Ma che fine avevi fatto?», ma Rose si limitò a scrollare le spalle, e salutò gli altri. Si andò a sedere vicino a Lorcan, scompigliandogli i capelli con la mano, «Non ci si vede da un po’» gli sorrise, venendo poi ricambiata sia del gesto che del sorriso.
«Allora, aggiornatemi»
«Avevamo in mente di fare una festa in maschera…» cominciò a spiegare Lorcan, passando lo sguardo ad Albus e a Roxanne, «Oh, no dai! È un’idea ridicola per noi maghi!» lo interruppe immediatamente Rose, con una smorfia inorridita. Alexandra rise.
Lorcan incrociò le braccia al petto, e rimase zitto, indispettito sia dalla presa di posizione immediata di Rose, sia dal fatto che era stato interrotto ancora prima di cominciare a parlare. Alexandra riprese a spiegare, «Così, Lily ha proposto una festa in maschera. Quindi non dei costumi, ma solo una maschera» disse. Rose parve convinta dell’idea, e annuì partecipe.
«Comunque dovremmo decidere ufficialmente domani pomeriggio, in Biblioteca, ma ovviamente non tutti» spiegò poi Albus, e Roxanne aggiunse «Sia, ovviamente, per non destare sospetti, sia per non dare un pretesto a Madame Mel di scassar-…» «ROXANNE!» Molly la fermò in tempo, e la ragazza si zittì.
Tutti si scambiarono un’occhiata, poi Hugo disse: «Allora, chi va?»
La mano di Albus scattò immediatamente, assieme a quella di Lysander. Albus sperò che subito dopo si alzasse anche la mano di Alexandra, visto che la proposta della Biblioteca era stata sua, ma lei rimase ferma, con lo sguardo puntato su Rose. Sperava che fosse su Rose, ma poteva anche essere puntato su Lorcan.
La mano di questo si alzò in aria, e anche quelle di Rose e di Lily. Gli altri si astennero.
«Okay, andrete voi» decretò alla fine Roxanne, fregandosi le mani, «Adesso vado a dormire» annunciò poi, alzandosi dalla poltrona e salutando tutti con la mano. Anche Molly le si accodò, augurando la buonanotte a tutti.
Lorcan si alzò insieme ad Albus che disse: «Be’, direi che la riunione è ufficialmente conclusa», poi si diresse verso Lysander e gli batté una mano sulla spalla, «Che dici, amico?» e il ragazzo, seppur riluttante nell’andare via, salutò velocemente Lily, e poi gli altri, dirigendosi fuori dal buco del ritratto assieme a Lorcan e ad Albus. Anche Hugo uscì di scena.
Alexandra rimase ferma sul posto per un po’. «Vuoi che ti accompagni?» si propose Rose, toccandole un braccio, «Capisco che tu non voglia tornare in Sala Comune da sola con Lorcan»
La ragazza la guardò, e sorrise debolmente «Non è necessario che tu mi accompagni, tranquilla. Solo preferirei avere cinque minuti di vantaggio».
«Alexandra, torni con noi alla Torre?» intervenne all’improvviso Lucy, avvicinandosi a Rose per salutarla. Alexandra, in risposta, annuì e sorrise grata a Lucy, poi abbracciò velocemente l’amica, salutò Lily e si avviò con Lucy e Louis attraverso l’uscita.
Rimaste sole, Rose guardò Lily, che però non ricambiò lo sguardo. Era seduta ad un tavolino vicino ai divani, di fronte alla sedia che per tutta la riunione era stata occupata da Lysander. Si guardava le mani, e continuava a inspirare rumorosamente con il naso, evidente sintomo di un’influenza imminente.
Rose si sedette di fronte a lei, «Come va il raffreddore? Natalie mi ha detto che vi siete inzuppati fin dentro il midollo, oggi pomeriggio, giù al Campo» disse «Credo si sia presa l’influenza»
Lily però non rispose, continuò a far finta di nulla. «Si era addirittura messa un cardigan color fango e delle calze pesanti rosse! Insomma, lei odia i cardigan, e non sopporta le calze pesanti… dice che le danno prurito» continuò a raccontare Rose, pensando che a Lily servisse solo un modo per distrarsi dal malanno che, se non aveva già contratto, stava contraendo, «Perciò a quel punto ero sicurissima che stesse male, altrimenti l’avrei fatta internare per stato di infermità mentale e atti osceni in luogo pubblico» e rise, convinta che anche la cugina si sarebbe unita a lei, ma questa continuava a rimanere in un religioso silenzio, in contemplazione delle sue mani intrecciate.
Rose la guardò intensamente. «Lily, ma che hai?»
D’improvviso, Lily si alzò dalla sedia, con lo sguardo ostentatamente rivolto verso il basso, «Vado a dormire» fu tutto ciò che disse, lasciando Rose nella penombra della Sala Comune di Grifondoro, sola, alle due e un quarto di venerdì mattina.






Solo quattro ore dopo, comunque, vuoi un po’ per i chiari segni premonitori, vuoi un po’ per i malocchi che le avevano lanciato, Lily Potter fu portata urgentemente in Infermeria con una bella influenza e una temperatura di trentanove gradi centigradi, in stato di momentanea incoscienza.
Qualche ora dopo il suo ricovero, la stessa sorte (tranne per lo stato di incoscienza) toccò a Natalie Miller, che svegliò Rose in preda al panico per via dei suoi brividi di freddo, poco prima che la loro sveglia suonasse. Ovviamente, anche il resto delle loro compagne si alzò allarmato.
E finalmente, alle dieci di quella mattina, dopo che Lily ebbe ingollato una tazza di tè fumante, e la sua temperatura fu scesa ad un trentasette e mezzo più stabile, si prese una bella strigliata da Madama Chips per via della sua incoscienza nel volersi allenare senza sentir ragione per tutto il pomeriggio sotto una pioggia torrenziale e gelata. Le disse che conseguenze per azioni del genere non si erano ripercosse solo su di lei, ma anche sul resto della squadra, per Natalie soprattutto, ma anche per gli altri, che avrebbero dovuto rinunciare ai prossimi allenamenti, o perlomeno farli senza di loro.
La stessa ramanzina fu rimessa in scena da parte di Hugo, quel pomeriggio, quando andò ad accertarsi assieme a Lucy, Louis, Roxanne e Molly delle condizioni della cugina.
Lily, che non voleva ascoltare ulteriori rimproveri, aveva mandato giù tutto d’un fiato la Pozione Soporifera che Madama Chips le aveva messo sul comodino in caso avesse voluto riposare ma non ci fosse riuscita.
Si addormentò quasi subito, facendo indignare Hugo, che uscì dall’Infermeria imprecando amaramente contro Salazar.








Note di Ilhem: Giuro che stavolta sarò davvero breve, perché, onestamente, non ho nulla da dire che valga la pena di essere aggiunto. Perdonate il tempo che ho impiegato per scrivere, ma la lunghezza e l'introspezione del capitolo richiedevano molta più attenzione di quanta io ne abbia messa precedentemente. Mi auguro che questo capitolo piacerà a voi, come a me. Il tema centrale (al di là del titolo, che può introdurre un qualcosa di banale) è la solitudine; non quella intesa nel suo essere negativo, ma in quello positivo, come spero abbiate capito. Non so cosa ne pensiate voi, a proposito di quei momenti in cui ogni individuo conserva sé stesso nella propria integrità, né quante volte vi capiti di restare soli in quel modo, né se vi piaccia o vi sia di aiuto, ma per me sono quei momenti in cui riesco a sentirmi parte di qualcosa (spero di non suonare troppo come una moralista).
Comunque, questi momenti torneranno ad essere molto importanti per la storia, e per i suoi personaggi, man mano che il tutto proseguirà. Lascio a voi eventuali commenti, o, perché no, anche domande, se ne avrete.
Alla prossima,

l'autrice.
   
 
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