Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Always221B    22/07/2016    5 recensioni
-Agghiacciante. - commentai.
-Oh non essere sciocco. E' invenzione pura.
Gli passai la lettera, e lui estrasse un foglio giallognolo.
Bloccai la sua mano con la mia, trattenendolo.
-Andiamo John, non sarai mica superstizioso? -mi domandò Sherlock, sistemandosi la camicia viola.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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E che cavolo! Su questo capitolo ci ho decisamente sudato sopra quindi vi prego non siate cattivi ahahahah!
Molto probabilmente farà schifo (sì lo fa, ma ormai non sapevo più come fare per provare a renderlo almeno un po' più carino). 
Spero che non vi venga da vomitare D: 
Lasciatemi una recensione, più vado avanti con la storia più ne necessito x.x
Grazie a tutte voi che commentate, leggete e preferite (o ricordate o seguite) questa storia, grazie davvero!
Ora vi lascio finalmente al grande incontro!


PS: vi lascio morire in questi occhioni ;3




                      

                  






                                                                                                          Incontri in campagna




L'odore del caffé arieggiva nell'androne dell'hotel, proveniente dal bar. 
Era un pomeriggio freddo, ma meno di quelli ai quali mi ero abituato.
Il sole pomeridiano tentava di farsi strada nel cielo bianco, squarciando tratti di nuvole e sbucando fuori debolmente.
La porta dell'albergo spalancata, ed io ed il mio amico eravamo pronti per andare finalmente a risolvere il nuovo caso.
Il cappotto gli stava così bene, il bavero sollevato che metteva in risalto gli zigomi marcati che sovrastavano quell'incredibile bocca a cuore, piena e dannatamente morbida.
'Dannazione, non c'entrano nulla le sue labbra ora.' mi ritrovai a pensare.
Erano secoli, a sentir le sue lamentele,che non intreprendevamo un'avventura.
Peccato che nemmeno due settimane prima si fosse beccato un proiettile durante un inseguimento.
Era tutto pronto, e il taxi arrivò spaccando il minuto, alle 15:00 esatte.
Aprii la portiera e mi infilai all'interno della vettura, imitando il mio amico.
Sherlock espose i fatti del caso, ma non perché me ne fossi dimenticato, piuttosto perché aveva bisogno di riflettere ad alta voce.
-Madre e figlia spariscono dalla loro casa di campagna, l'uomo, che era via per lavoro quando è rincasato ha trovato l'abitazione vuota. - cominciò il detective.
-Davanti alla porta del sottoscala era presente una filastrocca. - aggiunsi, sotto lo sguardo indagatore del mio amico.
-Ok, e questa favoletta dovrebbe riportare in vita una bambina che venne assassinata anni prima in quella stessa casa. - aggiunse il mio amico. -Che cosa ridicola.
-Però hai accettato il caso. -affermai.
-Tutti questi fenomenti privi di una vera e propria spiegazione scientifica non esistono. E' lampante che è qualcuno che si spaccia per un fantasma. - continuò Sherlock, 
evidenziando con sufficienza l'irrazionalità del paranormale.
-Non hai una mente molto aperta. - contestai, nonostante sapessi bene che il mio buon amico non si sarebbe lasciato convincere di una cosa tanto infantile quanto i 
fantasmi. 
Lui mi guardò sconcertato, con la bocca semi spalancata, come se la mia risposta l'avesse in qualche modo offeso.
-Non posso andare oltre.- affermò il taxista, bloccando la nostra disputa.
Eravamo arrivati in fretta. 
-Perfetto, proseguiremo a piedi. John, pagalo. - disse il mio coinquilino, sistemandosi bene il cappotto e scendendo dall'autovettura. 
Pagai l'uomo e seguii il consulente investigativo. 
Il fisico agile e snello gli aveva permesso in pochi istanti di superarmi di qualche metro.
Osservavo le sue spalle, rendendomi conto di quanto i miei occhi potessero essere beati, in quel momento.
Sherlock seguiva la piccola stradina di ciotoli che, illuminati dal sole, indicavano la strada da percorrere per arrivare alla tanto attesa casa. 
Il mio amico si voltò a guardarmi un paio di volte, sbuffando, come se volesse spronarmi ad aumentare il passo. -Muoviti John. - disse infatti ad alta voce.
Lo raggiunsi dinanzi alla portone dell'ingresso, il legno pregiato ma stranamente rovinato.
-Deve piovere spesso, qui. -affermò il mio amico. -Guarda in che condizioni è la porta d'ingresso.
Bussò un paio di volte, ma nessuno aprì. 
-La loro governante è un'anziana signora che non ha ancora capito da che parte si trovi la porta d'ingresso. -disse Sherlock, con un tono che lasciava intendere un 
sottile disgusto.
-Governante? -domandai.
-Sì John, pensavo che il tuo udito da soldato fosse ancora abbastanza buono. Se ascolti bene si sente che la casa non è vuota, dal rumore dei passi è facile notare
che si tratta di una persona molto lenta perché pesante ed anziana. Perché proprio anziana e non solo sovrappeso? - chiese, guardando la mia espressione concentrata
nell'ascoltare le sue parole.
Mi sporsi verso la porta, come per sentire meglio i rumori che il mio amico sentiva all'interno dell'appartamento, ed annuii nel momento in cui li udii anche io.
-I passi di una persona grassa ma giovane hanno un suono che varia da quello di una persona di una certa età -disse, guardando le margherite e le rose del giardino.
Una vecchina aprì il grosso portone di pochi centimetri, timorosa di sapere chi si nascondesse dall'altro lato della porta.
-Chi è? - domandò, con una voce bassa e gentile.
-Sherlock Holmes, e il mio fidato blogger, John Watson. - ci presentò il mio amico. 
Nel viso pieno di rughe della donna si allargò un sorriso leggero, di cortesia. -La stavamo attendendo signor Holmes. -disse.
La signora spalancò la porta, facendo entrare il mio collega, e mi guardò diffidente come se non fossi accetto quanto lui.
-Io non lavoro senza Watson. -affermò Sherlock.
Arrossii, come un dannatissimo quattordicenne.
-Ecco vede, non lo conosco. - rispose lei, infastidita dalla mia presenza.
-Sherlock, aspetto fuori.- dissi al mio amico.
Mi intristiva l'idea di fargli abbandonare ancora una volta il caso, ma nonostante questo rimasi piuttosto seccato dal comportamento della vecchia.
-Non uscire da quella porta. - mi ordinò. -Bene signora...
-Signorina Leninghway. -disse lei, meccanicamente, sistemandosi il vestito impolverato. 
-Signora Leninghway, io non lavoro senza il mio compagno. - si impose, ricalcando l'appellativo 'signora' . -Constatato il suo rifiuto può anche dire al suo padrone che non è più un mio cliente.
-Mi perdoni. Entri pure. - disse la donna grassoccia, rivolgendosi a me.  
'Sul serio?' pensai.
-Perfetto.-annunciò il mio buon amico, tirandomi per il maglione nuovo. -Vieni qua. -sussurrò. 
Sherlock tolse dalla tasca la sua lente portatile, esaminò con attenzione ogni centimetro della casa, immerso nel suo famigerato palazzo mentale.
-E' ricco. - affermò, parlando del nostro cliente. 
Io guardai stranito il mio coinquilino, poi riguardai la casa, sconcertato dall'aspetto povero. -Non sembra. - affermai.
-Tu guardi ma non osservi. Ha molti dipendenti, una governante, un giardiniere, una donna delle pulizie e una babysitter.  -disse, in un sol fiato.
-Che se ne farebbe se sua moglie era una casalinga? - domandai, non comprendendo il filo del suo discorso.
-Ovviamente lei non è una casalinga. Alle tue spalle, nell'angolo destro c'è una fotografia. Cosa ne deduci? - mi chiese.
Mi voltai, e dinanzi a me vidi l'immagine di un uomo illustre, vestito di tutto punto, come per una festa di gala, al suo fianco una donna di una straordinaria bellezza.
I capelli ricci scendevano morbidi sulle sue spalle, e gli occhi verdi risaltavano grazie al rossetto chiaro. 
La signora teneva in braccio una bimba dal colorito chiaro e i capelli biondi di suo padre, ma gli occhi erano dello stesso verde oliva di quelli della mamma.
-E' una bellissima donna. - commentai.
L'espressione di Sherlock assunse nuovamente i tratti di disgusto, un sopracciglio sollevato. -Come sei superficiale. Le mani John, osserva le mani.
-Sono curate. - risposi, imbarazzato dalla smorfia che aveva assunto la bocca del mio amico.
-Esattamente, manicure e trucco perfetti e coordinati all'abbigliamento. I capelli sono acconciati con eleganza e cura. - disse lui.
-Non è una casalinga. - ripetei le sue parole. 
-Per l'appunto. 
-E come sai dei suoi dipendenti? - domandai, ancora incuriosito dalle sue deduzioni.
-La governante la vedi anche tu, ci osserva come se non stesse capendo una parola di ciò che stiamo dicendo.
-Hey ! - lo bloccò la donna.
Lui le lanciò un'occhiata di rammarico e repulsione, scioccato dall'essere stato interrotto.
-Il giardiniere John, hai visto com'è curato il suo giardino? L' anziana non sarebbe in grado di inchinarsi per curare i fiori, il tocco è esperto e delicato e non 
è possibile che sia stata la figlia, la donna no, non con quelle mani. L'uomo è sempre fuori per lavoro, come egli stesso ci ha detto. 
Rimasi a guardarlo imbambolato, affascinato dall'espressione euforica del suo volto. 
-La donna delle pulizie è presente, basta constatare che in quegli scaffali non è presente neppure un granello di polvere, nonostante la casa sia vecchia e voglia
apparire povera. Non può essere la governante per ovvi motivi. - continuò, indicando la corporatura bassa e grassoccia della signora.
-Fantastico.
-E infine la babysitter John, nel frigorifero c'è un appunto 'Per Christine, Scarlett deve andare al letto alle otto in punto.' - disse Sherlock, entusiasmato dal mio 
stupore. -In conclusione, quest'uomo non vuole tenere privata la sua identità perché terrorizzato da questo mistero ma perché non vuole attirare l'attenzione dei media.
La donna che fino a quel momento aveva taciuto a causa delle occhiatacce di Sherlock decise che era anche per lei il momento di dar voce ai suoi pensieri.
-Dovete semplicemente risolvere un caso, non conoscere la vita privata del mio padrone. - disse, infatti.
Il mio migliore amico sollevò un sopracciglio. -Io non lavoro per i bugiardi. Pretendo di vedere il suo capo, ora.
-E' occupato in questo momento, ritornerà dal suo torneo di scacchi tra quattro ore.
-Sarà il caso che faccia più in fretta, se non vuole risolvere il suo caso da solo. - continuò il mio collega, stizzito e offeso.
-Per l'amor del cielo! - sbuffò la donna, mentre prendeva il suo telefono e chiamava il nostro cliente, e dopo che gli ebbe spiegato la situazione chiuse la chiamata e ci disse che 
sarebbe arrivato entro quindici minuti.
Nonostante ciò il mio coinquilino non pareva soddisfatto. 
-E' solo un quarto d'ora. - tentai di rassicurarlo. 
Passarono dieci minuti nei quali provai in ogni modo a distrarre il mio amico dall'orologio a pendolo presente nel soggiorno.
La signora ci aveva fatto accomodare nella sala degli ospiti, che era più piccola ma molto più accogliente della stanza precedente.
Il divano in pelle era morbido e il corpo del mio amico, affianco a me, era tanto niveo e soffice da confondersi con esso.
Qualcuno bussò al grande portone in ciliegio, e la governante ci abbandonò lì con due tazze di tea macchiate con il latte.
Sentimmo i passi goffi della donna che andava all'ingresso, pronta ad aprire la porta al suo padrone.
Sentimmo due voci che non avevamo mai udito prima, una molto bassa e spazientita, l'altra più acuta ma pacata. 
-Non è arrivato il nostro cliente. Sono uomini troppo giovani. -affermò. -uno è americano l'altro appare privo di accento.
La voce della governante assunse una tonalità più ufficiale, le sue parole divennero più cordiali e distaccate, condusse anche loro nella stanza con noi.
Un uomo dagli occhi blu e i capelli scuri, di una bellezza di quelle che ti fa pensare a qualcosa di inumano. 
L'altro rimaneva un po' più alto, con gli occhi verdi e i capelli più chiari del solito castano. 
-FBI. -disse il biondo, con la voce profonda, mentre mostrava il distintivo a me e ad il mio migliore amico.
Quest'ultimo sollevò l'angolo sinistro della bocca, increspando le labbra in un sorriso divino. -Potrebbe lasciarci da soli? - domandò alla donna, che pareva un mobile, silenziosa
e pronta ad ascoltare qualunque cosa.
-Vorremmo farvi delle domande su quanto è accaduto.. - cominciò il biondino.
-Voi non siete dell'FBI. - affermò il consulente investigativo. -Sul serio nessuno si è accorto che i vostri distintivi sono falsi? - domandò.
Ancora una volta rimasi con la bocca spalancata, innamorato di ogni parola che il mio buon coinquilino pronunciava.
-Non capisco Dean, funziona sempre. - disse l'uomo dagli occhi blu, con una tranquillità nella voce che avrebbe sorpreso chiunque.
-Sta zitto Cass. - rispose l'altro.
-Chi siete voi? - domandai, incuriosito dalla situazione tutt'altro che normale.
-Io sono Dean Winchester e lui è Castiel. - rispose l'uomo dalla voce  spazientita.
-FBI, eh? - chiesi a Sherlock, che sorrise di rimando.
Sapeva che attendevo le sue deduzioni.
-Il portamento è tipico di un uomo che caccia, anche se esattamente non riesco a capire che genere di animali siano le sue prede. Dall'abbigliamento capisco che lei
possiede un solo abito elegante che è stato usato più e più volte, quando utilizza quel distintivo falso, probabilmente. E' naturale pensare che dalla fisionomia del suo
corpo sembrerebbe un uomo atletico e attento alla linea, ma si possono notare delle macchie di ketchup vicino alla tasca interna della sua giacca, odora di fast food, 
e ha delle briciole di pane vicino ai gomiti, non è attento alla linea ma fa spesso lavori pesanti. 
Dal risvolto del pantalone noto delle tracce di terriccio, sembrerebbe uno scavatore, ma quel particolare tipo di terreno è quello tipico dei cimiteri, dunque lei profana le
tombe, considerato che il suo QI non mi sembra dei migliori dubito che lo faccia per scopi scientifici o pratici.  - affermò il mio amico, tutto d'un fiato, in pochi secondi.
Dean Winchester rimase di stucco a guardare il suo interlocutore, con gli occhi sbarrati, quasi spaventato.
-Ah! - sussultò il mio compagno. -Non avevo notato il sangue nel colletto delle sue scarpe, l'emoglobina non ha l'aspetto tipico di sangue umano, tantomeno di animali 
che conosco. Ma non mi diletto sulle varie specie di fauna esistente. Posso prenderne un campione? - chiese, levando dalla tasca un cotoncino sigillato.
-Eccezionale. - affermai, ammirato dalla teatralità dei gesti con i quali accompagnava le sue più brillanti deduzioni.
-Ok, fa paura. - disse il biondo, guardando prima me e poi il mio amico. -Ma lei chi è?- domandò, mentre lo guardava sbigottito che prendeva delle gocce di 
sangue presenti nelle sue  scarpe.
-Io sono Sherlock Holmes e lui è il mio stimato collega, il dottor Watson.
Sherlock non parve più interessarsi al ragazzo dagli occhi verdi, e si volto verso quello dagli occhi color mare.
Fece per aprire la bocca, ma la richiuse. 
Gli occhi spalancati, mentre tentava di intuire qualcosa sull'uomo che aveva di fronte. 
Rimase a guardare quel Castiel per un paio di minuti, ma restò ammutolito, come se fosse incapace di aprir bocca.
-Lei ha zittito Sherlock Holmes?!- mi venne spontaneo dire, senza che riuscissi a mordere la lingua prima di far uscire le parole.
Il mio buon amico mi guardò, e mi sentii totalmente ignorato.
-Che ci fate qui? -domandò il mio collega, tentando di dissimulare il senso di vuoto che traspariva dai suoi occhi.
-Indaghiamo.  - affermarono i nuovi arrivati.
-Bene, siamo in quattro. - dissi io, tentando di rientrare nel discorso. 
Il mio amico non mi rivolse lo sguardo neppure per un istante. 
Non so come facessi a mantenere la calma sempre. 
"Bisogna essere pazienti, John." mi ripeteva la mamma, quand'ero piccolo. 'E' con la pazienza che risolverai tutti i tuoi problemi.'
A distanza di anni continuavo a sentire le parole di mia madre, soprattutto di fronte ai comportamenti assurdi del mio migliore amico.
'Devi solo stare calmo, ok?' non riuscivo a smettere di ripetermelo, mentre il mio coinquilino continuava il suo gioco di deduzioni, osservando Castiel.
Quegli occhi di cielo, macchiati di pioggia e grandine, non cessavano di osservare quelli elettrici del nuovo arrivato.
Un blu così intenso che pareva stringere in una morsa meccanica, fisica, quelli azzurri del mio migliore amico.
Parevano imprigionati in un gioco di sguardi dal quale nessuno dei due aveva intenzione di liberarsi.
Dentro di me sentivo crescere il desiderio di urlare, ma la gola era secca, ed io mi sentivo immobile mentre ogni cosa andava avanti, calpestandomi.
Mentre lui andava avanti, lasciandomi solo.
Continuava a guardarlo, dannazione.
E io non esistevo più.
'Solo noi due, contro il resto del mondo.' pesa le parole Sherlock, prima di pronunciarle.
Abbassò lo sguardo sui vestiti dell'uomo che aveva di fronte, quello dagli occhi oltremare, ma rimaneva insoddisfatto, come se riuscisse a trarne solo semplici e 
futili deduzioni. 
L'altro uomo, invece, Dean Winchester pareva esprimere esattamente quello che stavo provando io.
Era come se mi osservassi dall'esterno.
Lo sguardo fisso sul vecchio tappeto rosso che stava calpestando, l'osservava come se fosse la cosa più interessante che avesse mai visto.
Tutto per non vedere il suo amico fissare il mio.
Sembrava teso, le spalle contratte e gli occhi verdi avevano quell'espressione malinconica che non pareva si adattasse alla sua figura.
I pugni serrati. 
Anche i miei, constatai.
-John, dobbiamo parlare. - la voce di Sherlock mi riportò alla realtà. 
Non riusciva del tutto a distogliere lo sguardo, ma io annuii vigorosamente e lo trascinai per un lembo del cappotto in un angolo della stanza.
-Dimmi. - affermai sottovoce, per non farmi sentire.
-Non riesco a leggerlo, John! - sussurrò.
-E' come Irene? - domandai. 
L'accento marcato della gelosia che pesava sul tono neutro che avrebbe dovuto avere la mia voce.
-E' un'enigma, John. Sai che provo interesse per l'indecifrabile, tranquillo. -affermò, con tono piatto.
-Dipende da che tipo di interesse è. - mi ritrovai a dire, ancora impossibilitato a nascondere il sapore della gelosia.
-Prettamente scientifico. - rispose.
-Dannazione, è tutto scienza per te! -il suono della mia voce si alzò di qualche tonalità e temetti che mi avessero sentito. 
Ma non parve.
-Il sistema solare no. -affermò spazientito.
-Per l'amor del Cielo, Sherl...! 
-Andiamo. -disse, interrompendo la mia frase e indicandomi di seguirlo mentre tornavamo di fronte agli altri due.
Nuovamente i loro sguardi si incrociarono e per Dio, mi sentivo morire. 
Come se il vento dell'Est mi stesse trascinando con sé. 
-Non ci riuscirai.- lo interruppe il biondo. -Non farai con lui il giochetto che hai fatto con me. 
Sherlock parve ricordarsi dell'esistenza di Winchester e lo guardò, serio. -I vestiti sono le nostre impronte digitali. - cominciò. 
Sentivo dentro che mi sarei ancora una volta innamorato delle sue affermazioni.
-Da essi capisco cosa avete fatto, quali sono le vostre abitudini. Capisco chi siete. 
-Mi stupisca ancora. - gli disse Dean, indicando Castiel, che se ne stava zitto ad inclinare la testa di lato con un'espressione confusa dipinta sul volto.
-Ha guidato per ore , tre ore, un'auto che non era la sua e della quale non possedeva le chiavi, è constatabile dal segno sulle mani.
Non può averlo fatto più di due giorni fa perché quel tratto sarebbe meno marcato. Il suo corpo appare stanco, eppure energico. Non fa palestra ma è in forma.
Nel trench sono presenti alcune chiazze di salsa ma non sembra aversele fatte da solo, è più probabile che si sia macchiato in un luogo unto. Forse eravate al fast food insieme per
l'ennesimo appuntamento. 
-Non stiamo insieme. - affermò Dean, ignorando tutto il resto.
Sherlock sorrise. -Ma certo, ti credo.
-Qualcos'altro? - gli domandò il biondo, spazientito.
-Non riesco a leggere di più. -affermò, come se volesse inveire contro sé stesso.
-Cosa sei tu? - chiesi a Castiel, scherzando. 
-Io sono un angelo del Signore. - disse lui, serio. 
-Cass! - lo sgridò il suo amico. -Sta scherzando, ovviamente!- affermò, per poi scoppiare in una risata finta che ci fece quasi paura.
Io e Sherlock ci guardammo, senza capire. 
'Devono essere matti', pensai, continuai a guardare il mio amico e capii che probabilmente pensava lo stesso.










Note:
Eccomi ancora qui a rompere! Spero che il capitolo non sia deludente!
Lasciatemi una piccola recensione se vi va, grazie a tutte! Al prossimo capitolo :)
Ciao ciao ricci :3
   
 
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