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Autore: Old Fashioned    24/07/2016    11 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Capitolo 9

Al suo rientro alla base, Stuart fu accolto come un trionfatore. I meccanici erano riusciti a scovare delle foglie di alloro e avevano fabbricato una corona che vollero a tutti i costi mettergli sulla testa. Non gli permisero di camminare, ma lo portarono a spalla fino alla baracca del comando tra sventolii di bandiere e giri di bottiglie generosamente messe a disposizione dalla mensa ufficiali.
Tutti sembravano impazziti, persino gli avieri semplici si avvicinavano per dargli pacche sulle spalle o stringergli la mano.
“Signore, lo hanno preso!” lo accolse l’operatore radio. “Lo stanno portando qui!”
“È ferito?”
“Un po’ acciaccato, signore, ma niente di grave. Ha cercato di aggredire i soldati che l’hanno tirato fuori dall’aereo e loro gli hanno fatto assaggiare il calcio del fucile.”
“Ben gli sta!” intervenne qualcuno, “maledetto mangiacrauti!”
“Silenzio!” esclamò il maggiore a quelle parole. “Silenzio, che diamine! Siamo soldati, non comari al mercato!”
Tutti si zittirono immediatamente e rimasero a guardarsi l’un l’altro come bambini redarguiti dal maestro.
“Silenzio,” ripeté il maggiore a voce più bassa, liberandosi di allori e nastri. “La guerra continua, e ci sono altri tedeschi da abbattere.”
“Comunque lo stanno portando qui,” ripeté l'operatore radio.

Poco dopo arrivò un furgone.
Tutti erano ansiosi di vedere finalmente in faccia il famoso Cavaliere di Valsgärde, per cui c'era un'insolita folla. Praticamente il personale della base al completo, compresi i piloti, stava gironzolando con aria da nulla in attesa del tedesco.
“Non hanno niente da fare?” ringhiò Stuart, che man mano passava il tempo diventava sempre più nervoso.
“Sono solo curiosi, George,” rispose pacato Poynter al suo fianco. “E lo sei anche tu, ammettilo.”
“Un po'.”
“In fin dei conti l'hai abbattuto tu. Adesso diventerai famoso.”
“Ma figurati.”
“Scommetto che ti beccherai anche una medaglia.”
“Bah.”
Il maggiore girò le spalle all'amico come a fargli capire che non intendeva insistere sull'argomento.
In quel momento il furgone si fermò al centro dello spiazzo in un silenzio carico di aspettativa. Ne scesero due soldati che un po' trascinarono, un po' spinsero con malagrazia un pilota della Luftwaffe biondissimo, con il viso pallido e rigato di sangue.
Me lo immaginavo più alto, fu la prima cosa che pensò il maggiore Stuart. Rimase a guardarlo da lontano con aria irresoluta.
“Forza, va da lui,” gli disse Poynter distogliendolo bruscamente dai suoi pensieri. “Va ad incontrare la tua preda.” Lo sospinse in avanti.
Stuart si avvicinò con vaga titubanza, elaborando frattanto una frase da rivolgere al pilota tedesco. Aveva pensato di fargli i complimenti per la sua abilità e poi di invitarlo cavallerescamente a bere.
La folla fece ala al suo arrivo ed egli si trovò finalmente faccia a faccia con il famoso nemico.
Rimase costernato, la frase che aveva con tanta cura composto gli morì in gola.
“Non è lui,” mormorò.
Ci furono alcuni secondi di silenzio, poi il capitano Poynter disse: “Come sarebbe a dire che non è lui? E allora chi è?”
“Questo non lo so.”
“Come fai a dire che non è lui? Lo conosci, per caso?”
“Sì. Cioè, no. Ho letto un articolo su Signal che parlava di lui e ti garantisco che questo non gli assomiglia nemmeno.”
“Eppure sembra piuttosto cattivello,” constatò il capitano scrutando il giovane pilota tedesco.
Tenuto per le braccia da due soldati, il prigioniero lo gratificò di uno sguardo omicida.
In quel momento sopraggiunsero i due uomini dell'Intelligence, un tenente e un capitano con l'aria torva da inquisitori domenicani. “Lo prendiamo in consegna noi,” disse il capitano, facendo cenno ai due soldati che tenevano fermo il tedesco.
“Un momento,” intervenne Stuart, indispettito dall'evidente disprezzo dei due nuovi arrivati per la sua autorità di comandante dello Squadron. “Questo non è l'uomo che state cercando.”
L'altro lo fissò con l'aria di considerare la faccenda qualcosa a metà fra lo scherzo di cattivo gusto e l'atteggiamento disfattista. “Come sarebbe a dire che non è lui?” chiese diffidente.
“Ho letto un articolo di Signal che parlava del Cavaliere di Valsgärde,” ripeté pazientemente Stuart, “e questo non gli assomiglia nemmeno.”
“Chi sarebbe allora?”
“È quello che stavo spiegando prima del vostro arrivo: non lo so.”
Il capitano scrutò il tedesco con un misto di disprezzo e schifo, quindi ripeté: “Ha letto un articolo che parlava di lui su Signal?”
“È così.”
“Letture interessanti, le sue.”
“Oh, non cominciamo,” sbuffò Stuart spazientito. “Se la mette su questo piano, il tenente è un prigioniero di guerra e fino a nuovo ordine non si muove di qui. Peraltro noto che è ferito, quindi non abbandonerà la base fino a che il medico non dichiarerà che è in grado di farlo.”
“Avrà sì e no due graffi!”
“Questo non è lei a stabilirlo. Oppure è anche un medico, per caso?”
Intervenne a questo punto l'altro uomo dell'Intelligence, che con tono velenoso lo ammonì: “Stia attento, maggiore, questo scherzo le costa caro.”
“No, costa caro a lei,” replicò duramente Stuart. “Lei sta interferendo con lo svolgimento delle operazioni belliche. Le consiglio di tornare immediatamente da dove è venuto, prima che io la faccia mettere agli arresti.”

Momentaneamente padrone del campo, Stuart seguiva con lo sguardo la macchina dei due ufficiali che spariva all'orizzonte in una nuvola di polvere. Poynter, al suo fianco, pacatamente osservò: “Torneranno.”
“Lo so che torneranno.”
“E stavolta avranno con loro le carte giuste.”
“Ci penseremo quando sarà il momento,” tagliò corto Stuart, quindi si rivolse finalmente al prigioniero. “Come si chiama, tenente?” gli chiese in buon tedesco.
“Hans Rohr.”
“Cosa ci faceva su quell'aereo?”
Il prigioniero non rispose.
“Le ho chiesto cosa faceva su quell'aereo. So che non è lei il Cavaliere di Valsgärde.”
“Nome, grado e numero di matricola. Queste sono le uniche informazioni che ha il diritto di pretendere da me sulla base della Convenzione di Ginevra.”
Detto questo, il tedesco rimase a fissarlo con aria di sfida.
“Perché vuole rendere le cose più difficili di quanto non lo siano già, tenente?” sospirò il maggiore Stuart.
“Voi siete nemici. È mio dovere rendervi le cose difficili.”
“Intendevo difficili per lei, tenente Rohr,” rispose pazientemente il maggiore, “noi siamo in casa nostra, non ci va poi così male.”
Il giovane ufficiale arrossì e si chiuse in un silenzio risentito.

“Se è furbo se ne sta buono e aspetta la fine della guerra,” disse Stuart.
Lui e Poynter passeggiavano fianco a fianco diretti verso gli edifici dello Squadron.
“Non mi sembra furbo,” osservò pacatamente il capitano. “Anzi, mi sembra tutto il contrario: un ragazzino molto ideologizzato e molto poco furbo, se vuoi la mia opinione, che di sicuro farà del suo meglio per cacciarsi in qualche guaio.”
“Del tipo?”
“Dieci a uno che prova a scappare appena ne ha l'occasione.”
A quella frase il maggiore alzò involontariamente lo sguardo verso l'infermeria, dove aveva fatto portare il tedesco affinché fosse medicato.
“Si farà ammazzare,” sospirò Poynter con l'aria di chi si arrende all'ineluttabile, e poiché Stuart non rispondeva, proseguì: “Il giovane idiota si farà ammazzare, in maniera eroica se ci riesce, e quelli dell'Intelligence se la prenderanno con te perché non gliel'hai consegnato subito.”
“Quelli dell'Intelligence non possono andarsene in giro a fare il bello e il cattivo tempo,” brontolò il maggiore.
“Se non loro, chi? Lo sai che danno ordini al Re in persona?”
“Beh, qui nella mia base non vengono a dare ordini di sicuro,” replicò il maggiore baldanzoso.
In quel momento si avvicinò un sottufficiale, che con gran sfoggio di marziale vigore annunciò: “Ho qui gli effetti personali del mangiacrauti, signore!”
“Dell'ufficiale prigioniero,” lo corresse Stuart.
“Beh, di quello, signore. La sua roba, insomma.” Porse al maggiore un piccolo involto.
L'altro lo soppesò poco convinto. “È tutto?” chiese.
“Certo, è tutto, signore! Stramaledettamente tutto!”
“Non è che per caso, per pura fatalità, sono andati persi da qualche parte orologio e soldi, per esempio?”
“Ma signore!” protestò il sottufficiale indignato. Quelle cose gli erano in effetti passate per le mani, ma lui si era tenuto solo il distintivo della Hitlerjugend, niente di prezioso. Giusto un ricordino del suo primo mangiacrauti catturato.
Come se gli avesse letto nel pensiero, il maggiore soggiunse: “Sarà meglio che tutti gli effetti personali del tenente che per qualche strano disguido sono andati persi ricompaiano domattina sulla mia scrivania, altrimenti qualcuno non andrà in licenza fino a Natale, sono stato chiaro?”
“Chiarissimo, signore!” esclamò l'altro fissando con grande impegno un punto all'infinito dietro le spalle del suo superiore, quindi salutò e scomparve con la velocità del fulmine.
Rimasti soli, i due ufficiali si concessero un sorriso indulgente. “Come se non li conoscessi”, disse il maggiore, poi scartabellò i documenti del tedesco, aprì il brevetto di pilota e scoppiò a ridere. “Ma tu guarda!” disse porgendo il documento a Poynter. “Hai proprio ragione, è un giovane idiota!”
“Ci ha scambiati per i Fratelli della Costa!” esclamò il capitano divertito.

   
 
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