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Autore: Sarah M Gloomy    24/07/2016    0 recensioni
Amabel è una normale sedicenne, ironica, non eccessivamente propensa allo studio e, a suo dire, una bugiarda patologica. Tutto nella norma, insomma, fino all'incontro con Ridley e un bambino misterioso, che le faranno comprendere quanto nella sua vita normalità e pazzia siano termini interscambiabili. E che lei, in fin dei conti, non è proprio una normale ragazza.
Genere: Commedia, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                        Sono seduta sul divano, con un bicchiere di the freddo tra le mani. Mi muovo nervosamente. Prima mi siedo composta, poi mi alzo e faccio qualche passo, di nuovo sprofondo e mi faccio piccola.
Il ragazzo è davanti a me. Indubbiamente non mi può far del male. Certo, ho visto abbastanza film horror da sapere che questa affermazione è del tutto relativa, ma fino a quando lui rimane lontano da me e dai miei cari ed evita la possessione … possiamo convivere. Appoggio il bicchiere sul tavolino davanti al divano. Il cubetto di ghiaccio si dilunga in una piccola capriola di ringraziamento. 
   «Okay …» Cambio nuovamente posizione, infilando le gambe sotto il sedere. «Tu … tu …. Ecco, non ho ancora capito cosa sei.»
Sorride. «Non è chiaro? Sono un fantasma.»
   «Un fantasma.» Ripetere l’affermazione non la rende più vera. Nervosamente mi scosto i capelli, portandoli dietro le orecchie. «Ecco … non sembri essere proprio un … insomma. Non ti vedo attraverso, non hai abiti di un’altra epoca e, diciamocelo, sei pure carino. Non sembri … ecco, hai poco … non hai il lenzuolo.»
   «Non ho un lenzuolo. Beh, è difficile, visto che non riesco a toccare nulla.»
   «E … possiedi … ecco, a me viene in mente la possessione dell’Esorcista.» E, per quanto mamma mi avesse vietato di vederlo, non mi ha fatto una buona impressione, quel film. Neanche un po’. Appena quello si avvicina alle scale, che lo voglia o meno, io me la squaglio.
Fa un’espressione contrariata. «Diciamo che faccio prima a dirti quello che so. Io mi chiamo Ridley e non ricordo altro. Mi sono risvegliato a Maiden Street circa un mese fa e da allora non so altro. Fino a oggi, tu sei stata la prima a vedermi e a parlarmi. Nessun altro sembra percepire la mia presenza. Non riesco a toccare oggetti, non ho bisogno di porte e anche impegnandomi non riesco a entrare in contatto con altri. Neppure con i sensitivi. Non so, o forse al momento non riesco, entrare nel corpo di altri e usarli come intermediari. E non so quanti come me ci siano in giro. Ho cercato di farmi vedere poco.»
Un fantasma che cerca di farsi vedere poco. Sto pensando a un Harry Potter che non cerca di fare magie e la mia mente non mi sta di certo aiutando. Mi porto la mano alla fronte, massaggiandola. «Oddio … già la mia vita è poco incasinata, ora riesco a vedere i fantasmi. Lo so, sto avendo un’allucinazione.»
   «Sono reale.»
   «Scusami tanto, ma finché non riesci a prendere una mela dubito che ti si possa definire reale.» Replico con stizza.
La razionalità è andata a fottersi da quanto ho interrotto la chiamata con la polizia. Beh, in effetti non avrei potuto dire nulla a riguardo che non coinvolgesse me e un istituto di Cura Mentale. Sospiro. «Dimmi che non è una Candid Camera: sarebbe veramente di pessimo gusto.»
Ridley corruccia la fronte. «Ti ho detto che sono reale. Sono venuto qui perché tu mi aiuti.»
   «Aiutarti? A fare cosa? Se sei un fantasma sei morto!»
   «Non è carino da dire.»
Scusa, allora. Ho anche a che fare con un fantasma permaloso. Esasperata scuoto la testa. «Ammesso, e non concesso, che io possa aiutarti: cosa dovrei fare?»
   «Vorrei che mi portassi dove mi sono svegliato.»
   «A Maiden Street?»
   «Sì.»
Cerco di dare un tono ironicamente pensoso. «Non so … Maiden Street è all’incirca dieci isolati da qui e, magari ti sfugge un piccolo particolare, ma è una zona poco raccomandata. Tra prostituzione e droga io non ci metto piede. Mi dispiace. Se sei un fantasma in crisi da astinenza dovrai trovare qualcun altro che ti aiuta.»
   «Non sono un drogato.»
   «E io sono una sedicenne. Non ci metto piedi in ogni caso in quella strada, qualunque sia il motivo.»
   «Non correresti rischi.»
Sbuffo. «Questa frase, detta da un fantasma, è tutto un dire. Non è che sei la prova lampante della sicurezza di quella strada.»
   «Senti, ragazza, è da un mese che vagabondo e non c’è stata una sola persona in tutto questo tempo che mi abbia visto. Nessuno, da sensitivi, preti, santoni. Sei l’unica. Non ti fidare di me, ma ho bisogno del tuo aiuto. Se tu mi vedi c’è un motivo.»
   «Mi chiamo Amabel, non ragazza. E non so come aiutarti! Sei il primo fantasma che vedo all’infuori dei film. A parte dirti che se vedi un lungo tunnel prendilo e se vedi una porta di aprirla, non ti so dire altro. Io non sono una sensitiva, una becchina o chi altro credi che io sia. Ho sedici anni, faccio il liceo e ho i soliti problemi di un adolescente medio.»
Ridley distoglie lo sguardo. Percepisco tutto il tradimento di quel gesto. Certo, se sono l’unica a vederlo e l’unica che può interagire con lui, il dirgli di no senza pensarci equivale a distruggergli la sua vita ultraterrena. Dall’altra parte, se lui è frutto della mia mente e io sono diventata all’improvviso una schizofrenica convinta di vedere i fantasmi, la cosa non cambia poi di molto. Mi passo la lingua tra le labbra. «Non andrò a Maiden Street, su questo punto sono irremovibile. O per lo meno non da sola e con la sola tua presenza. Se vuoi possiamo ripercorrere gli ultimi tuoi spostamenti, ma niente di più. Non farò una Messa Nera, Rito Satanico o niente che coinvolga me, sangue e qualcosa altro che può essere associato a me … e al sangue.»
   «Bene. In vita so di certo che non ero un satanista, quindi mi stanno bene le clausole.»
Già mi pento di tutto. Mentire anche in quel punto non mi sarebbe costato nulla. Se Mary mi avesse chiesto, l’indomani, cosa ho fatto il pomeriggio avevo già la risposta pronta: biologia. Neppure avevo aperto quel dannato libro! “Niente, ho aiutato un fantasma” era decisamente da evitare.
Trattengo il fiato e una piccola imprecazione mi serpeggia in mente. Mi avvicino al telefono e compongo il numero di nonna. «Se stai chiamando la polizia ti ho detto che è inutile.»
Gli lancio uno sguardo carico di odio, aspettando. Sono anche una di quelle persone a cui piace tanto la vita normale! «Pronto.»
   «Ciao nonna, sono Amabel.» Beh … tenendo conto che ha solo due persone che la chiamano nonna, una delle quali è un maschio di sette anni che in quel momento è a scuola, la specificazione su chi fossi mi appare subito ridicola. «Sì … okay, senti devo vedermi con delle amiche per …» Di nuovo il libro di biologia saetta nel mio cervello. «… studiare. Potresti andare a prendere tu Ed? E magari avvisare mamma? Adesso è al lavoro e non riesco a prendere la linea.»
   «In effetti sei piuttosto brava a mentire.»
Alzo delicatamente il dito medio, mentre nonna acconsente. «Grazie. Ciao ciao.»
Attacco il ricevitore. Un problema alla volta. Se lui è un fantasma, e al momento non avevo alcun modo per confermarlo o smentire, il comunicare con lui per strada era un problema. Prendo gli auricolari dallo zaino e li attacco al telefonino. Bene. Sarebbe stato giustificato il mio parlare da sola. E se quello fosse stato tutto frutto della mia immaginazione, io e il mio psichiatra avremmo avuto molto di cui chiacchierare.
   «Ragazza, sei pronta?»
Sbotto. «Mi chiamo A-M-A-B-E-L.»
Ridley è già fuori dalla porta. Agguanto lo zaino di scuola, tanto per confermare la storia dello studio con i compagni di classe. Mi infilo gli auricolari alle orecchie, chiudo la porta di casa alle spalle, infilandomi le chiave in tasca. «Okay, facciamo il percorso a ritroso. Oggi dove sei andato?»
   «Oggi ho seguito te.»
Il mio personale fantasma stalker inizia appunto a ripercorrere la strada a ritroso. Come potevo aiutarlo? A parte trovare conferma in quello che aveva detto, non sapevo altro. In effetti lui cammina, sembra essere solido, ma ogni volta che qualcuno lo sfiora o lui si distrae, ecco che la fragilità della sua essenza svaniva. Gli altri, persone o oggetti, lo attraversano. Non ha consistenza e io non posso aiutarlo. La tesi della mia pazzia si fa sempre più certa, dannazione.
   «Perché credi che io possa aiutarti?»
   «Sei diversa.» Mi guarda con la coda dell’occhio mentre mi parla, attraversando il lampione come niente. «Non solo perché mi hai visto stamattina e ora mi parli. Sei diversa. Le tue mani sembrano fatte di luce.»
Mi guardo le mani, dubbiosa. «Luccicano? Tipo lampada a neon?»
Non ha apprezzato la battuta. «No. È una luce più cupa. Fa paura e allo stesso tempo rassicura.»
Io non vedo nessuna luce. Le mie mani sono quelle di sempre: piccole, con le unghie mangiucchiate e le vene tipo montagnole sul dorso. Nessuna luce. Anzi, penso che sia il momento giusto per smettere di tormentarmi le unghie e di avere un aspetto un po’ più femminile. Giusto, e magari fare qualcosa per le visioni, solo per mettere i puntini sulle “i”.
Mi fermo, guardando Ridley immobile davanti a me. Mi volta le spalle, quindi il suo volto mi è imperscrutabile. E qualunque cosa ci sia davanti a lui è oscurata dalla sua massa. Lo raggiungo. «Che c’è?»
   «Il bambino mi vede.»
Siamo vicini al supermercato dove ho fatto la spesa. Come nel primo pomeriggio, anche allora il bambino con gli abiti sporchi sembra aspettarmi. Solo che è cambiato. C’è un qualcosa di diverso, anche se in questo momento non so dargli un nome. Il suo aspetto, i suoi indumenti, anche il suo sguardo che chiede aiuto è solo una conferma. In un certo senso, il bambino sembra diverso.
Due signore ci passano vicine, parlando del più e del meno. Monotone, senza nulla da fare, guardano distrattamente me e non calcolano né Ridley né il bambino. Amabel, pensa: cosa c’è che non va? Non sono solo gli abiti o quella macchia di sporco. Cosa c’è che non ti convince? Piano, appena percepibile, sento un sibilo. No, forse è un tintinnare. Non so, è un rumore tipo indumenti che sfregolano tra di loro, cui è stato applicato un campanello. Ora lo senti, ora no. Solo se mi concentro lo percepisco da Ridley e, in quel momento, anche dal bambino.
E nel momento in cui comprendo che la natura del bambino è simile a quella di Ridley, il piccolo bisbiglia. «Aiutami.»
   
 
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