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Autore: WhileMyGuitarGentlyWeeps    26/07/2016    2 recensioni
Joan Cameron si trasferisce a New York dopo aver capito che la vita che credeva perfetta era in realtà una gabbia dorata. Arriva al 4D in una fredda mattina di febbraio e la sua porta non si apre.
Accorre in suo aiuto, come un principe su un cavallo bianco, quello che sarà poi il suo vicino, aprendo la porta di casa sua. Lui di fiabesco non ha nulla. E’ un’anima tormentata, svuotata.
Da quel freddo giorno di febbraio le loro vite si incrociano e si scontrano in una danza in cui non ci sono né vincitori né vinti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“So close no matter how far
Couldn't be much more from the heart
Forever trusting who we are
And nothing else matters” 


Il campanello di Joan suonò alle sei precise.

“Arrivo!” Abbandonò mestoli e cucchiai e corse ad aprire la porta.

“Ciao! Scusa, non ho tempo di fare la padrona di casa, ho i soufflé nel forno e se non li controllo si ammosciano”.

Huck alzò un sopracciglio, sogghignando. “Ho portato del vino, se mi dai un apribottiglie te ne verso un po’, i soufflé mi sembreranno perfetti!”

“E’ nel secondo cassetto, i bicchieri sono sul tavolo”. Disse Joan distrattamente, mescolando la pasta.

“Spero ti piacciano pasta e zucchine, perché erano le uniche cose che avevo in casa, quindi…” Si passò una mano tra i capelli, nervosa. “Sì, lo so che non è il massimo invitare a cena qualcuno e avere il frigo vuoto, ma…”

Lui la zittì, poggiandole un dito sulle labbra.

“Non è per la cena che sono venuto qui…” Disse malizioso.

“Ah no?! E io che mi ero anche impegnata…” Rispose lei, altrettanto maliziosamente.

Huck la baciò, impetuosamente. Le sue labbra erano calde e morbide, il tocco sui suoi fianchi delicato, insicuro. Joan indietreggiò fino a toccare il muro, lasciandosi completamente trasportare da quel bacio.

Aveva deciso di non pensare, perché quando pensava troppo finiva col rimaner fregata ed era stufa!

Si distaccò da Huck, giusto per riprendere fiato. “Aspetta… Devo togliere i soufflé dal fuoco, altrimenti si bruciano”.

Lui la lascò andare, seguendo però i suoi movimenti. I soufflé erano veramente bruttini.

“Meno male che non sei qui per mangiare, perché non credo siano venuto buoni”. Si riavvicinò a Huck, riprendendo a baciarlo e spingendolo fuori dalla cucina, verso la camera da letto. Huck la lasciò fare; assecondando i suoi movimenti le tolse il maglione.

Joan rabbrividì, ma si concentrò sulla t-shirt di lui per togliergliela, gettandola a terra con un gesto secco.

Finalmente sentì sotto di sé la consistenza morbida del materasso. Le sfuggì un gemito quando Huck scese a baciarle il collo, il ventre, per poi abbassarsi sui jeans per sbottonarli e sfilarglieli.

Un flash le fece tornare alla mente quando la gamba le faceva male a seguito della caduta la sera dell’attentato a Pavlov e Cult aveva insistito per farla vedere da un medico. Era stato lui ad aiutarla a rivestirsi, alzandole i jeans e sfiorandole appena le gambe.

Chiuse gli occhi, scuotendo la testa per scacciare quel pensiero e quando li riaprì Huck era già senza pantaloni, sopra di lei, intendo a baciarle il collo. Si aggrappò alle sue spalle quando le sfilò il reggiseno. La sua pelle fu percorsa da impercettibili scosse quando percepì il tessuto allentarsi, così come rabbrividì quando anche il tessuto degli slip scomparì, finendo a terra con gli altri indumenti.

Era come se fosse distaccata dal suo corpo, provava piacere, ma al tempo stesso era come se vivesse quell’esperienza da esterna.

I baci di Huck, le sue spinte, le sue carezze erano piacevoli, ma la sua testa era vuota, libera, incapace di godersi il momento. Si sentiva ubriaca, senza aver bevuto, in balia di una qualche sostanza che non aveva assunto.

Quando riprese coscienza del suo corpo sentiva il peso del corpo di Huck sul suo. Si sentì in colpa, senza capirne il motivo e automaticamente accarezzò i capelli del ragazzo.

Huck alzò appena il viso, sorridendole. Scivolò di fianco a lei, accogliendola tra le sue braccia.

Solo dopo alcuni minuti eterni passati in quella posizione, a Joan cadde l’occhio sull’orologio del ragazzo. Erano le 20.35.

“Oddio è tardissimo! Devo andare a lavorare, con la metrò non arriverò mai in tempo”.

Si alzò cercando sul pavimento il suo intimo, mentre anche Huck cercava i suoi boxer, poi sparì in corridoio, dove trovò altri indumenti.

“Stai tranquilla ti accompagno io, faremo molto prima!”

Joan gli sorrise, mentre saltellava per infilare i jeans e recuperava la borsa col cambio.

 
La città era intasata, ci volle il doppio del tempo normale per arrivare al Morning Glory.

“Che fine avevi fatto! Ero preoccupato!”

“Lo so, scusa, c’era traffico…Ora vado a cambiarmi, altrimenti perdo altro tempo”. Schioccò un bacio sulle labbra a Huck, per poi sparire tra la folla.

“E’ colpa mia se ha fatto tardi, l’ho trattenuta e…”

“Nessun problema…” Disse Steve, con un sorriso tirato stampato sulle labbra.

Huck era stupito. Capiva di non andargli a genio, ma almeno provava a essere gentile.

“Tu non è che mi vada proprio a genio… Ma Joan sembra molto felice, e io le voglio bene, quindi diciamo che mi stai un po’ più simpatico…” Lo guardò dall’alto in basso. “Ma trattala bene, altrimenti ti spezzo tutte le ossa, a una a una!”

“Anche io tengo molto a Joan, Steve, e mi fa piacere quello che hai detto… Grazie”.

Huck sparì nella notte e al suo posto apparve Cult.

“E’ arrivata?”

Steve annuì, serio. “Tu hai risolto quella faccenda?”

“Sì, tutto a posto”.

“Ottimo. Per quanto riguarda Huck, hai scoperto che lavori fa per il Vecchio?”

“Credo abbia preso il mio posto…”

“Beh, mi sa che dovremo farcelo andare a genio, finchè esce con Joan”.

“Dici che hanno intenzioni serie?” Cult era infastidito, nonostante lo nascondesse benissimo.

“Non lo so, ma di sicuro hanno intenzioni…”

“Steve, servirebbe la tua presenza, c’è un tizio che chiede di te!”

Joan si materializzò alle loro spalle, cambiata e con il vassoio in mano. Steve andò al bancone, lasciando Cult e Joan da soli.

“Tutto bene?” Chiese il ragazzo guardandosi intorno.

“Sì, grazie ancora per ieri sera”. Rispose lei abbassando lo sguardo.

“Smettila di ringraziarmi”. Disse lui accendendosi una sigaretta. “Quindi tu e Huck avete intenzioni serie o…”

Faceva il vago, ma sperava fortemente che lei dicesse di no.

Joan era imbarazzata, Cult non era esattamente la persona con cui avrebbe volentieri parlato della sua vita sentimentale. “Mmm.. No, cioè, non lo so… Ci conosciamo da poco”.

La ragazza fu salvata in corner da Caroline, che era uscita per chiamarla e lasciò Cult lì fuori, che fumava pensieroso.

 
La serata stava passando relativamente tranquilla, quando dal nulla apparve Cult, che si faceva malamente spazio tra la folla, richiamando l’attenzione di Steve.

“Steve devo andare, Duck è stato ferito e è al pronto soccorso”. Aveva il respiro affannato.

“Cosa?! Com’è possibile?!...Come sta? Cosa è successo?”

“Non lo so, stava sorvegliando quel tizio ad Harlem e l’hanno ferito, ora vado!”

Joan, che era vicino al bancone , si avvicinò, sconvolta, senza proferire parola.

“Vengo con te, Joan qui ti occupi tu di tutto?”

Lei annuì meccanicamente, ma fu Caroline a riportarlo alla realtà. “Cult tu sei l’unico qui che sa fare i cocktail, forse è meglio se chiudi direttamente, perché senza di te le persone berranno solo acqua e birra…”

“Merda!”

“Vado da solo, appena so qualcosa ti chiamo, tieni d’occhio il telefono”.

“Vengo io con te!” Propose Joan, d’impulso. “…Se vuoi…” Aggiunse poi, abbassando lo sguardo.

Steve era sollevato, voleva che qualcuno stesse vicino a Cult.

Cult annuì, uscendo a grandi falcate dal locale.

La sua guida non era mai stata esattamente quello che si definisce ‘tranquilla’, ma quella sera sembrava un pazzo: scartava le macchine come fossero palline di carta e passava col rosso, rischiando di fare qualche incidente.

“Cult lungi da me fare la rompiscatole in questo momento, ma se vuoi arrivare vivo in ospedale devi rallentare”.

Lui, però, non la ascoltò, tirando dritto e scartando l’ennesima auto.

Arrivarono in ospedale in tempo record e dopo aver abbandonato la macchina in malo modo corsero al pronto soccorso.

“Sto cercando Ethan Duckerson, è stato portato qui d’urgenza, era ferito”.

L’infermiera, calma, chiese ulteriori informazioni, che Cult non aveva.

“Aspetti, controllo l’elenco dei nuovi immessi”. Passò al setaccio dei fogli, tornando poi su Cult. “Sì, c’è un Ethan Duckerson, è arrivato una mezz’ora fa con una ferita da taglio”.

“E come sta?”

La donna alzò lo sguardo. “Lei è un parente?”

Lui scosse la testa. “Sono un amico, un caro amico”.

“Allora mi dispiace ma non posso dirle nulla di più”.

Cult stava perdendo la pazienza. “Ma mi prende per il culo?! E’ morto o vivo, è grave?! Mi dica qualcosa, cazzo!”

“Capisco la situazione, ma per legge non posso riferirle alcuna informazione! Mi dispiace”. Sembrava realmente dispiaciuta, ma Cult non la prese bene.

Si allontanò e tirò un pugno al muro. Joan, che fino a quel momento era rimasta in disparte in religioso silenzio,tremò, ma rimase lontana. Sentì l’infermiera parlare di chiamare la sicurezza, ma Cult ormai era già in fondo al corridoio.

Si sentiva impotente e voleva fare qualcosa, per Cult, ma anche per sé perché in quei mesi aveva imparato ad apprezzare Duck.

Si avvicinò all’infermiera. “Senta, mi scusi per il mio amico, è molto preoccupato”.

“Me ne rendo conto, ma io sto solo seguendo la procedura”.

“E io lo capisco, davvero! Ma se potesse almeno dirci sue condizioni, se è grave o meno…”

“Senta, signorina, a me dispiace davvero per lei e per il suo amico, ma non così tanto da rischiare il posto”.

Niente, era irremovibile. Serviva qualcosa che la facesse cedere, anche se questo voleva dire mentire.

“Ok, io… Ecco mi vergogno un po’ ma a questo punto è il caso di dire la verità. Ethan non è un amico per me, è l’uomo che amo, quindi se lei potesse fare uno strappo alla regola”.

La donna sembrò ammorbidirsi, ma non era ancora convinta, così Joan rincarò: “Ecco…Io sono fidanzata, ma mi sono innamorata di lui e ora non immagino la mia vita senza di lui… La prego!”

“E va bene, ma che rimanga tra noi”.

Si guardò in giro, mentre Joan le sorrideva grata. “E’ in sala operatoria, ha perso molto sangue ma si riprenderà. L’operazione dovrebbe finire tra una mezz’ora”.

“Grazie!”

 
“Allora è qui che ti sei nascosto!”

Aveva girato a vuoto tutto l’ospedale, raggiungendo alla fine la cappella. Era vuota e buia.

Cult si voltò. “Come hai fatto a trovarmi?”

“Ho fatto il tour di tutti i piani…”

Joan si sedette accanto a lui, sulla panca lucida..

“Volevo stare da solo”.

Aveva il volto stanco, le mani abbandonate sulle gambe, la voce roca e calma.

“Lo so, ma ti ho cercato perché ho buone notizie: Duck è in sala operatoria, ha perso molto sangue ma l’infermiera dice che si riprenderà!” Glielo disse col sorriso sulle labbra, ma lui non la degnò di uno sguardo.

“Bene”. Disse annuendo.

Joan non capiva. Non era minimamente toccato da quella notizia. Aveva imparato a conoscere Cult, a capire che nascondeva bene le sue emozioni, ma la sua reazione, ora, le sembrava assurda.

“Bene?! Un minuto fa stavi per spaccare il muro  perché nessuno voleva darti sue notizie e ora che ti dico che starà bene l’unica cosa che sai dire è ‘bene’ ?!”

“Cosa vuoi che ti dica?! Grazie?!” La guardò sprezzante. “Beh, grazie tante, ora puoi anche andare”.

Le indicò la porta, senza nemmeno guardarla.

Joan aprì la bocca, salvo poi richiuderla. Si sentiva stupida e non lo capiva.

“Sei… Sei proprio uno stronzo!” Urlò la ragazza, alzandosi di scatto. “Tranquillo ti lascio con la tua costante disperazione, vado da Duck, sai, quando si è spaventati è bello avere facce amiche vicine!”


Duck aveva gli occhi chiusi, sembrava sereno. Probabilmente era sedato. Joan aveva insistito per vederlo nonostante l’infermiera dicesse che probabilmente non si sarebbe svegliato prima di qualche ora.

Gli si avvicinò, prendendogli la mano.

“Sono morto e sono in paradiso?” Duck si era svegliato, parlava piano, a stento, ma vederlo sorridere nel dolore era bello.

“No, credo che in paradiso ci sarebbe qualcuno di meglio…”

“Non sottovalutarti così!” Si mosse sul posto, facendo una smorfia di dolore.

Joan si allungò per sistemargli il cuscino. “Devi stare attento a muoverti, non vorrai riaprire la ferita!”

“No, grazie, ha fatto schifo già la prima volta…”

“E’ tutto finito, ora starai meglio”.

Gli accarezzò il viso, delicata, mentre continuava a stringergli la mano.

“Mi fa male, Joan”.

“Ora chiamo un’infermiera, vediamo se possono darti altri sedativi, ok?” Fece per voltarsi, ma la presa di Duck si fece più salda. Sembrava terribilmente spaventato. “Non lasciarmi da solo”.

Joan, intenerita da quell’esternazione, sorrise. “Guarda che non mi intenerisci solo perché sei in ospedale…” Ma poi si fece seria. “Cerco un’infermiera, poi giuro che torno!”

Duck, convinto la lasciò andare, vedendola poi tornare alcuni minuti dopo con un’infermiera piccoletta di mezza età.

“Vediamo come va questo ragazzone! Cosa c’è che non va, splendore?”

“Mi fa male, e ho sete”.

“Per la sete, prendi questo”. L’infermiera gli porse un bicchiere mettendoci dentro dell’acqua e una cannuccia. “Ma bevi piano! E per il male ora ti do altri antidolorifici”.

Duck, calmo come non mai, beveva lentamente, mentre l’infermiera gli somministrava un’altra soluzione. Una volta finito si avvicinò a Joan.

“Senti, lui ora dormirà sicuramente, quindi forse è meglio se vai a casa a riposarti”.

“Preferirei restare finchè non arrivano i suoi amici, non mi va di lasciarlo solo”.

“Ah…Hai proprio una brava fidanzata, splendore!” Concluse sognante uscendo dalla stanza.

Duck, che sembrò  risvegliarsi, spalancò gli occhi. “Come mai lei pensa che tu sia la mia fidanzata e tu non l’hai corretta?!”

Era tornato il suo sguardo sveglio e divertito e Joan capì che il peggio era passato.

“Quando starai meglio te lo spiegherò”.

“So già che mi piacerà un sacco questa storia”.

“E io so che mi pentirò di essere stata così avventata…” Gli passò nuovamente una mano sul viso. “Ora dormi”.

Quando fu certa che Duck si era addormentato si mise sulla poltroncina di fianco al letto.

 
Cult aveva percorso il corridoio almeno dieci volte prima di decidersi ad entrare in quella stanza. Aveva avuto seriamente paura per Duck. Vederlo in quel letto gli fece venire un tuffo al cuore, ma se non altro ora stava bene.

Joan dormiva sulla poltroncina, con la testa appoggiata al braccio, in una posizione sicuramente molto scomoda.

Prese la coperta piegata ai piedi del letto e gliela mise addosso, ma lei si svegliò subito, raddrizzandosi.

“Ehi!” Cult si scansò, con la coperta ancora in mano.

Lei si alzò, senza guardarlo. “Vedo che ti hanno fatto passare…”

“Sì, io… Ho fatto gli occhi dolci a un’infermiera giovane…”

Joan alzò gli occhi al cielo. “Ottimo, allora se ci sei qui tu io posso anche andare”.

“Aspetta. Puoi restare, se vuoi…”

“L’infermiera ha detto che Duck dormirà per le prossime ore, sono rimasta solo perché non volevo fosse solo nel caso si svegliasse, ma visto che ora ci sei tu… Non vedo il motivo di restare qui in due”. Sputò quelle parole come se fossero le più difficili della sua vita. Odiava essere dura con lui, odiava essere arrabbiata con lui. “Se si sveglia digli che torno a trovarlo domani”.

Prese la sua borsa e, senza aspettare che Cult le rispondesse e uscì dalla stanza.

Cult guardò Duck, che dormiva profondamente, poi guardò Joan allontanarsi. Ripeté quell’azione un altro paio di volte, per poi correre fuori dalla stanza, per raggiungere la ragazza. Lei, però, era già sparita.

Corse per il corridoio, prendendo la scale, fino all’uscita. Quasi sbatté contro le porte scorrevoli dell’entrata perché non voleva fermarsi.

Si guardò intorno, ma non la vedeva, cercava di riconoscere tra i numerosi passanti il suo viso, ma senza successo. E poi, finalmente, la vide, di spalle, lontana pochi
passi. La rincorse e le prese un polso, bloccandola.

Joan sussultò, rischiando di andare a sbattere contro un’ambulanza.

“Ma sei impazzito?!”

“Mi dispiace”. Disse lui col fiatone, continuando a stringerle il polso.

“Ehm… Ok, ora puoi anche lasciarmi…” Si sentiva a disagio.

“Sì, ma non mi riferivo al fatto che ti ho fatto spaventare…” Cercò i suoi occhi e, quando finalmente li incontrò, si trovò a sorridere senza alcun motivo. “Mi riferivo a prima…”

“Ah…”

“Io… Mi sentivo in colpa… Stasera dovevo andare con Duck, ma lui ha detto che poteva fare da solo e io…”

La voce gli si ruppe. Joan dimenticò all’istante la discussione di poco prima. Vederlo così distrutto, stanco, la uccise.

“Non è colpa tua... “

“Sì, invece! Se fossi stato con lui non sarebbe successo!” Era arrabbiato, urlava, e i capelli, leggermente lunghi, erano mossi dal vento estivo.

“Oppure sarebbe stato ferito comunque, o sareste stati feriti entrambi…” Cercò di calmarlo. “Non puoi saperlo, Cult. Non sei Dio, non disponi di ciò che succede, quindi smettila di sentirti responsabile per qualsiasi cosa succede alla persone a cui tieni!”

Non sembrava convinto.

“Le cose brutte succedono e basta e tu, che ti piaccia o meno, non puoi farci niente! L’importante è che Duck ora stia bene”.

Abbassò lo sguardo, mentre tirava calci al vuoto.

“Io…” Alzò una mano, così vicina al volto di Joan che poteva quasi sembrare un accenno di carezza. Ma la fece ricadere lungo il fianco, a peso morto.

Fu Joan ad avvicinarsi a lui. “Va tutto bene, Duck sta bene”. Si avvicinò ancora, abbracciandolo.

Era la prima volta che era lei a consolare lui, ed era la prima volta che Cult si lasciava consolare in quel modo.

“Va tutto bene, Cult”. Continuava a stringerlo a sé, in un momento magico. “Andrà tutto bene”.

Era come se nient’altro esistesse. Il mondo continuava a girare, le sirene della ambulanze continuavano a suonare, le persone a camminare, ma loro erano lì, immobili.
 
Questo è probabilmente il mio capitolo preferito fino ad ora. Ho gli occhi a cuoricino e stop, non ci posso fare niente!
Spero piaccia anche a voi come piace a me :)

A presto! 
  
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