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Autore: vivis_    27/07/2016    4 recensioni
L'abbiamo provata tutti, quella sensazione di impotenza. Sì, quella che ti attanaglia l'anima quando ti senti in dovere di aiutare qualcuno, ma non credi di possedere i mezzi per farlo.
Tutti l'abbiamo provata, tutti tranne lui: Sherlock Holmes.
Lui ha sempre la soluzione a tutto, o almeno l'aveva sempre avuta, fino a quel giorno. Il giorno in cui lui e colui il quale rappresenta l'altra metà della sua vita, John Watson, si trovano letteralmente bloccati nell'ennesima sfida da affrontare insieme. Uno con l'altro, l'uno per l'altro.
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Dal secondo capitolo:
Era panico quello che sentiva, panico e impotenza. La scena che si trovava davanti era tutta sbagliata. Non era lui che si prendeva cura di John, era John che salvava la vita a lui, sempre. Era John che si preoccupava di ascoltare i suoi lamenti silenziosi, le sofferenze inespresse sapendo esattamente cosa fare per alleviarli. Era John l’eroe, non lui."
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1. C’è posta anche al tramonto
 


Il detective Greg Lestrade era uno di quegli individui classificabili come “sposati con il proprio lavoro”. Lui stesso ne era consapevole e, a dirla tutta, nemmeno gli dispiaceva. Anzi, ormai lo considerava il suo epiteto, specialmente da quando il suo matrimonio, quello vero, aveva visto la sua fine dopo una lenta agonia. Nonostante il suo innegabile amore per Scotland Yard, quel pomeriggio fu comunque compiaciuto del fatto di riuscire ad essere sulla via di casa prima che il tramonto potesse imbrattare la grigia tela del cielo londinese con le sue tinte infuocate.
«Buon pomeriggio Rajiv!» salutò una volta entrato nella portineria.
Un omino dalla pelle bronzea fece capolino da dietro la porta scricchiolante del suo gabbiotto.
«Buongiorno Signor Lestrade» ricambiò il saluto con un sorriso gentile. «È tornato presto, oggi Londra ha fatto la brava?».
«Così sembrerebbe, ma non abbassiamo mai la guardia» rispose il detective strizzando l’occhio. «C’è posta per me?» chiese infine.
Il portinaio di origini indiane annuì energicamente e si voltò verso la parete alla sua sinistra. Quel lato del gabbiotto era organizzato in tanti piccoli scompartimenti quanti erano gli appartamenti del palazzo, all’interno dei quali il buon Rajiv smistava meticolosamente la posta che arrivava. L’omino alzò l’indice verso l’alto e lo fece scorrere da destra verso sinistra, affilando lo sguardo.
«12, 13… eccolo! Interno 14.» esclamò.
A cause della sua bassa statura dovette alzarsi sulle punte per riuscire a girare la chiave e aprire lo sportello della cassetta della posta di Lestrade. Ancora in equilibrio sui piccoli piedi, estrasse un paio di buste da lettera, tre buste leggermente più grandi di cartoncino marrone, una due con il timbro della polizia metropolitana e una anonima, e una cartolina proveniente dalle Canarie. Compattò poi tutto il materiale in una pila ordinata e la porse al detective attraverso la piccola finestrella del gabbiotto.
Greg ringraziò Rajiv con un cenno del capo e lo congedò con un sorriso amichevole.
Una volta nel suo appartamento, appoggiò la posta sul tavolo della cucina e si diresse verso il bagno disseminando cappotto, cravatta e indumenti lungo il tragitto. Aveva deciso che si sarebbe premiato con una lunga, lunghissima doccia calda e nessuno lo avrebbe distratto dal suo obbiettivo.

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All’interno delle mura del Diogenes Club l’unico rumore consentito è quello del ronzio delle laboriose menti degli intellettuali che, seduti dietro le pesanti scrivanie in noce, si tengono costantemente aggiornati sulle ultime notizie dal mondo  leggendo meticolosamente i quotidiani del giorno. L’unico locale in cui fosse consentito parlare era l’ufficio di colui il quale, più di una volta, si era autodefinito “la personificazione del Governo inglese”: il Signor Mycroft Holmes.  
Il maggiore dei fratelli Holmes estrasse una prima edizione de ‘I Dolori Del Giovane Werther’, rilegata in pelle scura, dallo scaffale della massiccia libreria a muro, tanto grande da occupare un’intera parete. Tutto in quella stanza profumava di antico, se non fosse per la quasi totale assenza di polvere, dovuta all’ossessiva cura che Mycroft aveva di quel posto, si sarebbe potuto pensare che quella stanza fosse stata chiusa a chiave nel pieno dell’età vittoriana e mai più riaperta.  
Il capo dei servizi segreti britannici aprì il libro, delicatamente, in un punto a caso della storia. Conosceva a memoria il contenuto di quel romanzo epistolare, non occorreva che ricominciasse dall’inizio.
“Dalle montagne invalicabili fino ai deserti che nessun piede ha mai calpestato, fino agli estremi lidi dell'oceano ignoto, alita lo spirito dell'eterno creatore e si compiace di ogni pulviscolo che lo percepisce e vive...” le parole dello scrittore tedesco erano gentilmente accarezzate da un fascio di luce aranciata proveniente dalla finestra alle sue spalle. La romantica combinazione conferì all’atmosfera un ulteriore velo di letterarietà che compiacque Mycroft, fino a farlo sorridere impercettibilmente. 
L’improvviso bussare nervoso proveniente dalla posta d’ingresso, lo costrinse a destarsi da quella piacevole sensazione a cui si stava lentamente abbandonando.
«Avanti» disse allora riponendo il libro nello scaffale.
«Signor Holmes, la prego di scusarmi il disturbo.» un uomo canuto fece il suo ingresso nello studio, visibilmente turbato.
«Figurati George, di che si tratta?» chiese pacatamente Holmes.
«Mi è appena stata consegnata questa da un uomo dall’aspetto davvero inquietante, si è raccomandato di consegnarla a lei il più presto possibile.» spiegò mostrando l’anonima busta in cartoncino marrone che teneva sotto braccio. «L’ho già fatta controllare da Bart e pare sia sicura, niente traccia di esplosivo o veleno.» proseguì l’uomo, riferendosi al vecchio cane poliziotto che se ne stava perennemente acciambellato su un grosso cuscino appena fuori dall’ingresso del primo corridoio del Club.
«Definisci “inquietante”, George» richiese allora Mycroft, insospettito dall’ombra di agitazione che percorreva il volto dell’altro uomo.
«La sua voce, Signor Holmes, era lucida follia.» deglutì rumorosamente.
«George, non ho tempo per le tue metafore. Sii chiaro.» disse quasi spazientito mentre prendeva la misteriosa busta tra le lunghe dita.
«Non lo so Signor Holmes, sembrava un pazzo in un momento di lucidità, pronto a ricadere da un momento all’altro nella più completa follia.» spiegò allora l’uomo.
Mycroft non seppe cosa rispondere, si limitò quindi a congedare George con un rapido cenno della mano. Non appena la porta si chiuse, si sedette sulla poltrona in pelle nera e appoggiò la pesante busta sulle sue ginocchia, pronto ad aprirla.

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Molly Hooper sapeva benissimo che quel giorno il suo turno si sarebbe prolungato certamente oltre l’orario di cena. C’era stato un incidente sulla statale due giorni prima e un pullman di linea si era ribaltato, aumentando sensibilmente il numero delle perdite umane, il che poteva significare solo una cosa per la giovane patologa: una lista di autopsie infinita. Fu per quel motivo che, prima di iniziare, aveva deciso di passare per la caffetteria ed ora camminava per i corridoio dell’ospedale con un enorme bicchiere di cartone stracolmo di amaro liquido nero.
Spinse la pesante maniglia antipanico con il gomito ed entrò in obitorio, rinvigorita dalla scarica di energia provocatagli dalla caffeina. Gettò il bicchiere nel cestino appena dopo l’ingresso e si sedette alla piccola scrivania per riesaminare la lista delle vittime e capire quali autopsia sarebbero state prioritarie da eseguire.
Il sole si era oramai quasi tuffato del tutto nelle acque del Tamigi e il buio imminente costrinse Molly a pigiare anche l’ultimo interruttore per non dover sforzare troppo la vista e avere la visuale più chiara possibile durante il lungo lavoro. Le fredde luci a neon si riflessero sui tavoli operatori tirati a lucido, portando all’attenzione della donna un insolito elemento: una busta, anonima.
Molly sbatté le palpebre, perplessa. Aveva già ritirato tutte le analisi tossicologiche e le cartelle cliniche delle vittime, non aspettava altre buste. Dopo qualche attimo di titubanza, pensò di essersi dimenticata qualcosa in laboratorio e che qualche anima gentile gliel’avesse riportata e si diresse così, a passo svelto, verso il tavolo operatorio sul quale era stata adagiata. Con sua grande sorpresa non trovò alcun timbro dell’ospedale, ma si decise ad aprirla comunque, più per curiosità ormai.
Stacco la linguetta che teneva chiusa la busta e la capovolse per riversarne il contenuto sul tavolo. Ciò che Molly pensava fosse un plico di fogli, dato il peso della busta, si rivelò, inaspettatamente, essere un tablet, e anche parecchio costoso, constatò la giovane patologa. Con la coda dell’occhio vide un piccolo rettangolo bianco volteggiare in aria, quindi si voltò rapidamente e lo afferrò tra due dita appena prima che toccasse terra. Sul pezzettino di carta era riportata la parola “Accendimi” e quattro cifre: 2348.  La situazione iniziava a turbare Molly, tanto che decise di dare una seconda occhiata al tablet prima di seguire le istruzioni che le erano state lasciate. Dopo pochi interminabili secondi lo schermo s’illuminò e comparve un tastierino numerico al di sopra del quale lampeggiava la scritta “inserire codice di sblocco”. Senza nemmeno riflettere recuperò il pezzettino di carta dalla tasca del camice e digitò le quattro cifre scrittevi sopra, lasciano una sottile impronta di sudore freddo sulla superficie ancora intonsa.
Codice di sblocco corretto, benvenuto.
Lo schermo diventò completamente nero e dall’apparecchio elettronico usciva solo il respiro regolare di qualcuno dall’altro lato di quella che, ipotizzò Molly, doveva essere una webcam. Un sottile fascio di luce proveniente da una torcia illuminò improvvisamente i lineamenti contratti di un viso frastornato e spaesato, un viso che la giovane donna riconobbe all’istante.
Il panico prese possesso del suo corpo e le gambe furono le prime a cedere sotto il peso del mondo che pareva crollarle addosso. Si accasciò a terra abbandonando la schiena contro una gamba del tavolo da autopsia, si porto la mano sulla bocca per soffocare i violenti singhiozzi.
Non è lui, cercò di convincersi inutilmente.
Non appena riuscì a recuperare quel minimo di lucidità che le consentisse di formulare frasi di senso compiuto, sfilò il suo smartphone dalla tasca del camice e fece scorrere le dita a ritmo frenetico sullo schermo fino ad arrivare alla lista delle chiamate rapide, selezionare il numero della prima persona che le era passata per la testa e premere l’icona raffigurante la cornetta verde.
«Pronto?» rispose la voce maschile dall’altra parte del telefono.
«Greg! Greg è successa una cosa terribile!» cercò di spiegare nonostante l’iperventilazione.
«Santo cielo Molly, calmati, spiegami bene cosa sta succedendo.» dall’altro capo del telefono,
Lestrade era ancora avvolto nel suo morbido accappatoio bianco, ansioso, fino ad un momento prima, di poter schiacciare un pisolino.
«Ho ricevuto…» l’ennesimo singhiozzo troncò la sua frase sul nascere, prese allora un profondo respiro cercando di calmare gli spasmi che le attraversavano il petto. «Ho ricevuto una busta oggi in obitorio, non so chi l’abbia mandata ma… c’era dentro un tablet e… oddio Greg!» la sua frase venne di nuovo soffocata dai singhiozzi.
«Una busta anonima hai detto?» il detective lanciò un occhiata al tavolo della cucina, dove una ventina di minuti prima anche lui aveva appoggiato una busta senza mittente.
«Sì. Greg, io… io credo che abbiano rapito Sherlock e John.» riuscì a dire Molly Hooper nonostante il nodo che aveva alla gola le rendesse difficoltoso persino respirare.
«Molly mi stai spaventando, seriamente.» disse Lestrade scattando in piedi.
La giovane patologa spiegò a Lestrade l’immagine di Sherlock che si metteva a sedere, totalmente spaesato, mentre la flebile luce di una torcia illuminava lui e una figura umana ancora sdraiata per terra: il corpo di John.
«Oh Greg, e se John fosse morto?!» si disperò Molly ormai in preda ad una crisi nervosa.
«Non essere sciocca Molly, loro sono loro. Non devono, non possono non essere vivi entrambi. È semplicemente fuori discussione.» sentenziò l’uomo.
«Dobbiamo fare qualcosa Greg. Dobbiamo avvertire Mycroft.» strinse convulsamente il telefono, se non fosse stata così minuta, probabilmente avrebbe polverizzato lo schermo.
«Credo che non sia necessario.» rispose Lestrade dopo qualche attimo di silenzio.
«Ma cosa dici?! Perché non dovremmo avvertire il fratello di Sherlock.»
«Perché è appena entrato nella mia stanza, forzando la serratura. Penso che anche lui abbia ricevuto la nostra stessa busta.» annunciò. 
   
 
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