Più tardi in cortile, cercai Lincoln oltre l’inferriata, ma non lo trovai. Ero curiosa di sapere se Rizzo si fosse deciso a concedergli la telefonata, se Lincoln fosse riuscito a parlare con suo figlio e più di ogni altra cosa, di riprendere il discorso lasciato in sospeso riguardo la sua presunta innocenza.
La storia che mi aveva raccontato mi lasciava piuttosto perplessa. Credergli sarebbe stata una pazzia, chiunque avrebbe potuto inventarsi una storiella simile e proclamarsi innocente, però se fosse stata vera…
Dovevo assolutamente saperne di più.
Non avendo trovato Lincoln, cominciai a darmi un’occhiata in giro alla ricerca di Michael. In un batter d’occhio individuai Charles Westmoreland, solitario come sempre e seduto in una panca riparata dal vento con un giornaletto in mano, probabilmente di enigmistica. Riconobbi Fernando Sucre accanto alle cabine telefoniche, Abruzzi e il suo gruppo di leccapiedi, tutti attorno ad un tavolo e tutti apparentemente infervorati da un poker all’ultimo sangue. Notai persino il pervertito, proprio al centro del cortile, che supportato dal suo seguito di carogne, si stava divertendo a dare fastidio ad un ragazzo che non ricordavo di aver mai visto. Probabilmente doveva trattarsi di uno dei nuovi arrivi.
Erano tutti presenti all’appello quel pomeriggio, ma di Michael neanche l’ombra. Poi però mi ricordai che il giovedì solitamente il ragazzo si recava in infermeria per l’abituale controllo settimanale legato alla sua presunta malattia, quindi smisi di cercarlo. Lo avrei incontrato sicuramente più tardi. Avevo assoluto bisogno di chiedergli come avesse preso John Abruzzi la proposta che venissi integrata nel loro gruppo di lavoro. Speravo davvero in una notizia positiva.
Per un po’ restai ferma, impalata in un angolo a deprimermi, guardando il cielo ricoperto da nuvole dense e opache e chiedermi quando avrebbe iniziato a piovere, finché poco lontano da me sentii lo sghignazzare familiare del depravato che, dopo essersi divertito a punzecchiare il nuovo arrivato, lo aveva spinto a terra, allontanandosi successivamente.
Mi sentii quasi in dovere di raggiungere il ragazzo per aiutarlo. Mi faceva pena e in un certo senso mi ricordava i miei primi giorni a Fox River, quando ero io il passatempo preferito di T-Bag, io quella da torturare.
Gli arrivai alle spalle proprio nel momento in cui stava cercando di rialzarsi da terra, quindi lo aiutai a tirarsi su.
- Grazie amico, cominciavo a pensare che fosse in atto una sorta di congiura perché tutti mi snobbassero. - disse, ancora impegnato a ripulirsi i pantaloni.
- Figurati. Non ti hanno fatto del male, vero? - gli chiesi.
Reazione scontata e prevedibile. Anche lui presto ci avrebbe fatto l’abitudine, ma nel frattempo aveva ancora l’espressione da ebete e la bocca spalancata quando provò a formulare la prima domanda.
- Oh Gesù… ma tu… ma tu che ci fai qui? Tu… tu sei una ragazza?
- Beh, di sicuro non sono un secondino. - risposi con il tono di chi parla con un ritardato mentale.
- Certo… lo vedo, questa però non è una sezione mista. Non lo è, vero?
- No, non lo è.
- Allora che ci fa una ragazza qui?
- Ma che razza di domanda è questa? Ci faccio quello che ci fai anche tu, sconto la mia pena. O credi che io sia qui in vacanza?
- No… no, io… - Il ragazzo, palesemente in difficoltà, restò a fissarmi confuso, squadrandomi dalla testa ai piedi due volte. - … io non ci capisco più niente.
- Mettiti il cuore in pace, continuerai a non capirci niente. - esclamai porgendogli la mano. - Mi chiamo Gwyneth Sawyer e, sta tranquillo, sono l’unica donna – detenuto in tutta Fox River. Piacere.
- Io sono David, David Apolskis, in arte Tweener. - rispose imbarazzato, stringendomi la mano.
- In arte Tweener? - ripetei ridendo.
- Ma non mi dire! Sono qui per un permesso speciale da parte del direttore Pope.
- E come mai?
- Il come mai non è affar tuo. Ti ho per caso chiesto perché sei finito a Joilet invece che a Chicago? Non mi pare. – David restò in attesa, forse cercando di capire se stessi scherzando. Si rilassò soltanto quando notò che ridevo sotto i baffi. - Adesso devo proprio andare David Apolskis, in arte Tweener. Credo che ci vedremo in giro. Nel frattempo cerca di stare attento.
- Aspetta, dove vai?
- A chiedere udienza al re della foresta! - esclamai. In tutta risposta, David mi rivolse uno sguardo perplesso, quindi aggiunsi: - Te l’avevo detto che avresti continuato a non capirci niente.
Era proprio da lui e dal suo gruppo che mi stavo dirigendo. No, non mi aveva dato improvvisamente di volta il cervello, ero semplicemente impaziente di sapere se Michael avesse proposto all’ex capomafia la mia partecipazione all’interno del gruppo e cosa quest’ultimo avesse risposto. Non ero per niente un tipo paziente, non ero brava ad aspettare. Probabilmente se fossi stata una persona prudente o perlomeno, se fossi stata una persona che riflette prima di agire, avrei aspettato di parlare con Michael, ma lui non c’era. A quel punto, potevo aspettare che arrivasse l’ora di cena per potermi togliere il dubbio oppure potevo affrontare Abruzzi faccia a faccia e risolvere la faccenda di persona.
Lui e il suo clan stavano ancora giocando a carte al solito tavolo quando mi avvicinai. I primi a notare il mio arrivo furono un tipo completamente calvo con il pizzetto e un altro piccoletto dal viso scaltro coperto da grossi peli rossicci, che gli sedeva a fianco.
John era originario della Sardegna, il classico capomafia italiano insomma. Per poter arrivare a lui avrei dovuto ottenere udienza.
- Salve bodyguards! - esclamai ai due uomini quando mi vidi sbarrare il passo.
- Tornatene da dove sei venuta, Biancaneve! - rispose il piccoletto dal viso scaltro.
- Volentieri, ma prima vorrei discutere a quattr’occhi col boss.
- Lo sai, sei fastidiosa come una zanzara. Perché non ti levi di torno ragazzina, prima di pentirti amaramente di aver interrotto John Abruzzi? - continuò il tizio a fianco.
- Certo che voi americani avete quest’assurda propensione a vedere minacce ovunque. Suvvia ragazzi, sono solo una ragazza, che pericolo volete che rappresenti? - John ancora non sembrava volersi interessare alla mia improvvisa entrata in scena. - Per fortuna gli italiani hanno una mentalità più aperta. Sono abituati ad affrontare le situazioni di petto, e non certo a coprirsi le spalle mandando avanti i loro mastini, dico bene Mr. Abruzzi?
- E tu cosa ne sai di mentalità italiane? - mi chiese.
- Sicilia, eh? Splendida isola… non come la Sardegna, s’intende. Ho un grosso rispetto per la mentalità siciliana, la gente lì sa come ottenere ciò che vuole.
- Come faccio a sapere che dici la verità e che non mi stai prendendo in giro? - riprese - Tutto ciò che ti riguarda continua a rimanere un mistero persino per le guardie.
- Immagino che per un uomo con le tue conoscenze, non sia certo un problema scoprirlo, dico bene John? E comunque le mie origini non sono un mistero per nessuno, sono riportate persino sul mio fascicolo. - risposi, sperando di apparire ai suoi occhi anche solo la metà di come appariva sicuro e a suo agio ai miei.
- A-ah. Che ne diresti di arrivare subito al sodo? I giri di parole non mi sono mai piaciuti.
- Sono d’accordo.
- In verità sono qui per farti una… proposta.
- Bene, io adoro le proposte. - disse sorridendo sardonico, mentre si lisciava i lunghi capelli lisci lungo il collo. Era un gesto meccanico il suo, glielo avevo visto fare altre volte. - Sentiamo.
- Voglio prendere parte ai lavori di laboratorio. - affermai decisa.
Ci impiegò un po’ per tornare serio. - Non credo di aver capito… tu hai trovato il fegato per interrompere la mia ora di relax, solo per chiedermi un favore? - Altra risatina. - Non ti offendere, ma quando una bella ragazza viene a disturbarmi e io la invito a sedersi al mio tavolo, mi aspetto tutt’altro genere di proposte. - concluse, lanciandomi uno sguardo malizioso e piuttosto esplicito che provocò l’ennesima risata generale.
Decisi di trattenere una rispostaccia e mi limitai a sorridere anch’io.
- Peccato John, ti ritenevo tutt’altro genere di uomo, meno scontato a dire il vero. Solo gli ottusi relegano la donna alla sola utilità sessuale, e tu sembri possedere qualche neurone in più rispetto alla marmaglia di cui ti circondi.
- Ti sto offrendo un operaio in più nel tuo gruppo. - ripresi, intenzionata a farmi ascoltare e suonare convincente. - Potrei esservi utile e potrei farvi accelerare i tempi e terminare prima del previsto.
- E cosa ti fa pensare che io voglia terminare prima?
- Perché così otterresti un incentivo in più rispetto a quello che ti è stato promesso, ti verrebbe affidato un lavoro nuovo e ti libereresti di T-Bag… perché tu vuoi liberarti di T-Bag, giusto?
- Può darsi, ma tu come fai a sapere che il “Sergente Sodomia” è dei nostri?
- Scofield... - risposi, chiarendo ogni dubbio.
- Scofield… certo. Quel ragazzo ha la lingua un po’ troppo lunga.
- Michael è d’accordo sul fatto che partecipi anch’io alla ricostruzione della stanzetta delle guardie. Ieri ha detto che te ne avrebbe parlato…
- Sono io che decido a chi assegnare i lavori! - replicò in tono aspro.
- Lo so, per questo sono qui.
- Ascoltami bene ragazzina, perché adesso ti dirò esattamente cosa penso della tua proposta strampalata. - disse, sporgendosi lungo il tavolo. - Non ti farei entrare in quella stanza neanche se fosse il presidente degli Stati Uniti in persona a chiedermelo. Qui le regole le faccio io perciò rassegnati, tu con me e con il mio gruppo non avrai mai niente a che fare, hai capito? E adesso alza il culo da quella sedia e va a rifilare i tuoi discorsi saccenti a qualcun altro.
- Non ho ancora finito…
- Non spetta a te decidere quando finire e quando iniziare. Vattene prima che ti faccia ricordare cosa vuol dire far incazzare un connazionale.
Quando il mafioso si accorse che, nonostante le minacce, ero ancora seduta al loro tavolo e non mostravo intenzioni di alzarmi, fece un cenno ad un suo uomo senza neanche aprire bocca. Immediatamente un barbuto di un metro e novanta mi afferrò per le ascelle, sollevandomi come un fuscello. A poco servirono le mie imprecazioni.
- Cliff, puoi metterla giù.
Non c’era più niente che potessi fare. Per come si erano messe le cose, era già un grosso risultato poter battere in ritirata con le mie gambe. Soffocando il mio orgoglio ferito, mi voltai pronta ad andarmene, ma prima che potessi farlo la voce tagliente del mafioso tornò a rivolgersi a me.
- Posso assicurarti comunque che non sono l’unico a non volere che tu entri in quella stanza.
- Michael non ti ha detto niente… Neanche lui vuole che io partecipi ai lavori, capisco.
Più tardi, rientrando verso l’edificio al termine dell’ora d’aria, dovetti avvicinarmi alla zona protetta e lì, oltre l’inferriata, notai Lincoln intento a conversare col fratello. Quei due non c’erano mai quando li cercavo, ma se per una volta avevo la luna storta e non mi andava di incontrarli, eccoli che spuntavano tutti e due come funghi, e ovviamente sperare che non mi notassero perché troppo presi dalla loro conversazione, era chiedere troppo.
- Ehi Sawyer. - mi chiamò Lincoln facendomi segnale di avvicinarmi. - Dove ti eri cacciata?
- Ero alla ricerca di qualcuno a cui rovinare la giornata. - risposi.
- E lo hai trovato? - chiese Michael, appoggiando il mio finto sarcasmo.
- Non ancora, ma la giornata non è finita… sei poi riuscito a parlare con tuo figlio?
- Non devi. L-J sta bene?
- Per il momento si.
- E’ questa la cosa importante.
- Hai chiesto ad Abruzzi se posso entrare anch’io a far parte del vostro gruppo di lavoro?
- Ma che strano, John a me ha dato tutt’altra versione. - dissi con tono privo di emozioni, guardando Michael dritto negli occhi.
- Sei andata da Abruzzi? - Lincoln strabuzzò gli occhi, non so se più preoccupato o contrariato dalla cosa.
- Eh già. Secondo il caro John, lui non è propriamente il solo che si oppone al mio ingresso nella stanzetta delle guardie. - Ancora una volta puntai gli occhi su Michael in una silenziosa accusa. - Non che generalmente darei credito alle parole di quel poco di buono, ma questa volta, non so perché gli credo.
- Quello non è lavoro per una ragazza.
- Gwen, ti prego, cerca di capire. - intervenì Michael sfoderando quel suo sguardo dannatamente sincero. - Non è contro di te, credimi, è molto meglio così.
Sperai di poter imitare l’espressione truce che avevo letto sul volto di Abruzzi quando mi aveva liquidata un momento prima, quando mi rivolsi nuovamente al ragazzo.
- Oh lo so che non è contro di me, non preoccuparti, ma si da il caso che io voglia ugualmente quel lavoro e fosse anche l’ultima cosa che faccio, entrerò in quella stanza. Puoi giurarci se ci entrerò!
Ormai avevo deciso, che fosse stata o meno una cosa contro di me non m’importava. Sarei entrata in quella stanza con o senza il permesso del mafioso. John Abruzzi poteva anche avere il benestare delle guardie, ma non era certo il capo di Fox River, e a tal proposito io sapevo esattamente a chi rivolgermi per poter scavalcare l’altezzoso galeotto e tutta la sua schiera di tiraborse.
La giornata era cominciata male quando “occhi da lucertola” Brad Bellick era venuto a prelevarmi dalla mia cella per scortarmi alle cucine. Quando avevo domandato perché dovessi saltare il mio solito turno di lavoro a mensa, il secondino, andando poco per il sottile, aveva risposto sgarbatamente che lui non era un centro informazioni e che quindi non era tenuto a darmi alcuna spiegazione. A peggiorare il tutto, una volta arrivata, mi ero ritrovata nuovamente in coppia con Stephen che quel giorno aveva deciso di dare il peggio di sé per vendicarsi di aver scansato gli ultimi due turni di lavoro.
- Allora Sawyer, oggi quanto del tuo prezioso tempo ci riserverai?
- Voglio dire, forse tu pensi di essere in vacanza e di poterti assentare quando ti pare mentre noi qui sgobbiamo al posto tuo.
- Non penso affatto di essere in vacanza e di certo non mi assento per il mio personale piacere. - borbottai infastidita, cominciando ad occuparmi dei contenitori sporchi ammassati nel lavandino.
- Oh certo. Forse avresti fatto meglio a farti dispensare da ogni incarico dal direttore, oltre a farti assegnare una cella singola e un lavoro insieme ai volontari alla mensa… daltronde per avere simili privilegi bisogna essere una stupida sgualdrinella da due soldi.
- Si può sapere che problemi hai? - scattai davvero stanca di continuare a sentirlo polemizzare. - Mi dispiace davvero se il fatto di avere qualche privilegio in più perché sono una donna sminuisca il tuo orgoglio maschile, ma è così che stanno le cose, fattene una ragione! Ti disturba avermi nel tuo stesso gruppo di lavoro? Beh, comincia a chiederti quanto lo stesso valga per me e forse ti disturberà un po’ meno.
- Forse ti sfugge un piccolo particolare, principessa. - riattaccò odioso. - Bellick ci fa il culo se non usciamo tutte le mattine facendo splendere questa topaia. Non che il tuo aiuto sia così risolutivo, persino mia nonna saprebbe lavare queste padelle meglio di te.
- Non vedo come la mia assenza possa fare questa gran differenza. Siete in cinque, contando anche l’altro gruppo.
- No, siamo in quattro. Non sai nemmeno questo perché come dicevo non sei mai al lavoro.
- Ma piantala! - sbottai acida. - Sentiamo, chi ha dato forfait?
Riuscii a scheggiarmi un’unghia a furia di scartavetrare il pentolone appena capitatomi tra le mani, ma risi comunque per la battuta divertente.
- Che vuoi farci, questa è la prigione. Quando parli del pompato col pizzetto ti riferisci a C-Note, non è vero? - Il ragazzo rispose con un cenno affermativo. - E a quale altro posto di gran classe è stato destinato il caro Frank? Spero non alla biblioteca. Ho scongiurato in aramaico per ottenere quel posto, ma Bellick ha pensato che il posto per una donna dovesse essere la cucina. Che fantasia!
- Se ti avessero assegnata alla biblioteca mi sarei risparmiato l’imbarazzo di conoscerti.
- Comunque no, che io sappia C-Note è stato assegnato al gruppo di Abruzzi.
- No, è impossibile, so per certo che Abruzzi non voleva prendere nessun altro operaio. Come diavolo ha fatto C-Note a farsi ammettere?
Più rimuginavo su quella storia, più mi perdevo per strada. Che Abruzzi, Michael e compagni non mi volessero in quella stanza potevo anche capirlo, era un dettaglio da approfondire ma potevo capirlo, ma perché allora avevano preso C-Note? Se chiunque in quella stanza era ben accetto, allora il magazzino in cortile non nascondeva niente di interessante e questo poteva significare soltanto che il vero problema ero io.
“No, dev’esserci dell’altro…”
Michael e John Abruzzi odiavano Theodore Bagwell, non l’avrebbero mai accolto nel loro gruppo se non per una qualche incomprensibile e misteriosa ragione. E C-Note? Da quando mi trovavo a Fox River non lo avevo nemmeno visto avvicinare al clan del mafioso o alla stretta cerchia di Scofield, però da un giorno all’altro era stato accolto tra i membri che si occupavano dei lavori di laboratorio. Ero io che stavo cominciando a lavorare un po’ troppo di fantasia o c’era davvero qualcosa di contorto sotto che mi sfuggiva?
Trasalii per la sorpresa quando all’improvviso una delle guardie entrò nella stanza chiamando il mio nome. La guerra che si stava consumando nella mia mente sparì immediatamente come una nuvoletta di vapore.
- Sawyer, il direttore ti aspetta nel suo ufficio. Adesso!
Che potevo farci? Quella mattina mi ero rivolta alla direzione dicendo di avere urgente bisogno di parlare col direttore, ma non mi sarei mai aspettata di poter essere ricevuta così presto, né tantomeno mentre svolgevo il mio turno di lavoro.
Forse Stephen non aveva tutti i torti a considerarmi una privilegiata.
- Ok capo, mi lavo le mani e arrivo - risposi alla guardia, prima di rivolgermi a Stephen, sinceramente mortificata. - Ti giuro che si tratta di un caso.
- Mi dispiace sul serio.
- Si beh… sparisci di qua. - rispose conciliante e per la prima volta comprensivo.
Fin dal primo giorno la donna si era mostrata molto cortese nei miei confronti.
Quella mattina, stretta nel suo tailleur grigio antracite di una taglia più piccolo, tanto da stringerle la vita e farle sporgere la pancia sopra la cintura, Becky si era illuminata vedendoci entrare. Ovviamente sapevo benissimo che quel bel sorriso non fosse destinato a me, ma al dongiovanni Louis Patterson che mi accompagnava. D'altronde non era così facile ignorare le intense occhiatine che entrambi si lanciavano mentre aspettavamo che il direttore si liberasse per ricevermi. Avevo la sensazione che quei due non aspettassero altro che liberarsi di me per poter restare soli.
- Prego Gwyneth, adesso puoi entrare - mi avvertì Becky con la consueta gentilezza.
- Bene, grazie.
- Signorina Hudson… - esordì l’uomo lasciando la poltrona. - … so che ha chiesto di vedermi. Che posso fare per lei?
- So che non è quello che vuole sentirsi dire signore, ma mi trovo in difficoltà.
- E che cosa ti aspettavi? Questa è una prigione, le difficoltà sono all’ordine del giorno. Io lo avevo detto fin dall’inizio che scontare la condanna qui non sarebbe stato facile, soprattutto nel tuo caso. Avevo messo al corrente te e persino Keith dei rischi che avresti corso. Nel momento in cui hai accettato di diventare un detenuto di questa prigione, hai anche accettato di caricarti di ogni responsabilità relativa alla tua personale incolum…
- Direttore. - lo interruppi, intuendo il seguito di quell’inutile tiritera. - Lei è stato chiaro a sufficienza, stia tranquillo. Non sono qui per lamentarmi o denunciare un qualche tipo di violenza nei miei riguardi, sono qui per chiederle di concedermi una cortesia, non è gran che, mi creda. Vorrei che mi proponesse per un altro lavoro e mi trasferisse dalle cucine.
- Credevo di aver chiarito in modo molto chiaro che io non ammetto favoritismi nel mio carcere a nessuno dei miei detenuti, e non ci sono eccezioni né per razze, né per religioni, né tantomeno per sesso Gwyneth.
- Me lo ricordo.
- Ovviamente non sono cieco. So cosa accade all’interno del mio carcere e so che nonostante le mie disposizioni, alcuni detenuti riescono ad ottenere più privilegi degli altri, ma posso assicurarti che questo in alcun modo dipende da me o dalle guardie. - Su questo avevo forti dubbi. - Tutti i detenuti sono tenuti a eseguire i lavori che gli vengono assegnati, senza storie. Se non ci sono prove di avvenuti maltrattamenti, abusi o insofferenze di qualche tipo al luogo di lavoro, non posso fare niente.
- Mi sta dicendo che dovrà prima accadermi qualcosa perché vengano presi dei provvedimenti? - Il direttore fremette sulla sua poltroncina di pelle e non riuscì subito a rispondere. - Senta, so che lei non è tenuto ad offrirmi alcun vantaggio solo perché sono una donna e infatti non è quello che le sto chiedendo, voglio solo evitare spiacevoli inconvenienti che, le assicuro, si verificheranno presto se continuerò a svolgere il turno di lavoro pomeridiano nelle cucine.
- Che cosa stai cercando di dirmi? Qualcuno ha attentato alla tua vita? - mi chiese a disagio.
- No, ma credo che accadrà molto presto e non voglio aspettare di finire come Seth Collins. Quel ragazzo si è suicidato, e lei sa bene il perché.
- Chi stai accusando esattamente?
- Non sto accusando nessuno.
- Signorina Hudson, - continuò alzando impercettibilmente il tono della voce - lei non può sganciare una bomba del genere e poi ritrattare. - Eravamo tornati alle formalità, segno che la conversazione stesse procedendo su un terreno minato. - Se nelle cucine accade qualcosa di spiacevole di cui io non sono al corrente, lei è pregata di riferirmelo.
Il tono acceso e deciso che avevo sfoderato nell’ultima parte aveva avuto proprio l’effetto desiderato. Ormai Pope stava per crollare, glielo leggevo negli occhi.
- Insomma, cosa mi stai chiedendo di fare? Ignorare quello che sta succedendo e permettere che le cose degenerino com’è accaduto la settimana scorsa durante la rivolta?
- No, le sto chiedendo di mettermi nelle condizioni di poter completare i miei tre mesi e uscire sana e salva da Fox River.
- Ascolti, le propongo una soluzione e se non sarà d’accordo, lascerò a lei la decisione di prendere provvedimenti o meno, prometto che non la disturberò più. - ripresi pronta a contrattare. - Io adesso tornerò al mio lavoro nelle cucine e farò finta di niente. Durante il secondo turno pomeridiano, lei potrà affidarmi un nuovo lavoro così nessuno sospetterà che sia stata io a chiederglielo. Vede, il vero problema è che io salto spesso il turno di lavoro per le visite in infermeria o i colloqui col mio patrigno e il mio avvocato… persino con lei. Capisco perché i ragazzi siano disturbati dalle mie continue assenze.
- Se lei, direttore, mi destinerà ad un’altra attività pomeridiana, eviteremo possibili incidenti e soprattutto eviterà di mettermi nella scomoda situazione di dover puntare il dito contro qualcuno e allungare la già lunga lista di detenuti che…- “Vorrebbe accopparmi” - …non mi vede di buon occhio.
- Non potrebbe assegnarmi un lavoro indipendente? - proposi per mostrarmi partecipativa.
- E’ escluso. Per poterti assegnare un lavoro indipendente dovrei inventarmene uno e come ti ho detto, questa è la prigione, non facciamo distinzioni. Tra le altre cose, qualcuno potrebbe anche pretendere, con ragione, lo stesso trattamento.
- La biblioteca allora.
- No, anche questa ipotesi è da scartare. Se avessi potuto assegnarti a quel posto, lo avrei già fatto dall’inizio.
- Mmm… allora che ne direbbe della stanzetta delle guardie, l’ex magazzino sul cortile esterno?
- Si, proprio quella.
- Ma si tratta prevalentemente di un lavoro di ricostruzione e manodopera. Hai esperienze in questo campo?
- Per niente, ma penso che potrei trovare un modo per rendermi utile.
- Non credo sia una buona idea. - disse, tornando a massacrarsi il mento con le dita. - Trattandosi di un lavoro al chiuso in una sezione separata, le guardie non potranno controllare minuto per minuto ciò che accade in quella stanza.
- Senza contare che il gruppo che si sta occupando dei lavori conta tra i suoi membri uomini molto pericolosi, tra cui Lincoln Burrows che attualmente è in attesa di ricevere la pena capitale.
- Signore, personalmente non ritengo Burrows un pericolo per la mia incolumità. L’unico problema al momento credo sia rappresentato da Abruzzi.
- Per quale motivo? - chiese accigliandosi.
- Beh, a quanto ho sentito dire è John Abruzzi che coordina i lavori di laboratorio e che sceglie chi deve far parte del gruppo, e adesso il gruppo è al completo. Se oggi pomeriggio mi presentassi all’ex magazzino, ho paura che Abruzzi potrebbe… ehm… avere qualcosa di ridire… potrebbe opporsi, ecco.
- Sciocchezze! Sono io il direttore, io faccio le leggi.
- Non lo metto in dubbio signore, ma quello che voglio dire è che Abruzzi gestisce il laboratorio da anni…
- Signor direttore, - ripresi - stiamo parlando di John Abruzzi e io non credo proprio che accetterà di prendermi nel suo gruppo se non sarà lei stesso a ordinarglielo.
- Va bene, dirò al capitano Bellick di accompagnarti nella stanzetta – magazzino oggi pomeriggio, così potrà spiegare personalmente al gruppo che si occupa dei lavori la tua presenza lì da adesso in avanti.
Quasi non potevo credere di aver ottenuto il lavoro, non avevo dovuto nemmeno ricorrere alle suppliche.
Intuendo che il nostro colloquio fosse ormai giunto al termine, mi alzai dalla poltroncina e dopo essermi congedata, mi diressi in silenzio verso l’uscita. Il direttore mi richiamò quando ero ormai arrivata alla porta.
- Signorina Hudson, spero di non dover più ricevere richieste del genere, perché non ci saranno più altre concessioni da parte mia.
Abbozzai un sorriso conciliante, ma questa volta il viso del direttore non accennò a distendersi. Più che come un avvertimento, le sue parole erano giunte a destinazione come una minaccia.
- Cercherò di ricordarmene in futuro. Buona giornata direttore.