Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: shezza_demon221    28/07/2016    1 recensioni
Tutto quello che so è una porta sul buio.
(Seamus Heaney)
L'arrivo inaspettato della misteriosa Lily porterà nuove vicissitudini al 211b di Baker Street.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Nota
: la frase alla fine del capitolo contrassegnata da (*) è presa da un libro di Banana Yoshimoto, Amrita. Piccola licenza poetica!


Capitolo 12

Expectations


Sherlock e Lily avevano deciso di camminare un po’ prima di fermare un taxi per andare a casa di John. Lily avrebbe voluto un espresso, cosa che aveva fatto esultare Sherlock visto che provava la sua ipotesi: invece del the che le aveva offerto a colazione avrebbe preferito il caffè. Lei aveva riso divertita: non era quello il concetto, aveva replicato. Ma Sherlock sembrava così tronfio che aveva lasciato perdere.
Lasciamolo annegare nel suo autocompiacimento aveva pensato, guardandolo il suo viso contento e soddisfatto.

Mentre Lily teneva in mano la sua tazza da asporto nel freddo di Febbraio, le era tornata in mente la mattina che le aveva offerto il famoso caffè sulla scena del crimine.

“Era un modo per chiedermi scusa?” aveva chiesto, dopo aver raccontato il suo ricordo a Sherlock.

Lui aveva alzato le spalle, e fatto una smorfia pensierosa: “Probabilmente. O era il senso di colpa per averti lasciato senza caffeina”.

Lily lo aveva guardato, con aria dubbiosa: “Puoi dirmelo, non andrò a spifferarlo in giro” aveva portato il bicchiere di carta alle labbra, camuffando un sorriso mentre Sherlock si girava verso di lei di scatto con una faccia leggermente infastidita: “Guarda che io so chiedere scusa; quello che faccio raramente è implorare e supplicare”.

Lily aveva continuato con l’espressione scettica: “Tu sai chiedere scusa, davvero?”

“Ma come!” aveva risposto Sherlock “e stanotte? te la sei sognata forse?” aveva guardato davanti a sé, diventando serio tutto a un tratto. L’aria scherzosa era sparita “sono dispiaciuto per quello che è successo, so che a volte mi spingo oltre ma lo capisco una frazione di secondo dopo aver aperto bocca. O se non me ne accorgo subito, ci pensa John a puntualizzare e farmi rendere conto di aver fatto una stupidaggine”.

Lily lo aveva fissato tutto il tempo, assorta. Non intendeva fermare le parole che gli uscivano dalla bocca; il contatto fisico di poche ore prima, ora questo. Era rimasta affascinata da questa piccola apertura da parte sua che andava avanti da tutta la mattinata. Tali momenti era sicura fossero rari, e quindi non osava fiatare per evitare che il flusso di pensieri di Sherlock si interrompesse.

“Ci saranno altre occasioni in cui probabilmente ti ferirò, ne sono quasi sicuro” aveva chiuso gli occhi per un momento “ma tu pensa sempre a che tipo di persona sono. Non sono cattivo, sono propenso a dire quello che la gente tende a nascondere per educazione. E non sopporto la chiusura mentale e la stupidità. Questo non vuol dire che io voglia male alle persone; se succederà, ricordatelo. Pensa a come sono, pensa a me”.

Il cuore di Lily aveva fatto una capriola. Sentiva le guance arrossarsi, lo spazio e il tempo si erano distorti, probabilmente erano in un'altra dimensione. Si era trattenuta dal dirgli che a lui ci pensava un po’ troppo ultimamente ed era estremamente confusa. Ma si era morsa la lingua, sapendo che Sherlock si definiva non interessato alle relazioni sentimentali ed era sposato al suo lavoro. L’aveva guardato, e lui sentendosi osservato si era girato verso di lei “Te lo ricorderai? Di come sono?”

“Certo. Cercherò di farlo” i suoi occhi si erano incollati a quelli di Sherlock. Lui aveva sorriso leggermente. Lily a quel punto aveva sentito un bisogno impellente di avere un contatto con lui. Si era avvicinata ed aveva infilato un braccio sotto quello di Sherlock “Troppo? Ti mette a disagio?” aveva chiesto, non staccando gli occhi dai suoi.

Sherlock si era irrigidito leggermente; aveva visto la sua gola fare su e giù, nel gesto di deglutire. Poi aveva aperto leggermente la bocca, facendo uscire un po’ di condensa: “Uhm…non saprei, non credo. È un’estremità, niente di che” e aveva guardato il suo braccio intrecciato a quello di Lily, spostando gli occhi su di lei “è una cosa che la gente fa di solito, no?”

“Sì, la gente lo fa” Lily aveva stretto la presa, sorridendo all’evidente disagio di Sherlock “non è un abbraccio, questo è sicuro” si era fermata per un attimo “hai ricevuto un abbraccio, vero? aveva aggiunto, pensando anche che probabilmente era una domanda molto stupida. Non poteva credere non ne avesse mai ricevuto uno. Non contando il suo, la sera prima.

“Certo che ne ricevo” aveva replicato “da un sacco di gente, ma lo reputo un gesto molto inutile. Il contatto umano è sopravvalutato. Insomma, si può dire grazie a una persona in un milione di modi, senza soffocarla con le braccia”.

Lily aveva sentito una fitta vicino al cuore, sentendosi chiamata in causa. Ma probabilmente neanche se lo ricordava, con tutta l’adrenalina che scorreva subito dopo la sparatoria.

Aveva scrollato le spalle e aveva chinato la testa, ridendo: “Ma guarda che il contatto umano non è brutto, Sherlock. Anzi, a volte può far star meglio. Mai sottovalutare il conforto di un abbraccio dopo una brutta giornata o per fare pace dopo aver litigato. Io penso sia terapeutico”.

“Perché tu sei una donna, e voi siete fissate con queste cose. Abbracci, baci, coccole” aveva storto la bocca.

“Le coccole sono sottovalutate a mio parere. Sentire la presenza di una persona vicina a te, avere un contatto che non deve essere necessariamente carnale è rassicurante. E divertente anche. Perché puoi ridere e dire cose sciocche, puoi giocare con i capelli della gente o fare la lotta”.

“Fare la lotta?” aveva chiesto Sherlock “che razza di roba è?”

Certo, Sherlock non aveva mai potuta fare la lotta con una donna, non avendone mai avuta una. Ma poi aveva scosso la testa internamente, irritata. Sherlock Holmes non poteva essere vergine. Era fuori discussione.

“È divertente. Ti fai il solletico e cerchi di prevalere sull’altro e di farlo arrendere. Poi in quelle più hardcore si possono aggiungere i pizzicotti o i morsi” aveva concluso soddisfatta “se vuoi un giorno proviamo. Tanto vinco io” aveva esclamato di getto. All’ultima sillaba, si era accorta di quello che era uscito dalla sua bocca, ed era inorridita. Era il caffè, la lingua sciolta di Sherlock o il fatto che stesse parlando con lui che le faceva dire certe cose?

Ma che diavolo hai detto, stupida. La lotta con Sherlock Holmes, ma sei scema?

Aveva cautamente alzato lo sguardo verso Sherlock, che sembrava molto pensieroso: “Forse è come quella che facevo con Mycroft da piccolo. Solo che finiva a lividi e botte pesanti, forse non è il tipo di lotta che intendi tu” l’aveva guardata, ed era rossa fino alla punta dei capelli. Aveva aggrottato le sopracciglia “tutto bene?”

“Sì sì tutto bene, scusa. Ma questo caffè è veramente bollente” aveva riso Lily nervosa; doveva riprendere il discorso con nonchalance per non far trasparire il suo evidente imbarazzo, ma ormai era in ballo e doveva ballare “quella che intendi tu, Sherlock, è la lotta tra maschietti. Io intendevo quella tra uomo e donna” aveva tralasciato il fatto che di solito la lotta portava a qualcos’altro, avesse turbato la mente di Sherlock più del necessario. Per carità. Si stava invischiando in un discorso molto complicato. Sentiva un vago sentore di panico salirle in gola.

“Ma i morsi e i pizzichi non sono divertenti” aveva aggiunto lui, con voce ovvia “chi li reputa divertenti?”.
Veramente, a volte sembrava di parlare con un bambino di tre anni.

“Sherlock è un gioco, non ci si fa male sul serio” aveva risposto Lily con voce materna.

Continuava a guardare l’espressione smarrita e parecchio confusa di Sherlock.

Lily aveva preso il discorso alla larga: “Insomma Holmes, quando vai a letto con una donna non ci giochi un po’ prima di…” aveva alzato le sopracciglia, muovendo la mano libera con un cenno vago, cercando di farsi capire.

Sherlock aveva di nuovo puntato gli occhi su di lei, come due spilli.

Lily lo guardava a sua volta. Doveva sapere assolutamente questa cosa, assolutamente.

“Veramente no. Quando capita” per fortuna aveva capito il soggetto del discorso “e bada bene succede solo per delle indagini estremamente importanti, e solo per quello arrivo al contatto fisico“ aveva tenuto ad aggiungere “io addirittura penso ad altro. Sbrigo la funzione, le faccio rivestire e se ne vanno. Nessuna ha mai passato la notte nel mio letto. Dormire in compagnia mi fa sentire a disagio”.

“Ah” era tutto ciò che era riuscita a dire Lily. Un romanticone, Sherlock Holmes.

“Quindi la gente fa la lotta per poi fare sesso” aveva intuito, chiedendolo a Lily.

Noooo è solo per scherzare Sherlock” Lily ci aveva rinunciato. Parlare di sesso con lui era come parlare di fisica quantistica a una cheerleader.

“Però per come la descrivi tu, sembra divertente” aveva sorriso, come un bambino “noi siamo amici?” le aveva chiesto, guardandola intensamente. Lily si sforzava di ricordare se la sera prima Sherlock avesse preso qualche botta in testa. Questo giustificava le domande ingenue e assurde che le stava ponendo da venti minuti buoni.

Spiegare anche il concetto di amicizia, che bellezza.

“Beh…direi di sì, vi ho fatto passare un bel po’ di guai e voi mi avete aiutato; di solito gli amici fanno questo l’uno per l’altro” aveva aggiunto titubante. Sperava vivamente di non sentire quello che sospettava, perché sarebbe stata solo colpa sua e non poteva rimangiarsi nulla a quel punto.

“Ho salvato molte volte anche John” aveva detto Sherlock “e lui ha salvato me, molto di meno eh, ma mi ha pur sempre salvato. E noi siamo amici”.

“Giusto” la voce di Lily tremava ormai. L’amicizia tra uomo e donna, un mistero ancora non risolto ai giorni d’oggi.

“Con lui non ho mai fatto la lotta, qualche volta mi ha messo le mani addosso per l’esasperazione ma temo non fosse per gioco” aveva mormorato, con aria corrucciata.

Lily continuava a fissare davanti a sé, continuando a pregare dentro la sua testa.

“Beh semmai dovesse capitare, mi farai vedere come fanno la lotta i maschi e le femmine” aveva concluso “anche perché è praticamente impossibile che tu possa vincere, figurati. Sei un fuscelletto”.

A Lily era venuta in mente una battutaccia, ma aveva subito messo a tacere quel lato del suo cervello che la faceva diventare una donnaccia da osteria: “Certo, Sherlock, sicuramente. Ora prendiamo il taxi? Si è fatto tardi”.

Che brutta considerazione che aveva Sherlock del contatto fisico, pensava Lily mentre lasciava il suo braccio. Una cosa che non gli suscitava emozioni, una cosa che non lo confortava. Anche solo il prenderlo sotto braccio l’aveva fatto tendere come una corda di violino. Ma non poteva credere che l’amicizia di John non l’avesse fatto emozionare. Li aveva visti parlare, confrontarsi e quello che c’era era chimica pura. Si capivano al volo e si sopportavano l’un l’altro. Mary a volte li chiamava “marito e moglie”.
Aveva sorriso, ripensando ai litigi a cui aveva assistito, allo scambio di battute che la facevano morire dal ridere.
Il sesso poi, questo sconosciuto. Si era mai innamorato, aveva questa avversione per i sentimenti proprio perché aveva sofferto? Lily non sapeva come poteva essere stato anni e anni fa, ma non credeva al fatto che non si fosse mai infatuato di qualcuno. Andava a letto con le donne, ma solo per ottenere informazioni. Un brivido le era corso lungo la schiena. Lo immaginava declinare inviti a cene e  aperte provocazioni da donne sicuramente magnifiche, bellissime e seducenti. Solo perché lui credeva che il contatto fisico fosse inutile, sopravvalutato.
L’amore per lui, non esisteva.
Lily aveva sentito il cuore stringersi. Non si poteva competere con una convinzione così radicata. E poi chi era lei, per far cambiare idea a Sherlock Holmes, l’uomo dagli occhi e dall’animo di ghiaccio? Non aveva neanche scalfito la superficie.

Aveva sospirato, sperando che questa idea della lotta venisse accantonata da qualche parte del suo cervello e dimenticata.

Le aveva chiesto se erano amici. Ma perché, non lo sapeva già? Certo che erano amici, dannazione.
L’aveva accolta in casa sua, senza neanche conoscerla, le aveva dato un rifugio, l’aveva salvata da Kaleb. Non era forse quello essere amici, aiutarsi? O l’aveva fatto solo sotto la spinta di John?

Lily aveva scosso la testa, furiosa. Doveva smetterla con tutti questi pensieri e ricominciare a ragionare da persona normale. Tutte queste informazioni e dubbi che le riempivano la testa, la mandavano solo in confusione. Sapeva che Sherlock era Sherlock e lei non si riteneva abbastanza speciale per farsi notare da lui. Ma gli voleva un gran bene, un bene che sconfinava nell’infatuazione. L’aveva affascinata come fa un serpente con la sua preda, l’aveva avvolta nelle sue spire e adesso la stritolava con i suoi discorsi razionali e scettici. Ma era un dolore dolce, perché poi all’improvviso le sorrideva o teneva aperta la porta per lei, la avvertiva se c’era uno scalino o una buca sul marciapiede; “attenta” diceva, con quella sua voce profonda; quel suo modo di essere trasognato e innocente su alcune cose mentre su altre era altamente ricettivo ed esperto. Le aveva permesso di prenderlo sottobraccio e secondo lei questa era una dimostrazione di fiducia nei suoi confronti. E lei ne era contenta, talmente tanto che forse si sarebbe anche accontentata di essere sua “amica”. Ma non ne era molto sicura. Se quella mattina, con il suo viso tra le mani l’avesse baciata, lei non avrebbe detto nulla, avrebbe solo ricambiato avvinghiandosi a lui per non lasciarlo andare mai più, rischiando tutto.
Era ipnotico, era…era…unico.
Era Sherlock e basta.
E Lily si sentiva fortunata solo per il fatto di averlo conosciuto, anche se era così.

//

Sherlock camminava poco più avanti a Lily, perplesso. Era stata una conversazione strana, senza un vero senso compiuto. È così che interloquiva la gente normale? Si diceva queste cose? E sinceramente, non si era neanche annoiato più di tanto. Lily parlava bene, correttamente, e sapeva esprimersi nel migliore dei modi. Forse si era aperto un po’ troppo, soprattutto sul fatto del sesso con le donne che voleva interrogare, ma poco male: ormai era fatta. Sherlock aveva avuto esperienze, poche per la verità, ma ogni donna lo aveva definito un eccellente amatore. Anche se lui non se ne spiegava il motivo. Ci metteva così poca passione e partecipazione che sembrava strano dimostrasse il contrario. Aveva sentito parlare di fuochi d’artificio, sensazioni incommensurabili. Era piacevole, ma fino a un certo punto. Forse recitava e non se ne accorgeva. Più di una volta gli era stato detto che aveva un fascino misterioso che attraeva le donne come api sul miele, a lui ne era disturbato. Era una metafora soffocante e appiccicosa, veramente poco elegante e che lo faceva andare su tutte le furie. Ma a volte il sesso sembrava l’unico modo per ottenere quello che voleva. Non aveva memoria se fosse stato diverso prima oppure no. Quanto può incidere la tua vita vissuta, sul tuo futuro? Parecchio, si ripeteva. Vedeva colleghi e colleghe di John sposarsi, avere figli. E lui non capiva. Non era noioso vivere per sempre con la stessa persona, giorno dopo giorno, anno dopo anno? Aveva alzato impercettibilmente le spalle, scuotendo la testa piano. Lo facessero gli altri, lui si trovava benissimo nel suo piccolo spazio vitale.
I suoi casi.
Le sue indagini.
I suoi esperimenti.
E poi le persone più strette come John, Mary, Lily…
Aspetta un attimo. Aveva rallentato il passo leggermente. Aveva appena collocato Lily nell’elenco delle persone importanti della sua vita.
Aveva snocciolato i nomi automaticamente e lei era lì, si era ritrovata nell’Olimpo del grande Sherlock Holmes senza neanche accorgersene. La conosceva da talmente poco, ma allo stesso tempo era successo così tanto da farla diventare parte integrante della sua vita. L’aveva conosciuta, l’aveva salvata in modo quasi automatico, facendolo lui stesso senza interporre nessuno tranne John. Ed ora era lì, fragile, salva e in cerca di chissà cosa. Si era guardato alle spalle, Lily lo seguiva con piccoli passi svelti, per stare dietro alla sua falcata. Lo aveva guardato e poi aveva sorriso, le guance arrossate dal freddo, un accenno di occhiaie scure sotto gli occhi: “Non ho le gambe lunghe come le tue, io!” ansimava leggermente.
Sherlock si era fermato per aspettarla, altra cosa che non aveva mai fatto con nessuno se non con John. Anche lui gli era corso dietro più di una volta, poverino.
Pensava, Sherlock Holmes, pensava parecchio quella mattina mentre saliva sul taxi, finalmente al caldo. Sentiva in sottofondo la voce argentina di Lily che diceva al conducente l’indirizzo di John e aveva sospirato, piano. Un leggero senso di colpa si era insinuato sotto le sue costole. Ma poi l’aveva spazzato via, senza timore.

“Va tutto bene, tu sei Sherlock Holmes, vedi di ricordartelo” aveva insinuato una vocina nella sua testa.

Il taxi era partito, immettendosi nel traffico di Londra.

“Insomma chi hai detto che c’è a questo pranzo?” aveva chiesto Lily rivolgendosi a Sherlock. Era ombroso, serio e sembrava preoccupato. Aveva aggrottato le sopracciglia, perplessa: “Ehi Sherlock, tutto ok?”

Si era girato verso di lei, sbattendo gli occhi. Come se si fosse appena svegliato “Cosa, scusa?” aveva chiesto, balbettando.

Lily aveva riso, divertita: “Dov’eri?”

“Da nessuna parte, ragionavo”.

Sembrava infastidito, così Lily aveva abbassato il tono di voce rendendolo un po’ più docile: “Ti avevo chiesto chi c’era al pranzo di John e Mary, ma lo vedrò al mio arrivo” aveva concluso, in fretta.

“Ok” aveva risposto Sherlock, ancora più serio.

Lily era perplessa. Dov’era l’atmosfera di pochi minuti prima, quella giocosa e spensierata? Ancora non aveva avuto l’occasione per osservare fino in fondo i cambi d’umore di Sherlock. Ecco qua, l’aveva appena fatto. Il viaggio si era svolto in silenzio, con Lily che guardava fuori dal finestrino e Sherlock fisso davanti a sé, sempre più accigliato. Sembrava infastidito dai suoi stessi pensieri.

Lily sperava non fosse colpa sua, ma non le sembrava di aver detto chissà cosa per farlo innervosire.
Aveva scrollato le spalle; se Sherlock voleva comportarsi come una donna in fase premestruale erano affari suoi.

Arrivati da John erano stati accolti con entusiasmo. C’era un po’ di gente che Lily non conosceva e questo l’aveva fatta un po’ agitare. Aveva provato a truccarsi un po’, a darsi un tono, ma senza molto successo. Il livido si vedeva e anche il taglio sul labbro. Poteva inventarsi una storia, tipo che era caduta dalle scale, ma poi la gente era sicura avrebbe pensato subito alla violenza domestica. Se ne sarebbe fregata, fregata degli sguardi degli altri. Un paio di persone già l’avevano guardata in maniera strana e Lily aveva deciso che non le stavano simpatiche. Era più una specie di pranzo in piedi, con le persone che chiacchieravano per il salotto o sedute sul divano e sedie sparse qua e là. Meglio. Dispersivo e senza occhiate strane da una parte all’altra del tavolo.

John si era avvicinato a Lily, posandole una mano sulla spalla: “Come va oggi?” aveva sussurrato, guardandola.

“Ho avuto mal di stomaco” aveva sorriso Lily, vedendo il sorriso sornione che illuminava il viso di John “avevi ragione tu”.

Non gli avrebbe raccontato dell’episodio di Sherlock. Le sembrava quasi come mentire, ma era troppo lungo e troppo personale per spiegarlo. Non che John potesse fare qualcosa alla fine.

“Lui come si è comportato?” aveva indicato con la testa Sherlock, nel suo solito angolo con un bicchiere in mano “ha fatto qualche altra battuta?”

“No no, anzi. Stamattina mi ha preparato il the. Solo che penso sia di cattivo umore” aveva alzato le spalle “non so cosa abbia, stamattina era abbastanza allegro, poi si è rabbuiato tutto a un tratto. Eppure stavamo parlando di cose divertenti, leggere, non so cosa gli sia preso”.

“Sarà immerso in qualche suo pensiero nebuloso. Prima o poi gli passerà, ci sono abituato, ma tu no. Quando è così lascialo per conto suo anche se in queste circostanze non è socievole, si sa”.

Lo avevano guardato entrambi: sembrava una statua, nel suo completo nero. Teneva in mano un bicchiere di vino. L’altro braccio sosteneva quello che reggeva il bicchiere. Lo sguardo era fisso, concentrato, sembrava di vedere uscire dalle sue orecchie numeri, lettere, formule. Che mistero.

“Lily!” si era sentita chiamare dall’entrata del salotto. Era Mary, con in mano un piatto strapieno di roba da mangiare “Ciao” l’aveva salutata frettolosamente “questo è per te” le aveva porto il piatto “tutto fatto in casa, mangia pure! Rose dorme, appena si sveglia la saluti. Ho delle cose in forno, corro a controllarle! Mangia!” era sparita tra la gente.

Lily si era girata verso John, guardando il piatto “Ne vuoi un po’?”

“Prendo uno di queste” aveva afferrato una tartina alla crema di salmone “sono buone, assaggia”.

Lily aveva fatto il possibile, ma quel piatto era veramente troppo pieno. John era impegnato in una conversazione e lei si era ritrovata sola nel mezzo della stanza con il suo piatto che poteva soddisfare l’appetito di almeno tre persone. Si era diretta verso Sherlock per chiedergli se voleva mangiare un po’ anche lui.
Era sempre nello stesso posto, immobile. Si era avvicinata lentamente, come si fa con un animale spaventato.

“Sherlock…scusami…” aveva detto a bassa voce, sperando che non si facesse venire una crisi isterica “Mary mi ha dato tutta questa roba da mangiare, ma io da sola non ce la faccio. Ne vuoi un po’? Non hai mangiato nulla stamattina” aveva avvicinato il piatto verso Sherlock, che lo aveva guardato per una frazione di secondo: “No grazie, non ho fame”.

Lily aveva notato che anche il bicchiere era intatto. Era rimasta in silenzio, annuendo leggermente.

“Ti dispiace se rimango qui con te? C’è un po’ di gente che mi guarda strano, almeno qui non corro il rischio di essere osservata come un pesce nell’acquario”.
Aveva lasciato cadere la battuta vista l’assenza di sguardo di Sherlock, che aveva alzato le spalle e borbottato: “Come vuoi, sulla parete c’è spazio per tutti”.

Lily aveva appoggiato le spalle al muro, poco distante da Sherlock e aveva continuato a sbocconcellare dal piatto in silenzio. La gente si divertiva a quanto pare.
Improvvisamente, dal nulla, era apparso un uomo visibilmente su di giri e con decisamente troppo alcol in corpo. Si era avvicinato a loro barcollando, e dopo aver guardato il viso di Lily per un decina di secondi dondolando verso di lei, le aveva soffiato un’alitata di alcol in faccia, dicendo: “Gesù, bimba. Ma ti hanno messo la faccia in un frullatore?” aveva esclamato a voce alta, coprendo le conversazioni degli altri. Si era fatto silenzio all’improvviso e come in un incubo si erano girati tutti verso di lei, guardandola. Lily aveva deglutito, nel panico. L’uomo ubriaco continuava: “Ma come hai fatto a ridurti così, per l’amor del cielo?” aveva riso “il tuo uomo ti picchia?” la voce era strascicata, untuosa e alcolica. Lei era paralizzata, e sentiva lo sguardo di Sherlock su di lei vigile e attento, testando la sua reazione.

“Io…ecco…” Lily aveva la gola chiusa. Cercava di parlare, le sue labbra si muovevano ma non emettevano nessun suono. Non riusciva neanche a trovare una risposta sarcastica alle battute di quell’idiota. Non le piacevano le persone ubriache, erano moleste e cattive. E anche molto violente, lo sapeva per esperienza. Continuava a guardare quell’uomo, che non fermava il fiume di parole che uscivano dalla sua bocca non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Perché Sherlock non diceva niente? dov’era John? Dov’era la gente normale, che poteva dirgli di  smetterla?
Dov’erano tutti?
Gli occhi di Lily saettavano per tutta la stanza e sentiva montare dentro di sé un panico non indifferente, misto a un sentore di nausea. Si sentiva rimpicciolire in mezzo a quel silenzio e a tutti quegli occhi che la fissavano. Quando aveva visto due donne avvicinare le teste e dirsi qualcosa all’orecchio senza smettere di guardarla, aveva ceduto. Aveva dato il piatto in mano a Sherlock e pigolando uno “scusa”, era corsa verso il bagno. Per il corridoio aveva incrociato John, ma l’aveva passato velocemente senza sentire quello che le diceva. Aveva aperto il bagno e si era chiusa dentro, appoggiandosi alla porta. Respirava velocemente e cercava di calmare i battiti del suo cuore che sembrava impazzito.
Ma cosa voleva la gente da lei, ma perché non veniva lasciata in pace? Era una calamita, una calamita per la cattiveria, per le disgrazie, per i guai, per tutto!!! Aveva tirato un pugno alla porta, facendosi anche male. Si era diretta al lavandino, per sciacquarsi la faccia. Dopo averlo fatto si era guardata allo specchio.
Sì, la sua faccia sembrava fosse finita dentro una centrifuga. Aveva strizzato gli occhi, soffocando un singhiozzo;

Stava per darsi dell’idiota da sola, quando aveva sentito un gran baccano, rumore di vetri e gente che urlava. Era uscita dal bagno, correndo in salone, dove aveva trovato l’uomo ubriaco attaccato al muro, tenuto per il colletto della camicia nientemeno che da Sherlock. Lo sbatteva ripetutamente contro la parete, la mascella serrata, gli occhi grigi socchiusi di rabbia. L’uomo si divincolava inutilmente dalla presa ferrea di Sherlock, che veniva tenuto a sua volta da John, inutilmente.

“Venite alle feste per ubriacarvi e infastidire la gente? Non sai niente di quello che è successo, faresti meglio a tenere a freno quella lingua prima che ti faccia male sul serio!!”

Continuava ad agitarlo tenendolo per il collo, senza dargli la possibilità di replicare e di muoversi. John lo teneva per un braccio, ma riusciva a smuoverlo solo impercettibilmente. Era come se i piedi di Sherlock fossero cementati al suolo. John si era girato contro Lily, con uno sguardo più che eloquente: forse tu riesci a fermarlo, fai qualcosa o almeno provaci prima che lo faccia a pezzi.

Lily si era scossa di botto e facendosi largo tra la gente era arrivata vicino a Sherlock.

“Sherlock! Sherlock, fermo! Lascia stare dai. Non fa niente, sul serio, lascia perdere”.

Si era girato verso di lei, un ricciolo nero gli era ricaduto sulla fronte. L’espressione rimaneva granitica, ma non mollava la presa: “Tu stai bene?” aveva chiesto, dondolando leggermente per il divincolarsi dell’uomo. Aveva perso il contatto visivo e quindi anche la concentrazione “vorrei che ti chiedesse scusa ma non sta fermo!!!” aveva urlato, girandosi di nuovo verso di lui, e sbattendolo di nuovo al muro facendogli rimbalzare la testa un paio di volte.

“Non fa niente Sherlock. È ubriaco, lascialo andare. Basta.”. Gli aveva messo una mano sul braccio, stringendo leggermente.

Si era girato nuovamente e guardandola aveva sussurrato: “Sicura?”

Lily aveva sorriso e annuito lentamente: “Sì va tutto bene, ora lascialo andare”.

Sherlock aveva allentato di malavoglia la presa dalla camicia dell’uomo, che si era accasciato a terra tossendo e biascicando. Lily continuava a tenere il braccio di Sherlock e lo aveva allontanato da lì. Sentiva la consistenza dei suoi muscoli da sotto la camicia. Irradiava calore e Lily per un attimo si era sentita pervadere da un’ondata di energia.
Sherlock si stava mettendo a posto la camicia e Lily a malincuore aveva interrotto il contatto con il suo braccio, tenendolo comunque vicino a sé. Lui sembrava nervoso e imbarazzato, aveva cominciato a parlare senza freno, come una macchinetta inceppata: “Quando te ne sei andata ha continuato, peggiorando il suo eloquio da cavernicolo” aveva sibilato “si è anche rivolto a me chiedendomi se io sapevo che cosa ti era successo. Sembrava ossessionato maledizione, così l’ho attaccato al muro. Mi stava dando veramente noia. È incredibile e mi sorprende che John e Mary possano frequentare gente del genere. Ma insomma, non sono neanche le tre del pomeriggio e guarda in che stato è, non mi sembra veramente poss..”

Lily gli aveva messa una mano davanti alla bocca, anche quella calda a furia di parlare: “Sherlock basta. È ubriaco e le persone ubriache fanno così; è stato carino da parte tua, grazie” aveva sussurrato, sorridendo leggermente e facendo scivolare la mano dalle sue labbra. Sherlock la guardava, la bocca aperta e la pelle leggermente arrossata per lo sforzo e la rabbia. All’improvviso aveva spostato lo sguardo sulla camicia e i pantaloni.

“Di nulla” aveva borbottato, guardandosi i polsini della camicia “odio sgualcire i vestiti”.

“Già, è proprio una bella camicia” aveva detto Lily con voce bassa e un po’ triste “ti sta bene addosso; vedrai, una lavata e tornerà come nuova”.

“Sherlock! Ma cosa diavolo ti è preso??!” la voce di John li aveva raggiunti. Si era fermato davanti a lui “volevi picchiarlo?”

“Dovresti scegliere meglio le persone che frequenti” aveva risposto Sherlock, con calma “ha cominciato a prendere in giro Lily in modo pesante e poi si è rivolto anche a me, mi ha fatto arrabbiare. Poi non sono neanche dell’umore migliore oggi”.

“Davvero?? Non me ne ero accorto!” aveva esclamato John, sbarrando gli occhi, poi si era fermato, guardando Lily “cosa ti ha detto?”

“Mi ha chiesto se avevo messo la faccia in un frullatore” aveva risposto Lily, alzando le spalle “e mi ha chiesto se il mio uomo mi picchiava”

John aveva chiuso gli occhi stringendo la bocca: “E a te cos’ha detto di così grave?” si era rivolto a Sherlock alzando le sopracciglia, in attesa.

Lui aveva guardato John e con occhi glaciali aveva sibilato: “Continuava a chiedermi cosa avesse e poi ha accusato me di averla ridotta così”. Lily aveva guardato Sherlock, sorpresa. Questo prima non l’aveva detto. Lui continuava a tormentarsi i polsini della camicia nervosamente. Non si riusciva a capire se li volesse aprire o semplicemente sistemare “tutto ciò solo perché eravamo vicini e l’ha vista offrirmi qualcosa dal suo piatto” aveva continuato, la voce rabbiosa.

John aveva chiuso gli occhi e sollevato il viso in alto “O santo cielo” aveva sussurrato “quel Davis è un’idiota da sobrio, figurarsi da ubriaco. Mi dispiace per la situazione spiacevole, ma questo non vuol dire che puoi attaccare le persone al muro, Sherlock!”

“Ok va bene, mi dispiace. Ma è veramente un coglione, John. Ma come fai a frequentare persone così?”

Lily era quasi sicura che fosse la prima volta o forse la seconda, che sentiva una parolaccia uscire dalla bocca di Sherlock Holmes.

“Non lo frequento, Sherlock. Lo vedo a lavoro e si è ritrovato in mezzo a una conversazione ed è uscita fuori questa mezza festa. Ho dovuto invitarlo per forza. Vado vedere come sta”. Si era rivolto verso Lily “mi dispiace. Stai bene?”

“Si John, tranquillo. Forse ho iperventilato un po’ ma tutto a posto. Niente di grave. Mi hanno detto di peggio” aveva riso.

John aveva fatto una faccia strana. Un misto tra imbarazzo, sollievo e un’altra espressione che Lily non era riuscita a decifrare bene. Come se John non le credesse fino in fondo.

“Ci vediamo dopo” aveva detto, sparendo tra la gente.

Sherlock finalmente aveva finito di tormentare i polsini. Era arrabbiato con se stesso per aver perso il controllo in quel modo. Ma con quell’insinuazione aveva visto rosso. Non si era neanche accorto delle sue mani che volavano verso il colletto della camicia di quel Davis. Sentiva che voleva fargli male, ma si era trattenuto perché era a casa di John. In quei momenti tirava fuori una forza strana, non riusciva a smuoverlo nemmeno la dinamite. Non avrebbe torto un capello a una donna, mai. La violenza gli dava la nausea. Come osava quell’ubriacone accusarlo di aver ridotto così Lily? Ma che ne sapeva lui.
Aveva sbuffato sonoramente. Ogni volta che si trovava in mezzo alla gente succedeva qualcosa. Per questo stava bene in  mezzo ai morti, nell’obitorio di Molly Hooper. Silenzio, calma e nessun deficiente che sparasse cavolate.
Comunque.
Dopo la rissa, molta gente era andata via e gli ultimi elementi erano rimasti seduti sul divano ma prossimi anche loro al commiato. Erano rimasti, alla fine, sempre loro quattro più la piccola Rose che gongolava tra le braccia di Lily. Tenerla in braccio la affaticava parecchio e le costole malconce si facevano sentire, quindi si era messa seduta.
Mary continuava a lamentarsi: ”È avanzata un sacco di roba” aveva messo il muso, le mani sui fianchi “Lily, te ne metto un po’ dentro qualche contenitore così la portate a casa e stasera non dovete cucinare” aveva sorriso alla sua idea brillante.

“Grazie Mary, ci faresti un grosso favore” aveva il dito mignolo imprigionato nella manina di Rose “almeno ci diamo un taglio con i takeaway e la mia orribile cucina” aveva tirato fuori la lingua, in segno di disgusto “dovresti insegnarmi a cucinare, sono veramente una frana”

Mary aveva annuito, soddisfatta: “Quando vuoi” ed era sparita di nuovo in cucina. John era seduto vicino a Lily sul divano con una bottiglia di birra in mano. Sherlock era in poltrona invece, intento a guardare il vuoto come suo solito.
John l’aveva guardato per l’ennesima volta: “Sherlock” aveva detto.

“Hm?” aveva risposto sempre con lo sguardo fisso su qualcosa di imprecisato.

John aveva guardato Lily, preoccupato: “È ora che tu lo sappia: Lily e io stiamo insieme. Il matrimonio con Mary è una farsa, in verità ci ha prestato l’utero per avere Rose. In realtà è figlia nostra” aspettava una reazione, anche solo uno sguardo leggermente perplesso. Niente. Lily si era morsa le labbra per non ridere.

“Ok” era stata la laconica risposta.

John aveva sgranato gli occhi, incredulo: “Ehi detective da strapazzo, ma hai sentito cosa ho detto? Esci dal palazzo mentale e torna tra i vivi per favore”.

Si era smosso a “detective da strapazzo”: “Ehi!” aveva ribattuto, visibilmente offeso.

“Bentornato tra noi, sua maestà. Eccesso di testosterone? Ti ha dato alla testa?”
Lily aveva riso piano. Adorava questi momenti, anche se Sherlock veramente era più fuori dal mondo del solito. Ma soprattutto senza un motivo, per esempio un caso da risolvere.

“Dai Sherlock, stai un po’ con noi” aveva aggiunto, pregandolo.

Aveva sbuffato: “Ma cosa volete che vi dica? Oggi è così, non potete obbligarmi a farvi compagnia se non ne ho voglia!”

John aveva scosso la testa, e rivolgendosi a Lily aveva esclamato: “Ma tu quando hai le tue cose, sei così?”

Lily era trasalita alla domanda di John. Si sentiva di nuovo sul piedistallo e al centro dell’attenzione; ma si può chiedere una cosa del genere a una donna?

“Veramente quando ha le sue cose, è un pianto continuo. Piange perché nasce il sole, perché tramonta, piange per la Regina e la Principessa Diana. Piange anche per le pubblicità. Una volta l’ho beccata a frignare sullo spot di una carta di credito” aveva risposto Sherlock al posto di Lily, che l’aveva guardato in disappunto: “Ma che dici, non è vero!” aveva esclamato, risentita.

Da quando in qua Sherlock si accorgeva del suo orologio biologico? Si era sentita arrossire dappertutto e voleva che il divano la inghiottisse all’istante.

“Sì che è vero. Ti arrabbi se lascio gli sportelli aperti in cucina, mentre di solito li chiudi e basta. Non sopporti l’odore dell’alcol che uso per gli esperimenti e quello del pollo fritto” l’aveva guardata, rivolgendole una sguardo scaltro “una volta hai dato di matto perché l’ho ordinato al takeaway, sapendo che lo mangi volentieri. Quella volta continuavi a insistere che a te il pollo fritto non era mai piaciuto. Dunque dimmi: ti piace il pollo fritto?” aspettava la risposta di Lily, che era sempre più confusa.

“Beh..insomma..diciamo che…sì. Sì, mi piace. Ma non ricordo niente di quello che hai appena detto”.

Mentiva; era tutto vero, dalla prima all’ultima parola.

Sherlock aveva sbuffato, ironico: “Lily, per favore”.

“Beh non mi piace molto essere osservata quando io..insomma..sono giorni molto delicati” aveva aggiunto, offesa. Poi si era rivolta verso John mimando con le labbra un grazie mille, stizzita.

Lui aveva alzato le spalle a mo di scusa, come per dire continua a sorprendermi anche dopo anni, che ne potevo sapere.

“Tranquilla, non c’è bisogno di osservare. Sei chiara come un vetro pulito. Non serve nessuna scienza”. Aveva sorriso, tirato.

Lily aveva aggrottato le sopraciglia, cullando Rose: “Antipatico” aveva mugugnato.

“Lo so che menti. In verità ti sto simpatico, tu mi adori” aveva ribadito, con aria sorniona.

“Non esagerare Holmes!” aveva risposto piccata.

“Ecco, forse per caso si avvicina la data?” aveva intrecciato le mani con fare professionale. Lily aveva aperto la bocca, sconcertata.

A quel punto John era scoppiato a ridere fragorosamente, attirando l’attenzione di entrambi. Aveva tirato la testa indietro ridendo di gusto: “Oh mio Dio, voi due dovreste fare cabaret. Siete stupendi”.

In quel momento, Mary era entrata in salotto con una pila di contenitori di alluminio dentro una busta: “Non vale due contro uno, Watson e Holmes!” poi si era girata verso Lily “veramente però, Lily. Piangi per la REGINA?”

Altre risate, a cui si era aggiunta anche quella di Lily. Li amava e li adorava tutti anche se erano inopportuni e sciocchi. Aveva guardato Sherlock, che sorrideva leggermente divertito, guardando il bracciolo della poltrona.

Sapeva che molto probabilmente la reazione di Sherlock fosse dovuta al fatto che l’uomo ubriaco avesse accusato lui di aver picchiato Lily; un bel colpo al suo orgoglio straripante; lui che odiava essere giudicato ed etichettato da chi non lo conosceva neanche. Sapeva che lei non aveva importanza in tutto ciò, che il suo chiedere se stava bene era una forma di gentilezza scontata. Ma in fondo l’aveva tolta dall’imbarazzo, mettendo l’ubriaco  al centro dell’attenzione, risparmiando a lei altri sguardi e commenti non proprio belli. Aveva sospirato, sentendosi sempre più nei guai.

//

Erano le cinque quando erano usciti da casa di John e Mary.  Lily aveva respirato l’aria invernale, guardando il cielo ormai quasi buio. Adorava quel profumo, il freddo e la sfumatura di blu che prendeva il cielo.

“Se camminiamo un po’, dietro l’angolo ci dovrebbe essere l’isola dei taxi così possiamo prenderne subito uno” aveva detto Sherlock, incamminandosi piano nella direzione opposta.

“Oh..ok, andiamo” Lily si era girata e seguiva Sherlock, come un pulcino con la mamma. Era decisamente troppo veloce, anche se camminava piano. Aveva le gambe lunghe, non era colpa sua, ma Lily si impegnava per stargli dietro.

C’era un’atmosfera particolare in giro per Londra, quella sera. Il cielo sfumato di blu, le luci dei negozi che illuminavano la via dandole un’aria calda e accogliente. Il freddo che pungeva le guance e arrossava il naso, la gente che sembrava sorridere a ogni angolo, Sherlock che camminava davanti a lei con il capotto che svolazzava, le mani in tasca e i riccioli che andavano a ritmo con i suoi passi. Lily avrebbe voluto congelare quel momento, e conservarlo per sempre. Era tutto perfettamente coordinato in quel momento. Si sentiva bene anche se ripensare a Sherlock, a quello che aveva fatto e ai suoi sbalzi d’umore le facevano contrarre lo stomaco dalla preoccupazione. Il pensiero che non avrebbe potuto mai camminare con lui, sentire il suo braccio intorno alle spalle o sentirsi libera di guardarlo negli occhi, la rattristava. D’altro canto non riusciva a immaginare uno Sherlock innamorato, preso da una relazione. Sarebbe stato troppo strano, forse neanche naturale. Lily non sapeva neanche se lei era pronta per una relazione ancora.

“Lily? Lily!” aveva sentito la voce di Sherlock chiamarla impaziente.

Lei aveva interrotto i suoi pensieri bruscamente; lo aveva guardato, spaesata.

Lui era lì, davanti a un taxi e teneva aperta la porta, per farla salire: “Smettila di sognare ad occhi aperti, scendi dalla tua nuvola rosa e sali!” l’aveva rimproverata.

“Che ne sai che ero su una nuvola rosa?” aveva replicato, salendo a fatica sul taxi, cercando di non rovesciare la busta che teneva in mano.

“Di solito chi fa brutti pensieri non sorride come uno sciocco mentre cammina”.

Doveva averla guardata mentre pensava a camminare con lui come una coppietta: “Bah ma che noioso che sei!  Io penso a quello che mi pare e se voglio mi metto anche a ballare per strada!” aveva risposto imbarazzata.

“In quel caso, fai finta di non conoscermi” aveva sorriso ironico Sherlock.

“Certo, certo” aveva sbuffato Lily, sistemandosi la sciarpa intorno al collo “la tua reputazione è al sicuro, tranquillo” continuava a lottare, non trovava il capo e cominciava a irritarsi; più tirava, più si stringeva. Aveva sospirato, frustrata: “Maledizione!”

Sherlock si era allungato verso di lei sospirando, cominciando a svolgere la sciarpa.

“Ma come diavolo hai fatto?” continuava ad armeggiare, riuscendo finalmente a liberarla dalla stretta di lana mortale “adesso, stai ferma. Non ti muovere finché non arriviamo a Baker Street” aveva alzato le mani verso di lei, puntandole gli indici contro.

Lily aveva messo su un mezzo broncio e aveva borbottato; “Stupida sciarpa” infilandola a forza dentro la borsa.

Sherlock l’aveva osservata e poi era scoppiato a ridere.

“Che c’è?” aveva chiesto, ancora infervorata per la lotta.

“Dovresti vederti ora. Sei tutta rossa e con i capelli per aria; sei buffa” aveva detto alzando le spalle.

Anche il conducente del taxi la guardava dallo specchietto retrovisore sorridendo.

“Beh, molto lieta di scatenare tutta questa ilarità” aveva ribattuto a mezza bocca, guardando sia lui che il tassista “non riuscivo a liberarmi, stavo per soffocare!” aveva aggiunto lamentosa, starnutendo per qualche pelucco di lana finito nel naso “oh, povera me” aveva tirato su con il naso.

Sherlock rideva ancora e ancora e non riusciva a smettere; era così comica, così goffa. Neanche i bambini si strangolavano con la sciarpa, ma Lily era un’eccezione. Riusciva a cacciarsi in situazioni ridicole ed esilaranti allo stesso tempo, come quella volta che non riusciva ad accendere un fiammifero; era inutile, provava e riprovava ma o si spezzavano o non si accendevano proprio. Rivedeva gli scatti nervosi del suo braccio mentre cercava di sfregare la testa del fiammifero sul fianco della scatola, e ogni volta erano sempre più rabbiosi. E lei era sempre più rossa, più frustrata, finché non aveva battuto i piedi e scaraventato la scatola nel camino, urlandole gli improperi più mostruosi che Sherlock avesse mai sentito. E anche quella volta, l’aveva osservata divertito bevendo il suo the seduto in poltrona. E Lily si era anche arrabbiata con lui, perché si sentiva presa in giro. Ma poi aveva cominciato anche lei a ridere ed era finita così. Era un bel lato di Lily, il non prendersi troppo sul serio. Mentre Sherlock era molto suscettibile se veniva preso in giro, lei all’inizio si arrabbiava poi scrollava le spalle e ci rideva sopra.

“Stavi ripensando ai fiammiferi!!” aveva esclamato Lily, puntandogli un dito contro.

Sherlock aveva annuito, ridendo ancora di più.

Lily scuoteva la testa, esasperata “Ma che scemo” aveva starnutito di nuovo.

“Ma allora lo fai apposta!” Sherlock si era preso il viso tra le mani, non ce la faceva più.

Le spalle del tassista si muovevano su e giù, in una risata silenziosa.

“Beh, basta ci rinuncio” aveva detto Lily, girandosi verso il finestrino, un accenno di sorriso che cercava di controllare “siete due persone orribili e…” aveva risucchiato le guance per non ridere.

Sherlock si era calmato, anche perché ormai erano arrivati a Baker Street. Il tassista, dopo essere stato pagato li aveva ringraziati per avergli fatto fare due risate in quella noiosa serata invernale.

“Di niente, di niente” aveva risposto Lily, facendo una riverenza “dovrei cominciare a farmi pagare” aveva aggiunto dopo, mentre si dirigevano verso il portoncino. Era la prima volta che vedeva Sherlock ridere così di gusto. Gongolava per essere stata lei la causa scatenante del tutto. Anche se aveva dimostrato per l’ennesima volta di essere la persona più goffa e maldestra del mondo. Mentre pensava a tutto questo, aveva sentito una voce morbida alle loro spalle:

“Sherlock! Sherlock, ehi sono io!”

Si era girata e dall’altra parte della strada una donna agitava la mano in segno di saluto. Mentre attraversava, Lily la osservava attentamente: capelli scuri, occhi allungati da gatta, zigomi alti e scolpiti e tutte le curve al posto giusto. Ondeggiava sui tacchi alti, fasciata in una gonna fino al ginocchio. Sembrava non sentire il freddo, portava solo una giacca leggera molto aderente insieme a una sciarpa di cotone. Il suo sorriso smagliante e perfetto brillava nella sera. I suoi denti sembravano piccole perle. Era ormai davanti a loro, e ansimava leggermente per la piccola corsa; aveva guardato Sherlock raggiante, poi lo sguardo si era spostato su Lily. Ma era tornata subito a lui, scuotendo la graziosa massa di capelli scuri e mossi diffondendo un buon profumo tutto intorno. Lily si sentiva molto sciatta di fronte a lei.

“Ehi straniero, ti ho beccato proprio mentre rientravi a casa…come stai?” lo aveva abbracciato calorosamente, forse un po’ troppo. E non lo lasciava andare, continuava a cingergli la vita con un braccio.

“Ciao Janine” aveva sorriso tirato Sherlock, guardando imbarazzato entrambe, cercando di liberarsi dalla stretta della donna “io…io tutto bene e tu?”

“Oh benissimo grazie! Aspettavo mi richiamassi ma temo tu abbia perso il mio numero, vero?” aveva frugato nella sua microscopica borsetta per tirarne fuori un foglietto e una penna “girati, così posso usare la tua schiena”. Aveva sorriso, seducente.

Un’ondata di nausea aveva tramortito Lily. Non solo una donna bellissima si era appena avviluppata a Sherlock, ma in quel momento lei non esisteva. Sherlock era troppo imbarazzato e contrariato per parlare, mentre Janine la ignorava di proposito. Il suo sguardo sembrava dire "chi è questa nanerottola che ti porti dietro? Forse la donna delle pulizie? Non posso credere che tu possa portarti a letto una come lei perché insomma…guardami”

Janine emanava profumo di erotismo, ma di erotismo vero. Da lenzuola di raso e candele profumate insieme a luci soffuse, babydoll e autoreggenti. La seduzione in persona, e non una ragazzina scheletrica e brutta ancora impregnata di sesso adolescenziale e violento. Lei non sapeva niente della seduzione. Ne era venuta a conoscenza dai film, dai libri che leggeva e dai racconti di altre persone; anche se era molto difficile non carpire l’aura di sensualità che emanava Janine, il suo piglio sicuro con gli uomini, il suo sapersi muovere vicino a loro; sapeva sorridere e sfiorare in maniera maliziosa, senza un minimo di imbarazzo. A Lily sarebbe piaciuto avere almeno la metà del suo charme e della sua sicurezza.

Non si era mossa di un centimetro, continuando a stringere la busta con il cibo che le aveva dato Mary. Ah, sicuramente Janine era anche una cuoca eccellente. Avrebbe voluto tanto la sua sciarpa ora, non sentiva più il sangue scorrerle nelle vene.

“Ecco fatto, Sherlock” aveva infilato il foglietto nella tasca interna del cappotto “ma insomma, dimmi qualcosa! Come te la passi? John come sta?” un altro sguardo glaciale alla figura di Lily.

“Ehm…stanno tutti bene grazie; benissimo, in formissima” Sherlock si era schiarito la gola, guardando Lily. Lei aveva ricambiato lo sguardo di sottecchi e per alcuni secondi. Non voleva mettere in imbarazzo nessuno.

“Oh…ma forse avevi da fare?” aveva portato una mano fresca di manicure davanti alla bocca a forma di cuore “che cafona, sei in compagnia!” aveva riso, maliziosa.

Alla fine sono solo cinque minuti che sono qui, come uno stoccafisso aveva pensato Lily, contrariata.

Ma aveva sorriso al suo meglio, cercando di non sbuffare.

“Certo, sì! Lei è Lily, occupa la stanza di John a Baker Street da poco…quanti sono? Due, tre mesi?” aveva esordito Sherlock guardandola, pensando di aver avviato una conversazione normale.

“Quattro” aveva precisato lei, in un soffio.

“Giusto, quattro” Sherlock sembrava in difficoltà, ma Lily era ancora più in confusione di lui. Cosa lo faceva agitare così tanto?

“Ooooh Sherlock” aveva risposto Janine con tono sorpreso “adesso hai un coinquilino donna? Ti sei evoluto rispetto a qualche mese fa” aveva soffocato una risatina “addirittura vivere con una femmina sotto lo stesso tetto” aveva fissato Lily, squadrandola da capo a piedi “una vera fortuna, per uno come te” il sorriso era sparito dalla sua bocca perfettamente truccata “una cosa speciale”.

Sherlock aveva tossito leggermente, cercando di riprendere il controllo: “È stata una successione di eventi che l’ha portata a vivere con me…ah giusto a proposito Lily, lei è Janine”.

Lily aveva annuito velocemente “Avevo intuito”.

“Che nome grazioso!” continuava a squadrarla come se fosse un mucchio di immondizia “beh Sherl, magari mi racconterai tutto a cena che ne dici” lo aveva guardato di nuovo negli occhi, accarezzandogli il cappotto “è tanto che non ci vediamo”.

Sherl???? aveva pensato Lily, perplessa.

Lui aveva guardato di nuovo Lily, che però stavolta non aveva ricambiato; si concentrava su un minuscolo spazio tra Janine e Sherlock, riusciva a intravedere il 221b in caratteri dorati nello spazio tra le loro teste. Era molto focalizzata su quello. Aveva sentito distintamente l’occhiata di Sherlock planare e schiantarsi a terra a metà del tragitto tra lui e Lily. Sicuramente non aveva bisogno del suo aiuto in quel momento; era così sicuro di se stesso, che cosa poteva volere da lei?

“Beh Janine, io ora dovrei andare” aveva farfugliato Sherlock allontanandosi leggermente da lei “è stato…un piacere”.

“Oh lo so bene” aveva ammiccato lei, sfacciata “chiamami, potremmo passare una bella serata” aveva fatto scivolare la lingua su “serata” in una maniera talmente lasciva che Lily era rabbrividita leggermente. Faceva prima a dire scopami! scopami!

“Ehm..sì. Grazie Janine e buonanotte” Sherlock aveva messo già la chiave nella toppa.

“Metafora interessante” aveva bisbigliato Lily a mezza bocca, carpendo di nuovo lo sguardo di Janine su di lei. Aveva subito guardato la chiave nella serratura.

“Buonanotteeeee” aveva sussurrato Janine, senza salutare Lily. Aveva fatto ciao ciao con la manina verso di lui, girandosi a guardarlo mentre attraversava la strada. Non voleva perdersi un secondo di Sherlock Holmes.

Lily conosceva la sensazione, ma senza tutto il sesso in mezzo.

La nuvola di profumo si era dissolta, il calore del suo corpo pure ed erano rimasti solo lei e Sherlock. Nessuno fiatava, sentiva solo il suo sguardo puntato sulla sua nuca.

“Era per un caso, un’indagine, sai” aveva azzardato Sherlock, con voce decisa.

“Oh certo, ne sono sicura, non c’è problema” Lily lo aveva guardato sorridendo come una pazza. Cercava di essere disinvolta, ma l’immagine di Janine avvinghiata a Sherlock continuava a tormentarla.

Salivano le scale, in silenzio. Lily non poteva dire nulla, doveva far finta di niente. Era una che si era portata a letto per un caso, naturalmente. Ma perché faceva così male? La differenza tra lei e Janine era abissale e lo sapeva bene. Erano quelle le donne di Sherlock, quei tipi lì, simili a lui. Eleganti, sofisticate, vestite bene e profumate. Lily si sentiva l’esatto contrario, ed ecco risalire tutte le sue insicurezze, le sue paure.

Janine era stupenda, arguta. Sapeva sedurre un uomo senza vergogna perché era sicura di se stessa, della sua presenza, del suo corpo. Sapeva che gli uomini la guardavano e in fondo, le piaceva. Ma sceglieva lei a chi concedersi. Lo aveva capito anche Lily, che non era una grande esperta in tecniche di seduzione.

Ma come diavolo poteva Lily competere con lei. Scuoteva la testa impercettibilmente. Pensava a tutte le immagini di quel pomeriggio, a tutte le sue fantasie romantiche. Ma che cretina che era.

“Sherlock” aveva esordito Lily, con voce malferma “vorrei proporti una cosa”.

“Certo, dimmi” sentiva il tono fermo di Sherlock, come se sondasse il terreno.

“Semmai dovesse capitare per le tue indagini di portare una donna a casa, potresti avvertirmi prima” il silenzio era calato per qualche secondo “potrei organizzarmi con Mary e John e tu potresti stare tranquillo, con la casa vuota” si era fermata davanti la porta, aspettando Sherlock con le chiavi.

Si era fermato. Sentiva il suo sguardo fisso su di lei, come per analizzarla. Poteva immaginare tutti i suoi meccanismi che giravano e giravano, cercando una risposta concreta alla richiesta di Lily.

“Lily” aveva risposto dopo un silenzio interminabile “hai mai visto donne in casa da quando sei arrivata qui?”

“Io…no, non ne ho viste, mai. Almeno credo” aveva alzato le spalle.

Sherlock aveva sospirato: “Te lo dico io: non ce ne sono state. Come potrei portare delle donne qui, sapendo che tu dormi al piano di sopra?” aveva continuato, con tono infastidito.

“Beh, perché no scusa?” Lily aveva riso, leggermente fuori tempo “io sono la tua coinquilina, ma nonostante tutto non pago affitto e bollette; nessuno può impedirti di farlo se vuoi. Sia che si tratti di indagini o…altro” aveva abbassato la voce, riducendola in un sussurro.

Sherlock le era passato davanti, per aprire la porta. Sembrava spazientito, addirittura arrabbiato: “Ho già ribadito parecchie volte che affitto e bollette non sono un problema. Per ora, grazie al cielo, non ho bisogno di donne nel mio letto per risolvere casi e indagini” come se mi facesse piacere aveva bisbigliato tra sé e sé “ma ti ringrazio comunque per la delicatezza della tua domanda” armeggiava con le chiavi, non riusciva a trovare quelle della porta.

Lily era rimasta zitta e immobile. La rabbia composta di Sherlock la spaventava. Ovvio che le avrebbe fatto piacere non avere donne in mezzo ai piedi a Baker Street. Ma chi era lei per impedirlo? Certo che le sarebbe piaciuto che Sherlock avesse risposto che non avrebbe portato donne in casa perché ora c’era lei ed era tutto ciò di cui aveva bisogno. Ma di nuovo, lei non era nessuno, non era niente per Sherlock Holmes.

Sherlock aveva trovato la chiave e spalancato la porta, richiudendola dietro di sé. Mentre si toglieva il cappotto Lily vedeva che ragionava, pensava come se fosse impazzito. Lei riusciva solo a rimanere ferma all’ingresso, la busta stretta tra le braccia sapendo di aver detto una stupidaggine, ma in quel momento le era sembrata la cosa giusta da fare. Se avesse fatto una scenata di gelosia cosa sarebbe cambiato? Sicuramente nulla, ma per certo avrebbe reso la situazione tra loro ridicola e imbarazzante.

Non bastava un “ti chiedo scusa” o un salvataggio dal cattivo di turno per far breccia nel cuore di Sherlock Holmes. Persino quella sera lui aveva difeso il suo orgoglio e non quello di Lily. Con lui non bastava niente, era troppo sopra tutto e tutti. Era irraggiungibile.

“Sai una cosa” aveva ribadito Sherlock all’improvviso girandosi verso Lily, l’aria di chi doveva per forza dire qualcosa per giustificarsi e imporre il proprio punto di vista “io sarò anche una persona anaffettiva e gonfia di ego” l’aveva guardata, gli occhi grigi e freddi “ma il rispetto per le altre persone, seppur poco, mi è rimasto. E neanche per tutte le persone, ti dirò la verità. Le donne che sono venute qui si contano sulle dita di una mano, fidati. E sono state qui sempre con motivazioni valide, almeno per me” la sua voce era carica di sottintesi “non mi sono mai divertito, neanche un po’. Era tutto meccanico, calcolato, ma te l’avevo già detto stamattina mi pare. Ma visto che me l’hai chiesto con tanta gentilezza,  va bene. Se dovesse capitare te lo dirò con LARGO anticipo, se la cosa ti rende felice”.

“Ma Sherlock, io…” Lily aveva cominciato a parlare per cercare di spiegare, anche se in maniera sbagliata, quello che intendeva “io non voglio in nessun modo intralciare le tue…”

Sherlock aveva riso, ironico: “Lily, pensi non ci siano altri posti dove poter espletare tutti i rituali necessari alle indagini??” aveva allargato le braccia “per me Baker Street è comoda perché dopo loro vanno via e io rimango a casa, tutto qui. Posso cambiare le lenzuola, aprire le finestre, farmi una doccia. Avevo già previsto tutto, avevo già tutto sotto controllo come al solito. Ed è inconcepibile che tu abbia questa scarsa considerazione della mia intelligenza. È assurdo” si era seduto in poltrona, le mani sotto il mento.

Lily era rimasta zitta. Non gli interessava l’opinione che aveva di lui come persona. Si preoccupava che lei sottovalutasse la sua intelligenza. Tutto ciò era molto da Sherlock, avrebbe dovuto intuirlo. Ma lei non faceva Holmes di cognome.

“Ti ho solo chiesto una cosa, non sapevo avessi già organizzato tutto. Credevo di toglierti da una situazione scomoda e comunque non dubito della tua intelligenza, né tantomeno della tua morale”

“E chi ha parlato di morale?” aveva replicato Sherlock, scrollando le spalle.

Hai mai visto donne in casa da quando sei arrivata qui? Le parole di Sherlock le rimbombavano in testa. Sembrava un discorso riguardo la morale. O si sbagliava?

Aveva riferito a Sherlock le sue parole di poco prima.

“Stavo solo rispondendo alla tua domanda! Semplicemente: hai mai visto donne da quando sei qui? No! E quindi era logico che non ce ne sarebbero mai state altre, perlomeno qui dentro! Te l’ho chiesto per farti rendere conto che il problema non si poneva dall’inizio. Ma tu non l’hai capito, hai dovuto tirare fuori la morale, il fatto di intralciare le indagini…nessuno intralcia le mie indagini, e tutte quelle altre sciocchezze” aveva incrociato le braccia, seccato.

Ma sì, al diavolo la morale.

Lily, nonostante il ragionamento intricato e sicuramente di dubbia verità, aveva deciso di credere a Sherlock. La morale c’era, molto in fondo e probabilmente unilaterale, ma lei era convinta che a tutto questo Sherlock non ci avesse minimamente pensato. E con la sua domanda aveva scatenato il suo lato vulnerabile, cioè quello della disattenzione, quello del non aver preso in considerazione tutto quanto e di conseguenza perdere il controllo del suo filo logico. Strano da parte sua.

“Ok Sherlock, scusa. Dovevo capirlo da sola, quando mi hai fatto la domanda la prima volta”.

Tutta colpa di Janine.

Sherlock rimaneva fermo sulla poltrona; si era tolto la giacca e non proferiva parola. Lily non aveva la più pallida idea di quello che stesse succedendo, e anche il discorso fatto fino a quel momento le appariva ingarbugliato.

Sherlock ragionava. Proprio quella mattina aveva collocato Lily nella lista di persone che riteneva importanti; e tutto ciò che era successo lo aveva fatto arrabbiare. L’incontro con Janine era stato proprio il culmine, non era stato calcolato, come non era stata calcolata la conversazione di poco prima. Si era distratto, ed era imperdonabile. Era tutto vero: era per un’indagine, quella famosa sera a casa non c’era neanche John, figurarsi. Come se lui dovesse dare spettacolo, come se ne andasse fiero. Invece non gliene importava proprio niente, se fosse stato per lui ne avrebbe fatto volentieri a meno. Non riusciva mai a spiegarsi e la gente era troppo poco furba per capire. Ma non importava. E il fatto che Lily gli avesse chiesto una cosa del genere!! Non doveva spiegazioni a nessuno!!

Poi si era fermato e calmato. Ripensava a quello che stava facendo. Aveva chiuso gli occhi, soffocando la voce dentro di lui che parlava, parlava, parlava; poi era tornata quella che aveva sentito la mattina stessa:

“Va tutto bene, tu sei Sherlock Holmes, vedi di ricordartelo”.

Non lo aveva tranquillizzato come prima, ma lo aiutava a rimanere lucido. Cominciava a sentirsi strano, forse un po’ preso in giro da quella voce che era il suo subconscio. Ma era l’unica che lo riportava alla realtà.

“Ok, ci siamo chiariti” era tornato sulla terra, finalmente “ora vado a dormire, sono stanco. Buonanotte” aveva quella sensazione di soffocamento e di disagio che non riusciva a fermare. Sperava solo che il suo lato più analitico reggesse.

Lily lo aveva seguito con lo sguardo sussurrando un “buonanotte”. Ogni tanto si perdeva nel suo mondo; poi tornava e spariva di nuovo, però fisicamente. Forse era quello che lo teneva calmo, ma ogni volta era spiazzante e complicato, con ragionamenti intricati e non sempre limpidi. Possibile che ogni giorno dovessero discutere?

Aveva sospirato, scrollando le spalle. Ultimamente aveva degli sbalzi d’umore non indifferenti. Un momento prima scherzava ed era di buonumore, poi all’improvviso diventava scontroso e silenzioso come se un pensiero improvviso lo turbasse o un ricordo riaffiorasse alla sua mente, ricordandogli qualcosa di doloroso. Aveva messo in conto che sarebbe stato complicato convivere con una personalità così sfaccettata, ma a volte si preoccupava seriamente, anche alla luce dei sentimenti che aveva appena scoperto per  lui.
Era difficile stargli accanto la sera sul divano guardando la tv, o cenare con lui al tavolo del salotto. Era difficile scendere le scale la mattina e trovarlo assorto in un libro o al microscopio, ancora assonnato ma allo stesso tempo concentrato. Era difficile perché avrebbe voluto avvicinarsi a lui e dargli un bacio o arruffargli i capelli, ma poteva solo accennare un buongiorno e nulla più. Accettava tutto questo, perché in fondo andava bene anche così; era abituata ad accontentarsi ed era disposta anche a sopportare i suoi sbalzi d’umore. Sapeva che non era una cosa buona, ragionare così. Poteva anche arrabbiarsi, ma sapeva che l’avrebbe perdonato comunque, nonostante tutto. Prima o poi sarebbe arrivata una donna, qualcuno che l’avrebbe fatto uscire fuori dal suo guscio. O forse no, chi poteva saperlo. Sembrava il tipo che poteva rimanere tutta la vita da solo con se stesso.

La cosa che la tirava un po’ su era che in fondo aveva il privilegio di essere la coinquilina di Sherlock Holmes; chi poteva vantarsi di questo, oltre a John?

Aveva sorriso amara, consolandosi con questo pensiero flebile. Poi aveva sistemato la roba in frigo ed era salita in camera, sperando di riuscire a dormire.

//

Il mattino dopo, come sempre, Sherlock si comportava come se nulla fosse successo. Lily a volte pensava se veramente fosse successo quello che ricordava; Sherlock era troppo rilassato, troppo tranquillo come se veramente l’episodio della sera prima non fosse accaduto.

Doveva distrarsi e uscire da lì, si sentiva soffocare. Sarebbe andata a prendere un caffè e a fare un po’ di spesa, almeno avrebbe staccato la spina e si sarebbe allontanata anche se per poco da Baker Street e dal suo inquilino strambo.

Uscita in strada era andata alla caffetteria; aveva annusato l’aroma del caffè fino in fondo, calmandosi. C’era il sole stranamente, e Lily ne apprezzava ogni raggio, scaldandosi nella sua luce. Arrivata al supermercato aveva cominciato a girare per gli scaffali, distratta. Aveva la lista in testa ma non riusciva a concentrarsi, intontita dal calore di poco prima. Era ubriaca di sole, che bella sensazione. Si era irrigidita per un attimo, quando era arrivata nella corsia dei biscotti. In fondo, dall’altra parte del corridoio, c’era lo scaffale dove aveva incontrato Kaleb. Aveva sentito un brivido, ma poi si era ricomposta; era tutto finito.

All’improvviso aveva sentito una botta alla schiena e quello che teneva in mano era volato via dalla sua presa, cadendo per terra.

Lily aveva imprecato a bassa voce, girandosi furiosa verso “l’abbattitore”.

“Mi scusi, mi scusi tanto. Stavo guardando gli scaffali in alto e non mi sono accorto…accidenti, le ho fatto cadere tutto…” era un uomo, chinato per terra, e raccoglieva la roba di Lily. Aveva alzato il viso verso di lei: era biondo cenere, i capelli mossi e gli occhi castani, grandi. Forse un po’ tondi, ma molto caldi. Aveva sorriso a Lily che lo stava guardando, mettendo in mostra una dentatura bianca accompagnata da due adorabili fossette incise ai lati della bocca. Si era alzato e aveva porto a Lily la roba che le era caduta: “Sono veramente spiacente, spero non si sia rotto nulla”.

“Ehm…forse i biscotti, ma li cambierò…grazie” Lily cercava di tenere tutto tra le braccia, ma aveva questo brutto vizio di non prendere un cestino arrivando alla cassa con le mani strapiene.

“Mi permetta di aiutarla, per favore. È il minimo che possa fare”.
Bam, altro sorriso scintillante. Lily sentiva il viso diventare rosso: “Per…per favore, dammi del tu, non sono così vecchia” aveva riso nervosa.

“Oh, scusa allora. Solo che credevo che una ragazza carina come te fosse sposata..sai” si dondolava da un piede all’altro, guardando il pavimento.

“Ah, chi io? No, figurati!” la voce era uscita in un sussurro impaurito. Carina? Ma l’aveva vista in faccia?

“Beh, meglio allora!” aveva esordito il ragazzo misterioso “quindi…posso chiederti come ti chiami? Se non sono troppo indiscreto” la guardava da sotto i capelli biondi.

“Io…mi chiamo Lily” aveva steso la mano, ma la spesa stava per ricadere a terra “oops, che sbadata, scusami. Comunque molto piacere”.

“Bene Lily, io sono Andrew, piacere mio. Senti, che ne dici di una mano? Di questo passo arriverai a casa dopodomani” altro sorriso scintillante “permetti?” aveva allungato le braccia.

“Ok…ehm..grazie Andrew” avevano diviso equamente la spesa e si erano avviati alla cassa.

Avevano chiacchierato un po’ mentre mettevano la roba nelle buste di carta e Lily pagava la spesa, sempre con la carta di Sherlock. Si erano avviati verso Baker Street, e Andrew era veramente un tipo interessante. Parlare con lui era estremamente facile, molto piacevole. Studiava psicologia e abitava in un appartamento con un suo compagno di corso. Voleva aprire uno studio tutto suo e veniva da fuori Londra.

“Il classico ragazzo di campagna che arriva nella City” aveva riso.

“Eppure non sembra, non hai l’accento di uno che viene da fuori”.

Il sorriso di Andrew era scemato leggermente verso il centro della bocca, per poi allargarsi nuovamente: “Beh imparo in fretta, cerco di parlare correttamente anche per l’università”

Lily aveva annuito timidamente. Andrew la osservava, poi a un certo punto aveva esordito: “E di te che mi dici? Da dove vieni?”

Lily aveva raccontato a grandi linee da dove veniva senza spingersi nei particolari; Andrew la ascoltava, attento. Non faceva domande indiscrete. E ne era ben contenta, anche perché se le avesse chiesto dei lividi non avrebbe saputo cosa rispondere.

Erano arrivati davanti al 221b, e Lily non sapeva se era il caso di far vedere a Andrew dove abitava. L’aveva appena conosciuto dopotutto. Però non potevano continuare a girare per il quartiere carichi delle buste della spesa. Si era fermata e aveva balbettato: “Io sono arrivata a casa, abito qui” aveva indicato con il pollice il portoncino.

“Ah bene!” aveva esclamato Andrew “ti serve aiuto per portarla in casa?”

“Ehm…” aveva cominciato a parlare quando aveva sentito una voce dietro le sue spalle.

“Lily?” era Sherlock, appena uscito dal portone e fermo sugli scalini “sei tornata. Tutto ok?” aveva guardato prima lei e poi Andrew, perplesso.

“Oh, ciao Sherlock. Lui è Andrew” si era girata verso di lui “questo è il mio coinquilino, Sherlock. Andrew mi ha aiutato con le buste”.

“Abbiamo avuto uno scontro tra le corsie del supermercato e per farmi perdonare le ho portato la spesa” aveva guardato Lily, sorridendo “piacere di conoscerti, Sherlock” aveva allungato la mano verso di lui, ma Sherlock era rimasto immobile, guardando prima la mano e poi lui. Aveva sorriso con circostanza, ma sembrava più una smorfia di dolore. Poi aveva esordito, con la sua voce profonda: “che strane cose che accadono al supermercato; persone che si perdono, persone che si incontrano" aveva guardato entrambi, sollevando le spalle e accennando un sorrisetto ironico.

Lily aveva sgranato gli occhi per una frazione di secondo, vergognandosi come una ladra. Andrew nel frattempo aveva ritirato la sua mano tesa, rendendosi conto che quella di Sherlock sarebbe rimasta ben ancorata nella tasca del cappotto.

Dopo qualche minuto di silenzio, Sherlock aveva ripreso la parola “Lily, dammi le buste e prendi quelle di Anton, così possiamo portarle su a casa”. Si era girato, aprendo il portone e sparendo all’interno del palazzo.

Lily si era girata verso Andrew con aria preoccupata, mentre lui le porgeva le buste sorridendo e bisbigliando: “Wow, non penso di essergli molto simpatico. Non si è neanche ricordato il mio nome!” aveva sorriso leggermente.

“Scusami, Sherlock è così con tutti. È un tipo un po’ particolare, sopporta a malapena me” aveva sollevato le spalle.

“Ma tu e lui…” Andrew aveva lasciato la frase in sospeso, guardando verso il portoncino semiaperto.

“Chi, io e lui? No, no assolutamente” Lily aveva sentito una stretta allo stomaco mentre pronunciava quelle parole “no, non stiamo insieme; è un caro amico, mi ha aiutato molto”.

“Ah, okay. Uhm…senti Lily” era imbarazzato “so che è un po’ presto..ma…mi lasceresti il tuo numero? Mi piacerebbe rivederti in circostanze meno…ingombranti” aveva riso, indicando le buste della spesa.

Lily pensava. Una sottile paura si era insinuata sotto la sua pelle e subito dopo aveva pensato a Sherlock, sentendosi ghiacciare lo stomaco.

Ti ha chiesto il numero, non di sposarlo. Potrebbe essere un segno, tentar non nuoce. Ricomincia a vivere.

La voce della Lily dentro la sua testa la spronava. Ma Sherlock? Si sentiva quasi in colpa, sembrava come tradirlo.

Tradirlo di cosa?ti sei scordata dei tuoi ragionamenti di stamattina? Lui è Sherlock Holmes, non vedrà mai te come possibile compagna.

Dentro la testa di Lily regnava il caos più assoluto; la sua insicurezza la faceva chiudere a riccio. Ma Andrew le aveva detto che era carina, ed era così piacevole parlare con lui, e pensava lo sarebbe stato ancora di più davanti a una tazza di the in un posto tranquillo.

Al diavolo, prova. Sherlock non ti vuole, lo sai.

Lily aveva sospirato e poi aveva sorriso leggermente a Andrew: “Certo, hai carta e penna? O il cellulare?”

Lui aveva tirato fuori lo smartphone dalla tasca interna della giacca, facendole l’occhiolino.

Mentre Lily dettava il numero a Andrew, dentro l’appartamento Sherlock li osservava dalla finestra, nascosto dietro la tenda. Aveva socchiuso gli occhi, memorizzando i particolari di Andrew. Non aveva avuto una buona percezione nei suoi confronti, non lo convinceva. Sorrideva troppe volte, e troppo esageratamente. Si avvicinava troppo a Lily, invadendo il suo spazio. C’era qualcosa che non andava. Ma lei rideva timida, si spostava i capelli dietro l’orecchio; come se si fosse dimenticata dei lividi che aveva sul volto. Sherlock tamburellava le dita sulla cornice di legno della finestra e aveva distolto lo sguardo. Doveva parlarne con John. Finalmente Andrew aveva salutato Lily e lei si era avviata verso il portoncino; poi si era fermata e aveva sorriso, salutando di nuovo un punto della strada che Sherlock non riusciva a vedere.
Sentiva che saliva le scale, entrava in casa e posava le buste sul tavolo della cucina insieme a quelle che aveva portato lui. Metteva a posto la spesa, senza proferire parola.

“Strani incontri si fanno al supermercato” aveva esordito Sherlock, con un sorrisetto beffardo sulla faccia.

Lily si era girata verso di lui, guardandolo storto: “ È stato gentile, che c’è di male? So che per te il concetto è nebuloso, ma aiutare la gente mica è reato”.

“Io aiuto sempre le persone, risolvo casi per loro e trovo il colpevole” aveva continuato Sherlock incrociando le braccia dietro la schiena e girandosi verso di lei “quindi dobbiamo girare anche a te la promessa che ti ho fatto ieri sera? Se io non porto donne, tu non porti uomini”.

Lily aveva alzato gli occhi al cielo; cercava di provocarla, lo sapeva e non capiva neanche il perché: “Tranquillo Sherlock, guardi davvero troppo avanti. Mi ha aiutato a portare la spesa, niente di che”.

“Hm” Sherlock l’aveva guardata negli occhi “e non gli hai dato il tuo numero, vero?” le tende erano leggermente tirate, immergendo il salotto nella penombra. Sembrava fondersi perfettamente nell’ambiente con il suo completo grigio antracite. Continuava a fissarla, aspettando una risposta.

Lily si era morsa il labbro, riprendendo subito contegno: “Beh…può darsi. È un problema?”

Sherlock si era girato verso la finestra, ridendo. Poi era tornato serio e posando di nuovo lo sguardo su Lily aveva detto piano: “No, figurati. Solo fa attenzione, l’hai appena conosciuto”.

Il cuore di Lily era sprofondato al piano di sotto; sperava, molto molto in fondo, che Sherlock facesse trasparire un minimo di fastidio, un pelo di gelosia. Invece no, si raccomandava come un padre premuroso. Aveva chiuso gli occhi e scosso la testa. Era amareggiata, il suo povero cuore ridotto in briciole: “Va bene, starò attenta. Se dovesse succedere qualcosa”.

“Succederà” aveva replicato Sherlock serio, scostando con la punta delle dita la tenda dalla finestra.

“Giusto, ricordavo che hai la palla di vetro” Lily aveva riso leggermente “dove stavi andando prima?” tormentava con le dita la tovaglia del tavolo della cucina, guardando il pavimento.

“Al St. Barth’s da John. Vuoi venire? Forse Mary è di turno”.

Lily aveva sospirato: “Sì, perché no. Vengo anche io”.

Aveva fatto passare Sherlock, che aveva lasciato dietro di lui il suo profumo. Lo aveva seguito, chiudendo la porta.

Alla fine era successo. Lily si sarebbe aspettata un chiasso assordante. Invece nulla; nessuno riusciva a sentirlo, nessuno se ne accorgeva, tranne lei.

Una persona sorride mentre il suo cuore, segretamente, si consuma*

Era proprio vero.

Un cuore spezzato non fa rumore.





  
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