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Autore: Pathetic    28/07/2016    2 recensioni
[Storia interattiva | 17 posti | Iscrizioni chiuse]
E se Voldemort avesse avuto un figlio poco prima di uccidere i Potter?
Silas (Riddle) Winnegar è cresciuto in un orfanotrofio inglese fortemente cattolico, un bambino cupo, solitario e pieno di rancore verso il mondo.
Nessuno è al corrente della sua esistenza e sarà proprio questo a facilitargli la strada verso il potere.
Perché solo una persona piena di amarezza può essere portavoce delle tre leggende.
Araldo di morte, ladro di amore, padrone d'odio. Questo brama, questo è.
Genere: Angst, Dark, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, George Weasley, Harry Potter, Minerva McGranitt, Voldemort
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Vendetta. Misera. E follia
Le tre leggende senza memoria
 
 
 
Hogwarts, primi di Gennaio 2000
 
 
Quando Ebenezer si era alzato, quella mattina, non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi in quella situazione.
Si era sorbito l’ennesima litigata con quella squinternata di sua sorella e aveva dovuto fare i conti con Oscar e le sue manie d’irritabilità, morale della favola? Aveva messo le mani addosso a quell’idiota e ora si trovava in una stanza a lucidare trofei insieme a quel filobabbano di Jace Melodian. Da quanto aveva capito, aveva investito con lo skateboard Jeremy Steinhell, il nuovo professore di Arti Oscure, che l’aveva spedito dal vecchio custode in men che non si dica. Ben aveva avuto il dispiacere di averlo come insegnante per tutto l’anno. A una prima vista, era un tipo interessante con quei capelli scuri e gli occhi più chiari del granito. Non aveva nemmeno quell’aria da ti boccio, anzi, aveva iridi profonde e astute che si erano meritate le occhiate di diverse studentesse. Non era nemmeno particolarmente vecchio, però era piuttosto intransigente sulle regole dell’istituto e poteva risultare abbastanza pignolo e impettito, quando non era di buon umore.
Cercò di tirar via lo strato di polvere che si era ammassato sulla coppa di Quidditch che aveva per le mani, era quasi sicuro che fossero i professori in persona a lanciare un incantesimo di opacità sui trofei. Con tutti gli studenti che finivano a lucidarli per punizione, a quell’ora avrebbero dovuto essere più splendenti di un pavimento di cristallo.
Melodian continuava a parlare e parlare, ormai Ben non ce la faceva nemmeno più a starlo a sentire. Aveva già disconnesso il cervello alle prime sei frasi riguardo un aggeggio babbano per le pulizie. Scopetto, o una roba del genere.
Ah, quanto avrebbe dato per infilargli quello straccio in bocca!
“Nervosetto, il professor Stenhell, eh? E dire che gli ho chiesto anche scusa” aggrottò la fronte, Jace. Lui non aveva nulla a che fare con quei Grifondoro che disprezzava la Casa dei Serpeverde, per lui ogni persona doveva essere giudicata in modo individuale, e anche se non aveva mai avuto granché modo di parlare con Meynell, non gli sembra un così cattivo ragazzo.
“Ho sentito che hai conosciuto Ilary?” esclamò senza neanche pensarci. C’era voluto del tempo perché Jace e Ilary legassero, soprattutto per gli atteggiamenti talvolta troppo frizzanti della ragazza, che spesso trovava il modo di prender parte ai numerosi litigi che scoppiavano nella Sala Comune e per i corridoi, era una che faceva valere la sua opinione, molto competitiva e non era in grado di mantenere per sé un segreto. E Jace, be’, Jace non si fermava mai alla prima occhiata e non era uno che mollava facilmente.
Dato che il Serpeverde continuava a lucidare minuziosamente la sua coppa e non sembrava prestargli troppa attenzione, Jace –a differenza di qualsiasi altra persona- prese un respiro e colpì con non poca forza lo scaffale straripante di premi, facendone cadere in gran parte e provocando un rumore assurdo.
“Ma che diavolo combini?!”
“Bello, eri troppo assorto con quella coppa” scosse la testa, il Grifondoro brandendo il suo straccio come fosse la spada di un moschettiere. Con quei due piercing ai lati della bocca e i dilatatori, non avrebbe mai avuto l’aria di una nobile guardia francese, ma questo, Ben, non glielo avrebbe di certo detto.
Sua madre avrebbe definito quelle frivolezze di ferro una volgare babbanata, e nemmeno Ben ne era granché attratto. In realtà, tutto di quel ragazzo spericolato gli faceva storcere le labbra, dagli occhi eterocromatici al modo in cui portava fieramente la camicia fuori dai pantaloni. Sembrava assurdo, ma Jace in qualche modo lo intimoriva. Non aveva paura, sia chiaro, però quel suo essere così estroverso e dannatamente impiccione lo metteva in allerta, anche se infondo non aveva poi tutta questa cosa da nascondere, anzi, buona parte della sua vita era stata messa al bando da sua sorella e dalle sue figuracce.
Alla fine cedette “Che cosa vuoi?”
“Fare due chiacchiere, infondo staremo qui per un po’” scosse le spalle, il mezzosangue “Dunque sei amico di Ilary?”
“No, non ci conosciamo nemmeno”
“Mi ha detto che ti sei avventato su un esercito inerme di asciugamani puliti” alzò le sopracciglia “È stata dura sconfiggerli tutti?”
Non rispose nemmeno, non voleva dargli corda, dopotutto era per quello che era in punizione, si preoccupava troppo di cosa pensava la gente.
“E comunque” continuò, Jace “Sono felice che hai messo a tacere quell’idiota, è insopportabile”
“Davvero?”
“Davvero. Pensa che una volta è riuscito a far sparire i vestiti a tutta la squadra di Grifondoro, hanno dovuto camminare fino alla Sala Comune praticamente nudi”
Oh, sì. Ricordava bene quel giorno, tutti quei ragazzi in fila indiana, con gli occhi puntati addosso e un colorito roseo che si infiltrava sulle loro guance.
Ovviamente non poteva ammetterlo apertamente, ma era stato divertente.
“Insomma, è ovvio che vuole mettersi in mostra e avrà anche dei pregi, non lo metto in dubbio, ma ha passato il segno.”
Pregi, tzeh.
Da quando era entrato a far parte della casa di Serpeverde, o meglio, da quando Ben era finito al suo stesso anno, Oscar gli aveva reso la vita impossibile. Qualsiasi cosa combinasse, lui sarebbe venuto a saperlo e gliela avrebbe cantata per giorni e giorni. Era fatto così, viveva per ridicolizzare chi si ridicolizzava già di suo, ma almeno non giocava sporco, come invece facevano gran parte dei Serpeverde.
Sapeva, inoltre, che aveva volti alti, che amava lottare di bacchetta e che era un portento in gran parte degli incantesimi, assai meno con le creature magiche e il volo.
Qualcuno gli aveva detto che amava leggere ed era per questo che la biblioteca non era mai stata nel mirino dei suoi scherzi, il che era lodevole.
“Ti piacciano le cose babbane?” domandò invece, cercando di cambiare argomento e indirizzare l’attenzione ai suoi interessi.
“Sì, mio padre è babbano, sai? Faceva la rock star!” c’era una grande luce nei suoi occhi, doveva essere orgoglioso di lui “Non ai livelli di tour mondiale, certo, ma suonava la chitarra elettrica. Lui sì che è un tipo forte, ha ancora i tatuaggi sulle braccia e i capelli lunghi. A volte mi porta a dei concerti durante l’estate: fichissimo!”
“Sei cresciuto nella Londra babbana?”
“No, mia madre ha premuto perché i suoi figli crescessero in un ambiente meno … babbano, più sicuro, con la magia e tutto il resto”
“Quindi non hai gran dimestichezza con la tecnologia e …?”
“Un po’, ogni tanto papà mi parla del suo mondo e quando vado dai nonni, mi fanno sempre vedere cose nuove. Lo sapevi che i babbani non usano i gufi? Hanno le e-mail!”
“Che razza di animale è un’e-mail?”
Jay scoppiò a ridere “Non è un animale! È tipo una cassetta per le lettere dentro uno schermo e devi muovere un aggeggio nero e una freccia per leggere le lettere”
“Sembra complicato” aggrottò le sopracciglia, il Serpeverde. Non aveva mai capito perché i babbani si complicassero tanto la vita, insomma, i videogiochi erano divertenti, ma tutto il resto era, a suo parere, una gran cavolata. Aveva letto in un vecchio libro che fino a qualche secolo prima, anche i babbani addestravano i corvi per mandare i messaggi, e non capiva perché avevano smesso di farlo.
“E hanno un sacco di cibo buonissimo!” esclamò nuovamente, il Grifondoro “C’è un negozio giù a Londra, si chiama McDonald’s e ha una M gialla e gigante; è il paradiso!”
“È pieno di cioccorane e piume di zucchero?”
“No, meglio: bigMac e patatine fritte”
Ben avrebbe voluto chiedere cosa diavolo fosse un bigMac, ma un rumore a pochi passi dalla porta li indusse a chinarsi sui trofei e cominciare a scrostare i titoli impolverati. Quello che aveva in mano era di un argento splendido e recitava la scritta: “Madelaine Fosleen, Torneo della Stregoneria Malefica 1822”
Da quello che ricordava, lo studio dei malefici si era ridotto solo a quello teorico appena dopo l’invenzione della lampadina, nel 1878. Era una delle poche lezioni di Storia della Magia che era riuscito a seguire senza addormentarsi, probabilmente perché doveva andare in bagno in quel momento e la campanella stava per suonare.
Si rigirò il trofeo tra le mani per qualche secondo prima di posarlo sulla credenza e agguantarne un altro, che pareva più simile al bronzo e quindi a un terzo posto sul podio.
“Sai, abbiamo intenzione di passare San Valentino fuori, noi della banda”
“Banda?”
“Sì, insomma, il nostro gruppo di amici. Ho sentito che fanno le bancherelle quel giorno giù a Diagon Alley, abbiamo pensato che sarebbe forte uscire. Puoi venire se vuoi. Non devi rispondermi subito.”
La cosa bella di quelle stupide feste d’amore, era la possibilità di entrare e uscire da scuola senza venir presi per le orecchie.
Ben ci pensò su, un pomeriggio intero in compagnia di filobabbani, Grifondoro e Corvonero, che altro poteva capitargli di peggio? Suo padre non avrebbe certo approvato e la sua famiglia gli stava già addosso per la storia degli anni perduti a scuola e delle continue lettere che ricevevano dalla preside, neanche facesse apposta a rompere piatti e far cadere i quadri, era riuscito persino a dare la bacchetta nell’occhio di una sua compagna a lezione.
Di certo avrebbe fatto meglio a declinare l’invito, giusto per non farsi vedere in loro compagnia e mantenere quel minimo di dignità che gli era rimasta. Ma sì, sarebbe rimasto al castello coi suoi … no, non voleva passare quell’unica giornata di libertà di inizio quadrimestre in compagnia dei suoi compagni di Serpeverde, neanche ci andava d’accordo!
Squadrò nuovamente il volto mezzo pallido del mezzosangue che aveva accanto, si conoscevano appena e già lo aveva invitato nel suo gruppo, e non aveva nemmeno consultato i suoi amici per farlo!
Forse si sarebbe divertito, forse sarebbe stato un completo disastro, ma senz’altro aveva bisogno di uscire da quelle pareti ammuffite e Jace gliene stava dando la possibilità.
“Quando partiamo?”
Si lasciò andare a un leggero sorrisetto “Appena dopo le lezioni, vengono anche due amici di fuori, forse li conosci, frequentavano questa scuola fino a qualche anno fa”
“Davvero, chi?”
Jace mise apposto la coppa che aveva in mano e ammirò il suo lavoro “Uno lo conosci di sicuro, è uno dei gemelli Weasley”
“Quelli che hanno lasciato la scuola con tutti quei fuochi d’artificio?!” esclamò, Ben sgranando gli occhi. Quei due erano una leggenda a scuola, c’erano migliaia di ragazzi in tutte e quattro le Case che tentavano di emularli e ancora compravano i loro scherzi.
Erano al quarto anno quando Ben aveva messo piede in quella scuola ed era stato assegnato a Serpeverde, allora era ancora pressoché un ragazzino ma nemmeno loro davano l’idea di avere quattordici anni pieni. Se li ricordava bene, la prima volta gli erano parsi così alti, ma con l’andare avanti degli anni era arrivato a guardarli negli occhi. Avevano sempre avuto un fisico allenato, ma solo perché giocavano a Quidditch come battitori, e in tasca avevano sempre almeno un paio di caramelle vinte ad una scommessa. Quando aveva perso il suo primo anno, lui era rimasto in prima e loro erano passati alla quinta e si erano alzati di molto durante l’estate, erano persino più piantagrane!
Ora non ricordava bene l’ultima volta che li aveva scorti, era stato durante la battaglia, ne era certo. Gli sembrava di vedere un ragazzo dai capelli rossi che correva per i corridoi quando si concentrava, ma poi le sue orecchie si riempivano degli incantesimi che avevano sferzato l’aria quella notte ed era costretto a tornare alla realtà per non soffocare.
Erano successe troppe cose quel giorno, erano morte troppe persone. Ogni volta che entrava nella Sala Grande poteva quasi rivedere le barelle che ne rivestivano il pavimento e le coperte che coprivano i cadaveri, ogni volta che chiudeva gli occhi e provava ad addormentarsi, gli occhi vacui degli amici che era stato costretto a colpire lo perseguitavano fino a strangolarlo nel sonno. Non avrebbe mai dimenticato l’alba che si era alzata quel giorno perché per la prima volta nelle sua vita, aveva sentito l’odore del sangue nel sole e ne aveva avuto paura.
Il negozio di scherzi dei Tiri Vispi aveva chiuso subito dopo la guerra, la gente diceva che l’avrebbero venduto, ma i mesi erano passati e le vetrine avevano cominciato prima a impolverarsi e poi a ricoprirsi di neve. Aveva riaperto solo due mesi prima, dopo ben quasi due anni di attesa.
Quasi non ci aveva creduto all’inizio, ma poi era stato costretto a ricredersi quando tra i ragazzini del primo anno era cominciato un giro di strane caramelle al caramello, che Ben conosceva fin troppo bene.
Una volta era persino entrato in quel negozio, prima della guerra ci andava più spesso, gli piacevano tutti quegli articoli colorati e i profumi che aleggiavano nell’aria. Non aveva mai comprato molto, ma lo aveva fatto. Comunque, era quasi Natale il giorno in cui era entrato ai Tiri Vispi, come al solito l’aveva trovato molto affollato, ma era riuscito ugualmente a scorgere George, il proprietario.
Era diverso da come lo ricordava, anche i suoi vestiti erano diversi. Non aveva quel volto pieno di gioia ed entusiasmo, anzi, sembrava fare un grande sforzo e la sua pelle aveva un colorito più pallido e malaticcio, come se fosse risorto da una lunga malattia. In più, non aveva più quel completo con le spille luminose che soleva indossare insieme al fratello. Non aveva abbandonato giacche, gilet, camicie e cravatte, ma aveva optato per abili più semplici e, doveva dirlo, più ambigui. Innanzi tutto, indossava una giacca di un viola intenso con un gilet ben poco anonimo –soprattutto con quelle lucine e spillette- e una camicia di un limpido magenta, che se non mal ricordava doveva essere il suo colore preferito. E per finire un fiocchetto color lavanda che gli ricadeva sempre storto sulla camicia. Insomma, il genere era simile, ma aveva dato un taglio ai colori più caldi –come il verde e il giallo- che invece avevano sempre contraddistinto Fred.
Però i suoi capelli non erano cambiati, erano rimasti di quel rosso fuoco che si muoveva per i corridoi del castello con le braccia ricoperte di fuochi, anche se avevano superato il taglio regolare che aveva in battaglia e qualche ciuffo gli graffiava il collo.
Scosse la testa, continuando a grattare sulla coppa. Non sapeva nemmeno perché ci stesse pensando.
Sarebbe stata una notte lunga, quella, e già sentiva la voglia di pulire che svaniva insieme alla polvere.
 
 

 
 

Carlisle, primi di Gennaio 2000
 
 
 
Era strano camminare per le vie di Carlisle a guardare le vetrine dei negozi, quando fino a qualche giorno prima si erano arrovellati per cercare il nucleo di quella stupida bacchetta. Non le sembrava ancora possibile che si stessero comportando come un qualsiasi turista babbano.
Come sempre, il loro solito gruppo da cinque era rimasto unito per gran parte della mattinata, fino al pranzo a dire il vero. Sebastian si era impuntato per andare a mangiare la pizza in quel ristorantino all’angolo della strada.
Non era male, la pizza, si era ritrovata a pensare Annalyse, anche se preferiva di gran lunga quella italiana.
“Lo sai che gli italiani non mangiano pizza a pranzo?” le aveva detto Joelle inforcando un trancio della sua margherita.
“Sul serio?”
Ed erano andati avanti a parlare dei falsi stereotipi che avevano reso gli italiani famosi in tutto il mondo, come quello degli spaghetti con le polpette.
“Ho passato diverse estati in Italia, è un Paese splendido”
“Ma quindi non è vero che non sanno guidare” esclamò Sebastian, quasi folgorato da una lampadina.
“Au contraire” scosse la testa, Joelle “Amano superare i limiti di velocità e fare inflazioni, sarebbero in grado di fare un’inversione a U sulla strada principale di Parigi se i vigili non fossero lì a controllarli”

 
Anche Annalyse aveva sempre avuto un debole per la terra del Sole1, con quelle sue spiagge di fuoco e la marea che si infrangeva sugli scogli. Amava il modo in cui le mattonelle si riunivano a mosaico nei paesi più anonimi, il cielo sempre limpido e i fiumi di parole che la gente urlava per le strade. Purtroppo conosceva solo una parte dell’Italia, quella che aveva potuto scorgere nelle storie e nei racconti che le venivano raccontati: le bancarelle che ricoprivano la città ogni settimana, le chiese sfarzose d’oro e incenso, il tricolore della bandiera che si muoveva nel vento, le fontane di pietra bianca e l’aria di mare e sale che si mischiava al pane del mattino.
Qualcuno le aveva detto che gesticolavano molto, quegli italiani, che avevano la pelle abbronzata dall’estate e che odiavano le regole, che erano ospitali, fin troppo a dire il vero. E non sapevano tenere la bocca chiusa.
Aveva sentito dire che in quella terra esistessero un sacco di dialetti e che la gente non si capisse di città in città, che alcune di quelle parlate erano così buffe che non si poteva che deriderle, e amarle.
Quando pensava a un italiano, se lo immaginava non troppo alto, coi capelli e gli occhi scuri, la canotta bianca che lasciava nude le braccia olivastre. Ogni volta che da bambina aveva sognato quel lontano principe azzurro, in ogni suo desiderio era apparso quel caldo e voglioso sorriso. Aveva immaginato i giri in gondola al tramonto, le foto sotto il grande Colosseo in pietra che dimorava nella capitale, e loro due al ristorante a mangiare spaghetti.
Perché sì, anche Annalyse –come tante ragazze straniere- era rimasta abbagliata dal fascino italiano.

 
Cercò di ricomporsi e rivolgere la sua attenzione alla fumante pizza che aveva nel piatto, ne aveva divorata più di metà mentre si perdeva nei ricordi del gagliardo Riccardo –non sapeva nemmeno lei perché gli avesse dato quel nome, ma gli donava molto …
 
Una delle cose di cui si rese conto quando bevve un sorso della sua Coca-Cola, fu che il tema principale di cui i suoi compagni stavano discutendo era cambiato. Da parte sua, avrebbe potuto continuare a parlare dell’Italia anche per qualche altra ora, ma dovette darsi un taglio quando la sua mente cominciò a ragionare sulla catena che aveva potuto portare la conversazione dalla guida spericolata degli italiani alle scope di nuova generazione. Anche se, infondo, Annalyse dubitava che vi fosse anche solo una ragione per la quale un argomento non potesse finire sul Quidditch.
“Ho sentito un ragazzino, poco prima di partire da casa, dire qualcosa riguardo alla nuova Firebolt 2.0, dicono che sia persino più stabile e molto, molto più costosa”
“Più costosa della prima? E quale giocatore potrebbe mai permettersela?” si accigliò, Josephine muovendosi sulla sedia. Sebastian era diventato stranamente silenzioso, il che lasciò Annalyse non poco sorpresa.
Si avvicinò al suo orecchio, mentre gli altri continuavano a discutere, e gli sussurrò “Tutto bene?”
Sebastian parve riscuotersi dall’improvviso stato meditativo e girò gli occhi verso la compagna, che rimaneva in silenzio ad aspettare una sua risposta.
Ormai erano più che amici, forse era la ragazza con cui aveva più legato da quando era entrato a far parte di quel gruppo. No, senza forse, lo era e basta. Certo, ci erano voluti sforzi immani per andarle a genio, probabilmente era stata la missione più difficile in cui si era imbarcato, ma alla fine era riuscito a cavarle il primo della lunga serie di sorrisi che erano seguiti.
E ne era felice.
Il fatto di andare d’accordo con tutti loro rendeva quella situazione molto più digeribile. Era incredibile che fino a qualche mese prima si trovasse in Francia, pronto a partire per chissà dove e nel cuore solo una promessa che avrebbe mantenuto a costo della vita.
Sapeva perfettamente che tutti a quel tavolo avevano un motivo per restare, anche se ancora non aveva idea di quale fosse. Era un ragazzo estroverso, tentava di essere amico di tutti nel bene e nel male, e non mirava a chissà quale grandezza, però non aveva dimenticato perché aveva scelto di seguire Silas. Aveva avuto dei cedimenti, c’erano stati momenti, forse più di quelli che riusciva a ricordare, in cui aveva tentennato, in cui si era chiesto se stesse facendo la cosa giusta e se non avesse fatto un errore a imbarcarsi in quel viaggio. Però poi ricordava i motivi che l’avevano spinto ad abbandonare la sua terra, quella famiglia che l’aveva accolto quando suo nonno era venuto a mancare e tutte le difficoltà che avevano dovuto affrontare, gli aiuti che non erano mai arrivati. E allora capiva che qualunque cosa sbagliata avesse fatto e stesse fare, ne sarebbe valsa la pena. Magari non sarebbe mai riuscito del tutto a perdonarsi, magari le vite che quel viaggio aveva strappato lo avrebbero rincorso tra mille incubi, ma Sebastian doveva compiere quel viaggio, e doveva portarlo a termine o sarebbe stato tutto vano.
Era a questo che pensava mentre scrutava negli occhi di Annalyse, e sapeva di non essere ancora pronto per dirglielo.
“Va tutto bene, stavo solo pensando” scrollò le spalle e finì gli ultimi bocconi della sua pizza con la salsiccia e il basilico, era riuscito persino a farsi mettere le olive, e aveva guardato con non poca stranezza la pizza strapiena di pancetta che Josephine aveva ordinato.
Annalyse non gli credette nemmeno per un istante, però sapeva che se Sebastian aveva motivo di nasconderle qualcosa, lei non aveva il diritto di cavargli quel segreto di bocca. Non le piaceva vederlo così giù di morale, ma aveva già una mezza idea per farlo tornare a sorridere.
Catturò l’attenzione della cameriera che stava passando tra i tavoli e aspettò che li raggiungesse.
“Qualcosa non va?” domandò, un pelino preoccupata. Probabilmente non doveva lavorare lì da molto.
“Oh no, è tutto buonissimo. Potrei ordinare un piatto di patatine fritte, per cortesia?”
“Certamente, arrivano subito”
“Grazie”
Problema risolto. Pensò la giovane Serpeverde lanciando una breve occhiata al ragazzo che aveva a fianco, sembrava già più radioso.
Finirono pizza e patatine in men che non si dica e pagarono alla cassa con parte dei soldi che Silas aveva procurato loro, naturalmente nessuno di loro si fece qualche domanda su dove fosse andato a prenderle, tutte quelle banconote.
Quando riuscirono per i marciapiedi della città, Annalyse si rese finalmente conto dello strano accostamento di colori che accompagnava gli edifici. La maggior parte di essi, infatti, era color mattone con qualche rara casa color pastello, mentre i negozi al pian terreno sfoggiavano una sfumatura intensa, probabilmente per saltare maggior mente all’occhio. Non era mai stata particolarmente interessata alla moda né avrebbe tirato su un casino per dei colori, ma doveva ammettere il paesaggio nel suo insieme le fece storcere il naso.
Cominciò a concentrarsi sulle vetrine dei negozi quando Joelle e Takeshi decisero di svoltare l’angolo e proseguire per un’altra strada, mentre loro tre continuarono dritto.
Persero un po’ di tempo a causa di Sebastian, che riuscì a farsi seguire e rincorrere da un bulldog inglese piuttosto spigliato e farsi abbindolare dal tenero sguardo di un pomerania che zampettava con la sua padrona e da un coniglio oltre la vetrina di un negozio per animali.
Joe stava persino per ricordagli che, come cattivo, non sarebbe stato preso molto sul serio se si fosse portato dietro una palla di pelo simile, poi però penso che Sebastian non sarebbe stato preso per cattivo nemmeno senza quel peluche vivente.
“Quello sembra carino” proruppe Nali, indicando un negozietto con le vetrine piene di manichini.
Erano maghi, quindi non erano pienamente convinti dagli abiti che i babbani sembravano tanto amare, però fino ad allora quelli erano gli unici jeans che Nali avrebbe indossato di sua spontanea volontà. Innanzi tutto non erano ricoperti di ridicoli strass, sembravano piuttosto comodi e non davano l’aria di volerti strozzare le gambe, erano di un azzurrino pallido ed erano provvisti di due comode tasche in cui inserire le mani in caso di una lunga e noiosa camminata, il che era decisamente un punto a loro favore.
“Credo abbia solo articoli femminili” borbottò Joe, lanciando un’occhiata a Stian, che comunque non pareva affatto contrariato della cosa.
“Vorrà dire che dopo andremo in un negozio sportivo e potrete comprarvi quello che volete”
Detto questo, prese la mano di Stian, che prese quella di Joe, ed entrarono nel negozio cominciando a guardarsi intorno.
“Silas ha detto di prendere qualcosa di comodo, ma che ci piace” mormorò Sebastian muovendosi tra le varie paia di pantaloni in vista.
Le piaceva girare per negozi però sapeva quanto Silas premesse per riprendere il viaggio, perciò vide bene di non perdersi a guardare i manichini e andò dritta verso quel paio di jeans che aveva già adocchiato in vetrina, poi acchiappò una maglia che dal verde muschio sbiadiva nel bianco e una piccola giacchetta piuttosto anonima e dal basso prezzo, probabilmente scontata.
“Provali” la sospinse Sebastian spingendola verso il camerino.
Cercò di fare in più in fretta possibile ed ebbe appena il tempo di guardarsi un poco allo specchio prima di tirare le tende e godersi la teatrale espressione del suo compagno.
“Ora ci vogliono un paio di scarpe adatte, direi di un marrone chiaro, se fossero stivaletti sarebbe ancora meglio”
“Da quando ti intendi di moda?” alzò un sopracciglio Joe, ma Stian non le diede retta.
“Okay, dai, togli tutto e andiamo alla cassa”
Ci misero assai poco a trovare gli stivaletti giusti e un negozio che vendesse articoli unisex, perlopiù hip hop.
Joe optò per un singolare paio di pantaloni dalla fantasia militare e una canotta bianca, e Annalyse si preoccupò di agguantare una felpa nera prima di arrivare alla cassa.
Incredibilmente, fu Sebastian a perdersi tra i vestiti del negozio alla ricerca di qualcosa che gli andasse bene. Aveva un fisico che a detta di molti sarebbe stato perfetto, era alto, con le misure giuste, gli sarebbe andato bene qualsiasi vestito.
Per fortuna, dopo almeno mezz’ora tra un negozio e l’altro, anche Sebastian riuscì a decidersi. Prese un jeans nero senza scritte e un paio di scarpe grigie con uno strano segno a V a lato, una specie di maglioncino nero e una giacca del medesimo colore, cercò di contrattare il berretto ma Joe fu irremovibile.
Fatto sta che quando tornarono in albergo, Joelle e Takeshi erano già rientrati da un pezzo e il sole non era ancora calato.
“Si muove veloce” esclamò Sebastian, tutto contento “Ma noi siamo stati più veloci”
Joe si bloccò all’improvviso, accigliandosi e fissando il ragazzo che si era affacciato alla finestra.
“Non è il sole a muoversi”
“Come no? Sì, guarda. Si alza da lì” e indicò l’est “E tramonta da quella parte”
“Ma è la Terra a girare intorno al sole”
“Perché deve essere la Terra? Noi non ci muoviamo mica. Se stiamo qui, in questa stanza per tutto il giorno, il sole si sposta lo stesso”
Prima che Joe potesse riprendere a parlare, Joelle prese Nali da parte per dirle qualcosa di importante.
Uscirono dalla stanza dell’albergo mentre quei continuavano a litigare e Takeshi si era chiuso in bagno.
“Cosa volevi dirmi?” domandò Annalyse, squadrando la ragazza.
“Quando siamo entrati nella Hall, abbiamo visto i gemelli e Salazar parlottare tra loro.”
“Mmh, sì” annuì Annalyse “Lo fanno spesso”
“Lo so” scosse la testa “Ma era diverso stavolta, mi è sembrato di vedere un sorriso sul volto di Salazar, è come se sapessero qualcosa”
“Che tipo di cosa?”
Joelle sospirò stringendosi le braccia “Non lo so, Caesar ci ha visti arrivare e ha chiuso la conversazione. Non mi piacciono quei tre”
“Non piacciono a nessuno” tagliò corto Nali.
L’unica ragione per cui si era lasciata guidare da quei tre viscidi ragazzi era perché Silas aveva bisogno di loro, perché Sal conosceva bene il libro che Riddle si portava sempre dietro e che sapeva come vendicare la caduta di Tom, o Voldemort –come aveva soluto farsi chiamare.
“Grazie per avermelo detto”
Forse ne avrebbe parlato con Hellen, dei due era l’unica che ancora conservava una qualche razionalità per poter discutere. Silas era diverso, sembrava molto più nervoso e incline alla rabbia, come se finalmente volesse mettere in chiaro chi fosse il capo in quella spedizione. Aveva sempre mantenuto il rispetto e il servilismo dei compagni, chi più chi meno, ma nelle ultime settimane aveva cominciato a comportarsi diversamente. Era irritabile, critico, incontentabile e qualunque cosa facessero, non sarebbe andata bene, non sarebbe stata abbastanza.
Quella stessa mattina  di una settimana prima si era rifiutato di condividere con loro quale fosse  il nucleo che aveva scelto, ed era stato in quel momento che Annalyse aveva capito di dover scambiare due parole con Hellen.
La situazione li stava sfuggendo di mano e il tempo che Silas passava in compagnia di Sal, almeno per come la pensava Annalyse, non avrebbe portato a nulla di buono.
“Sai per caso se Silas e Hellen…”
“Sono in camera” la interruppe Joelle, immaginando cosa stesse per domandare.
Non dovette nemmeno chiederle di occuparsi dei due bambini che ancora litigavano per il sole, perché non ce ne fu bisogno. Joelle annuì senza dire nulla e ritornò nella stanza, lasciando Nali nel lungo corridoio che l’avrebbe portata dai suoi compagni.
Inspirò due volte prima di mettersi in cammino, si erano separati in due gruppi per non pagare troppe camere e avevano ricevuto due stanze non troppo lontane, il che era positivo. Erano stati così rumorosi la notte prima che Annalyse quasi compativa i vicini che avevano dovuto sorbirseli per tutta la sera.
Quando bussò alla porta, ad aprirle fu proprio Salazar.
Ogni volta che lo vedeva ripensava al modo in cui l’aveva presa alla sprovvista al loro primo incontro e a tutte le canzonature che aveva dovuto sopportare da quando era entrato nella loro combriccola di disadattati.
Indossava sempre quelle stupide lenti a contatto che lo facevano sembrare un gatto e limitavano i suoi occhi a due spicchi del colore del sole. Quando non era intento a sghignazzare poteva apparire anche un bel ragazzo, forse un po’ mingherlino, ma abbastanza alto da apparire più slanciato di quanto non fosse. E quei capelli poi, sempre rigirati da una parte in un taglio stranamente ridicolo.
Portava sempre una maglia a maniche lunghe del colore del fumo e un paio di pantaloni comodi che gli permettessero di muoversi liberamente.
Annalyse non sapeva nemmeno perché guardasse il suo vestiario o quella chioma castano ramato che non gli arrivava mai sulla fronte, o quei due nei che aveva sulla guancia. Insomma, lei nemmeno lo sopportava, quello sgorbio. Era insopportabile, irritante in una maniera dirompente e aveva sempre quel ghignetto sulla faccia e quelle labbra pallide che si increspavano ad ogni sorrisetto. Lo odiava, odiava il suo accento così poco londinese e il modo in cui articolava le parole, non sopportava il fatto che si esprimesse con tanta rapidità, anche il suo modo di camminare la infastidiva, quello strisciare le suole la irritava quasi quanto la sua voce sbiascicata.
“Serve qualcosa, fantasmino?”
Le veniva voglia di spellarlo.
“Stavo cercando Hellen” esclamò con incredibile autocontrollo.
Salazar la squadrò per qualche istante, ridendo sotto i baffi “È sul tetto, sicura che cercassi solo lei?”
“Sì” sbottò a denti stretti “Addio”
Gli voltò le spalle riprendendo la marcia verso le scale, ma una parte di lei fremeva per fermarsi e dirgliene quattro sul fatto che non avesse ancora chiuso la porta e la stesse fissando. Dovette ricorrere a tutta la sua pazienza per rimanere fedele ai suoi piani e non perdersi in una stupida scaramuccia con quel serpente.
Ripensò agli anni di scuola per distrarsi, a quando percorreva i sotterranei per rientrare nella Sala Comune o alle lezioni di pozioni che aveva seguito per intero. Amava mescolare gli intrugli più scuri e guardare i suoi compagni fallire miseramente coi loro calderoni fumanti e un puzzo di bruciato che si alzava nell’aria.
Ma mentre ripensava ai suoi anni a Hogwarts, un nuovo dubbio si fece strada nella sua mente: Salazar aveva frequentato la sua stessa scuola, probabilmente nella sua stessa Casa, possibile che non si ricordasse di lui? Si erano sicuramente scontrati in qualche corridoio, anche se aveva un anno in meno. Erano stati tutti espulsi da quella scuola o da un’altra, altrimenti non si sarebbero ritrovati lì.
Avrebbe voluto essere in uno di quei libri in cui il protagonista ricorda all’improvviso sprazzi importanti del suo passato e riesce finalmente a rimettere insieme il puzzle della sua vita, ma Annalyse era certa che –anche se avesse incontrato Salazar in un’aula o gli fosse passato accanto nella Sala Grande- non se ne sarebbe mai ricordata.

 
Salì le scale fino all’ultimo piano, dove trovò Hellen seduta sul primo scalino.
“Credevo fossi sul tetto”
“La porta è chiusa” sollevò le spalle, la ragazza indicando la porta alle sue spalle.
Annalyse ne fu sollevata, le piaceva volare ma l’idea di stare su un tetto senza la possibilità di ricorrere a una scopa in caso di caduta, non la attirava granché.
Si appoggiò alla ringhiera, senza preoccuparsi di guardarla negli occhi.
“Ti fidi di quei tre? Di Salazar?”
Hellen non si scompose a quelle parole, sapeva che prima o poi ne avrebbero parlato.
“No” però si fidava di Silas, l’avrebbe seguito in capo al mondo se glielo avesse chiesto.
Nali guardò i biondi capelli di Hellen, conosceva già la sua storia. Hellen non era come loro, non aveva nascosto le sue ragioni né optato per dimenticarle e tentare di andare avanti. Aveva perso suo fratello in battaglia e si era dannata per non aver preso parte alla guerra, per essersi astenuta e non aver impedito che accadesse. Non sapeva bene perché fosse stata espulsa da Durmstrang, ma sapeva che dalla grande battaglia di Hogwarts aveva vagato per l’Inghilterra in cerca di vendetta, finché non aveva trovato Silas. Annalyse era stata la loro prima recluta, l’avevano trovata a vagabondare per uno sperduto villaggio, si erano incontrati su un ponte e qualcosa era scattato, Nali aveva finalmente trovato una famiglia, per quanto strampalata e distorta dall’odio. Joe si era unita poco dopo, era stato un caso il loro incontro –o forse doveva dire scontro.
Quando avevano reclutato Sebastian, Annalyse non riusciva neanche a credere che quel francesino potesse rendersi utile in qualche modo, ma aveva dovuto ricredersi. Non aveva doti particolari per gli incantesimi, non aveva mai mescolato la benché minima pozione e non aveva mai cavalcato una scopa in vita sua, il che mandò Annalyse a chiedersi se fosse realmente un mago, ma gli sprazzi di luce che tirava fuori dalla bacchetta erano il suo lascia passare per il mondo magico.
“Riesci a credere dove siamo arrivati?” sbuffò, Nali perdendosi in uno sbiadito sorriso “Fino a qualche mese fa eravamo solo dei maghetti che vagavano per le strade, e ora guardaci; con nuovi vestiti, un Comandante con la bacchetta fai-da-te e un piano solido da mettere in pratica”
Cercò di sorvolare sul fattore cambiamento di Silas, non voleva rovinare quel momento.
“Se ci avessero visto fino a qualche settimana fa, non ci avrebbero dato uno zellino”
“Non credo ci avrebbero offerto nemmeno il portafoglio vuoto” sghignazzò, mentre nella testa si susseguivano le immagini di quella folle avventura.
“Tu credi che funzionerà?” domandò all’improvviso, tutta quella storia delle leggende la disorientava, e se fosse stato tutto vano?
Hellen continuò a guardare il muro “Ne sono sicura”
La verità? Non lo era, ma ormai non potevano più tornare indietro e anche se avessero potuto, Hellen non lo avrebbe fatto. Silas non era solo il capo che aveva deciso di seguire o il ragazzo che le aveva dato una speranza, una giustizia. Era anche il figlio del Maestro che Nicolaj aveva deciso di servire, il mago oscuro più potente della storia, colui che era risorto dalle tenebre per riprendersi il potere. Era per lui che suo fratello era morto, era in lui che Nicolaj aveva creduto sino alla morte, ed era sempre stato lui a dare alla sua famiglia l’illusione di un futuro in cui nessuno li avrebbe vessati. Se Voldemort avesse vinto, Hellen non avrebbe dovuto nascondersi nei cunicoli babbani per sfuggire a quei bastardi che si facevano chiamare salvatori.
Tornò a rivolgere l’attenzione alla ragazza che aveva accanto, che ora si era seduta al suo fianco e osservava gli scalini che si ripetevano fino al suolo.
“Non mi hai mai detto perché hai voluto unirti a noi”
Queste parole parvero riscuotere la giovane Serpeverde. Non era una ragazza che tentava di nascondersi e celava la verità con patetiche menzogne, non aveva paura del mondo, però era piuttosto riservata sulle questioni più delicate ed era convinta che a nessuno sarebbe interessato il suo passato, perciò perché tirarlo fuori? Tuttavia, se erano gli altri a tentare un approccio più intimo, non sarebbe stata di certo lei a sottrarsi. Aveva imparato negli anni che evitare le persone non era d’aiuto.
“Avevo una sorella, Tabitha. Vivevamo in una casa di un grande quartiere babbano, i miei genitori disprezzavano la gente che vi abitava, ma non abbiamo mai traslocato. Tabitha non è mai stata del tutto sana, aveva una salute cagionevole ma è sempre riuscita a tirare avanti. Era il mio mito, ogni volta che sognavo di crescere, volevo essere come lei.
Una sera ero nel letto a leggere, quando un rumore al piano di sotto mi indusse a scendere le scale. Tabitha era stesa sul pavimento, incosciente. Mi gettai a soccorrerla, ma i suoi occhi rimanevano chiusi. Chiamai subito il San Mungo; furono le ore più lunghe, non riuscivo nemmeno a rimanere seduta mentre gli infermieri si muovevano per le corsie. Dissero che il Guaritore non era presente in quel momento, ma sarebbe arrivato il prima possibile.
Passai le ore a guardarmi intorno, a fissare la porta da cui avrebbe dovuto entrare, ma non arrivò nessuno. Mia sorella morì da sola, con gli infermieri che mi impedivano di entrare a darle conforto.
Più tardi mi dissero che colui che avrebbe dovuto curarla si trovava a Hogwarts, a medicare i feriti di guerra che erano sopravvissuti. Ero così arrabbiata che li odiai tutti, uno per uno. Avrei voluto che fossero morti loro invece che Tabitha, non lo meritava”
Cercò di controllare il dolore che le aveva stretto il petto, era la seconda persona a cui lo raccontava, dopo Sebastian. Era passato più di un anno da quello stramaledetto giorno, ma il solo ricordo riusciva a ferirla.
Hellen non disse niente, le passò una mano sulle spalle nel tentativo di abbracciarla e dirle che la capiva, che sapeva cosa volesse dire perdere qualcuno di così importante, un membro della propria famiglia.
Su questo erano simili, ma Annalyse sapeva che Hellen non aveva alle spalle il suo stesso passato. Hellen aveva perso i suoi genitori al suo primo anno di scuola, Nali invece aveva avuto il tempo per imparare ad odiarli.
“Dovremmo tornare giù di sotto, si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto” mormorò Hell aiutandola ad alzarsi.
Annalyse si scostò una ciocca dalla fronte, aveva proprio bisogno di distrarsi.
“Credi che ci vorrà ancora molto?” parlare del suo passato aveva riportato a galla quella voglia di vendetta, quel desiderio di rivendicare sangue del suo stesso sangue.
“I gemelli hanno menzionato il furto di un’auto volante, quindi no” le sorrise, Hell.
“La gente comincerà a parlare”
“I babbani l’hanno già fatto” la interruppe “Ho visto un articolo di giornale sul massacro dei gemelli in Scozia, e qualcuno deve aver ritrovato il corpo di quel boscaiolo; avremmo dovuto seppellirlo”
Annalyse ripensò a quello che avevano combinato per trovare l’albero da cui ricavare la bacchetta.
“Credi che dovremmo preoccuparci?”
Hell scosse la testa “No, e anche se volessero darci la caccia, non saprebbero nemmeno da dove cominciare”
Nessuno sapeva dell’esistenza di Silas, anche se molti dei suoi tratti li aveva ereditati dal padre.
“Quindi una macchina volante” sorrise Nali, quella notizia la metteva di buon umore “E sappiamo già chi la guiderà senza patente?”
“No, e tremo solo a pensarci”
 
 
 
 

 
 
1La terra del Sole o Paese pieno di Sole è il modo in cui viene definita l’Italia nel film Ricette d’amore.
 

 
*** ***
 
 
È passato molto da quando ho aggiornato, ma spero che non abbiate abbandonato la speranza e che questa storia vi attiri ancora.
È un capitolo abbastanza lunghetto rispetto agli altri, ma mi sentivo in dovere di farlo visto che domenica parto per il mare –e dunque non potrò continuare a scrivere.
Sappiate però che quando ci rivedremo avrò un anno in più ù.ù

 
Il fascino italiano colpisce qualunque Nazione (tranne evidentemente l’Italia, ma solo a causa della politica!). Siamo o no il Paese più bello del mondo? Con le nostre spiagge, le marche, la gente sorridente, le mani che gesticolano, i dialetti buffi e divertenti, il nostro modo folle di guidare (ma se ti metti sulla corsia di sorpasso e vai come una lumaca, non ti lamentare se poi la gente si incazza), la nostra musica, la nostra cucina, la nostra lingua, la nostra storia!
E poi, scusate, volete mettere la nostra pizza e la nostra pasta contro qualsiasi altro cibo al mondo? Cioè, Italy, pasta, pizza … è così che ci chiamano all’estero xD
L’Italia è il Paese dove l’estate non finisce mai, perché se non è là fuori, il Sole, è dentro le persone.

 
Poesia patriottica a parte, spero davvero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento e vi abbia divertito almeno la metà di quanto sia piaciuto a me scriverlo.
Dal prossimo inizia l’avventura delle tre leggende, è finita la pacchia! E come avete già potuto notare in questo capitolo, la gente ha già cominciato a mormorare e l’echeggiare degli omicidi sta iniziando a girare. Quanto ci vorrà perché giunga al Ministero??

 
Abbiamo potuto assaporare un po’ di più il passato di tre antagonisti: Hellen, Annalyse e Sebastian –chi più chi meno.
 
La storia di Hellen ormai sarà chiara a tutti, quindi non mi ci soffermo troppo.
 
Sebastian: cosa ci sarà mai nel suo passato ad averlo spinto a intraprendere questo viaggio? Perché non è così colto come gli altri e non ha una buona padronanza della magia? Ma soprattutto, che razza di promessa è che si porta dietro dalla Francia?
Cominciate ad avanzare ipotesi, voglio vedere chi si avvicina di più. Avete già giocato ad acqua e fuoco, vero? Dovete puntare al fuochino!

 
Annalyse: è arrivato finalmente il momento di entrare in contatto con quello che ha passato. Mi sono permessa di lavorare di fantasia laddove la scheda lasciava spazio all’immaginazione.
Che ne pensate di lei, del rancore che prova verso i Guaritori che hanno lasciato che sua sorella morisse in un letto d’ospedale, senza cure?

Per quanto invece riguarda i buoni, siamo ritornati a Hogwarts dopo la cena a casa dei Weasley ed è passato un po’ di tempo ù.ù
Ho voluto rievocare Ebenezer e Oscar + Ilary perché non vi scordaste di loro.
Sto cominciando a riunire di più i buoni, che sono sparpagliati qua e là, perché villains are coming e devono avere il tempo di conoscersi un po’ prima ^-^
Avete notato un certo cambiamento in George? Pare che Alexis sia stata molto d’aiuto, non trovate?

 
Non ho quasi nient’altro da dire se non che mi arrovellerò per pubblicare il prossimo capitolo ad un intervallo umano, ma tra mare e libri da studiare non vi prometto niente.
 
 
 
 
 
 
   
 
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