Capitolo VII
Povera di spirito
I minuti passavano lenti, la sera era ormai calata, ed io camminavo nel buio. Avevo ancora indosso il mio vestito da sposa. Anche se bellissimo, era estremamente leggero, ragion per cui mi sentivo morire. Sentivo freddo, e questo non faceva che provare ad annidarsi fra le pieghe e le fessure ora presenti sia nel mio cuore che nella mia anima. Non avendo desiderio dissimile dal lasciarmi alle spalle quanto mi fosse accaduto, camminavo. Vagavo senza una meta precisa e guardando le stelle, speravo in un segno. In quella notte stellata, le principesse del cielo potevano essere le mie uniche amiche, e continuando a fissarle, pregavo in silenzio. Stanca e infreddolita, guardai dritto di fronte a me, e appena un attimo dopo, scoprii di essere giunta in un luogo a me completamente sconosciuto. Non ne ero sicura, ma a quanto sembrava, avevo raggiunto la zona più povera di Aveiron. Attorno a me c’erano persone tristi e addolorate, costrette a vivere di accattonaggio in mezzo alla strada. Guardandoli, provai istintivamente pena per loro, e tentando di ricacciare indietro le lacrime, distolsi lo sguardo. Troppo concentrati sulla loro sofferenza, quelle genti mi ignoravano, e anche se non mi andava di ammetterlo, mi sentivo incredibilmente sola. Raggiungendo una fredda panchina, mi sdraiai, e chiudendo gli occhi, provai ad addormentarmi. Tormentata dai ognuno dei miei ricordi, ci riuscii con non poche difficoltà, e perdendomi nel vasto mondo dei miei sogni, assistetti al ritorno di ognuna di quelle dolorose rimembranze. Per pura fortuna, o forse per opera della mia buona e lucente stella, ebbi modo di concentrare le mie energie sulle poche gocce di gioia che rimanevano nella mia vita, e incredibilmente, riuscii a rivivere tutti i momenti felici passati al fianco del mio Stefan. Ero ormai certa di dormire profondamente, ma nonostante tutto, in quel sogno ogni cosa appariva tremendamente reale. Ricordai ogni cosa. La luce nel suo sorriso, la magnetica bellezza nel suo sguardo, la dolcezza delle sue parole, la delicatezza del suo tocco, e in ultimo il sapore dei suoi baci. Nel mio sonno, non facevo che agitarmi, e al mio risveglio, provai l’insopprimibile bisogno di piangere. Drizzandomi a sedere, notai la presenza del mio riflesso in una piccola pozzanghera formata dalla precedente pioggia. Esaminandola, notai il mio volto. Una vera maschera di tristezza, bagnato di lacrime e corrotto dal dolore. Rimanendo ferma e inerme, utilizzai parte del mio tempo per riflettere, avendo quindi modo di pensare e maturare una dura ma saggia decisione. Quello che era accaduto con Stefan era stato in parte anche colpa mia, e l’esplosione di rabbia che avevo avuto in sua presenza doveva averlo seriamente demoralizzato. Guardandomi indietro, compresi che forse era davvero dispiaciuto, e che essermi rifiutata di ascoltarlo addossandogli ogni parte della colpa era stato un colpo davvero basso. Un boccone amaro da ingoiare, e una verità troppo scomoda per essere celata. Sdraiandomi per la seconda volta, sospirai cupamente, e poco prima di addormentarmi, mi concentrai sul cielo. Giungendo le mani come un fedele in preghiera, sperai ardentemente nel perdono di Stefan. La rabbia previamente provata mi aveva impedito di confessarlo, ma in realtà mi mancava, ed io lo rivolevo indietro. A quel pensiero, delle piccole e quasi invisibili lacrime mi solcarono il volto, facendolo bruciare come vivo e rosso fuoco. Chiudendo quindi gli occhi, parlai con me stessa, non desiderando altro che l’affetto di colui che avevo scelto di amare. In altri termini, volevo tornare ad essere felice, e non più sola e povera di spirito.