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Autore: Old Fashioned    31/07/2016    11 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Capitolo 11

I passi del tenente von Rohr echeggiavano con monotona regolarità mentre lui percorreva su e giù la navata centrale della chiesa.
Erano venti in un senso, poi il leggero strisciare del dietro-front e venti nell’altro senso. Poi un altro dietro-front e la cadenzata marcia ricominciava.
E così via.
Era esausto ma non riusciva a smettere di camminare su e giù. Si sentiva come un giocattolo a molla che deve girare fino a che non si è scaricato del tutto.
E la sua testa, anche lei, era un motore in folle che non riusciva a fermarsi.
Erano passate solo poche ore da quando si era appropriato dell’aereo di Müller pronto in linea di volo ed era decollato, ma sembrava una vita. In quel breve lasso di tempo aveva fatto il suo primo volo di guerra, aveva rischiato di essere ucciso, era stato abbattuto, si era salvato per miracolo atterrando in un campo, era stato picchiato a sangue e adesso era prigioniero.
Prigioniero degli inglesi, gli sembrava un incubo. Che fare? Doveva scappare, ovviamente, doveva tornare dai suoi, ma come?
Aveva solo conoscenze teoriche sull’essere prigioniero di guerra. Sapeva che era un disonore, principalmente. Che non doveva dare confidenza, che non doveva parlare per non rivelare magari involontariamente importanti notizie al nemico, che non doveva – orrore – fraternizzare. Le sue nozioni si fermavano lì.
Di quello che gli avrebbero fatto gli inglesi non sapeva nulla. La sua mente sovreccitata gli proponeva una ridda d’immagini una più agghiacciante dell’altra, sevizie, esecuzioni sommarie, maltrattamenti, e il rassicurante pensiero della convenzione di Ginevra era un’isola sempre più lontana in un mare sempre più agitato.
Devo resistere, pensava però caparbiamente, qualsiasi cosa mi facciano devo resistere. Devo mostrare loro di che tempra sono i piloti della Luftwaffe!
A quell’idea si fermò sospirando mentre una romantica Sehnsucht gli dilagava nell’animo. Forse non avrebbe più rivisto i suoi compagni, né il capitano Müller o il maggiore Graf. Di colpo provò nostalgia per quello che aveva perso, addirittura gli mancava il sottufficiale che gli aveva raccomandato di fare presto a portare il mezzo maiale da arrostire.
Forse non avrebbe più rivisto nemmeno la Germania. Si toccò il petto in un gesto automatico, alla ricerca del distintivo della Hitlerjugend, ma si ricordò di non avere più neppure quello, qualcuno gliel’aveva tolto per tenerselo come ricordo.
Volse lo sguardo ai finestroni gotici e si accorse che fuori stava calando la sera. Doveva aver camminato in quel modo per ore.
Da una parte, su un tavolo, c’era anche un vassoio con un pasto. Chi l’aveva portato? Quando? Non si era accorto di niente.
Mentalmente si diede dello stupido.
Così non va, si disse, devi stare all’erta, non puoi farti cogliere impreparato, ma anzi devi notare e ricordare tutto. Devi scappare da qui, ricordi? E basta con questo atteggiamento disfattista, indulgere nell’auto-compatimento non è un modo di comportarsi da ufficiale tedesco.

Mentre era immerso nelle sue angosciose meditazioni percepì il rumore di una porta che si apriva e dei passi in avvicinamento. Al di là del cancello di ferro che separava chiesa e canonica comparve il maggiore Stuart, che con tono cortese gli domandò: “Come sta, tenente?”
Von Rohr rimase in silenzio.
“Io sono il maggiore George Stuart, a proposito”, disse l’inglese tendendo la mano attraverso le sbarre.
L’altro fissò la mano tesa come se avesse voluto incenerirla e non si mosse.
“D’accordo, vedo che non ha voglia di fare conversazione,” sospirò il maggiore ritirando la mano. “Si faccia una dormita,” gli suggerì allora, “mangi qualcosa. Vedrà che domattina si sentirà meglio.”
“Difficile che mi senta meglio,” non poté fare a meno di ringhiare il tedesco, “visto il posto in cui mi trovo.”
Allargando le braccia in un teatrale gesto di rassegnazione, Stuart rispose: “C’est la guerre, direbbero i francesi. La prenda con filosofia, tenente, tanto da qui non può più andarsene. Mangi e si riposi, piuttosto. Le garantisco che le farà bene.”
“La smetta!” rispose asciutto von Rohr.
“Cosa?”
“La smetta, ho detto! Cos’è lei, un ufficiale nemico o la mia governante?”
“Lo dicevo per lei, tenente.”
“I suoi consigli non mi servono!” fu la brusca risposta, poi il giovane gli girò le spalle e scomparve nella navata ormai buia.
Stuart rimase immobile per qualche secondo, poi anche lui si girò e tornò al proprio alloggio. Da una parte aveva ragione Poynter, quel tedesco era un ragazzino idiota, ma dall’altra in un certo qual modo quella sua caparbietà rabbiosa lo affascinava. Era come avere a che fare con un animale selvatico. Ringhiava e gonfiava il pelo quando sarebbe stato tanto più facile scodinzolare e tentar d'ingraziarsi i suoi carcerieri.
Indubbiamente aveva carattere.

   
 
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