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Autore: nikita82roma    31/07/2016    2 recensioni
Un mese dopo la sparatoria al loft Kate riprende finalmente conoscenza. Ma lei e Rick dovranno ricominciare tutto da capo nel modo più imprevisto e difficile, con un evento che metterà a dura prova il loro rapporto e dovranno ricostruire il loro "Always", ancora una volta. Ma Rick avrebbe fatto tutto per lei, per loro, per riprendersi la loro vita e non avrebbe più permesso a niente e nessuno di separarli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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Kate ancora non sentiva la sua bambina muoversi, però sapeva che lei poteva sentirla. Nel silenzio della camera si sdraiò sul letto, spense il telefono e la luce ed accarezzandosi il ventre cominciò una lunga conversazione con sua figlia. Era una di quelle cose che si sarebbe aspetta da Castle più che da se stessa, lei non credeva di essere una di quelle mamme, a dire il vero fino a poco tempo fa non credeva nemmeno di essere una mamma, ma adesso più passavano i giorni più si sentiva totalmente investita da questo ruolo che assumeva un’importanza sempre più centrale nella sua esistenza. Era come se quell’idea che all’inizio voleva perfino rifiutare si fosse spostata come una pallina dalla periferia più remota della sua mente sempre più al centro a focalizzare lì la sua attenzione. Perché, sì, c’erano tutti i problemi, le discussioni con Castle, il non sapere cosa ne sarebbe stato della sua vita, il lavoro, ma poi tutto passava in secondo piano quando si concentrava su di lei.

Kate però non le parlava come se fosse una bambina, no, lei parlava a sua figlia come se fosse un’adulta, perfettamente in grado di capire tutto quello che stava accadendo. Cercava di spiegarle come si sentiva e quanto era felice di sapere che era dentro di lei, che è vero, prima la immaginava come un bambino, ma adesso non avrebbe saputo vederla in altro modo che come sua figlia. Le spiegava che se sentiva la mancanza della voce di suo padre era perché lui era via per lavoro, ma sarebbe tornato presto, dovevano solo stare qualche giorno da sole loro due e così potevano anche conoscersi meglio. Lei le avrebbe raccontato tutto di se, o almeno tutto quello che ricordava, perché c’era questo particolare che rendeva tutto più difficile, ma lei non doveva preoccuparsene, perché qualunque cosa fosse accaduto al suo passato, lei, la sua bambina, sarebbe stata il punto fermo del suo futuro. Le spiegò che lei e suo padre non sarebbero mai stati, probabilmente, dei genitori normali, come quelli che avrebbe visto a tutti gli altri bambini quando sarebbe andata all’asilo e poi a scuola però doveva essere certa che qualunque cosa loro avrebbero deciso di fare nella loro vita, l’avrebbero sempre amata e fatto di tutto per farla stare bene. Le parlò tanto, le diceva tutto quello che le passava per la testa fino quando fu troppo stanca per parlare e si lasciò vincere dal sonno. 
A domani bimba mia

Aprì gli occhi aspettando che i numeri della sveglia lasciassero la loro forma sfocata e si componessero leggibile. Le otto erano passate da poco. Si tirò su e percepì distintamente il dolore alla schiena e ai reni causati dalle ore trascorse sdraiata.
Buongiorno bimba mia

Si stiracchiò poi andò in bagno a lavarsi il viso per riprendere un aspetto minimamente presentabile. Avrebbe fatto una doccia. Dopo. Ora aveva bisogno di mangiare qualcosa. Urgentemente. Raccolse i capelli, lunghi, troppo lunghi, con una coda improvvisata e morbida ed andò verso la cucina. Appena aperta la porta di camera le sue narici furono invase da un profumo delizioso di uova e bacon, pancakes e cioccolato, e caffè.
Fece i pochi passi che la separavano dalla fonte di quel profumo e vide Alexis intenta a cucinare. La figlia di Rick salutò Kate con un sorriso imbarazzato ed un cenno della mano mentre la donna ancora insonnolita le si avvicinava. 
- Ciao Kate. - le disse timidamente Alexis quando fu abbastanza vicina
- Buongiorno Al… tutto bene?
- Sì… sì… 
- Bene.
Alexis tirò via dalla padella due uova fritte con il bacon e diede il piatto a Kate che non si aspettava che la ragazza stesse cucinando per lei.
- Le mangiavi sempre così, spero vadano bene - disse mimando il fatto che erano cotte su entrambi i lati. - Papà ha detto che in questi giorni devo assicurarmi che tu mangi almeno a colazione un pasto completo.
- Tuo padre si preoccupa troppo e mi tratta come una bambina. - sbuffò Kate mentre si portava alla bocca una generosa porzione di uovo e bacon con del pane tostato.
Alexis aveva anche il suo piatto pronto, si sedette davanti a lei a mangiare.
- So quello che è successo tra te e papà. - la ragazza era presa dai sensi di colpa e non era del tutto vero che era stato suo padre a dirle di preparare la colazione a Kate, era lei che si era offerta di farlo.
- Martha? - chiese Kate con una domanda retorica inghiottendo a fatica la colazione per la sorpresa di dover necessariamente affrontare ora quella conversazione e Alexis annuì.
- Mi dispiace. È una reazione irrazionale non da me, cioè non avrei voluto comportarmi così. Io sono molto felice per voi e per la bambina, credimi Beckett!
- Ti credo, non ti preoccupare. E non è colpa tua, capisco la tua reazione, non ti devi scusare. - E quel non è colpa tua sfuggito un po' in fretta, lasciava intendere che la colpa, per lei, era di qualcun altro che aveva un nome ben preciso: Rick. Era lui che non le aveva detto quanto era accaduto, non era colpa di Alexis e delle sue paure.
Rimasero qualche secondo in silenzio mangiando qualche altro boccone della loro colazione. Kate versò del succo di mela ad entrambe, ne bevve metà bicchiere e poi continuò a parlare alla ragazza.
- Vedi Alexis, per me è difficile parlarti, non so che tipo di rapporto avessimo in realtà o che livello di confidenza. So che la mia è una figura particolare per te. So che in passato il rapporto tra me e tuo padre ti ha creato problemi, soprattutto il fatto che lui volesse seguirmi e per questo si metteva nei guai e rischiava la vita, me lo ha raccontato lui. Non so come tu possa aver superato questa cosa, io non so se ci sarei risuscita.
- È vero Kate io non capivo perché mio padre si ostinava a venirti dietro al distretto e quando ti hanno sparato e lui era lì, beh io ho avuto tanta paura di perderlo, che gli accadesse qualcosa. Anzi io lo avevo capito perché lo faceva ma lui si ostinava a negare che lo faceva solo per te, non per i casi e i libri. Io l’ho superato, l’avevo superato. Perché mio padre ti ama e tu l’hai fatto diventare una persona migliore e lo hai reso felice. Poi però quando vi ho visto a terra, qui al loft, e stavate malissimo entrambi… Ho avuto paura ancora Kate. Più di quando lo hanno rapito e non sapevamo dov’era, più che a Parigi, più che con il triplo omicida. Perchè per la prima volta io l’ho vista, ho visto la morte addosso a lui. Ho pensato di averlo perso, che la mia famiglia non c’era più e nella mia famiglia ci sei anche tu Kate. E quando mio padre mi ha detto che vuole cambiare vita e lo deve fare per la bambina, io mi sono sentita come se i miei sentimenti e le mie paure non avessero mai contato nulla, ma lo so che non è così.
- Alexis. So cosa vuol dire, credimi. So cosa è la paura e lo smarrimento che si prova all’idea di perdere un genitore. Ci si fanno mille domande, sai quante volte me le sono fatte negli anni? Alcune volte ero talmente arrabbiata con il mondo che mi sono arrabbiata anche con mia madre. Perché lei, se sapeva che quello che faceva era pericoloso, lo faceva ugualmente, mettendosi contro tanta gente? Non ero più importante io o mio padre? Non era meglio rinunciare alla verità, a combattere una battaglia così grande e stare con noi? Sai quante volte ho pianto facendomi queste domande? Però mi sono sempre risposta che se lo avesse fatto non sarebbe stata mia madre. Avrebbe tradito se stessa e quello in cui credeva. Anche per tuo padre vale la stessa cosa. Non sarebbe stato lui e tu non lo avresti voluto diverso.
Kate fece una pausa. Alexis giocando con i resti del tuorlo sciolto dell’uovo nel piatto mentalmente stava dando ragione a Kate, annuiva alle sue parole. Le sembrava che erano tornare indietro quando lei era solo un’adolescente e Kate solo il detective Beckett. 
- Vedi Alexis, ora ti posso assicurare una cosa, se per un figlio il pensiero di essere lasciato da un genitore è doloroso, quello di un genitore di lasciare un figlio è straziante. Quando mi hanno detto che ero incinta ero terrorizzata. Non solo per la situazione assurda, ma per una paura che mi attanagliava il petto, avevo paura che il mio bambino potesse soffrire come avevo sofferto io e dover crescere senza un genitore, perchè la mia vita è pericolosa e incasinata, lo sai anche tu, e l’idea di mettere al mondo qualcuno e costringerlo alla paura di dover vivere quello che avevo vissuto io mi sembrava una tortura ingiusta. 
- Cosa è successo poi? Cosa ti ha fatto cambiare idea? - chiese Alexis incuriosita
- Lei. La sua presenza. L’idea che c’era, che era già una vita dentro di me. Mio padre mi ha detto “non prendere una decisione di cui potresti pentirti per sempre quando recupererai la memoria”, non c’è stato bisogno di ritrovare la memoria per capirlo. 
- L’hai mai sentita muoversi?
- No… tua nonna dice che è pigra come tuo padre, però le piace il gelato al cioccolato con tanta panna, come a te.
- Penso che sarà un momento molto emozionante.
- Non vedo l’ora, mi sono anche un po' preoccupata che non l’avevo ancora sentita, ma tuo padre mi ha preso una cosa, ti va di venire di là?
Kate andò in camera seguita da Alexis. Si mise sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera, scostò la maglia dal ventre e ripetè gli stessi gesti fatti da Rick, spalmandosi un po' di gel e poi accendendo l’apparecchio, muovendolo lentamente fino a quando il battito non si sentì in modo chiaro. Era forte e veloce come sempre. Sposto ancora un po' e insieme al battito si sentivano altri piccoli rumori. Alexis rimase a bocca aperta, commossa, mentre Kate salutava la sua bimba e si emozionava come sempre. 
- Ciao bimba, questa è Alexis, è tua sorella. - poi si rivolse direttamente ad Alexis - non ti porterà via tuo padre, Rick non ti farà mai mancare il suo amore. Il suo cuore è talmente grande che vi amerà tutte e due nello stesso modo. È sua figlia, come lo sei tu e lo sarai sempre, non cambierà nulla.
Alexis annuì non essendo in grado di proferire parola.
- Senti - continuò Kate - ti dispiace se dico che è tua sorella? Sai io sono di quella generazione ancora traumatizzata da Cenerentola e sorellastra mi evoca brutti ricordi.
- Sorella è perfetto. - disse Alexis e fu Beckett ora ad annuire e ricevere l’abbraccio sincero della figlia di Castle.
Nessuna delle due si accorse che sulla porta di camera, Martha, commossa, aveva assistito a tutta la scena sentendo anche lei per la prima volta la sua nipotina. L’attrice si asciugò gli occhi umidi attenta a non rovinarsi il trucco, fece un respiro profondo e fu pronta ad entrare in scena con la sua solita maschera frivola.
- Oh ragazze! - disse avvicinandosi con ampi gesti delle braccia - Ma quanto zucchero, quanta dolcezza che c’è qui!
- Nonna! - Martha!
Esclamarono insieme Kate e Alexis.
- Su su è stata una scena bellissima! Se l’avesse vista Richard sarebbe svenuto sicuramente per l’emozione!
- Nonna! - la rimproverò la nipote - da quanto tempo sei lì?
- Uhm… da quando sono scesa dalle scale quando voi siete entrate in camera?
- Ci hai sentite anche prima? - il tono di Alexis era tra l’arrabbiato ed il rassegnato, mentre Kate si ricomponeva mettendo via l’apparecchio.
- Ma certo che vi ho sentite! Non me lo sarei persa per nulla al mondo! Niente che già non sapessi, ma sentirvi parlare è stato molto, molto toccante! Dovreste dirlo a Richard! - E come era entrata in scena Martha uscì contenta che almeno tra loro due le cose si erano ricomposte con facilità.
Kate si ricordò di avere ancora il cellulare spento e quando lo accese vide subito il messaggio che Rick le aveva mandato nella notte. Le sue parole le entrarono direttamente nello stomaco, lo avrebbe voluto lì ora, per abbracciarlo insieme ad Alexis, per dirgli che era tutto apposto, che ce l’avrebbero fatta. Insieme. Come una famiglia. La loro famiglia. 

Alexis l’aveva lasciata sola in camera, disse che doveva andare a prepararsi per uscire. Kate fece un respiro profondo prima di fare il numero di Rick. Non avevano l’abitudine di parlarsi al telefono, non l’avevano mai fatto in questo periodo, se non per qualche breve comunicazione di servizio. Erano stati più o meno sempre insieme. Non sapeva come gestire la cosa, lei riusciva a dimostrare quello che provava per lui più con i gesti che con le parole, lui le leggeva gli sguardi e la capiva. Non riusciva a spiegarsi, lasciava che fosse lui a comprenderla. Così non era possibile. Si era sempre stupita in quelle settimane, ormai mesi, che stavano insieme di quanto il loro rapporto avesse preso da subito una strada molto fisica che erano prima prendersi per mano, poi abbracci, poi baci, poi tutto il resto, con estrema naturalezza, con una facilità che lei non aveva mai trovato con nessun uomo con il quale si era frequentata. Non era una fredda, non lo era mai stata in senso assoluto, ma non era nemmeno così espansiva, per come lei si ricordava nel suo passato. Invece con lui aveva sempre sentito qualcosa che la spingeva verso il contatto. Dalla stretta di mano al dormire su di lui, non con lui non le bastava che lui ci fosse, doveva sentirlo, col passare del tempo si era fermamente convinta che il suo corpo si ricordasse di lui più della sua mente, perché qualsiasi cosa facesse, orbitava nella sua direzione e lo riconosceva. Aveva sempre saputo dove doveva dormire, quale era il punto esatto del suo corpo che l’avrebbe accolta per appoggiare la testa sul suo petto, come incrociare le gambe con le sue in un gioco di corpi che diventava naturale. Per le parole, no, non era così. Le parole erano difficili, erano quasi dolorose tirarle fuori una ad una dal petto, come se si sentisse strappare via una parte di cuore per volta. Le parole le lasciava chiuse dentro di se, sperando che il resto compensasse, anche se si accorgeva che più passavano i giorni più lui aveva bisogno anche di quelle.
- Castle. - Sperò che Rick avesse risposto senza guardare il telefono, che quella risposta così fredda non fosse per lei. Eppure sapeva che lei aveva anche una suoneria personalizzata. Poteva avere il cellulare con la vibrazione ed averlo solo sentito, si disse. In qualche decimo di secondo tutto questo passò nella sua mente senza nemmeno che ne ne accorgesse.
- Ehy… 
- Ciao Beckett… Stai… State bene?
- Sì Rick. Stiamo bene.
- Bene.
- Mi mancava sentirti. - gli disse lei sincera, cogliendo nella voce di lui il suo stesso imbarazzo.
- Mancava anche a me. Grazie per la maglietta. Stanotte è stata… beh, grazie… che tu… io l’ho…
- Anche io ho tenuto la tua vicino a me. - Kate interruppe il suo parlare senza senso.
- Bene.
- Scusami se ti tengo al telefono magari tu sarai occupato e…
- No, no… anzi, scusami tu, per ieri, per non averti risposto. Ma nel club dell’hotel non c’era campo ed ho visto il messaggio solo quando sono arrivato in camera, Andrew mi ha portato lì per bere una  cosa con il direttore marketing dell’hotel, vuole fare una collaborazione, non so poi è andata per le lunghe ed ho fatto tardi e non ho visto e… mi dispiace Kate, veramente. - Rick disse tutto d’un fiato e Beckett fece fatica a stare dietro alle sue parole.
- Castle. Va tutto bene. - lei invece le parlò in modo calmo, perché lui capisse bene quello che gli stava dicendo. 
- Ok.
- In bocca al lupo per questa sera.
- Grazie. Beh, ci sentiamo.
- Certo. Ciao Castle
- Ciao Beckett.

Andò al distretto con un umore contrastato. Si era imposta di rivedere tutti i suoi vecchi casi e lei finiva i suoi lavori. Se lo era imposto con un motivo preciso, sperava che la aiutassero a ricordare, ma tutti i ricordi che aveva ottenuto negli ultimi tempi erano laceranti e facevano male. Più di quando si è ricordata del cecchino, più di quando si è ricordata della macchina in fiamme di Castle. Lì era lo shock, la paura, il dolore fisico, però lei era viva, Castle era vivo. Era tutto facilmente superabile, una volta acquisita di nuovo la sua razionalità.
Quello che stava ricordando, invece era logorante. Erano le paure del non detto, di aver lasciato conti in sospeso, della sua emotività, delle decisioni che aveva preso e perché. Non sapeva quando certe frasi dette e ricevute avevano lasciato cicatrici non sulla sua palle, ma dentro di se. Quanto c’era di vero in quello che ricordava? Aveva delle domande a cui non avrebbe potuto rispondere nessuno, solo lei sapeva le risposte che erano seppellite da qualche parte dentro di se e le facevano paura. Chiunque avrebbe saputo spiegargli cosa le era successo al cimitero, al funerale di Montgomery, molti le avrebbero potuto dire cosa le era accaduto dopo. Tutti i presenti al matrimonio sapevano cosa era successo alla macchina di Castle e che lui non c’era.
Nessuno poteva risponderle se era vero che stava rinunciando al loro matrimonio o se era vero che non sarebbe mai stata totalmente felice ad essere sua moglie e ai tanti altri interrogativi che aveva e che tornavano sempre di più a galla, inaspettati, come quella mattina, quando era andata dalla Gates per dirle del colloquio con Burke e della sua decisione di tornare a lavoro ma lei era dovuta uscire e Kate era rimasta sola nel suo ufficio. La voce di Castle era tornata di nuovo nella sua mente e lo vedeva davanti a se, con il cappotto in mano ed il suo vestito scuro, la faccia triste e delusa che gli diceva che non si fidava più di lui. 
Essere felice è qualcosa che ti spaventa. Hai bisogno della tua ossessione ed io non posso cambiare questo lato di te
Era così? Non si fidava di lui? Per questo non riusciva ad aprirsi, non completamente? Lo sapeva anche da prima? Aveva paura di essere felice? Sì, quello era vera. Era terrorizzata dall’essere felice, perché l’ultima volta che si ricordava di esserlo stata le era stato portato via tutto il suo mondo e la sua vita era stata stravolta. Sua madre era morta, aveva lasciato Stanford e l’idea di una carriera da avvocato come i suoi genitori per iscriversi all’accademia di polizia. Come poteva non aver paura di essere felice? Se come tutti le dicevano che con Castle lei era felice, allora era vero che doveva aver paura di esserlo, perché aveva perso tutto, ancora una volta, non esisteva più quella felicità nella sua vita, come non esisteva più quella di prima che sua madre fosse stata uccisa. 
E se tutta la sua dose di felicità, quella che le era stata concessa, lei l’avesse già consumata in quegli anni che non ricordava più, cosa avrebbe fatto d’ora in poi?
Ma c’era lei, e lei sì, la sua bimba, lei la rendeva estremamente felice anche solo a pensarla e questo la terrorizzava.

   
 
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