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Autore: Sarah M Gloomy    01/08/2016    0 recensioni
Amabel è una normale sedicenne, ironica, non eccessivamente propensa allo studio e, a suo dire, una bugiarda patologica. Tutto nella norma, insomma, fino all'incontro con Ridley e un bambino misterioso, che le faranno comprendere quanto nella sua vita normalità e pazzia siano termini interscambiabili. E che lei, in fin dei conti, non è proprio una normale ragazza.
Genere: Commedia, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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         Sospiro, raccogliendo con la paletta il disastro che io stessa ho combinato. La lampada pende da una parte, ma come da piccola ho detto a mamma che ero scivolata sopra al mio orso Bubu rompendogli gli occhi di plastica, mi avrebbe creduto che mi era scivolata dalle mani. Non aveva mai scoperto che Bubu si era macchiato del terribile crimine, con i miei occhi da bambina, di guardarmi storto e che i pugni se li era meritati tutti. Con il seno di poi, credo che dentro a Bubu ci potesse essere solo Lie. Il che mi avrebbe giustificato per il mio momento di furia omicida. Io, per lo meno, mi sono già perdonata.
Getto il rimasuglio della lampadina nel cestino, tornando in camera. Ridley è meno maldisposto nei mie confronti. All’opposto, sembra essere terrorizzato da Lie e gli sta lontano. Chiudo la porta della stanza. In casa non c’è nessuno, ma manca poco al rientro di mamma con Ed. Potrei essere distratta quel tanto da non accorgermi di loro.
Mi lascio cadere nel letto. «Sono andata a parlare con il tuo partner, Tobia Light.»
   «Mi ricordo di Tobia.» Ammette piano. Come la prima volta che ha sentito il suo nome, però, il suo tono è guardingo. Quella volta, mi ha intimato di uscire. Io continuo, come se non mi avesse interrotto. «Nel descriverlo, Dalila lo avrebbe definito un Caino.»
   «Che significa?»
   «Non ne ho la più pallida idea.»
Ridley si massaggia il mento. «Non sono cattolico. Conosco vagamente la Bibbia.»
Io, da cattolica, conosco la Bibbia ma a parte sapere che Caino uccise suo fratello Abele, commettendo il primo delitto dell’umanità, non capisco come possa attaccarsi l’epiteto al detective. Lie si è seduto per terra, meditabondo. E quando pensa, significa che io sono nei guai. «Lie?»
Scuote la testa, guardandosi le mani e fingendo di colpire qualcosa davanti a sé. Nei dipinti, Caino viene raffigurato con una pietra mentre colpisce il fratello. Lie sembra voler imitarlo. Di nuovo, muove la testa come scacciare un pensiero. «Io non sono come te, Dalila. Sono in collegamento con te, posso sapere cosa stai pensando ma non il perché. Non mi piaceva l’uomo perché era a te che non piaceva. Non avevo pensato che fosse un Caino.» Alza lo sguardo, fissando alternativamente me e Ridley. «In un tempo in cui bisognava fare attenzione a ciò che si diceva, le parole avevano molto peso. Non si poteva andare in giro a parlare di spiriti, fantasmi, maledizioni e omicidi. Si cercava di non usare parole fuorvianti, ma se era necessario comunicare dovevano passare inosservate. Ecco che per parlare di omicidi, si diceva che una persona era un Caino.»
   «Quindi anch’io sono un Caino. Sono un poliziotto e ho sparato più di qualche volta.»
Lie nega con il capo. «No, non è così semplice. Caino è una persona che non prova rimorso per quello che ha fatto, e lo ha fatto per il suo tornaconto personale. Davide ha ucciso Golia, ma Davide non è un Caino.»
   «Sta parlando di una vicenda biblica.» Mi frappongo tra i due, prima che Ridley chieda chi siano Davide e Golia.
Ridley si mette a camminare avanti e indietro per la stanza. «Quindi, solo perché a voi due non piace Tobia lo accusate di essere un Caino?»
   «Il fatto che a me e a Lie abbia dato una brutta impressione non è niente. È la tua reazione che mi ha lasciato perplessa. Quando hai sentito il suo nome, mi hai detto di uscire dalla stazione della polizia.»
   «Ritenevo che non fosse saggio per te stare lì.» Mi dice. Non ha il tono sicuro.
   «Però non eri tanto preoccupato della mia sicurezza quando sono andata a Maiden Street.»
   «Che cosa stai insinuando?»
Con un unico movimento, mi accoccolo sul letto, con le gambe nella stessa posa di un nodo. «Sulla tua aggressione ci sono tanti punti non chiari. A detta del detective, sei stato ferito durante un appostamento. Non puoi essere stato lì da solo.»
   «Non ricordo nulla di quei momenti.»
Lie si insinua subdolo. «Non apprezzi il tuo partner.»
   «Ogni persona ha degli screzi con le altre. Perché voi due andate sempre d’accordo?»
   «Per niente. Sono più le volte che bisticciamo che quelle in cui siamo in pace, però non ho mai attentato alla vita di Dalila. E lei ha un sesto senso per individuare la vera natura delle persone. Se dice che quell’uomo è un Caino, io mi fiderei della sua opinione.»
Sospiro, concentrandomi su Lie. «In passato hai già avuto a che fare con qualcosa di simile? Persone vive che non si risvegliano?»
   «Nel 1400 si moriva per una ferita non curata a dovere, Dalila. Tu stessa sei nata in un villaggio appestato.» Già: zero persone in coma. «So che non mi è mai capitato uno spirito che non ricorda il modo in cui è morto. È proprio la morte che segna la tua vita ultraterrena.»
   «Sono un fantasma strano.» Commenta ironico Ridley, al che Lie lo punzecchia. «No, non sei strano. Credo che tu abbia tutte le capacità e le possibilità di risolvere il mistero del tuo coma, ma sei troppo pigro per metterlo in atto. O hai paura. Sai …» Alza la voce, per sovrastare la rivoluzione che ha messo in moto contro di lui Ridley. «… non è detto che risolvere il caso ti dia la possibilità di svegliarti. Potrebbe invece liberarti dalle catene che ti legano a questa terra. Risolvere il caso potrebbe portarti alla morte.»
   «Non sono un vigliacco. Sono un tipo portato all’azione.»
   «Allora agisci. Chi ti ha sparato?»
   «Non lo so.»
   «Noi ti abbiamo detto i nostri sospetti. Sei tu che devi indagare.»
Ridley sbuffa. «Cosa dovrei fare? Andare alla stazione di polizia e chiedere informazioni?»
   «Sei un fantasma, puoi muoverti ovunque tu voglia senza destare sospetti. Di certo qualcuno starà indagando su di te. Basta seguire quella persona e vedere se ripercorrendo i fatti ti ritorna la memoria. Dalila è, al momento, un essere vivo.»
Ho appena incrociato le dita. Ridley mi fissa un attimo, prima di annuire e lasciare la stanza. Alzo una mano per farmi battere il cinque da Lie, ma mi ignora. «Non ho intenzione di diventare la tua arma solo perché non ricordi che se congiungiamo le mani io assumo forma fisica. E, per Dio Dalila, inizia a ricordare qualcosa. Parlare con te sta diventando più snervante del plagiare quel fesso.»
 
† † †
 
            Non ho dimenticato Carlos. Non posso. E non posso confessare, perché di fatto io non ho staccato nessuna spina. Il suo cuore ha smesso di battere. Sarà l’autopsia a dire quale parte del corpo ha ceduto per prima, se il cuore, i polmoni o che altro. Entro nella casa di nonna. Non sono ancora stanca di quella domenica, anche se mi sembra di non aver fatto altro che correre e distruggere.
Edward si è appisolato sul divano, nonna mi fa cenno di fare silenzio e mi abbraccia. Mamma esce dalla porta in cui c’è papà, preoccupata. Mi si ferma il cuore a pensare che qualcosa con papà non vada bene. Nonna è al mio fianco, quindi forse è solo preoccupata che io sia venuta a prenderli. Mi inumidisco le labbra. «Carlos è morto due ore fa in ospedale.»
Mamma si porta le mani alle labbra, cercando di nascondere il terrore. Però vedo i suoi occhi che guizzano in direzione del papà. Sono venuta anch’io a controllare per quello. Sguscio dalle mani di nonna e fisso papà dalla porta. Il solito ticchettio degli strumenti, il solito rumore tipo soffio che gli espande i polmoni, la solita pappa nauseante che gli scorre fino in pancia. Distolgo lo sguardo da lui, ma non c’è. Il suo spirito non mi chiede di esorcizzarlo e, anche se per poco, quella giornata inizia a sprizzare un po’ di luce.
   «Com’è successo?»
Alzo le spalle. «Non era il caso di parlarne. Me lo spiegherà meglio Mary quando se la sentirà. So che ha avuto un’overdose e … e quando sono andata a trovarlo era in coma. È morto poco dopo.»
   «Oh, tesoro.»
Mamma mi abbraccia. Lo farebbe lo stesso, anche se fosse a conoscenza della verità? Voglio avere la speranza che tra noi possa rimanere sempre così. Lascio che mi stringa e sfoghi un po’ della sua frustrazione, stringendo un po’ forte la mia vita. Vorrei dirle che va tutto bene, ma non quando un ragazzino di tredici anni è morto perché ha voluto provare l’ebrezza della droga. Quello non significa che il mondo va bene. Quello significa che il mondo è diventato un luogo ignorante dove per un semplice capriccio ti puoi iniettare acido nelle vene e vedere che cosa succede. E preferisco pensarla così, piuttosto di avere la certezza che questo mondo ha vomitato odio in un bambino tanto da fargli odiare la vita.
   «Non ti dispiace se vado a fare quattro passi? Ho bisogno di snebbiarmi la mente.»
Mamma si asciuga le lacrime e io mi allontano. Mi sento una bestia rara ed è strano. Quando sono sola ho bisogno degli altri, quando sono con gli altri cerco la solitudine. Forse è questo che significa essere segnati.
Percorro il viale, i lampioni si accendono con uno snervante sfrigolio, tipo olio che frigge. Alzo la testa per fissare il cielo, ma c’è troppa luce per scorgere le stelle. Sono pure nostalgica. Oggi sono un disastro di emozioni.
Mi guardo alle spalle, immobile, per un minuto. Poi decido che la sensazione di essere seguita è solo suggestione. Svolto l’angolo e so con certezza che dei passi fanno eco ai miei. Con la scusa di sistemarmi i capelli, guardo alle mie spalle e impreco sotto voce. «Dannazione, Lie! Mettiti un campanello, avvisami che ci sei. Non puoi sbucare come un ladro.»
   «Ti ricordi il nostro gentile Caino? Il detective ti sta seguendo. Vai in una via dove ci sia almeno un testimone. Non mi sento al sicuro.»
Vedo un signore anziano con un bastone che zampetta a passo di lumaca. È un testimone un po’ fiacco, ma non sono in vena di fare la schizzinosa. Un gatto sguscia dietro l’uomo, acquattandosi come se volesse fare un’imboscata. È lui che fisso, perché ha appena rizzato il pelo e soffia verso l’uomo. Questo è fermo, con il sacchetto della spesa ancora in mano. Ricordo il cane, il giorno dell’incontro con lo spirito di secondo livello, e impreco. «Dannazione.»
Faccio uno scatto, trascinandomi Lie che è come legato alla mia persona. Non mi ero accorta che era così anziano, né che si muovesse come un automa, né che fosse così rigido. Non ho pensato che il rancore per essere rimasto troppo a lungo al mondo terreno dovesse essere preso così alla lettera. Sono a una decina di metri, ma non sono abbastanza veloce. Sento un boato e poi il corpo del vecchietto si accartoccia nel terreno e, al suo posto, compare uno spirito di secondo livello.
   
 
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