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Autore: revin    01/08/2016    1 recensioni
La vita da reclusa è molto più dura di quella che Gwen avrebbe potuto immaginare, soprattutto in un penitenziario di massima sicurezza interamente dominato da uomini. Fox River è un inferno al quale sembra impossibile poter sopravvivere. Ma Gwen ha una missione da compiere... la vendetta.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Michael/Sara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La buona notizia era che ero riuscita a raggiungere lo scopo prefissatomi: raggiungere il gruppo di lavoro di Abruzzi, non solo per poter trascorrere più tempo a contatto con Lincoln, ma anche per cercare di scoprire quello strano, subdolo, inspiegabile legame che accomunava Michael al mafioso. Non sarebbe stato facile, ma per lo meno adesso avrei avuto più elementi sui quali lavorare e ben due ore di tempo al giorno per scoprire per quale motivo Michael mi volesse a tutti i costi lontana da quella stanza.
C’era anche una cattiva notizia però. Da quel pomeriggio in avanti avrei trascorso quotidianamente del tempo nella stessa stanza col pedofilo che fin dal mio primo giorno a Fox River avevo tentato di tenere lontano da me. Ogni volta che quel terrificante pensiero mi balzava alla mente, non potevo fare a meno di chiedermi se il gioco valesse davvero la candela. 

La mattinata per fortuna trascorse piuttosto veloce. Durante l’ora di pranzo, a mensa, ignorai categoricamente il tavolo in fondo alla sala, nonostante avessi sentito chiaramente la voce di Lincoln chiamare il mio nome più volte. Non ce l’avevo con lui. Persino la rabbia per essere stata presa tanto palesemente in giro da Michael durante la notte era sbollita, questo però non significava affatto che lo avessi perdonato o che potessi semplicemente mettere una pietra sopra alla faccenda. Piuttosto avevo preferito pranzare in compagnia del vecchio Westmoreland.
Durante l’ora d’aria invece mi ero recata nella piccola biblioteca della prigione, dedicandomi alla lettura fino alle 15, quando dovetti tornare nel Braccio A dove ad attendermi trovai, come promesso dal direttore, il capitano Bellick pronto a scortarmi al prossimo, e tanto atteso per quanto mi riguardava, turno di lavoro. 
  • Ti sei lavorata per bene il vecchio, eh? Dì la verità, stai cercando di fare la furba.  -  commentò il secondino, camminandomi a fianco.
  • Capo, non so di cosa tu stia parlando.
  • Oh certo che lo sai, non fare la finta tonta con me. Non so come tu abbia fatto ad infinocchiare Pope, ma non ti dimenticare che è con me che devi avere a che fare, qui sono io che comando.
Il suo tono di voce non mi piaceva, ma c’era ben poco che potessi fare. Potevo solo limitarmi ad annuire e ignorarlo. Daltronde era solo uno stupido grassone e un gradasso che quel giorno mi avrebbe spianato la strada per mettere a punto il mio piano. Mentre percorrevamo il cortile esterno per raggiungere la stanzetta delle guardie riuscivo a pensare solo a quello: alla mia vendetta, alla mia vittoria e alle facce che avrebbero fatto John e Michael vedendomi entrare lì dentro.
 
“Uno a zero per la ragazzina!”
 
Quando Bellick aprì la porta del magazzino lasciando che lo precedessi in quella che mi parve essere una perfetta anticamera della stanza andata a fuoco, con scaffali e mucchi di legno e plastica ammassati, mi scoprii con una certa sorpresa quasi elettrizzata, come se varcata la bassa porta di ferro estremamente massiccia e dipinta di blu, mi aspettassi un enorme e luminoso luna park piuttosto che una stanza dalle pareti annerite e dal persistente odore di bruciato e marcio.
Nell’istante esatto in cui il capitano delle guardie spalancò la porta, sei operai apparentemente molto indaffarati ruotarono gli occhi verso di noi, soffermandosi lungamente su di me, già pronta per cominciare il nuovo lavoro e vestita di tutto punto: salopette blu scuro, scarponi antinfortunio e coda di cavallo alta in testa.
  • Ma che branco di rammolliti. State andando a rilento come delle lumache.  -  sbottò il secondino, entrando con la solita espressione disgustata in viso, prima di indicarmi con un cenno.  -  Date il benvenuto alla vostra nuova compagna di lavoro.
  • Cosa? No, non se ne parla nemmeno.  -  scattò contrariato John Abruzzi facendo un passo in avanti.  -  Io non ho dato il consenso, lei non è dei nostri.
  • Oh si che lo è. Da questo momento in avanti questo delizioso bocconcino vi terrà compagnia per ben due ore pomeridiane al giorno. Ordini dei piani alti John, mi dispiace.
La mia improvvisa comparsa sulla scena non sembrava aver riscosso grande successo. Nessuno dei sei operai aveva accolto la notizia con entusiasmo, tutt’altro, erano rimasti a fissarmi a bocca aperta con un’espressione indecifrabile e assolutamente non amichevole.
  • Ehi capo, io questa qui non ce la voglio.  -  continuò perentorio il mafioso.  -  Sono sempre io che gestisco il laboratorio o è cambiato qualcosa?
L’insistenza del detenuto non piacque molto al capitano delle guardie.
  • Non ho capito bene. C’è per caso qualcosa dell’ordine che ti è appena stato impartito che non ti sta bene?  -  si avvicinò minaccioso ad Abruzzi, mentre appoggiava una mano sul manganello fissato sul fianco.  -  Perché se è così, dillo subito… Ricordati una cosa feccia di un galeotto che non sei altro, se non fosse per l’assegno mensile che mi passa il caro Falzone, tu qui saresti meno che niente, esattamente come il resto dei tuoi compagni.
Stranamente Abruzzi non reagì nel modo che mi ero aspettata e che gli era tipico. Rimase freddo di fronte alla sfrontatezza del secondino, da vero mafioso.
  • La ragazza farà parte del vostro gruppo di lavoro, ordini del direttore Pope. Qualcun altro vuole presentare le sue lamentele?... Nessuno?... -  Tacque e aspettò, guardando ad uno ad uno i sei uomini. Non arrivò nessuna protesta.  -  … Allora è deciso.
Mentre ricambiavo lo sguardo adirato e torvo dei sei operai, desiderai che Bellick potesse rimanere lì a tenermi d’occhio. Ero sicura che appena la guardia si fosse chiusa la porta alle spalle, quei sei delinquenti mi sarebbero saltati addosso per sbranarmi.
  • Beh Sawyer, buon divertimento!  -  concluse l’infido secondino lanciandomi un’occhiata divertita, prima di lasciare la stanza.
Il silenzio che seguì parve eterno.
Non che mi fossi aspettata una festa di benvenuto, un applauso caloroso o altro del genere ma diamine, non riuscivo proprio a capire perché la mia presenza li sconcertasse tanto.
  • Mi sa che abbiamo un problemino, Einstein.  -  sbottò C-Note rivolgendosi a Michael.
Mi concentrai su quest’ultimo in cerca di appoggio. Nonostante tutto quello che era successo ero convinta che alla fine avrebbe capito. Con mia grande sorpresa non lo trovai. La sua espressione si era irrigidita a tal punto da diventare inintelligibile. Guardava davanti a sé senza dire nulla. Era come se all’improvviso, vedermi comparire in quella stanza gli avesse rovinato la giornata, come se gli avessi appena fatto un terribile affronto che non poteva essere sanato con delle banali scuse.
  • Io questa mocciosa la strozzerei con le mie mani!  -  abbaiò Abruzzi, avvicinandosi pericolosamente a me.
La mia prima e istintiva reazione fu quella di indietreggiare, ma Lincoln intervenne in mio soccorso frapponendosi tra me e il mafioso per scongiurare il pericolo, prima di parlare come paciere della situazione.
  • Adesso calmiamoci, qui non si strozza proprio nessuno.
  • E bravo il nostro cavalier servente, adesso però qui c’è una signorina di troppo, secondo te come dovremmo risolvere il piccolo inghippo?
  • Tu stanne fuori T-Bag!  -  continuò Lincoln, puntando il dito contro il pedofilo.
  • Adesso basta, abbiamo perso fin troppo tempo. Rimettiamoci al lavoro.  -  ordinò improvvisamente Michael lasciando i suoi compagni disorientati.
Negli occhi di Lincoln e in quelli degli altri quattro operai lessi un evidente confusione, come se non avessero capito o aspettassero che Michael desse loro delle disposizioni più precise per andare avanti.
 
“Ma che strano, credevo fosse Abruzzi a coordinare i lavori.”
  • E che cosa dovremmo fare?  -  domandò C-Note.
  • C’è ancora parecchio lavoro da fare, dobbiamo finire di fissare le nuove pareti di carton gesso e non possiamo chiedere certo a Gwyneth di farlo.
Era come se tutto il gruppo si muovesse attorno a Michael, era lui il centro di gravità.
  • Non sarò un peso morto per voi, Michael dimmi cosa devo fare e come posso esservi d’aiuto.  -  intervenii.
  • Potresti andartene via.  -  sentii mormorare Fernando alle mie spalle.
Cercai di ignorare il commento, ma ci rimasi ugualmente male. Pensavo che almeno Lincoln, Michael e Sucre sarebbero stati dalla mia parte, invece sui loro volti leggevo le stesse espressioni contrariate e infastidite che avevo subito notato in quelli di Abruzzi, Bagwell e C-Note, e non ne capivo il motivo.
  • Gwen, visto che al momento non c’è niente che tu possa fare, puoi iniziare a ripulire questi attrezzi.  -  riprese il ragazzo di fronte a me, recuperando un secchio di attrezzi da lavoro sporchi di cemento e colla che appoggiò sul tavolo lì accanto.  -  All’esterno del magazzino, sul retro, le guardie hanno sistemato una cisterna d’acqua. Puoi usare quella per pulirli.
Non potevo credere alle mie orecchie, mi stava sbattendo fuori con quella stupida scusa per tenermi comunque lontana da quella stanza.
Per un momento restai a fissarlo palesemente seccata, ma il ragazzo non fece una piega, come se quella richiesta non nascondesse alcun secondo fine. Che altro si sarebbe inventato per sbattermi fuori? Mi avrebbe chiesto di caricare fuori i secchi stracolmi di calcinacci o avrebbe semplicemente sporcato di proposito quegli attrezzi perché potesse liberarsi di me il più a lungo possibile?
Sbuffando amareggiata, feci un passo avanti per avvicinarmi al tavolo e recuperare il secchio pieno di attrezzi. Sarei andata alla cisterna a fare come aveva detto Michael senza rifiutarmi o lamentarmi, sarei rimasta anche tutte e due le ore a ripulire quegli attrezzi se questo poteva far sentire meglio lui e i suoi compari, ma il pomeriggio ancora sarei tornata in quella stanza e anche quello successivo, e quello dopo ancora, fino a quando li avrei costretti ad accettare che io ero parte del gruppo. Non avevo nessun motivo di sentirmi in colpa, io avevo lo stesso diritto che avevano loro di lavorare in quella stanza.

All’improvviso percepii uno stranissimo click sotto il mio piede, quindi mi bloccai. Non che ci fosse nulla di strano in un pavimento irregolare, in quella stanza erano stati fatti dei lavori di ricostruzione, c’erano calcinacci e travi accatastati un po’ ovunque, ma ciò che aveva attirato la mia attenzione era che la moquette spessa e scura era ancora quella vecchia, precedente all’incendio, e quindi quel pavimento non avrebbe dovuto essere irregolare. Cos’era quella sporgenza al centro della stanza? Una botola? Un’asse di legno? Perché nessuno lo aveva notato? 
  • C’è qualcosa che non va?  -  mi domandò Michael, vedendomi impalata con una mano sospesa verso il secchio.
Cinque paia di occhi si voltarono improvvisamente a guardarmi, ciò che però piantò nella mia mente il seme del dubbio fu l’occhiata repentina che Sucre lanciò verso i miei piedi.
Mi stanno nascondendo qualcosa…” pensai tra me, prima di afferrare il secchio e voltarmi verso l’uscita.
Feci attenzione a ripetere gli stessi passi che avevo fatto nell’avvicinarmi e un nuovo click suonò sotto il mio peso quando passai sopra quella sporgenza così ben nascosta.
 
Per ripulire tutti gli attrezzi impiegai quasi 40 minuti perché per scrostarli dovetti immergerli nell’acqua e aspettare che lo sporco ammorbidisse, e con la colla impiegai il doppio del tempo perché sarebbe servita dell’acqua calda e invece l’acqua all’interno della cisterna era addirittura gelata. Finii per scheggiarmi un paio di unghia e farmi venire i geloni nelle mani.
Quando tornai al magazzino trovai i miei nuovi compagni di lavoro impegnati nelle loro occupazioni, e praticamente non mi notarono quando rientrai poggiando il secchio con gli attrezzi puliti sul tavolo, o almeno così mi parve. In compenso notai una sostanziale differenza in quella stanza, rispetto a quando ero uscita: il tavolo era stato spostato più indietro. Adesso si trovava esattamente sopra il punto che avevo ormai classificato come sospetto.
Per tutto il resto dell’ora successiva, non feci praticamente nulla se non guardarli lavorare. Ogni tanto notavo Lincoln e Sucre lanciarmi qualche occhiata, come per accertarsi che fossi ancora lì, per il resto quel lunghissimo turno di lavoro trascorse tranquillo, silenzioso e mortalmente noioso.
Alle 17 in punto una guardia venne ad avvertirci che il lavoro era finito e venimmo condotti ognuno nelle proprie celle. Nessuno dei sei uomini mi degnò di un solo sguardo e quando la guardia ci riportò nel Braccio, Michael e Sucre tirarono dritto su per le scale e non mi salutarono. 
 
La mattina dopo la temperatura esterna era diminuita di ben 9 C°.
  • Ehi Charles.  -  esclamai raggiungendo il vecchio Westmoreland in cortile.
Da qualche minuto era cominciata la prima ora d’aria della giornata.
  • Ciao Gwen, ti va di farmi compagnia facendo una partita?  -  mi sorrise, indicando la Dama pronta sul tavolo.
  • Mi piacerebbe, però devo avvertirti, non sono capace a perdere.
  • Correrò il rischio.
Il vecchio spinse la Dama verso di me, passandomi le pedine rosse perché le sistemassi in posizione, mentre prendevo posto e lui iniziava a sistemare le sue nere.
Era un secolo che non giocavo a quel gioco, sarebbe stato divertente.
  • Che fine hanno fatto i tuoi amici, come mai non sei con loro?  -  domandò, facendo la sua prima mossa. In tutta risposta scrollai le spalle.  -  Non dirmi che tu e Michael avete di nuovo litigato?
Feci svelta la mia mossa, evitando volutamente di guardare Charles negli occhi.
  • Diciamo che al momento… non parliamo molto.
  • Scommetto che la sorpresina di ieri pomeriggio non è piaciuta a tutti.  -  Spostai una delle mie pedine verso l’avanzata e Charles ne approfittò per eliminare due rosse rimaste scoperte.  -  Ti avevo consigliato di tenerti fuori dai guai, non di buttartici in mezzo con tutte le scarpe. Ovviamente non sono affari miei, ma come ti è venuto in mente di sfidare la collera di Abruzzi e farti ammettere nella “tana del lupo”?
  • Abruzzi non è un problema, adesso ne ho la certezza assoluta. Credevo che avrebbe fatto fuoco e fiamme una volta che Bellick mi avesse accompagnata nella stanzetta delle guardie, invece è stato mite come un agnellino. All’inizio credevo che fosse lui il capo branco, invece ho notato che il suo ruolo è incredibilmente marginale. E’ Scofield che manda avanti i lavori, è lui la mente di tutto.
  • Mi sembra di aver capito che Michael prima di essere arrestato, lavorasse come ingegnere edile.
  • Si, ma non è questo il punto. Michael potrebbe anche aver gestito la Building Corporation e questo non basterebbe a fare di lui il leader di quel gruppetto di galeotti, soprattutto con Abruzzi nelle vicinanze. No, se il mafioso ha accettato di lasciare a Michael le redini del gruppo, significa che stanno combinando qualcosa.
Riuscendo ad eludere tutte le mie difese, Charles fu il primo a giungere a Dama.
  • Era proprio a questo che mi riferivo dicendoti di stare in guardia.  -  riprese il vecchio.  -  Il problema della prigione è che è molto facile lasciarsi coinvolgere da situazioni sbagliate.
  • Michael non mi sembra proprio il tipo con una mente facilmente suggestionabile, però magari mi sbaglio. Quel farabutto di Abruzzi deve in qualche modo averlo abbindolato.
  • Non potrebbe trattarsi del contrario?

    La domanda mi sorprese.  -  In che senso?
Avanzando indisturbato all’interno della mia metà campo, Westmoreland si aggiudicò un’altra delle mie pedine, ma non riuscì ad evitare che anch’io giungessi a destinazione. 
  • Nel senso che, come hai detto tu stessa, Michael non sembra un tipo che si lasci abbindolare facilmente.
Sorrise e andò nuovamente a Dama convinto di avere ormai la vittoria in pugno, a me invece la voglia di giocare era improvvisamente passata.
A quel punto feci una pausa, guardando Charles dritto negli occhi, così che il gioco potesse rimanere sospeso.
  • Charles, che cosa sai che io non so?
  • Lo sai come ho fatto a sopravvivere 35 anni qui dentro? Limitandomi a tenere sempre occhi e orecchie aperte e facendomi gli affari miei.
Sapevo cosa volesse dire. Sapeva qualcosa certamente, ma non voleva immischiarsi in faccende che non lo riguardavano. Previdente come al solito, ecco perché io stavo faticando tanto a sopravvivere quei tre miseri mesi.
  • D’accordo… aiutami a capire Charles, perché io in questa storia rischio di perderci il sonno.
L’uomo mi restituì uno sguardo serio, quasi preoccupato.  -  E’ per Michael, non è vero? Perché sei così ossessionata da quel ragazzo?
Risposi senza pensarci.  -  Perché lui mi ha mentito.
Il vecchio sospirò. Sembrò rifletterci un momento, poi all’improvviso piegò la testa in avanti, concentrato apparentemente sul gioco.
  • Mettiamola così,  -  disse alzando finalmente gli occhi  -  ho sentito molti detenuti sognare di lasciare Fox River, pianificare fughe e andarsene… ma sinceramente non avevo mai sentito nessuno parlarne il giorno stesso della propria incarcerazione.
Valutai l’informazione molto attentamente, muovendomi nervosamente sulla sedia.
Alla fine scelsi saggiamente di rimanere in silenzio.
  • Come ti ho già detto, Michael a me sembra un tipo in gamba, però dovrebbe imparare a tenere per se certe proposte pericolose. Il giorno in cui quel ragazzo è venuto da me dicendomi di volersene andare da Fox River, ho pensato che fosse impazzito. Era entrato da meno di 24 ore e già pensava ad un modo per svignarsela.
  • Quando parli di svignarsela, intendi… evadere?
  • Beh penso di si, per questo l’ho giudicato folle. Fox River è un carcere di massima sicurezza, nessuno è mai riuscito ad evadere… voglio dire, anche tralasciando i continui controlli diurni e notturni, bisogna considerare la sorveglianza, le guardie sulle torrette, l’alto muro di recinzione…
  • Perché Michael avrebbe dovuto parlarti di una cosa del genere?  -  lo interruppi coinvolta.
Charles scrollò le spalle.  -  Probabilmente perché voleva che anche io prendessi parte alla fuga.
  • Si, ma per quale motivo?
  • Come tutti, anche Michael credeva che fossi D. B. Couper e che avessi un milione e mezzo di dollari fuori ad aspettarmi.
Il racconto di Westmoreland aveva dell’incredibile e certamente avrebbe spiegato molte cose sul comportamento di Michael, come il motivo che lo avesse spinto a prendere in considerazione quella possibilità e persino il coinvolgimento di Abruzzi, però tante altre cose non quadravano. E se Charles si fosse immaginato tutto? Era molto più probabile che il vecchio avesse trasformato una frase buttata lì a caso per costruirci una storia. Gli anziani amavano quel genere di cose. Ma se fosse stato vero?
All’improvviso mi tornò alla mente il ricordo del pomeriggio precedente. Mi ero avvicinata al tavolo per recuperare il secchio con gli attrezzi da pulire, quando sotto il piede avevo percepito un irregolarità nel pavimento che non avrebbe dovuto esserci. Ero uscita per mettermi al lavoro e quando ero tornata, avevo trovato il tavolo spostato e sistemato proprio sopra il punto sospetto, forse per evitare che qualcun altro ci camminasse sopra.
Coincidenze su coincidenze.
  • Charles, tu pensi che Michael abbia ancora le stesse intenzioni di quando è entrato?
  • Personalmente non m’interessa e faresti meglio a non interessartene nemmeno tu… oh, ma guardate chi si vede!
Ruotai gli occhi alla mia destra e all’improvviso capii perché il vecchio avesse cambiato così rapidamente espressione e discorso. Due occhi color del cielo si posarono su di me, e Michael mi sorrise. Non mi ero aspettata di vederlo comparire, non mi ero neanche accorta che si fosse avvicinato, ma nel momento in cui era comparso alle mie spalle avevo avvertito una specie di sfarfallio dalle parti del cuore.
  • Allora non sono l’unico incapace di vincere contro Gwyneth.  -  esclamò il ragazzo, avvicinandosi.
  • Guarda che la ragazza ha le pedine rosse, forse ti confondi.  -  lo informò Charles ancora convinto di avere la vittoria in pugno.
  • Perché non dai un’occhiata alla disposizione delle pedine. Mi dispiace Charles, ma non hai scampo. La prevalenza di neri è piuttosto evidente, ma le tue Dame sono solo due, mentre quelle di Gwen sono più numerose e hanno bloccato ogni tua via di fuga. Questa tattica di gioco è molto efficace quando si hanno poche pedine in campo.
Mentre Westmoreland fissava la scacchiera per dare riscontro alle parole del nuovo arrivato, Michael tornò a sorridermi amichevolmente. Uno sguardo del genere sarebbe riuscito a far perdere la concentrazione a chiunque. Per fortuna non avevo ancora dimenticato il modo freddo col quale mi aveva trattata il giorno prima. Quindi distolsi lo sguardo velocemente.

“Perché doveva essere così incredibilmente attraente e arguto e così maledettamente misterioso?”  
  • Non c’è niente da fare, Gwyneth è imbattibile  -  mormorò sconfitto Charles, giungendo alle stesse conclusioni del ragazzo.
  • Non sono imbattibile, sono solo brava.
  • Perché non provi una partita con me.  -  mi propose Michael con aria di sfida.
  • Sono stanca di giocare.  -  risposi freddamente.
  • Concedimi solo una partita.
Per evitare che si percepisse il mio improvviso malumore, mi alzai pronta ad andare via.
  • Te l’ho detto, sono stanca e comunque non mi va. Però magari puoi chiedere ai tuoi amici se hanno voglia di farti compagnia, scommetto che il Principe della Cupola e il Sergente Sodomia non vedono l’ora di sfidarti ad una bella partita a Dama.
Forse avrei dovuto tenere per me le mie esplosioni di acidità data la presenza di Charles, ma purtroppo la rabbia accecava la mia capacità di giudizio e più di ogni altra cosa, non riuscivo a sopportare quei continui cambiamenti di rotta.
  • Guarda che posso spiegarti tutto.
  • Lo immagino, daltronde le tue spiegazioni sono sempre così esaustive.  -  Senza aspettare che replicasse, mi voltai verso Charles:  -  Grazie per la partita, ci si vede in giro.  -  poi, mi allontanai a grandi passi senza voltarmi più indietro.
Ovviamente Michael mi seguì.
  • Potresti aspettarmi per favore e starmi a sentire?
  • No, non ci penso nemmeno.
  • Guarda che non ti seguirò per tutto il penitenziario scongiurandoti di perdonarmi.
  • Nessuno te l’ha chiesto.
In realtà non era davvero mia intenzione distanziarlo, non pensavo neanche di tenergli a lungo il broncio, volevo soltanto tenerlo sulle spine per vendicarmi. Solo quel tanto che bastava a farmi sentire meglio.
  • Senti mi dispiace, so perché sei arrabbiata. Hai ragione, ti ho mentito. Non volevo che tu venissi ammessa nella stanzetta delle guardie, per questo non ho parlato con Abruzzi. Stavo solo cercando di evitarti un mare di guai, credimi.
All’improvviso mi bloccai di colpo e mi voltai per guardarlo dritto in faccia. Michael, ancora intento a seguirmi, non se lo aspettò e quasi mi venne addosso.
  • Perché non provi ad essere sincero per una volta. E’ un’altra la ragione per cui tu e i tuoi amici non mi volevate tra i piedi.
Le sue sopracciglia si corrucciarono quasi toccandosi.  – Di che stai parlando?
  • Che te lo dico a fare? Tanto ricominceresti a mentirmi, preferisco risparmiarmela.  -  risposi scocciata ricominciando a camminare lungo il cortile.
  • Forse non mi crederai, ma io voglio essere sincero con te.
Non so se mi avesse colpito più il suo tono dolce e sincero o la sua perseveranza, ma a quel punto decisi di fermarmi e concedergli il beneficio del dubbio. Volevo soltanto la verità, nient’altro. Avevo scoperto da Charles che Michael fin dal suo primo giorno a Fox River aveva cominciato a tramare qualcosa e a parlare di volersene andare. Avevo visto con i miei occhi il rapporto tra Michael e John Abruzzi consolidarsi giorno per giorno. Avevo scoperto casualmente un’irregolarità nel pavimento della stanzetta delle guardie il giorno in cui ero stata ammessa come operaia, purtroppo però non avevo potuto constatare personalmente che sotto la spessa e sporca moquette ci fosse qualcosa di sospetto. A onor del vero, tutte quelle informazioni, aggiunte all’inesorabile esecuzione di Lincoln che si sarebbe tenuta di lì a 10 giorni, non facevano altro che avvalorare l’ipotesi che Michael fosse coinvolto in qualcosa di grosso, ma non avevo uno straccio di prova per dimostrarlo. L’unica cosa che restava da fare era affrontare il ragazzo di petto e convincerlo a vuotare il sacco. Ma come potevo essere sicura che alla fine non ricominciasse a mentirmi?
  • Vuoi essere sincero con me? Allora dimmi perché hai fatto di tutto per tenermi lontana dalla stanzetta delle guardie.
  • Volevo solo proteggerti.
Lo trafissi con un’occhiataccia.  -  Volevi proteggermi da cosa esattamente? Da quei due psicopatici che ti diverti a portarti dietro o dal vostro simpatico progetto di evasione?
   
 
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