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Autore: Old Fashioned    02/08/2016    11 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Capitolo 12

L’Intelligence si rifece viva due giorni dopo. Tornò il capitano, ma questa volta era accompagnato da un maggiore. I due ufficiali scesero in fretta dalla macchina, quasi senza aspettare che l’autista aprisse loro la portiera, quindi si diressero a rapide falcate verso la baracca che ospitava il comando.
“Dov’è il maggiore Stuart?” chiese il capitano, guardandosi intorno come se si aspettasse di sorprenderlo mentre tentava di sgattaiolare via.
“In volo, signore,” rispose diligentemente il piantone.
“Quando tornerà?”
“Difficile a dirsi, signore,” rispose il soldato a disagio, “dipende da tante cose.”
Come poteva dare un’informazione del genere? Intanto bisognava vedere se il maggiore sarebbe tornato, poteva anche restarci secco, inoltre dipendeva da cosa gli avrebbero fatto trovare i Fritz lassù. Mica poteva fornire un orario come se Stuart dovesse arrivare col treno.
“Vorrà dire che lo aspetteremo,” tagliò corto il maggiore, e senza attendere risposta si diresse con risolutezza verso l’ufficio di Stuart.
Il piantone azzardò poco dopo un’occhiata all’interno e si accorse che l’ufficiale si era seduto alla scrivania e stava disinvoltamente controllando il contenuto di tutti i cassetti. Valutò cosa fare. Era meglio inimicarsi quei due mastini dell’Intelligence facendoli uscire dall’ufficio, ammesso che gli dessero retta, o contrariare il maggiore Stuart lasciando che i tizi gli perquisissero la stanza?
Non avendo alcuna voglia di finire al fronte da qualche parte, scelse la seconda opzione e con gran impegno si mise a guardare fuori dalla finestra.
Continuò a fissare con fare angelico la campagna del Cambridgeshire anche quando finalmente tornò il maggiore, che quindi sorprese il suo pari grado dell’Intelligence mentre sfogliava con grande interesse il numero di Signal.
Fermo sulla soglia, freddamente Stuart disse: “Vedo che ha trovato il modo di non annoiarsi mentre mi aspettava.”
L'altro abbassò la rivista senza la minima traccia di imbarazzo, con l'aria di quello che stava leggendo il giornale nel salotto di casa sua. “Bentornato, maggiore Stuart!” lo salutò allegramente.
L'altro si limitò a rivolgergli un'occhiata gelida.
“Ci portiamo via il prigioniero,” annunciò il capitano con un tono che sembrava volerlo sfidare a opporsi.
Il maggiore non rispose.
“Lo portiamo via adesso,” insisté l'altro. “Abbiamo aspettato anche troppo.”
Stuart si mosse a disagio riflettendo disperatamente su come prendere tempo. In tutta la faccenda c'era qualcosa che non quadrava per niente.
L'Intelligence, tanto per cominciare. Da quando in qua i servizi segreti si scomodavano per un semplice tenente della Luftwaffe? Sarebbe stato comprensibile se avessero messo le mani su un pezzo grosso, un generale magari, ma a chi poteva interessare quell'aquilotto scontroso?
E poi la fretta. Quando mai qualcuno si era preoccupato di andare a recuperare un prigioniero di guerra con tanta sollecitudine?
Si chiese se per caso quel von Rohr fosse davvero una spia nazista, come aveva scherzosamente ipotizzato quando l'aveva portato al circolo ufficiali.
Gli parve strano, sanguigno e trasparente com'era gli sembrava l'antitesi del tipico agente segreto freddo e impenetrabile, ma va a sapere. Magari era anche un ottimo attore.
“Cosa ne volete fare?” chiese.
L'espressione del capitano era senza dubbio quella di chi stava per rispondere non sono affari suoi, ma il suo superiore lo precedette. Abbassò la rivista che stava ancora sfogliando e allegramente disse: “La gente è curiosa di vedere dal vero il famoso Cavaliere di Valsgärde.”
“Ma non è lui,” non poté fare a meno di rispondere Stuart, “non ha letto l'articolo su Signal?”
“Indubbiamente ben fatto,” commentò l'altro, “molto circostanziato. I nostri avrebbero parecchio da imparare in proposito.” Infilò la rivista nella propria cartella di cuoio. “Voilà! È sparita. Niente più scomodo capitano Müller a disturbarci,” concluse.
“Non capisco,” rispose Stuart senza preoccuparsi di nascondere la propria diffidenza.
“Solo un piccolo espediente di psicologia delle masse,” spiegò il maggiore dell'Intelligence. “Non c'è niente come un bel processo a un criminale di guerra per rinfocolare l'odio nei confronti del nemico.”
“Criminale di guerra?” fece eco Stuart perplesso.
“Quel tedesco stava diventando una specie di eroe romantico, mi capisce? Niente di buono, per una sana condotta bellica. La gente deve odiare il nemico, non ammirarlo e desiderare segretamente di assomigliargli. E allora noi cosa faremo? Diremo alla gente 'vedete cosa fa il vostro caro Cavaliere di Valsgärde? Altro che Barone Rosso, è solo un volgare criminale di guerra.' E dopo il nostro piccolo show i bravi inglesi odieranno più che mai i cattivi nazisti.”
Gli rivolse un sorriso compiaciuto. Dava quasi l'idea di aspettarsi i complimenti per il suo piano machiavellico.
“Quel pilota non è un criminale di guerra,” commentò lapidario il maggiore.
“Dettagli trascurabili,” rispose disinvoltamente l'altro. “Abbiamo preso il suo aereo, lo filmeremo mentre mitraglia dei civili, fa sempre impressione la strage di civili.”
“Dimentica due piccoli particolari,” rispose allora Stuart con ira repressa. “Primo, mentre voi organizzate la vostra bella farsa il vero Cavaliere di Valsgärde è ancora lassù. Secondo, il tenente von Rohr è innocente.”
“Proprio innocente non direi, visto che è un ufficiale nemico,” replicò l'altro senza perdere il buonumore. “Quanto al Cavaliere, quello è affar suo. Se è ancora lassù lo abbatta, così chiudiamo la faccenda.”
A quelle parole fece seguito un silenzio greve. Stuart andava con lo sguardo dall'uno all'altro dei suoi interlocutori, indeciso sul da farsi. Nonostante la sua proverbiale pacatezza, l'unica cosa che gli veniva in mente era sbatterli fuori dal suo ufficio, possibilmente a calci nel sedere, e con lo stesso sistema farli risalire sulla loro preziosa autovettura assicurandosi che tornassero da dove erano venuti.
“Capisco la sua perplessità, mio caro Stuart,” intervenne mellifluo il suo parigrado.
“Non sono il suo caro Stuart,” ringhiò il pilota.
“Certo, certo,” concesse bonariamente l'altro, con l'aria di un genitore saggio che sopporta le intemperanze del figlio adolescente, “ma tenga conto che ci sono tanti modi di fare la guerra. Lei vola col suo aereo e spara addosso ai tedeschi e anch'io, con altri mezzi, faccio il mio dovere.”
“Ingannando la gente?”
“Ispirandola, direi. Si è mai chiesto cosa succederebbe se l'opinione pubblica cominciasse a pensare che i nazisti in fondo non sono così male?”
“Non credo che per far capire alla gente che non deve rubare si debba prendere il primo che passa per la strada e impiccarlo in piazza dopo averlo accusato di furto.”
“Beata innocenza! Crede che non sia mai successo, maggiore?”
Stuart avrebbe voluto rispondergli per le rime, ma in quel momento cominciò a suonare l'allarme antiaereo.
I due ufficiali dell'Intelligence si guardarono a disagio.
“I ragazzi di Goering vengono a farci una visita,” spiegò Stuart con malcelata soddisfazione, “quindi se lor signori vogliono alzarsi e seguirmi nel rifugio...”
“Dobbiamo portare via il tedesco,” lo interruppe il capitano riprendendo improvvisamente tutta la sua bellicosità.
“Non se ne parla nemmeno. Tra un po' cominceranno a cadere le bombe.”
Come a sottolineare il concetto, un'esplosione fece tremare i vetri.
“Muoviamoci!” ordinò Stuart conciso. Ormai era di nuovo nel suo elemento. Sotto un bombardamento nemico i piloti come lui sapevano esattamente cosa fare, mentre i semidei dell'Intelligence, che in condizioni normali davano ordini persino al Re, scadevano inesorabilmente al rango di contabili imbranati.

I tre uscirono precipitosamente. L'allarme continuava a suonare e qua e là si udivano altre esplosioni.
“Muoviamoci!” ripeté il maggiore. “Tra un attimo li avremo addosso!”
In quel momento si scatenò l'inferno: la macchina dei due ufficiali, che era rimasta ferma in mezzo al piazzale, scomparve in una fontana di terra e fuoco, seguita subito dopo da un camion. Gli aerei in linea di volo decollavano per non offrire un facile bersaglio agli Stuka, ma quelli che rimanevano al suolo venivano distrutti uno dopo l'altro. Tutto il personale usciva dagli hangar e dalle baracche per correre verso i rifugi e già i primi feriti venivano trascinati dai compagni.
Nel cielo fattosi caliginoso per gli incendi guizzavano le ombre nere degli aerei tedeschi, il frastuono era talmente forte che gli uomini non riuscivano a parlarsi nemmeno urlando.
Infine discesero, un po' correndo e un po' incespicando, le scale che conducevano sottoterra.
Paragonato all'apocalisse esterna, il silenzio che regnava nel rifugio pareva irreale. “Tutto bene?” chiese Stuart riprendendo l'abituale compostezza. Con un guizzo di apprensione si ritrovò a pensare a von Rohr. Probabilmente a nessuno era venuto in mente di andarlo a prendere per farlo scendere nel rifugio, col risultato che il prigioniero rischiava di essere ucciso dai suoi stessi connazionali.
La chiesa è lontana dal campo, si disse, ma la cosa non gli parve per nulla rassicurante.

   
 
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