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Autore: The Custodian ofthe Doors    02/08/2016    1 recensioni
Come si definisce l'importanza di un eroe? Le sue sole imprese possono dirci quanto esso sia stato grande?
Dalle azioni di un uomo si delinea il suo successo ed il ricordo che il mondo terrà di lui, le folli gesta di chi è stato designato come eroe ed è destinato all'immortalità.
Loro non sono altro che mezzi eroi invece, nessuno li ricorderà mai, non saranno i protagonisti di leggende fantastiche e racconti mozzafiato, nessuna canzone verrà composta e cantata alla vivace fiamma di un falò nelle notti stellate, nessun bambino desidererà mai esser come loro, ripercorrere i passi di chi ha lottato, ha sofferto ed è morto come semplice soldato senza poi ricevere la corona d'alloro.
Perché loro erano lì, ma questo non conta.
Loro erano solo Mezzi Eroi e sempre tali sarebbero rimasti.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Half Heroes


14. Michael Yew- Obblighi sociali.


Aveva paura, ne aveva più di quanto non amasse ammettere e in quel momento avrebbe tanto voluto aver al suo fianco uno dei figli di Ares. Ma no: lui era il capo della Sette e aveva l'obbligo morale -sociale- di litigare con Clarisse, che fosse la vigilia di una guerra predetta decenni prima o meno.
Cos'era poi? Perché avevano litigato?
Oh, si, ma certo, quel dannato carro volante o quel che cazzo era, avevano litigato per quello, si.
Si passò una mano tra i capelli scuri con fare nervoso, erano appena arrivati sotto l'Empire e stavano aspettando gli ordini di Annabeth, che per carità divina, Michael non aveva la minima intenzione di litigare anche con la progenie di Atena, ma in quel momento avrebbe tanto voluto che fosse Chirone a dirigere gli spostamenti e i posti di blocco, così, solo per aver dalla loro un migliaio circa di anni d'esperienza.
Che poi Annabeth era una bambina, poteva anche aver sorretto il cielo, ma restava una bambina a cui era stato dato il potere di disporre delle vite altrui a sua discrezione.
Ma stette zitto.
Di sicuro, pensò, se ci fosse stata Clarisse adesso le avrebbe urlato contro che un appostamento del genere non era di nessun utilità e che era meglio prenderli alle spalle, sorprenderli, ma qualcuno vedeva forse la figlia di Ares? No? E qualcuno sapeva il perché?
L'impulso di alzare la mano al suo stesso commento sarcastico gli formicolò lungo il braccio, mentre spingeva lo sguardo verso sud, nel vano tentativo di veder a cosa andassero incontro e soprattutto di non vedere i volti tesi e terrorizzati dei suoi compagni.
Sentiva ogni fibra del suo corpo fremere, l'iperattività che tirava ogni nervo, come un cocchiere che sprona il cavallo all'azione, come aveva fatto lui giorni addietro con i pegaso e la fottuta biga volante.
Che gli Dei maledicano quella biga e il giorno in cui l'abbiamo trovata.
Non sa che ordine sia stato dato, sa solo che tutti i suoi fratelli si sono mossi e che si stanno dirigendo verso un punto preciso e Michael ci potrebbe scommettere tutto, tutto ciò che aveva, che quello sarebbe stato il primo luogo dove avrebbe visto il sangue delle progenie di Apollo colorare le strade.
Ed un figlio di Apollo, del dio degli Oracoli, potrebbe mai sbagliare il suo pronostico?
No, certo che no.
Il profilo del ponte gli si era presentato come una massa bluastra tendente al grigio, la pesantezza di una notte costretta in un sonno forzato gravava sulla sua pelle e Michael ebbe lo strano impulso di scappare via di li, di tornare al campo e chiedere scusa a Clarisse, sarebbe bastato quello per far si che i figli della Guerra calassero sulla città in una fanfara di urla e canti di battaglia, battuti al ritmo di scudi e spade che cozzavano assieme e lame che si scontravano. Il fiume passava lento ed inquieto distante da loro, poteva sentirne il gorgoglio ed era quasi sicuro che Jackson si fosse buttato il quel putridume di sporcizia e inquinamento che era diventato il corso. Lui doveva solo aspettare e disporre i suoi fratelli sul ponte, nel modo migliore per difendere una delle tante, troppe, entrate al quartiere.
Come avrebbero fatto? Ma soprattutto, ce l'avrebbero fatta? Qualcuno di loro sarebbe tornato vivo?
Se prima aveva evitato lo sguardo dei suoi fratelli ora lo cercava, anelando di veder i loro bei volti famigliari come un disperso in mare anela l'aria.
Visi chiari e scuri, tirati di paura, decisi, ansiosi, arrendevoli, combattivi e...giovani, troppo giovani per rischiare di morire per esser immortali. Rischiare poi? No, doveva essere realistico, accettare la cosa, stavano andando a morire tutti, dal primo all'ultimo. Perché sette figli di Apollo non possono fermare un invasione.
L'ironia di quella composizione lo sorprese: il sette era il numero di suo padre, della sua cabina, era il giorno del suo compleanno e i giorni che aveva passato al campo da non riconosciuto prima che una freccia ed un sole gli brillassero in capo.
Guardò i suoi fratelli e pregò che tutti e sei tornassero al campo base, che restassero in vita. Li guardò e pregò di ricordare i loro volti, i loro nomi e le loro storie, le loro voci e le loro risate, le battute, le litigate e i momenti più belli, anche una volta arrivato nell'Ade.
Perché i nemici erano arrivati e solo loro non potevano farcela, non potevano vincere ed era colpa sua se le persone a cui teneva più della sua vita sarebbero morte, aveva tradito la sua famiglia.
Il tremore dell'asfalto sotto i suoi piedi era assordante, gli faceva ballare i timpani e gli prometteva solo il peggio, il sudore che scivolava dalla sua fronte e sulle sue mani lo soffocava come litri e litri d'acqua. Era spacciato, lo erano tutti. Voleva solo scappare e mettersi a piangere in un angolo scuro, lontano da tutti, disperandosi come ogni ragazzino quindici anni avrebbe fatto davanti ad una guerra, ma neanche per quello aveva la forza, lo sgomento gli gonfiava la lingua in bocca e gli toglieva il respiro, mentre tutto si faceva velato e le grida dei suoi fratelli gli distruggevano il cuore, taglietto dopo taglietto, con meticolosa e dolorosa solennità.
Perché? Perché dovevano morire? Perché non era un ragazzo come tutti gli altri?
Lui voleva solo vivere in pace, voleva solo andare a scuola e prendere brutti voti, tornare al campo e litigare con i figli di Ares, con quelli di Ermes; voleva discutere d'arte con i figli di Atena e cantare la sera davanti ad un falò che si colorava delle mille luci degli animi dei suoi amici.
Amici che non avrebbe più rivisto.
La voce di Percy Jackson gli arrivò stranamente chiara: chiamava la ritirata, avrebbe fatto crollare il ponte. E con la stessa chiarezza con cui la voce lo aveva raggiunto, la consapevolezza che se fossero tutti scappati nessuno avrebbe loro coperto la fuga si fece largo a gomitate nella sua testa.
Guardò ancora i suoi fratelli, gettò un occhiata alle sue spalle dove le urla degli altri lo incitavano a correre, dove più lontano i suoni della battaglia lo avvertivano che l'attacco era su più fronti e presto ci sarebbe stato bisogno di medici. Guardò il cielo scuro e pianse, perché non avrebbe potuto guardare il rovente sole e chiedere scusa a suo padre per la sua stupidità, non lo avrebbe più rivisto, non avrebbe più rivisto sua madre che lo aspettava con ansia a casa. Non avrebbe preso il diploma, non si sarebbe laureato e ubriacato, non avrebbe mai guidato e mai detto “ti amo”, non avrebbe amato, non avrebbe più vissuto.
Pianse come mai aveva fatto nella sua vita, ma si congratulò con se stesso quando la voce gli uscì ferma, urlando a tutti di scappare, mentre lui seguiva il consiglio dei fratelli e correva, correva verso la morte. Un aura d'oro lo avvolse e gli parve quasi che suo padre lo stesse baciando sulle guance, come faceva la mamma quando la rendeva fiera, le frecce comparvero magicamente nelle sue mani e capì che Apollo lo stava aiutando a morire con onore.
Michael era il capo della settima cabina, quello che aveva litigato con i figli di Ares per una stupida biga volante, una biga che probabilmente avrebbe portato tutti alla morte. Correva come mai aveva fatto, con suo padre che lo spingeva e lo proteggeva dagli attacchi, con le grida dei suoi fratelli che lo rincorrevano cercando di fermarlo, pregandolo straziati nel capire il suo gesto, senza sapere che sentirli vivi lo spronava solo a perseguire il suo obbiettivo.
Il rombo di un esplosione ed il suolo si piegò, senza riuscire a fargli perdere la presa sull'asfalto, continuando a frenare i suoi nemici, stupiti da quel gesto, da quell'attacco suicida.
Michael era il leader della sua cabina, lo era diventato dopo suo fratello Lee, morto anche lui troppo giovane in una battaglia che si era svolta in un luogo che avrebbe dovuto proteggerli, sperava che dopo di lui sarebbe salito al comando Will, perché era il più buono tra di loro e non avrebbe mai litigato con Clarisse, non avrebbe commesso il suo stesso errore.
Michael Yew era il primo figlio di Apollo e mentre precipitava nel fiume assieme a tonnellate di cemento e mostri si disse con tono beffardo e terrorizzato, chiudendo gli occhi sgranati e velati dalla fine, che come tale, come capo, aveva l'obbligo morale – e sociale- di morire, con la sua paura e la sua stupidità, per i suoi fratelli e per tutti i suoi amici. Per la giusta causa.


   
 
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