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Autore: ilcielopiangequalchevolta    02/08/2016    1 recensioni
A volte, per ricominciare da capo e ammettere i propri sbagli, è necessario scappare per poi tornare indietro.
Sabrina Vacciello è una ragazza timida, abituata a contare esclusivamente sulle proprie forze e con un grande segreto sulle spalle. Ha una sublime conoscenza delle lingue e tanta voglia di viaggiare; comunque partire e abbandonare tutto è difficile, così si ritrova bloccata in Italia fino ai vent'anni. Un giorno una domanda la sprona ad allontanarsi dal suo paese per riscoprire sé stessa.
Proprio Sabrina si scontra con James Harrison, un ricco imprenditore dall'animo saccente. Quando l'amore si interpone prepotentemente sulla sua strada, egli deve solo farsi trasportare dalla magia di questo sentimento.
James vuole avvicinarsi a Sabrina, l’unica donna che riesce a fargli battere il cuore, però lei non è ancora pronta a lasciarsi il passato alle spalle e a gettarsi in quel turbine di emozioni quale è l’amore. O forse si?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO 12                                     TRUTH OR DARE?

SABRINA’S POV
-Non l’avrei mai detto!- affermai stupita, contemplando la meraviglia creata da James, che equivaleva a due piatti di pasta fumanti e invitanti poggiati sul tavolo della cucina.
-Guarda che mi offendo! Non sembro uno chef?- mi schernì lui, indicandosi. Risi talmente tanto che tutti i muscoli facciali e dello stomaco mi chiesero pietà. Il ragazzo difronte a me indossava un grembiulino da cuoca, perché solo di quello disponevamo io e Lexy. Il risultato era un pezzo di stoffa striminzito, che gli arrivava a metà coscia, con disegnate sopra delle ciliegine di tutte le dimensioni.
-Sinceramente tra le tue doti non avrei mai immaginato che sai anche cucinare... era da tempo immemore che non gustavo qualcosa di commestibile, a parte cibo spazzatura! Io ed Alexis non siamo molto portate per la cucina, andiamo avanti con surgelati!- confessai allegra, prendendo la seconda forchettata dei suoi spaghetti e portandomela alla bocca.
-Beh, sono un uomo che vive solo soletto. A casa ho la mia cuoca personale, ma non è presente tutto il giorno, così mi sono dovuto rimboccare le maniche.- enunciò pavoneggiandosi. Alzai un sopracciglio e gli lanciai uno strofinaccio preso dal bancone poco distante da me. Lui riuscì a prenderlo al volo senza scomporsi minimamente. -Adesso sai una cosa in più su di me! Dimmi qualcosa su di te che non so già!-.
-Ehm...lasciami pensare…il perché mi sono trasferita qui te l’ho già detto, ti ho anche parlato della mia famiglia….non so James, fammi una domanda e ti rispondo!- conclusi risoluta e sbrigativa, scrollando le spalle e continuando a gustare quella cena dell’ultimo minuto.
-Con quanto ti sei diplomata, dolcezza?-  mi domandò con un sorrisetto irritante aspettandosi, probabilmente, una misera sufficienza.
-Con 100 e Lode, tesoro.-  ammisi compiaciuta e la sua reazione incrementò il mio orgoglio: spalancò gli occhi e boccheggiò per alcuni secondi.
-Cosa?-  esclamò stupito. Sogghignai a tal punto che i crampi provati poco prima per le innumerevoli risa tornarono. -Sul serio? Perché non hai preso la laurea?-
-James, mangiamo che altrimenti si fredda!- dissi. Non ero ancora pronta per rivelargli dettagli tanto intimi della mia vita e, se proprio avesse voluto ricevere una risposta, mi avrebbe aspettata.

James mi fissò per alcuni secondi, tuttavia, scuotendo il capo, si sedette difronte a me ed iniziò a mangiare. Capii di averlo offeso dal modo in cui la sua mascella si irrigidì, dal suo sguardo fisso sul tavolo e dalla sua bocca che non snocciolava fiumi di parole come era solita fare.  Provai a stemperare la tensione creatasi tra noi, però ricevetti poca partecipazione da parte sua. Dopo una lenta e noiosa cena decidemmo di stenderci un po’ sul divano e guardare qualcosa in TV. L’ansia di poco prima scomparve e ritornammo a giocherellare come due idioti. L’aria, meno contrita e intrinseca di imbarazzo,  divenne decisamente più amichevole.
 -Dolcezza, che ne dici di fare un gioco?- propose, abbandonando una ciocca dei miei capelli, con la quale aveva iniziato a gingillarsi non appena ci eravamo seduti sul sofà, e si mosse leggermente per potermi guardare in viso.
-Che gioco?- chiesi dubbiosa a causa delle sue labbra dolcemente incurvate in un ghigno provocatorio. Ero preoccupata, comunque non volevo far scomparire il suo sorriso degno di un bambino.
-Un gioco per conoscerci meglio! Obbligo o verità…lo conosci, no? –.
-Suppongo che non ci saranno limiti, vero?- domandai titubante non potendo tirarmi indietro.
-Ovviamente no!- strepitò euforico, battendo le mani e allontanandosi da me per stendersi con il busto sul divano. –Bisogna essere sinceri in tutto e per tutto! Inizio  io: verità.-  decise.
-Ehm… sei laureato?- lo interrogai e ricevetti un’occhiata divertita. Gli regalai una linguaccia e lo esortai a rispondere, giustificandomi del mio essere sotto pressione ed avere la mente completamente vuota.
-Si, ho una laurea in economia aziendale.-  dichiarò semplicemente, ma non mi sfuggì il lampo di fierezza che gli illuminò le pupille. – Obbligo o verità?- mi pungolò successivamente.
-Verità…- sussurrai, non potendo evitare al mio  corpo di anchilosarsi e al mio cuore di aumentare frenetico i suoi battiti.
-Qual è il tuo colore naturale di capelli?- mi incitò oscillando la nuca, incuriosito per quel piccolo particolare.
-Sono mora.- ammisi sollazzata, fissando le punte rosa della mia criniera lievemente danneggiata dalla mia voglia frequente di cambiarle gradazione –Obbligo o verità?-
-Obbligo.- parlò candidamente, osservando la mia chioma e carezzandola con la punta delle dita. Voltai la testa di lato e sfiorai con le labbra la pelle del suo polso.
-Devo metterti il rossetto e scattarti una foto.- soffiai sensuale direttamente sulla sua mano, compiaciuta della mia idea. Ritirò l’arto e ne avvertii la mancanza. Lui mi guardò credendo scherzassi, però fissando  il mio volto serio iniziò a inquietarsi, pregandomi di cambiargli imposizione. Lo bloccai ricordandogli che era stato proprio lui a proporre quel passatempo.
-Okay, ma non fare vedere la foto a nessuno!- mi supplicò sconfitto, piagnucolando qualcosa di incomprensibile.

 Ci dirigemmo in camera mia e presi, dal mio borsellino per il trucco, la tinta rosso fuoco. Feci sedere James sulla sedia della scrivania con le spalle rivolte allo specchio e iniziai a dipingergli la bocca. L’impresa non fu affatto facile, dato che lui continuava a lamentarsi, parlare e distrarmi. Appena finito, tuttavia, misi la foto come sfondo di blocco del mio telefono. Si voltò e ammirò il riflesso della sua immagine. La sua espressione fu un miscuglio di stupore, incredulità, orrore, paura e, in seguito,  spensieratezza.  Scoppiammo entrambi a ridere.

-Obbligo o verità?- mi domandò una volta tornati in sala con ancora i sorrisi stampati in faccia.
-Obbligo…- risposi impaurita, già sapendo che si sarebbe vendicato.
- Allora dolcezza, ce l’hai del ghiaccio?-
-Ehm… si, nel congelatore… perché James?- tartagliai, indicando con lo sguardo la cucina e scrutando, con la coda dell’occhio, la sua reazione per captare ogni piccolo passo falso.
-Beh…- sospirò teatralmente strusciando le mani sopra le mie guance-…dovrai metterti il ghiaccio tra le tette! – terminò alzandomi di peso e spintonandomi verso il frigorifero. 
-Cosa? James, sei impazzito? Dai, fa freddo!- starnazzai indignata e, scattando come una molla, mi scostai da lui.  Lo osservai con fare omicida, eppure  lui ricambiò con una smorfia sul volto nel tentativo di trattenere una risata prorompente.
-Tranquilla dolcezza, se hai freddo posso riscaldarti io!- affermò arrogante e malizioso avvicinandosi al mio lobo. Lo fermai e lo distanziai da me.
-James, non hai ancora capito che le tue solite battutine non attaccano con me?!-
-Okay…allora fai la tua penitenza.- mi incoraggiò, afflosciandosi leggermente su sé stesso colpito dal mio tono tagliente.
-Oh no, dai James! Faccio qualcos’altro.- lo scongiurai, inutilmente.

 Presi i cubetti di acqua gelata dal freezer. Mentre lui cercava di far uscire questi ultimi dagli stampini, io tolsi la maglietta lasciando scorgere il mio seno compresso nel reggiseno di pizzo nero trasparente. Quando James si girò, boccheggiò per alcuni secondi evitando di trattenere lo sguardo sul mio petto. Sapevo che non lo faceva apposta, ma la curiosità era più forte di lui. Era un continuo abbassare ed alzare gli occhi dal mio volto al mio torace. Mi passò il ghiaccio e, facendomi forza, presi un bel respiro mettendomelo nella stoffa della lingerie. Sentii immediatamente il freddo provocatomi da quell’azione e me ne pentii all’istante. James, dal canto suo, ghignava compiaciuto. Feci per togliermi i cubetti ormai sciolti e colati fino al mio piercing all’ombelico, quando lui mi fermò. Allarmata gli chiesi: - Non vorrai farmi una foto, vero?-
-Oh, non preoccuparti, dolcezza. Nessuna foto, morire consumato dalla gelosia sapendo che qualcun altro possa godere di questa magnifica vista. Volevo solo dirti di andare ad asciugarti in bagno. Non vorrei mai che ti ammalassi per colpa mia.- confessò con la sua solita indifferenza, per nulla turbato dalla sua stessa ammissione che in me, invece, scatenò una bufera di emozioni contrastanti: incredulità per la sua mancanza di filtri, speranza e gioia poiché la sua frase assomigliava ad un complimento.
-Cosa?... Sei geloso?- esclamai sulla sottile linea tra la domanda e l’affermazione, al tal punto che il mio tono fu incerto e non ben definito. Tentai di tenere sotto controllo il sorriso che lottava contro le mie labbra per posarsi su di esse, però non riuscii a impedire ad una leggera curva felice di incresparle.
-Certamente! Dolcezza, quando danzi in quei vestitini minuscoli al locale,  ucciderei tutti gli uomini che osano solo posare i loro occhi su di te o, peggio, che fanno  anche apprezzamenti e, credimi, sono tanti.- concluse con un’alzata di spalle e, immediatamente, le mie gote si imporporarono di un lieve bordeaux che cercai di non far notare andando a cambiarmi. Dopo essermi asciugata per bene, indossai la maglia del mio pigiama in pile con un grosso gattino sul davanti.

-Obbligo.- disse lui sicuro, appena varcai la soglia del salotto, non lasciandomi neanche il tempo di porgli il quesito di rito.
- Resta solo in mutande, vai fuori dalla finestra, chiama la prima donna che passa e fai apprezzamenti su te stesso.- asserii, convinta che avrebbe almeno protestato. Al contrario, mi sorprese e, con una disinvoltura pazzesca, si alzò e si privò dei suoi indumenti, restando solo con dei boxer alquanto particolari: erano tutti grigi, con degli elefantini sparsi di qua e di là e, al centro, era disegnata la testa di un elefantino dei cartoni animati con un proboscide molto lungo. Si diresse da solo nella terrazza della cucina e lo sentii parlottare con qualcuno. Per fortuna la stanza affacciava su una stradina buia e poco trafficata. Lo seguii fuori anch’io, godendomi la scena.
-Ti piace?- urlò alla sconosciuta indicandosi il corpo. La ragazza indossava un vestitino corto, aveva capelli rossi e ribelli, faccia ricoperta da quintali di trucco e tacchi vertiginosi. Mi fece ribrezzo vedere come era conciata, però mi chiesi se io fossi tanto diversa da lei. Vestiti, tacchi e trucco come quelli li portavo anch’io. Indubbiamente alla donna James piaceva, d’altronde aveva un fisico scolpito: i suoi addominali a tartaruga erano accentuati dalla “V” tipica del basso ventre, per non parlare del suo sedere stretto in quel povero intimo. Sarei voluta essere un paio di mutande in quel momento, possibilmente le sue! Ma quali pensieri sconci facevo? La tipa ci provò spudoratamente con lui, facendo aumentare la mia ira. Mi maledissi per avergli fatto fare tutto ciò! L’uomo affianco a me rifiuto l’offerta della sgualdrina, affermando che “mirava ad altro” ed ammiccando verso di me.
***
-Verità!-  esalai, infine, dopo averci pensato alcuni secondi. Incrociai le gambe sul divano e mi sistemai comoda e pronta per la sua prossima curiosità che, a giudicare dalla sua espressione, non mi avrebbe fatto particolarmente piacere.
-Perché non hai continuato l’Università?- mi interrogò furbastro, sapendo che non avrei potuto mentirgli.  Sollevai il viso ferita e nel suo lessi soltanto tanto, tantissimo, interesse. Sospirai improvvisamente esausta, però lui non poteva sapere che intavolare certi argomenti mi faceva star male. Incoraggiata dal suo sguardo fiducioso, dalla sua gentilezza nei miei confronti e dalla sua presenza, decisi di raccontargli tutta la mia storia, anche a rischio di essere derisa o, addirittura, essere compatita.

Dimenticai per un attimo il luogo in cui mi trovavo, lo stabile in cui vivevo e il paese in cui mi ero trasferita. Ripensai alle espressioni dei miei genitori e della mia sorellina, si susseguirono quelle smaglianti dei miei amici, i traguardi raggiunti nel contesto scolastico e non solo. Le risate, i pianti, le mille sensazioni testate in Italia, a casa mia. Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva tornando al presente e tentai di tossire per dissimulare la mia soggezione. James si avvicinò per aiutarmi, tuttavia, ancora scossa, mi diressi in cucina per allontanarmi da lui e dai ricordi vividi che la sua domanda aveva portato con sé. Mi osservai intorno e compresi che, nonostante stessi cercando con tutte le mie forze di costruirmi una nuova vita, non ci stavo riuscendo e fui pervasa dalla disperazione. Mi versai dell’acqua fresca e feci giusto in tempo a portarmela alla bocca e berla, che James proruppe nell’ambiente in cui mi trovavo. 
-Sabrina, non ti senti bene? Ti serve aiuto? Perché sei fuggita?- balbettò a raffica, strappandomi il bicchiere di plastica con il liquido trasparente dalle mani e buttandolo alla rinfusa dietro le sue spalle. L’oggetto in questione rimbalzò sul tavolo di legno per poi arrestare i suoi movimenti sul suolo, producendo un rumore ovattato alle mie orecchie. –Perché non hai continuato l’Università?- mi chiese ancora, serio in viso e incastonando le sue pietre celesti nelle mie nocciola.
-Perché non avevo i soldi per pagarmi il college!- gridai con tutto il fiato che possedevo in corpo, fino a sentire i miei polmoni e la mia gola bruciare. -Io sono praticamente scappata: ho acciuffato solo passaporto e alcuni soldi e sono andata all’aeroporto. Sono salita sul primo volo in partenza per l’estero e, quando sono atterrata qui, ho preso un taxi. L’autista mi ha portato in un albergo fuori città così, per pagare la corsa, ho terminato i miei soldi. Ho pianto per più di mezz’ora, perché non avevo il denaro per pagarmi una stanza d’albergo e non avevo il telefono. Poi ho incontrato Alexis che cercava una coinquilina. Ho conosciuto Ryan che aveva bisogno di una cameriera e  ho iniziato la mia nuova vita.-  proferii. Scossi la testa per scacciare quanto possibile l’aura di tristezza che mia aveva assalita e lottando con le maledette lacrime che volevano a tutti i costi scendere e rigare le mie guance. Passai la punta della lingua sul contorno del mio labbro superiore e alzai le palpebre fissando un punto del muro davanti a me.  –Non so neanche io perché sono scappata… In pratica l’Italia mi stava stretta. Ero stanca della mia vita monotona: mi svegliavo, studiavo, pranzavo, studiavo e andavo a dormire…Il giorno successivo ricominciava tutto daccapo. Certo, uscivo anche per fare la spesa, andare a trovare i miei famigliari oppure alcuni amici. Però non ero felice, non mi sentivo a casa. Non era colpa delle mie amiche o dei miei genitori, ma mia. Creavo solo problemi, così me ne sono andata lasciandogli un biglietto con su scritto che volevo staccare un po’ la spina e di non preoccuparsi perché sarei stata bene. Pensavo di essere ormai cresciuta e matura, ma mi sbagliavo. La verità è che mi mancano, James.- ammisi e avvertii un luccicone solitario inumidirmi uno zigomo. Lo soppressi con un movimento veloce della mano e continuai singhiozzando ad ogni parola. – Mi manca mia sorella. Anche se litigavamo il più delle volte, le volevo bene, anzi le voglio bene ancora. Eravamo molto unite, invece ora credo sia troppo tardi. Mi manca mia madre anche se non avevamo un buon rapporto madre-figlia. Non posso biasimarla, però: non credo di essere stata una figlia modello.  Mi manca mio padre…In questi tre mesi ho capito che si preoccupava per me, che voleva a tutti i costi che intraprendessi la sua carriera da avvocato per trovarmi la strada spianata a lavoro. Con la crisi che c’è oggi non voleva farmi struggere inutilmente sognando un lavoro che forse non sarei mai riuscita neanche ad avere. Lo faceva solo per me, pensavo che mi remasse contro perché invidioso della mia bravura... invece lo faceva solo per me.  Ed io l’ho capito troppo tardi. I miei non hanno mai approvato la mia scelta di andarmene dall’Italia. La cosa che più mi dispiace è che me ne sono andata senza salutare la mia famiglia, loro non hanno più mie notizie da allora. Mi mancano anche i miei amici. Li ho sempre considerati troppo noiosi, a volte anche antipatici ma, ancora una volta, la colpa è solo mia.  Adesso penseranno che io sia solo una  stronza che, dopo anni di conoscenza, se ne sia andata senza nemmeno salutarli. Ho fatto tanti sacrifici per studiare e laurearmi, invece quando mancavano soltanto due esami, ho mollato. Sono una misera persona codarda e cinica.- terminai piangendo, ormai, dirottamente, vergognandomi di me stessa e sicura che, dopo la mia rivelazione, James mi avrebbe abbandonata  sola con il mio dolore. D’un tratto però, avvertii la mia fronte gravare su una superfice dura, bensì comoda e due braccia forti circondarmi il busto.
- Sabrina, non è mai troppo tardi per qualsiasi cosa. Sono sicuro che la tua famiglia e i tuoi amici ti perdoneranno e, se mai un giorno vorrai incontrarli di nuovo, puoi contare sul mio aiuto. “Casa” è dove sei tu, dove tu vuoi che sia. Tu puoi decidere dov’è la tua casa. Non sei una persona egoista e codarda. Sei fantastica, dolce, gentile, intelligente, matura, stupenda, unica, sensuale, affascinante, tremendamente sexy…- bisbigliò, affondando il viso tra i miei capelli e posando un lieve bacio sulla mia nuca.
- James, nessuno si è mai interessato così tanto a me come te. –  farfugliai commossa, alzando il naso dal suo petto e raggiungendo la sua altezza.
-Piccola, puoi contare su di me per qualsiasi cosa. Potrei pagarteli io li studi al college.- propose pacatamente, contento della sua brillante idea.
-No, non potrei accettare.-
-Allora diventa la mia segretaria, così potrai guadagnare i soldi.- fece scontrare le sue morbide labbra con la mia gote e la sua lieve barba solleticò la mia faccia. Dovetti fare appello a tutte le mie forze per declinare quell’offerta dato che non faceva proprio una piega, tuttavia non potevo approfittare di lui in quel modo.
-No James, con il lavoro metto qualche soldo da parte. Tra un po’ riuscirò a concludere gli studi.-  dichiarai, risultando poco convincente perfino a me stessa. Non avevo nessun risparmio da parte, il denaro che mi era avanzato dal lavoro l’avevo usato per comprarmi un nuovo telefono. Il ragazzo di fronte a me mi strinse di nuovo. Io mi abbandonai a lui e lasciai che le stille trattenute in quei tre mesi finalmente fluissero dalle mie ciglia. Mi accostai convulsamente a lui facendo in modo che il suo odore mi penetrasse le narici.
 
Restammo in quella posizione per secondi, minuti o forse ore, tanto che persi la condizione del tempo, almeno fino a quando venimmo distratti dalla serratura della porta. Quest’ultima si aprì rivelando le figure di Alexis e Kevin, che ci costrinsero a separarci. Lexy, vendendomi con gli occhi arrossati e le guance ancora bagnate, si scaraventò su James:
-Tu, brutto idiota, l’hai fatta piangere un'altra volta? Adesso ti taglio veramente le palle!- urlò con il fumo che le usciva dalle orecchie.
-Dolcezza, dammi una mano che la tua amica mi sembra molto inviperita.- replicò lui.
-Dolcezza?! Ma come ti permetti, Dongiovanni!- rincarò la dose Lexy,  avvicinandosi pericolosamente a James.
-Piccola, lascialo spiegare!- si intromise Kevin, rivolto ad Alexis per sostenere suo fratello.
-Lexy, tesoro, hai frainteso. Io e James abbiamo chiarito, decidendo di essere amici e di mettere una pietra sopra a quello che è successo.- dissi, parandomi tra lei e l’imprenditore.
-Cosa?!- esclamarono all’unisono i due fidanzati.
-Eh già, la tua meravigliosa amica mi ha perdonato, così abbiamo deciso di iniziare daccapo.- ammise James.
-Veramente? Oh, sono così felice per voi!- proruppe lei con degli urletti di gioia, sbattendo le mani davanti al viso.
-Ma non mi odiavi fino a due secondi fa?-  le chiese il ragazzo vicino a me esterrefatto dal suo improvviso cambiamento d’umore.
-Oh, no caro, quello era prima. Adesso sono contenta per voi. Ah, e non taglio il tuo amichetto lì sotto perché ti servirà molto con lei.- continuò Alexis, puntandomi a dito e facendomi avvampare.
 Passammo la successiva mezz’ora con i fratelli Harrison, che, una volta andati via, mi lasciarono nelle grinfie di Miss Richmond. Capii da sola che avrei dovuto raccontarle tutta la storia, così chiamammo Amber invitandola per un pigiama party organizzato all’ultimo minuto:  sicuramente anche lei avrebbe voluto sapere ogni cosa per filo e per segno, tanto valeva spiegare tutto una sola volta. .

NOTE DELL’AUTRICE:
Ho l’impressione che i miei messaggi inizino sempre allo stesso modo e anche oggi si ripete la stessa storia: mi scuso immensamente per il ritardo! Ormai è noto a tutto il mondo che sono estremamente ripetitiva, ma non credo di essere mai stata tanto dispiaciuta come questa volta. Nel capitolo precedente credevo di aver superato ogni limite, facendo passare un mese dall’ultimo aggiornamento. Invece, questa volta, mi sono addirittura superata, facendo passare più di un mese. I giorni esatti non li so perché ho smesso di contarli quando mi sono accorta di star tirando troppo la corda. Comunque, per i lettori che ancora non si sono stancati di aspettarmi a lungo e per i nuovi, spero davvero che il capitolo vi piaccia. Forse, data l’immensa attesa, vi aspettavate un colpo di scena o uno sviluppo più consistente, ma non è così. Questo è un capitolo… giocoso e, al contempo, delicato. Ah, sto anche cambiando la trama! Fatemi sapere cosa ne pensate. Alla prossima, ciao SS.
   
 
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