capitolo
2
IL
LADRO DI DONUTS
Quel
pomeriggio Crystal si
trovò a gestire
da sola il locale. Il venerdì era il giorno di riposo di
Oliver, e Miranda si
era allontanata per consegnare un ordine dall’altra parte
della città.
La ragazza pensò che se
Miranda non si era
fatta problemi a lasciarla da sola voleva dire che già si
fidava di lei. In
realtà a quell’ora non c’era mai molto
andirivieni di clientela, ma Crystal era
comunque soddisfatta della buona impressione che aveva fatto nella sua
prima
settimana di lavoro.
Andò a sedersi ad uno
dei tavolini all’entrata
con il quotidiano tra le mani. Avrebbe letto i titoli giusto per
ammazzare il
tempo, in attesa che Miranda tornasse per darle il cambio.
Aveva appena sfogliato la prima
pagina,
quando con la coda dell’occhio le parve di vedere
un’ombra scivolare oltre la
porta d’ingresso aperta.
Volse lo sguardo per controllare,
ma non
vide nessuno. Probabilmente si trattava soltanto dell’ombra
proiettata dai rami
degli alberi in strada che dondolavano al vento.
Tornò a posare gli occhi
sul titolo di
testa, che parlava dell’ennesimo atto vandalico sulla Pacific
Palisades, poche
miglia lontano dall’Every Flavour Donuts. Sembrava che delle
gang si stessero
contendendo il dominio di quella zona.
All’improvviso
udì una risata femminile provenire dalla veranda del locale
e si voltò
allarmata. Una ragazza alta e dalla chioma color ruggine se ne stava in
piedi
al centro della veranda, una mano appoggiata su una delle sedie di
vimini.
Crystal non fece in tempo a
chiedersi come
avesse fatto ad entrare, che un ragazzo biondo balzò
all’interno scavalcando la
siepe che delimitava il terrazzino con un’agilità
da parkourer. Atterrò sulle
punte dei piedi, accovacciato e con le braccia tese. Sì
rizzò in piedi veloce
come un furetto, prese la rossa per i fianchi e la baciò.
Esterrefatta, Crystal
pensò a che cosa
dovesse fare. Quello non era di certo un comportamento da tenere in un
locale,
ma Crystal rifletté anche sul fatto che quei due teppisti
dovevano avere più o
meno la sua età e non aveva la minima idea di come avrebbero
reagito vedendo
che a riprenderli fosse una loro coetanea.
Si avviò verso la
veranda, paonazza in
volto per la rabbia, quando un rumore alle sue spalle le
gelò il sangue nelle
vene. Era lo scricchiolio che il soppalco produceva ogni volta che
qualcuno
saliva dietro al bancone.
Crystal si voltò di
scatto e sorprese un
ragazzo dai capelli scuri trafficare nella vetrina dei donuts. Stava
agendo
indisturbato, come se nessuno potesse vederlo.
«Ehi, giù le
mani da lì!», gridò Crystal
correndo verso il ragazzo.
Lui alzò appena la
testa, con aria
indifferente.
«Dimmi, sei sordo per
caso?», insistette
la ragazza.
Il ladro addentò una
ciambella, poi volse
lentamente lo sguardo verso Crystal. La fissò per un lungo
momento prima di
aprire bocca. «Stai… Parli con me?»,
domandò con nonchalance.
Crystal pensò che non
aveva mai incontrato
nessuno con tanta faccia tosta. Alzò le braccia in aria,
spazientita. «Con chi
altri, se no? Vieni subito via da lì!»
Il volto del ragazzo
cambiò. Crystal vide
stupore e incertezza nei suoi occhi verdi come l’erba in
primavera.
«Allora?»,
continuò lei sempre più
nervosa.
«Io…tu…»,
balbettò il ragazzo. «Tu riesci
a vedermi?»
Crystal levò gli occhi
al cielo. «Oh, Dio,
un'altra vittima della Crocodile. Sei già il terzo questa
settimana.»
«Non sono un
drogato», replicò secco il
ragazzo. «Come ti chiami?»
Crystal impuntò le mani
sui fianchi. «Cosa
vorresti fare, flirtare con me per farti passare il fatto che ti ho
appena
sorpreso a rubare dalla vetrina?»
Lui fece un sorriso sghembo,
mostrando
denti così luminosi da non poter essere naturali.
Nel frattempo, il tizio biondo che
Crystal
aveva visto in veranda si era avvicinato ai due, attirato dal trambusto.
«Che cosa succede,
Gabe?», intervenne alle
spalle di Crystal. «Ti stai divertendo con la mondana?»
La ragazza fece un balzo per lo
spavento,
poi si voltò furente verso il biondo. «Come mi hai
chiamata, scusa?»
Lui parve rimanere sorpreso. Forse
non era
abituato alle ragazze come Crystal, che non avevano paura di niente,
nemmeno di
rispondere in quel modo ad un ragazzo tanto bello.
Gabe lanciò al compagno
uno sguardo
confuso. «Ecco, appunto», disse. «Cosa
credi che sia?»
«Non è
abbastanza bella per essere una
fata…», constatò l’altro con
aria seria,
«…però…»
«Siete pessimi ladri
quanto pessimi
adulatori», replicò Crystal.
«Non era un complimento,
sciocca mondana», rispose
il biondo.
«La vuoi piantare di
chiamarmi in quel
modo?»
«Che cosa facciamo,
Cole?», intervenne
Gabe. «Sembra che lei non sappia nulla.»
Il biondo, che rispondeva al nome
di Cole,
scrollò le spalle. «Non ne ho idea. Forse sta solo
fingendo. Hai controllato il
Rivelatore?»
Gabe annuì.
«Nessuna traccia di attività
demoniaca. Questa qui è una mondana.»
Crystal, che aveva assistito a
quella patetica
scenetta in silenzio, sbuffò. «Sentite, siete
completamente pazzi. Vi conviene
darmi delle spiegazioni sensate prima che io decida di chiamare la
polizia»,
obiettò. «Perché sei entrato
scavalcando la siepe?», chiese rivolta a Cole. «E
tu perché sei salito dietro al bancone come se io non avessi
potuto vederti?»,
aggiunse parlando a Gabe.
«Perché,
tecnicamente, tu non dovresti
riuscire a vederci», obiettò il moro.
Crystal fece una risatina
amareggiata.
«Ancora con questa storia?»
«Gabe, questa non
può essere una mondana.
Nessun mondano può avere la Vista
e lei ce l’ha», dedusse il biondo.
«Questo lo so»,
replicò infastidito.
«Dovremmo portarla da Victoria. Forse lei saprà
dircelo.»
«Io non vengo da nessuna
parte!», esclamò
Crystal. Stava quasi urlando. «E chi è quella tipa
laggiù? Perché ci sta
fissando?»
«Oh, lei è
Julie», disse il biondo. «E’
rimasta a fare da palo. Sai, le precauzioni contro i demoni non sono
mai
troppe. Ultimamente agiscono indisturbati anche in pieno
giorno.»
«Taci, Cole»,
lo zittì Gabe. «Non devi
parlare di questo con lei. Non sappiamo ancora che cosa
sia.»
«Chiediamo un parere a
Julie», propose Cole.
«Lei è una mezza fata, no? Forse ne capisce
più di noi.»
«Già, buona
idea», disse l’altro prima di
fare un cenno alla ragazza con la mano.
Appena colse il segnale, la ragazza
diede
un’occhiata fugace alla veranda, poi entrò
all’interno del locale.
Crystal non poté non
notare l’eleganza con
cui ella si muoveva, sinuosa e bellissima in un paio di jeans scuri ed
una
giacca di pelle nera. I lunghi capelli ramati le danzavano sulle spalle
in
morbidi boccoli composti.
«Che cosa
c’è?», domandò lei con fare
annoiato.
Ora che era ad un metro da lei,
Crystal
vedeva la perfezione del viso della ragazza. La pelle diafana e liscia
come
quella di una statua greca, gli occhi verdi impreziositi da pagliuzze
ambrate,
le labbra piene e rosse. Portava un septum al naso, un semplice
cerchietto
argentato abbellito da minuscoli diamanti.
«La ragazza non
è una mondana»,
decretò Cole con un tono da sentenza giudiziaria.
«Però. Che
occhio», lo schernì lei. «Se ci
vede senza che abbiamo attivato la runa della visibilità
è per forza una di
noi.»
I due ragazzi si guardarono negli
occhi,
poi entrambi si tirarono su le maniche delle giacche nere.
Crystal rimase terrificata nel
vedere che
le braccia di Cole e Gabe erano piene di strani tatuaggi, alcuni scuri
e altri
più chiari. Alcuni sembravano quasi delle cicatrici.
«La mia non è
attiva», disse Gabe
indicandosi uno tra le decine di segni sull’avambraccio
destro.
«Neanche la
mia», rispose Cole guardandosi
il gomito sinistro.
«Allora o è
una Nephilim o è una Nascosta.
C’è poco su cui riflettere»,
obiettò la rossa.
«Ma di che diavolo state
parlando?», urlò
Crystal in preda al panico.
Era convinta che quei tre stessero
cercando di farla uscire di senno.
«Io so chi siete
voi», continuò. «Fate
parte di una di quelle stupide bande che stanno facendo casino sulla
Pacific
Palisades, non è vero? Per cos’è, per
la droga? Si spiegherebbe perché nessuno
di voi ha ancora detto una frase che abbia un senso.»
«Solo perché tu non ne vedi il senso
non vuol dire che non ci sia, mondana»,
la prese in contropiede Cole.
«Non chiamarla
così», fece Julie in tono
quasi materno. «Non lo è.»
Crystal ne ebbe abbastanza di quei
tre
psicopatici. «Io chiamo la polizia»,
sentenziò mostrando sicurezza. In realtà era
terrorizzata.
Cole scoppiò a ridere.
La sua risata suonò
quasi malvagia. «Certo. E cosa dirai? Chi ti
crederà, se nessuno può vederci a
parte te?»
«Ma che accidenti
stai…» S’interruppe
quando udì dei passi alle sue spalle.
«Eccomi, Crys».
Era la voce di Miranda.
«Con chi stavi parlando?»
La ragazza si girò, il
volto esangue. «Oh,
ciao. Io…»
«Ehi, ti senti bene?
Sembra che tu abbia
appena visto un fantasma.»
Crystal guardò dietro la
sua spalla,
cercando le sagome di Gabe, Cole e Julie, ma non vide nessuno. Allora
compì
mezzo giro e fu allora che li vide, in piedi nella veranda. Cole stava
sogghignando e le faceva il saluto militare, mentre Gabe e Julie erano
impegnati a parlare fra di loro.
«Crystal?»
Lei si volse nuovamente verso
Miranda. Sospirò.
«È tutto okay. Credo di aver avuto un calo di
pressione.»
Crystal richiuse la porta
d’ingresso con una
gomitata. Le gambe le tremavano. Il suo cervello non riusciva ancora ad
elaborare ciò che era successo al locale. Sebbene ci avesse
riflettuto per
tutto il tragitto fino al suo appartamento, non era arrivata a nessuna
spiegazione logica. Chi erano quegli strani individui tatuati che aveva
visto?
E soprattutto che cosa volevano da lei?
Si gettò sul letto e
calciò via le scarpe
nervosamente. Stava cominciando a pensare di essersi immaginata tutto.
Loro le avevano detto che nessuno
poteva
vederli, che nemmeno lei avrebbe dovuto. Però lei ci
riusciva. Eccome.
Crystal li aveva definiti degli
psicopatici fino a che Miranda non era entrata nel locale e le aveva
chiesto
con chi stesse parlando. Era stato in quel momento che lei aveva capito
che la
sua collega non riusciva davvero a
vedere i tre teppisti vestiti di nero, mentre lei sì.
Parole sconosciute le risuonavano
nella
testa. Rune. Rivelatore. Nascosta. Demoni.
Fate.
Mondana.
Cole e Gabe l’avevano
chiamata così più
volte. Ma che cosa significava davvero quella parola?
Si rigirò nel letto e
affondò la testa nel
morbido cuscino di piuma d’oca. Quei tre fantasmi erano
troppo strani, troppo
seri e perfino troppo perfetti per essere dei semplici componenti di
una banda
criminale. Parlavano con scioltezza usando quei termini inusuali come
se
fossero stati delle parole in codice. Non puzzavano d’alcol,
né parevano dei
rozzi. La ragazza poi, Julie, era di una bellezza quasi esagerata.
Crystal la
immaginava più sfilare lungo una passerella vestita da
Armani, piuttosto che
ritirare mazzette tra i vicoli.
Chiuse gli occhi, cercando pace. Ma
presto,
quand’era sul punto di addormentarsi, davanti alle palpebre
abbassate iniziò a
vedere strani segni luminosi simili a geroglifici.
PERSONAGGIO DEL GIORNO: