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Autore: revin    02/08/2016    1 recensioni
La vita da reclusa è molto più dura di quella che Gwen avrebbe potuto immaginare, soprattutto in un penitenziario di massima sicurezza interamente dominato da uomini. Fox River è un inferno al quale sembra impossibile poter sopravvivere. Ma Gwen ha una missione da compiere... la vendetta.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Michael/Sara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il viso di Michael era impallidito in modo spaventosamente fulmineo.
Aspettavo ancora che il ragazzo si decidesse a rispondermi, che confermasse o smentisse la bomba a mano che avevo appena sganciato, ma questa volta avevo la netta sensazione di aver fatto centro.
  • Ma… ma che dici? Di che evasione stai parlando?  -  mormorò con espressione estremamente tesa e prevenuta.
  • Oh, è inutile negare l’evidenza, tu e i tuoi amici state scavando nella stanzetta delle guardie per evadere. Pensavi davvero che non l’avrei scoperto?
Lo vidi accigliarsi, prima che una traccia di irritazione, forse di rabbia, balenasse nel suo sguardo.
  • Non sai di cosa parli. Non c’è nessuna evasione.
  • Bene!
Feci dietrofront e ripresi imperterrita la via del cortile, sicura che Michael avrebbe finito col seguirmi. A costo di formulare ipotesi a vanvera fino alla mattina seguente, sarei riuscita ad estorcergli una confessione, e questa volta sapevo anche come fare.
Come avevo previsto, eccolo di nuovo al mio seguito.
  • Aspetta Gwyneth… parliamone.
  • Sono stanca di parlare.
Visto che non accennavo a fermarmi, il ragazzo mi afferrò per un braccio, costringendomi a voltarmi e guardarlo in faccia.
  • Gwyneth, per favore.
  • Facciamo così,  -  esclamai sfoderando uno sguardo furbo  -  tu mi racconterai tutto e risponderai alle mie domande e io in cambio prometto che terrò tutto per me. Se farai il furbo e proverai di nuovo a mentirmi, io spettegolerò tutto al caro Bellick e sai che lui farà dei controlli. Ora, è possibile che io mi sia sbagliata, è possibile che non ci siano buchi in quella stanza, ma dubito che voi sei abbiate comunque il tempo di celare eventuali tracce prima che io abbia convinto il capitano a controllare, ti pare?
  • Questo a me suona tanto come un ricatto.
Feci spallucce. Non sapeva ancora fino a dove sarei stata disposta ad arrivare per ottenere la verità, ma lo avrebbe scoperto presto.
  • Probabilmente lo è.
Per una manciata di secondi Michael si limitò semplicemente a fissarmi. Speravo stesse vagliando la possibilità di giocare finalmente a carte scoperte.
Alla fine, continuando a tenere gli occhi serrati, gli angoli della bocca gli si tesero in un sorriso e finalmente parlò:
  • Ti propongo una controfferta.
  • Non è una proposta trattabile.
  • Beh, io ho una condizione. Risponderò alle tue domande e ti dirò tutto quello che vuoi sapere, ma anche tu dovrai rispondere alle mie domande ed essere sincera.
  • Hai una bella faccia tosta a voler trattare con me nella situazione in cui ti trovi, lo sai? Così va tutto a mio sfavore, e poi la maggior parte delle informazioni già ce le ho.  -  bofonchiai.
  • Prendere o lasciare. Se vuoi la verità questa è la mia condizione.
Condizione un accidente! Lo avevo praticamente in pugno, ormai avevo così tante prove a sostegno della mia tesi che avrei potuto scoprire da sola la verità. D’altro canto sarebbero comunque rimaste delle domande in sospeso, dubbi che solo lui avrebbe potuto chiarire.
  • Aahh maledetta curiosità! E va bene,  -  cedetti  -  ma faremo una domanda per uno e se mi accorgo che stai mentendo, non mi farò alcuno scrupolo a gridare ai quattro venti quello che ho scoperto. Sei avvertito.
  • Andata.
Ricominciammo a camminare, questa volta più lentamente. Ero molto sorpresa che Michael si fosse deciso a parlare. Ero convinta che si sarebbe arrabbiato, che avrebbe negato fino alla morte. Non certo che cedesse così facilmente.
  • La prima domanda spetta a me e ricordati che hai promesso di essere sincero. Parlami dell’evasione. Perché la stanzetta delle guardie?
Il ragazzo si fece serio.  -  Devi sapere che progetto questa evasione da circa un anno. L’ho studiata nei minimi dettagli affinché riuscisse. 
  • Lo hai fatto per Lincoln, non è vero?
  • Non potevo lasciarlo morire. Ho messo a punto questo piano allo scopo di tirarlo fuori prima che venisse giustiziato. Non è stato semplice, ma ho potuto farlo perché la società per la quale lavoravo prima di entrare a Fox River, un anno fa ricevette l’appalto dei lavori per la sostituzione delle condutture interne di questo edificio. Ho avuto modo di visionare la pianta dell’intero penitenziario e anche quella dei canali sotterranei, e quando ho scoperto che Lincoln sarebbe stato trasferito proprio qui per scontare il resto della pena, mi è venuta l’idea dell’evasione.  -  Mi lasciò un istante per digerire l’informazione e proseguì.  -  Purtroppo per me si trattava di una pianta molto complicata, impossibile da memorizzare. I vari tunnel sotterranei che avrei dovuto usare per mettere a punto il mio piano fanno parte di un enorme reticolato, molto simile ad un labirinto. Basterebbe sbagliare direzione solo una volta per perdere la strada, e a quel punto non ci sarebbe praticamente modo per tornare al punto di partenza. Per questo ho deciso di tatuare la pianta dell’edificio sul mio corpo.
  • Il tatuaggio!
Sorrise.  -  Si… il tatuaggio. Si tratta della pianta della prigione alla quale è stato apportato un disegno perché non fosse visibile ad un semplice colpo d’occhio.
 
All’improvviso era tutto incredibilmente chiaro. Ecco perché la prima volta che avevo visto la porzione di tatuaggio sul braccio di Michael avevo avuto la sensazione che si trattasse di un disegno sovrapposto.
Ero a dir poco basita. Avrei potuto immaginare di tutto, ma quello che avevo appena sentito andava ben oltre la mia spiccata immaginazione.
Stavo pensando se fosse il caso o meno di chiedergli di farmi dare un’occhiata più da vicino a quell’incredibile capolavoro, quando il ragazzo, smontando il mio entusiasmo, disse:
  • Adesso veniamo a te. Io ho risposto alla tua domanda, ora tu devi rispondere alla mia.
  • In realtà tu non hai affatto risposto alla mia domanda, non hai detto nulla sulla stanzetta delle guardie…
  • Non starai mica cercando di rimangiarti la parola spero.
Sbuffai irrequieta. Non ero pronta a lasciar cadere il discorso. Avevo centinaia di domande da fargli e nessunissima voglia di rispondere alle sue, però gli avevo dato la mia parola.
  • E va bene, spara!
  • Voglio sapere chi sei veramente.
  • Credo che tu lo sappia.
  • Quindi avevo ragione, sei quella giornalista del Chicago Tribune e il tuo vero nome non è Sawyer, ma Hudson.
  • Perspicace come al solito!  -  esclamai.  -  Vinci un set di padelle per l’intuizione, ora possiamo tornare al piano di fuga?
  • Ehi, tu hai solo appoggiato le mie deduzioni, non hai ancora risposto ad una vera e propria domanda. -  si lamentò contrariato.
Oh, ma quanto la faceva lunga!
  • Va bene, va bene ma sbrigati per favore, non abbiamo tutto il giorno.
  • Perché ti hanno arrestata?
  • Passo.  -  risposi sbrigativa.
  • Non puoi… passare.
  • E chi l’ha detto? Michael, sul serio, fammi un’altra domanda.
Abbassò gli occhi frustrato, ma non riuscii a farlo demordere.  -  Come vuoi. Perché ti hanno assegnata ad una sezione maschile?
  • Nessuno ha scelto per me, sono stata io a scegliere di venire a Fox River.  -  Avrei tanto voluto chiudere lì l’argomento, ma sapevo che Michael avrebbe preteso una spiegazione più precisa.  -  Vedi, la mia non è una condanna grave dal punto di vista giuridico, tra meno di tre mesi sarò fuori di qui…
Michael sfoderò uno sguardo interrogativo che gli fece corrucciare le sopracciglia.  -  Tre mesi? Sei finita in un penitenziario di massima sicurezza per una condanna a tre mesi? E come hai fatto a farti registrare sotto falso nome?
  • Tempo scaduto tesoro, è di nuovo il mio turno di battuta. Allora, il piano di fuga, come funziona?
Sospirò e per un momento guardò altrove, ponderando la risposta.
  • La mia cella è il punto di partenza. Avevo bisogno innanzitutto di studiare il percorso e creare le condizioni per poter evadere senza intoppi, e per fare ciò ovviamente avevo bisogno di lasciare la mia cella, così mi sono creato un’ apertura. Ho svitato il lavandino e mi sono creato un passaggio che mi permettesse di girare indisturbato tra i condotti di aerazione e i passaggi sotterranei. Partendo dalla mia cella posso arrivare ovunque io voglia… o quasi, e con Sucre a fare da guardia, nessuno si accorge della mia assenza.
  • Ecco spiegata la partecipazione di Sucre all’evasione  -  mormorai, constatando l’ovvio.
  • Esatto. Il punto d’arrivo è l’infermeria. E’ l’anello più debole della catena. La stanza delle guardie è il punto di collegamento, si trova esattamente a metà tra la mia cella e l’infermeria. Partiremo da lì quando avremmo finito di scavare e io avrò preparato il terreno per la fuga. Raggiungeremo l’infermeria, toglieremo la grata alla finestra e scavalcheremo il muro esterno.
  • Un gioco da ragazzi! -  esclamai, senza nascondere il sarcasmo nella mia voce.
In effetti, presentato così, il piano suonava piuttosto fattibile. Michael sembrava aver calcolato ogni minimo dettaglio. Adesso capivo perché Abruzzi avesse accettato di chinare la testa e affidare i lavori nella stanzetta delle guardie a Scofield. Era lui che giostrava i fili, era lui il capogruppo di quei cinque galeotti senza speranze.
  • Adesso tocca a te, Gwen… una volta per tutte, dimmi per quale reato ti hanno condannata.
Anche questa volta avrei voluto semplicemente passare, ma c’eravamo ripromessi sincerità e Michael fino a quel momento aveva mantenuto la sua promessa. Ne ero sicura. Si era fidato di me, ma io potevo fidarmi di lui?
Qualcosa di assolutamente inspiegabile dentro di me diceva che potevo farlo.
  • Io… ho commesso una sciocchezza.  -  dissi, cercando di trovare le parole giuste.  -  Dal mio punto di vista, assolutamente giustificabile, certo, ma comunque una sciocchezza. Immagino tu abbia sentito parlare dell’inchiesta sulla concessione di appalti effettuata nel Wisconsin.  -  Annuì.  -  Beh, io mi sono occupata di quell’inchiesta e probabilmente sarebbe stato meglio non farlo, perlomeno non mi troverei qui.
Stavo raccontando i fatti miei ad un perfetto sconosciuto, da non credere.
  • Il mio patrigno è un investigatore privato.  -  ripresi  -  Ogni tanto vado a trovarlo e lo aiuto con i casi arretrati… a volte è divertente. Un giorno arrivò la telefonata di un cliente. Ci chiese di indagare sugli affari interni di una società di costruzioni in cambio di una grossa somma di denaro e ovviamente accettammo. In poco tempo scoprimmo tutta una serie di traffici illeciti legati a quella società, come appalti concessi illegalmente sotto proficue donazioni di denaro. Poi una mattina intercettammo una telefonata, e scoprimmo che le donazioni provenivano da una società del Wisconsin il cui diretto responsabile era l’allora governatore Carl Adelphi.
  • Quindi siete stati voi ad occuparvi del caso prima che partissero gli arresti da parte della polizia. Quell’inchiesta ha sollevato un gran polverone. Immagino la soddisfazione.
  • Mica tanto. Il fatto è che quando il caso è passato alla polizia, loro si sono concentrati solo su Adelphi e sui suoi stretti collaboratori, tralasciando tutto il resto, ma la verità è che l’inchiesta su Adelphi era solo un fuoco di paglia. Lui era solo una pedina in un gioco molto più grande di lui.
  • Che vuoi dire?
  • Voglio dire che Adelphi era solo una marionetta nelle mani di qualcuno che agiva nelle retrovie, qualcuno che stava e sta ancora molto in alto… lo si potrebbe definire il classico intoccabile. Io e il mio patrigno, Keith, lo avevamo capito e abbiamo continuato ad addentrarci nelle ricerche finché abbiamo scoperto dei collegamenti tra le fila del governo.
Arrischiai un’occhiata al suo viso per capire se mi stesse seguendo. Michael sembrava interdetto.
  • Quando parli di governo, ti riferisci…
  • Al governo americano, esatto. E chi conosci di intoccabile tra le fila del governo?
Il ragazzo batté le palpebre più volte.  -  Sono accuse molto grosse. Hai delle prove di quello che stai dicendo?
 
All’improvviso sembrava diventato profondamente scettico.
  • Dico, questo ti sembra un luogo di villeggiatura? Secondo te perché mi trovo in carcere?  -  sbottai.  -  Le prove c’erano, ma purtroppo erano insufficienti. Quando io e Keith scoprimmo di aver imboccato una strada pericolosa, fummo costretti a fare un passo indietro. Keith voleva ritirarsi dal caso. Secondo lui avevamo già fatto abbastanza e dovevamo accontentarci dei risultati ottenuti, ma io non ero d’accordo, volevo proseguire, volevo a tutti i costi sbattere in prima pagina i veri colpevoli. Così decisi di continuare le indagini da sola, agendo come reporter del Chicago Tribune. Fu un mese assurdo per me, non riuscivo ad uscirne, finii addirittura per trasferirmi a Chicago. Keith continuava a pregarmi di lasciar perdere, di tornare a casa, e a dire il vero stavo per farlo, fino al giorno in cui è esploso il caso Burrows che ha rimesso tutto in discussione.
  • E adesso che c’entra mio fratello con tutto questo?  -  mi chiese smarrito.
  • Michael, se non l’avessi capito, è Lincoln la chiave di tutto.
Era stato come sganciare una seconda bomba a mano. A quel punto avrei dovuto intuire che l’accordo di avvicendarci con le domande sarebbe saltato, daltronde sapevo che nominare Lincoln sarebbe stata una pessima idea.
Assalita dalle sue domande, avevo tirato fuori un respiro basso e profondo e cominciato ad osservare le nuvole dense e veloci che sembravano schiacciarci, poi avevo ripreso a parlare lentamente, controvoglia.
  • Senti, io non so tutto. Mi sono trasferita a Chicago dopo aver scoperto un collegamento tra la F.I.L.C.A., la società del Wisconsin, e la Ecofield, società di proprietà di Terrence Steadman. Ho fatto dei controlli e in più di un’occasione è saltato fuori come firmataria di alcuni pagamenti, il nome di Caroline Reynolds, la sorella di Steadman. Secondo alcuni resoconti bancari, la Reynolds ha inglobato milioni di dollari nella società del fratello, soldi che fino a qualche tempo fa risultavano a fondo perduto, il che mi ha insospettito. Esattamente una settimana dopo le mie scoperte, Steadman è stato ritrovato morto nella sua auto, nel parcheggio della sua società, e Lincoln è stato indicato come colpevole. Ma la cosa veramente assurda è che, lo stesso giorno in cui Lincoln è stato condannato, i soldi inglobati nella Ecofield sono scomparsi… Puff! Neanche si fosse trattato di centesimi. Stai seguendo il mio discorso? Quello che voglio dire è che un capitale del genere non può semplicemente sparire così.
  • E quindi cos’hai fatto?
  • Ho tirato le somme e ho capito che la Reynolds c’era dentro fino al collo, ma non potevo accusarla con delle valide prove in mano perché non le avevo. C’erano solo i resoconti bancari, gli estratti conto della F.I.L.C.A., tutti documenti che ho ricavato illegalmente e che non avrei potuto presentare in tribunale. Quando ho provato a raccogliere delle prove concrete, mi sono ritrovata a vagare in un vicolo cieco e così… -  Ancora sentivo riaffiorare la rabbia a quel ricordo.  -  …beh, l’unica cosa che restava da fare era puntare il dito contro chi ritenevo colpevole.
Michael impallidì.  -  Mi stai dicendo che hai accusato apertamente il vicepresidente degli Stati Uniti di frode?
 
Detta così suonava proprio come una cosa mostruosamente stupida.
  • Peggio.  -  ammisi  -  Visto che il giornale non mi ha permesso di pubblicare la notizia, ho pubblicato sul mio blog un’accusa formale contro la Reynolds e i traffici della Ecofield. E’ stata una sciocchezza, lo so, proprio una cosa da irresponsabili tipico di me. Una settimana dopo la mia brillante mossa, sono stata rintracciata e citata in giudizio con l’accusa di diffamazione. Sono stata espulsa dall’Albo dei giornalisti e condannata a tre mesi di reclusione… e poi sono finita qui.
  • Quello che non ho ancora capito è perché.
  • Non ti pare di aver fatto fin troppe domande?  -  mi lamentai scocciata.
  • Non credo proprio. Perché sei finita in un penitenziario maschile e cosa c’entra mio fratello con tutta questa storia? Hai detto che lui è la chiave di tutto ma, la chiave di che cosa?
  • A tempo debito Michael, adesso fammi riprendere fiato. Parlami del gruppetto che ti sei caricato sulle spalle. Non è pericoloso coinvolgere tante persone in un progetto d’evasione?
Il ragazzo sospirò frustrato, ma alla fine si rassegnò ad accantonare le sue domande per il turno successivo e rispondere alla mia.
  • In effetti lo è, più persone sono coinvolte, maggiore è il rischio di essere scoperti. E’ anche vero però che con più braccia a disposizione per scavare, i tempi previsti per l’evasione si accorciano. Dobbiamo uscire da qui prima dell’11 Maggio.
Capii al volo il perché. Quella era la data prevista per l’esecuzione di Lincoln.
  • Rimetterai in libertà quattro delinquenti per salvare la vita a tuo fratello, questo lo sai, vero?
Non era una domanda. Michael se ne rese conto.
  • Non posso farne a meno.  -  rispose con una profondità che mi toccò il cuore.
  • Di chi esattamente non puoi fare a meno? L’unico che ti serve davvero è Abruzzi e adesso ho finalmente capito il perché. Immagino che le conoscenze di un mafioso possano fare comodo ad un gruppetto di detenuti appena evasi… La storia che mi hai raccontato sul testimone chiave al processo contro Abruzzi, era vera?
  • Si, è stato facendo il nome di Fibonacci che ho convinto John a prendere parte alla fuga e ad organizzare un aereo che ci conducesse oltre i confini americani, una volta scavalcato il muro. Ma non preoccuparti, non ho alcuna intenzione di mettere in pericolo la vita di quel pover’uomo. Tra qualche settimana la testimonianza di Otto Fibonacci segnerà la fine dei capisaldi della mafia americana, e a quel punto John non sarà più un problema.
Sembrava molto sicuro di sé. Ecco cosa mi piaceva di Michael Scofield: lui considerava ogni cosa in bianco e nero, le sfumature non esistevano. A volte avevo la sensazione di avere molto in comune con quel ragazzo, altre volte invece sembravamo due mondi a parte, distanti anni luce.
  • Però c’è una cosa che mi sfugge. Che cosa diavolo c’entrano T-Bag e C-Note nel tuo grande piano “prendi il fratellone e scappa”?
Fece spallucce.  -  Tipici inconvenienti del caso. C-Note ha scoperto il buco nella stanzetta delle guardie per caso e, com’era prevedibile, ha preteso di prendere parte al progetto. Per T-Bag è stato diverso.  -  disse, incupendosi improvvisamente.  -  Ha scoperto il passaggio nella mia cella durante la rivolta, con lui c’era anche la guardia che è morta, Bob… E’ stata una bella seccatura lì per lì, non abbiamo potuto evitare che si unisse al gruppo perché minacciava di raccontarlo alle guardie se non l’avessimo preso a bordo.
  • Conoscendolo, la sua non sarebbe stata una minaccia a vuoto.
  • Già, e quel farabutto se n’è approfittato. Ha ucciso Bob perché, come lui, aveva scoperto il nostro piano e noi… non abbiamo potuto denunciarlo.
Lo vidi stringere forte i pugni lungo i fianchi e abbassare lo sguardo. La voce era dura tanto quanto lo era la sua espressione.
  • Mi sento un verme per quello che è successo… è tutta colpa nostra se Bob è morto!
  • Questo non è vero. E’ stato T-Bag ad accoltellarlo.  -  gli dissi, cercando di consolarlo.
Nel momento in cui avevo incrociato i suoi occhi sofferenti, avevo provato l’intensa sensazione di abbracciarlo, di proteggerlo. Il suo tono, così sincero, mi aveva fatto capire che Michael si sentisse davvero in colpa. Non c’era modo di sbagliarsi, non si poteva mentire su quel tipo di sentimenti.
  • Si, è stato T-Bag ad accoltellarlo… è quello che mi ripeto ogni giorno, ma questo non mi fa sentire meglio.
  • Michael, tu puoi salvare Lincoln. Non dovresti sentirti in colpa per le malefatte di quel depravato.
Fu in quel momento che sollevò i suoi incredibili occhi azzurri, intrecciandoli ai miei e facendomi smarrire il filo del discorso. La frase mi morì in gola e non riuscii più a ricordare come avevo pensato di terminarla. Sostenni il suo sguardo finché, percependo il rossore espandersi sulle mi guance, non lo volsi altrove. Solo allora mi impegnai a sciogliere il nodo che avevo nel cervello e a riprendermi.
  • Sei proprio una strana ragazza.  -  disse sorridendo appena.
L’effetto che quel ragazzo aveva su di me era insopportabile. Ogni volta che gli ero accanto, i miei neuroni andavano in subbuglio, reazione che non gradivo affatto.
  • Posso farti un’altra domanda prima che riattacchi con le tue?  -  mi chiese titubante.  -  Adesso che sai del piano e di noi, che hai intenzione di fare?
  • Puoi stare tranquillo, visto che sei stato sincero non andrò a spiattellarlo alle guardie.
  • Non è di questo che parlavo.
Allora poteva trattarsi solo di una cosa:  -  Vuoi sapere se sono interessata all’evasione? La risposta è no.
  • Sul serio?  -  chiese scettico.
  • Te l’ho già detto, la mia è una condanna breve. Non avrebbe proprio senso per me evadere. Voglio uscire di qui e vivere la mia vita in modo spensierato, e non trascorrere il resto dei miei giorni a scappare.
  • Quindi ti farai riassegnare alle cucine?
“Merda, non ci avevo pensato!”
  • Non posso.  -  Sospirai con espressione mesta.  -  A meno che voi non vogliate passare dei guai.
Ecco, adesso si sarebbe arrabbiato”.
  • Il fatto è che per poter convincere Pope a farmi trasferire al vostro gruppo di lavoro, ho dovuto raccontargli di aver avuto dei problemi col gruppo precedente. Se adesso chiedessi di essere riassegnata alle cucine, la cosa desterebbe dei sospetti, senza contare che Pope potrebbe pensare che anche voi mi date dei problemi e prendere provvedimenti. Insomma, non credo sia una buona idea.
  • Maledizione!  -  imprecò a denti stretti.
  • Mi dispiace.  -  dissi sincera. 
  • Non so se te ne rendi conto, ma il problema riguarda più te che noi. Tu sai a cosa andrai incontro se…
  • Si, lo so.
Lo avevo capito dal primo momento in cui Michael aveva cominciato a parlare di evasioni. Restare nel gruppo avrebbe comportato il mio coinvolgimento, ergo, un aumento di pena dai 3 ai 5 anni per un’accusa di favoreggiamento qualora il tentativo di fuga fosse stato scoperto prima della sua riuscita, e lo stesso per un’accusa di concorso in evasione se i sei galeotti fossero riusciti nell’impresa e io fossi stata indicata come persona informata sui fatti.
Proprio un bel casino!
  • Che cosa pensi di fare?
Prima di rispondere, riflettei ancora un po’ sui pro e i contro. C’era una maggioranza schiacciante dei contro.
  • Per quando è prevista l’evasione?  -  gli chiesi.
  • La prossima settimana al massimo.
Annuii pensierosa. Quella era pressappoco una buona notizia.
  • Questo significa che il più del lavoro è stato fatto. La mia unica possibilità è raccontare di non aver mai sospettato niente delle vostre intenzioni. Racconterò che durante il turno pomeridiano voi vi occupavate normalmente della ricostruzione della stanzetta, e che probabilmente progettavate la fuga durante il primo turno, quando io ero assente. Questo ovviamente prevede che la vostra brillante impresa riesca e che non vi facciate scoprire quando nella stanzetta ci sono anch’io. Sarebbe davvero la fine, per tutti noi… questa volta Keith mi farà interdire davvero, me lo sento.
Pronunciai le ultime parole tra me e me, a voce bassissima, sperando che non mi avesse sentita.
  • E’ comunque molto rischioso e tu potresti passare ugualmente dei guai. Non mi va che…
Sorrisi divertita.  -  Non dirmi che sei preoccupato per me. Tu pensa solo a Lincoln. Io cercherò di darvi una mano, così avrete due braccia in più per scavare.
 
Ancora una volta Michael mi puntò addosso uno sguardo scettico.
  • Perché vuoi aiutarci?
Feci spallucce.  -  Lincoln mi ha salvato la vita durante la rivolta. Voglio restituirgli il favore.
 
Quella non era proprio tutta la verità, ma perlomeno non gli avevo mentito. Era vero che avevo ancora un debito nei confronti di suo fratello. Che Lincoln fosse colpevole o meno, non desideravo certo la sua morte, ma in verità non volevo aiutarli per pura bontà d’animo.
Poi improvvisamente vidi il ragazzo lanciare un’occhiata alle mie spalle e sospirare, quindi mi voltai anch’io.
Accanto all’entrata le guardie si erano già radunate per richiamare i detenuti e ricondurli nel Braccio.
  • Dobbiamo andare. Ci vediamo più tardi a mensa? Ho ancora parecchie cose da chiederti.  -  disse, mentre ci incamminavamo, come il resto degli uomini sparpagliati in cortile, in un’unica direzione.
  • Vale lo stesso per me, però se non ti dispiace preferirei rimandare le confidenze a quando siamo soli.
  • Come vuoi. Questo vuol dire che passeremo un bel po’ di tempo insieme.
Di nuovo fui costretta a distogliere lo sguardo dal suo, troppo intenso.
  • Sembra proprio di si, signor Scofield.
   
 
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