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Autore: nikita82roma    04/08/2016    5 recensioni
Un mese dopo la sparatoria al loft Kate riprende finalmente conoscenza. Ma lei e Rick dovranno ricominciare tutto da capo nel modo più imprevisto e difficile, con un evento che metterà a dura prova il loro rapporto e dovranno ricostruire il loro "Always", ancora una volta. Ma Rick avrebbe fatto tutto per lei, per loro, per riprendersi la loro vita e non avrebbe più permesso a niente e nessuno di separarli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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Lanie aveva insistito per riaccompagnarla a casa, ma Kate si fece lasciare vicino al distretto. Voleva camminare un po', poi avrebbe preso un taxi.
Erano rimaste in silenzio dopo quella discussione. Si erano parlate ancora solo per decidere chi avrebbe pagato (alla fine la spuntò Lanie) e per dove Kate voleva essere lasciata. Non una parola in più e, se per Kate il silenzio era normale, lo era molto meno per la sua amica. Lanie però aveva finito le parole, non sapeva proprio più cosa dire per smuoverla, perché Kate era diventata granitica, ancora di più di quando avevano cominciato a parlare. Sembrava che più esprimeva ad alta voce concetti e pensieri, più questi le facessero prendere forza e cementassero le sue decisioni. Doveva essere il contrario, secondo Lanie, ma Beckett più dubbi aveva, più rinsaldava le sue convinzioni per non essere smossa.

Kate si era resa conto che c’era stato un momento preciso in cui aveva smesso di voler ricordare ed era quando si era innamorata veramente, profondamente, di Castle. 
Non aveva capito quanto realmente lo amasse fino a quella mattina, da Lanie. A terra durante la sua crisi di panico, voleva lui, lo voleva con tutte le sue forze, perché sapeva che Castle l’avrebbe aiutata, sollevata, alleviato il suo dolore. Poi era riuscita in quello che non credeva possibile. Riuscire a riprendere possesso di se anche da sola, senza di lui, ma quando il respiro era tornato regolare e il cuore batteva più lentamente, il suo bisogno di lui non era diminuito, non si era attutito il senso di mancanza ed il vuoto della sua non presenza.
Quella mattina si era accorta, nel momento in cui non aveva più bisogno di lui in senso pratico, che invece ne aveva ancora di più perché lo amava. Era semplice in fondo. Lo amava. Se lo era negato per settimane, ma era così.
Le riveniva in mente quella frase fatta per riempire i diari adolescenziali “Non ti amo perché ho bisogno di te ma ho bisogno di te perché ti amo.” e pensò, in quel momento, di essere veramente in regressione verso la sua adolescenza e si rivedeva totalmente in quella frase. Aveva capito che quel sentimento che provava per Castle non era amore nato dal bisogno, ma era il bisogno fortissimo di lui che nasceva dall’amore. Lui c’era sempre stato per lei, per tutto. Si era fatto carico dei suoi problemi, delle sue crisi con una soluzione a tutto e questo l’aveva fatta andare nel panico e non capire il confine delle cose. Ma oggi non c’era e per la prima volta aveva dovuto camminare da sola e, passo dopo passo, aveva capito che lo poteva fare, ce la poteva fare da sola, perché era forte. Ma voleva che lui le fosse vicino, perché con lui era meglio, non era necessario che ci fosse, ma era dannatamente meglio quando lui era con lei. Avrebbe superato con la stessa forza di volontà tutte le altre crisi che di sicuro sarebbero arrivare, ma farlo nel calore del suo abbraccio, con i loro respiri sincronizzati e la sua voce che le ripeteva che sarebbe andato tutto bene, non era l’unico modo per stare bene, ma era sicuramente il migliore che conosceva.
Aveva capito, in quelle notti da sola, quanto la sua presenza le fosse necessaria per dormire bene: non perchè era straordinariamente comodo dormire su di lui, avvolta dalle sue braccia, ma perché il ritmo del suo cuore che batteva era diventato un balsamo calmante per il suo animo inquieto, i movimenti del suo torace erano una dolce culla ed il suo respiro tra i capelli un soffio di vita che la faceva sentire viva a sua volta.
Nel non riuscire a parlargli al telefono le era chiaro come non potesse fare a meno del contatto fisico e visivo con lui. La sua voce era suadente e irresistibile, ma lei aveva bisogno di vedere i suoi occhi quando le parlava, di sentire la sua pelle sotto le sue mani, di prendere le mani di Castle e tenerle. Strette. Sempre. Si scoprì fisica come non lo era mai stata. Non come rapporti intimi, ma proprio come bisogno della sua fisicità e del contatto, quella che era una caratteristica propria di Castle da sempre: ora valeva anche per lei. Lo doveva sentire fisicamente, non per telefono. Allora aveva preferito i messaggi. Per non struggersi sentendo la sua voce e non potendogli esprimere fisicamente quello che non riusciva a comunicargli con le parole che erano ancora troppo difficili da pronunciare.

Pensò a quante volte aveva detto “Ti Amo” nella sua vita, quante ne ricordasse.
Si ricordava di Luke, quel ragazzino del college, la sua prima cotta e quel “Ti Amo” adolescenziale pieno di tutte le speranze del mondo, come solo l’amore a 16 anni può essere, o quello che si immagina sia amore, ma erano parole troppo grandi per quell’età. Poi c’era stato Will, sì, a lui lo aveva detto e forse era la prima volta che sentiva che quelle parole potessero avere un senso, almeno fino a quel momento. 
Ma non era una che lo diceva spesso, lo faceva raramente, era più un tipo da “Anche io”, era meno impegnativo. Non ricordava di averlo detto ad altre sue fiamme per lei quelle due parole nel corso del tempo avevano assunto un senso importante che non doveva essere svenduto, non erano parole da dire solo presi dalla foga dell’amplesso a che frequentava per qualche tempo. Ti amo erano una promessa ed un impegno e lei non aveva mai voluto promettere nulla a nessuno dopo Will e nemmeno impegnarsi perché tutto questo richiedeva sacrificio e dedizione e lei non era sicura di volerli dare a nessuno se non al suo lavoro. Sapeva che aveva scelto spesso di buttarsi in relazioni vuote solo per calmare per un certo tempo un senso di vuoto che umanamente sentiva, ma poi, inesorabilmente si stancava perchè sapeva che non era quello che voleva, ma non sapeva nemmeno volere di più. 
Forse lo aveva detto a quel Josh ma certo non poteva andare a chiederglielo anche se l’idea le balenò in testa, in uno dei suoi attimi di irrazionale follia. 
“Ti Amo” erano parole importanti, non da svendere. Implicavano qualcosa di profondo e un impegno ad amare, che era molto più difficile che innamorarsi. Dopo Will si era ripromessa che “Ti Amo” lo avrebbe riservato solo per una persona veramente importante, una per la quale valeva la pena impegnarsi e sacrificarsi per costruire insieme qualcosa di importante. Castle aveva capito che poteva essere tutto questo.

Non si ricordava quel sentimento che tutti dicevano che lei provasse per lui, ma sapeva quello che stava provando in quel momento, quello che era diventato lui per lei e non voleva che i ricordi lo cambiassero o lo cancellassero. E se fosse stato qualcosa di diverso? Di meno forte? Di meno importante? Se avesse ricordato qualcosa che cambiava la sua percezione, le facesse venire dei dubbi? In fondo glielo aveva detto lui che erano stati separati per un po’ di tempo per scelta di lei e ricordava anche cosa si erano detti ed era stato terribile. Cosa c’era veramente dietro a quella scelta della quale non si era confidata con nessuno, tenendo le sue motivazioni come un segreto da cui dipendevano le sorti del mondo? Era vero che se ne era andata solo per proteggerlo o c’era dell’altro? Valeva la pena rovinare quello che aveva raggiunto per qualcosa che non sapeva cosa fosse? E se avesse scoperto che prima non lo amava tanto quanto lo amava adesso? Non aveva mai provato per nessuno un sentimento così forte, non credeva potesse esistere qualcosa di più intenso, non qualcosa che era in grado di provare lei, visto che le sembrava di aver già riempito ogni sua sacca emotiva e che più di così non fosse umanamente possibile.

Era stata catapultata nel suo mondo in così poco tempo, si era vista inizialmente quasi costretta a condividere con lui la sua vita ma era diventata una costrizione che era svanita presto, troppo presto per i suoi standard. Non si era mai lasciata andare così con qualcuno e non dal punto di vista fisico, non era quello il problema. Fosse stato solo sesso non sarebbe stato grave. Sarebbe stato umano, la normale attrazione tra un uomo e una donna. Ma lei lo sapeva, non era mai stato solo quello, come Castle disperatamente voleva sapere dall’inizio. Non lo era mai stato. Aveva provato a staccare la spina emotiva e lasciar comandare solo i sensi ed il desiderio carnale, a pensare di volerlo solamente per un bisogno fisico e tutto quello che aveva ottenuto era stato arrivare sul punto di dirgli che lo amava, a lui prima che a se stessa ed era scappata facendo del male ad entrambi. Quella notte li aveva scossi profondamente, aveva rotto quel precario equilibrio creato, li aveva poi uniti nelle fragilità ma resi sempre più insicuri era stata un freno al loro volersi per paura di farsi male. Pensò al bisogno di Rick di sentirsi amato e alla sua paura di amarlo per poi trovarsi sola a quanto si era inutilmente voluta imporre di non farlo, perchè da subito si era resa conto di come perdere lui potesse essere devastante per lei se avesse ammesso che era di più, che loro erano qualcosa in più. Pensò a tutte le volte che era stato lui a dirle “Ti Amo” e glielo aveva detto in tutti i modi che un uomo può amare: dolce, disperato, rabbioso, passionale, sussurrandolo sulle sue labbra mentre le divorava, al suo orecchio mentre le baciava il collo, urlandolo durante le loro discussioni, in un gemito quando veniva colto dagli spasmi dell’orgasmo e si riversava in lei, come una carezza quando la stringeva tra le braccia e lei si sentiva nel luogo più sicuro del mondo.
A lui sarebbe bastato sentirlo una sola volta, ma per egoismo e paura non glielo aveva mai concesso, ed ora sentiva il cuore esplodere dalla voglia di dirglielo.

Camminava sorridendo inebetita, non si era accorta di quanto avesse camminato fino a quando non sentì le gambe veramente stanche e si rese conto che le facevano anche male le guance per aver evidentemente sorriso per tutto quel tempo. Si sentiva il cuore leggero, più leggero di quanto ricordasse di aver mai avuto. Era innamorata. Stupidamente innamorata e si sentiva libera di poterlo dire per prima cosa a se stessa.
Era davanti alla vetrina di una caffetteria, guardò con curiosità all’interno e non resistette dall’accomodarsi anche lei ad uno di quei piccoli tavolini rotondi su una comoda poltroncina tondeggiante in stile art decò. Il locale era una divertente accozzaglia di stili di arredamento diversi che, però, sembravano scelti e selezionati con estrema cura ed ogni cosa sembrava perfettamente al suo posto anche se totalmente differente dal precedente. Un paravento giapponese era vicino alla parete con un grande specchio liberty, notava ora come nel locale poltrone e tavoli erano diversi ad ogni angolo e delle stampe vintage di inizio novecento erano vicino a riproduzioni di Lichtestein e Warhol e poco più in là riconosceva opere dal tocco inconfondibile di Klimt e Hayez. Era tutto confusamente divertente e lo trovava perfetto per quel suo umore così cambiato in poco tempo. La delusione e lo sconforto provato alla fine del pranzo con Lanie erano completamente scomparse lasciando il posto alla sua nuova consapevolezza. 
Ordinò un gelato al cioccolato con panna ed un caffellatte alla vaniglia, decaffeinato si ricordò di dire all’ultimo facendo sorridere il ragazzo. Per far contenta la sua bimba, si disse come scusa, sorridendo ancora per la propria bugia infantile. Di fatto faticava a smettere di sorridere.
Pensò che doveva scusarsi con l’amica per come si era comportata e ringraziarla per averle fatto capire cosa doveva fare e riuscire a farglielo ammettere. Aveva voglia di andare avanti, voltare pagina, pensare al futuro non al passato che non voleva condizionasse più le sue scelte. Amava Castle. Non le importava se lo avesse lasciato e perché. Le bastava che lui amasse lei e sarebbero stati felici con la loro bambina. Si rilassò su quella poltroncina aspettando il suo ordine e quando mise in bocca un cucchiaio del cremoso gelato sentì i suoi sensi risvegliati dalle endorfine rilasciate dal proprio organismo e un senso di beatitudine pervaderla. Si accarezzò il ventre per condividere quella gioia con la sua bimba ed era sicura di non essersi immaginata di averla sentita di nuovo, come tante bolle di sapone che la solleticavano all’interno. Ne era sicura, era il suo modo di dirle che approvava la sua decisione e ricordarle che qualunque cosa fosse accaduta lei ci sarebbe stata sempre. Ma Per Kate quel giorno nulla poteva essere negativo. 

 

Press il telefono compose quel primo numero della sua rubrica e lo fece squillare a lungo, più di quanto era suo solito fare quando chiamava qualcuno.
- Castle… - sussurrò il suo nome quando lo sentì rispondere ed aveva perso la speranza che lo facesse.
- Beckett! Ciao… è successo qualcosa? - Lo stupore nella voce di Rick fu pari solo alla malinconia in quella di Kate che non gli sfuggì
- Volevo solo sentirti. - Kate lo sentì allontanare il telefono e parlottare - Scusami se ti ho disturbato, se sei impegnato…
- No, no mai per te. Tutto bene?
- Volevo solo sentirti. Mi manchi… - Lo ripeté per fargli capire quanto fosse solo quello il motivo. Solo la voglia di sentire la sua voce.
- Stai bene… state bene?
- Sì, stiamo bene… 
Erano di nuovo in quella fase di imbarazzo in cui non sapevano cosa dirsi. A Rick questa situazione metteva ancor più a disagio ricordando le infinite telefonate con Kate quando era fuori per lavoro o quando lei era a Washington e riuscivano a trovare dei momenti solo per loro tra gli impegni lavorativi e stavano anche ore a parlarsi senza in realtà dirsi nulla di importante ma senza riuscire ad attaccare perché voleva dire interrompere il loro collegamento e si ritrovavano a parlare di ogni argomento assurdo solo per sentire la loro voce, con Castle che inventava storie e teorie assurde anche su un tizio visto in metropolitana per aver qualcosa da raccontare e sentire la sua risata. Ora no, dopo poche scambi per lo più di convenevoli erano già caduti in quel silenzio carico di parole non dette, in cui nessuno dei due voleva, comunque, cedere per primo e rompere la conversazione.
- Non vedo l’ora di tornare Kate, veramente, ma ora devo…
- Devi andare, certo.
- Già… ho un’intervista che mi aspetta.
- Non farli aspettare allora. Ci sentiamo.
- Ci sentiamo Kate… 

Non era riuscita a dirglielo al telefono. Non le sembrava giusto, nè per lui e nemmeno per lei. Meritava sentirlo in un altro contesto e lei voleva guardare i suoi occhi mentre glielo diceva, voleva vedere quel blu brillare come l’oceano colpito dai raggi del sole estivo. 
Voleva dirgli tutto. Quello che aveva deciso e quello che voleva per il loro futuro. Il loro futuro. Loro.

   
 
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