Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: cartacciabianca    25/04/2009    4 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nessuna pietà






Corsero a perdifiato nei corridoi, svoltarono su per scale, in altre stanze e si gettarono giù per delle colonne.
-Sapete dove stiamo andando?!- domandò Elena, mentre la sua mano era ancora intrecciata a quella del suo maestro che la tirava dietro di sé.
-No!- fu la risposta di Altair che si guardava attorno col fiato corto.
-Eccoli!- udirono alle loro spalle, e fu la rovina.
-Di qua, presto!- Altair la trascinò in una stanza e si chiuse la porta alle spalle, girando la chiave nella serratura. –Dalla finestra!- indicò l’apertura che affacciava su un grande cortile interno. I vetri erano aperti, ed Elena scavalcò la piccola terrazza aggrappandosi al cornicione. Altair le fu affianco e la guidò verso il basso, raggiungendo la camera del piano inferiore.
-Perché scendiamo?- chiese lei col cuore che le batteva a mille, i muscoli scattanti che rispondevano ad ogni suo comando. Non si era mai sentita così viva, agile e forte!
-Dobbiamo raggiungere la Sala dell’Incoronazione, no?!- strillò lui gettandosi nel vuoto e atterrando su un balcone più in basso. Quando Elena fece lo stesso, egli l’afferrò al volo in braccio e l’adagiò al suo fianco.
-Sì, ma!!!…-.
-Sono a tiro, prendeteli!- gli arcieri sull’alto del tetto gli puntarono contro, e una pioggia di frecce cadde nella loro direzione.
-Non potevamo contare sul fatto che Rauf si fosse occupato degli arcieri!- gemé Elena seguendo Altair di corsa sul tetto. Una volta al bordo della costruzione, i due assassini si affacciarono di sotto. Perché i carri di fieno non erano mai nel posto giusto al momento giusto?! Imprecò la ragazza.
-Avanti, vieni!- Altair tornò a stringerle il polso e intrapresero un’altra direzione.
Il tratto di tetto che percorrevano era quello adornato di cupole e torri del Palazzo Reale, così ebbero modo di evitare gran parte delle frecce che si frantumavano in pezzetti a pochi passi dalle loro gambe.
Si nascosero abbracciati dietro una costruzione quadrata e attesero il tempo necessario per riprendere fiato.
-Ci sei?- le chiese lui.
Elena, che aveva una guancia poggiata sul suo petto che si alzava e si abbassava agitato, annuì. –Io sì- disse solo.
L’assassino si sporse fuori dal loro nascondiglio dando un’occhiata in giro. –Non ho idea di dove sia la Sala…- borbottò nervoso.
-Se mi aveste lasciato finire di studiare quelle carte, forse io!…- Altair le bloccò le parole in gola poggiandole una mano sulla bocca.
-Sssh!- le sussurrò. –Strilla di meno, che forse siamo sfuggiti alla loro attenzione. Magari penseranno che abbiamo rinunciato- le sorrise.
-O magari aspettano che usciamo allo scoperto!- digrignò lei.
-Quanto siamo pessimiste, eh?-.
-E voi anche troppo tranquillo! Maestro, Corrado non…-.
-Andiamo, via libera…- la tirò con sé fuori dal loro riparo e si calarono lentamente giù dal tetto appendendosi a cornicioni di finestre, tarsi nella roccia, pietre e pendagli vari della pietra lavorata e candida del palazzo. Giunsero in prossimità di un’ampia terrazza e atterrarono rumorosamente su di essa.
Ancora piegati entrambi sulle ginocchia, ascoltarono un grido di donna, e subito dopo quello più acuto di una bambina.
Quando sollevarono lo sguardo, si accorsero che Isabella e sua figlia Maria, genita di Corrado, li guardavano in un modo terrorizzato. Ella, la prossima Regina di Gerusalemme, indossava un lungo vestito turchino ricamato d’oro e, assieme al velo che però teneva abbassato sulle spalle, portava sulla testa una sfarzosa corona d’argento. La piccola che si era avvinghiata alle gambe della madre mostrava poco più di sei o sette anni, al massimo una decina. Gli occhini dilatati e impauriti da cerbiatto erano quelli di suo padre, mentre i capelli, di un biondo color camomilla, erano tutti della madre.
-Assassini…- sibilarono le labbra carnose della donna.
Altair fece un passo nella stanza e sguainò la lama corta. –Tacete, astenetevi dal gridare, e la vita vi…-.
-No!- Elena balzò nella stanza e si posizionò di fronte al suo maestro. –Rinfodera quell’arma, stupido! Non vedi che l’hai terrorizzata?!- gli rinfacciò, e Altair inarcò un sopracciglio.
-Elena, non abbiamo tempo per…-.
La ragazza gli diede le spalle e s’inchinò ad entrambe le due damigelle con estremo rispetto. –Maestà, il mio maestro è delle volte… turbato da sé stesso- convenne sorridente.
Isabella indietreggiò portando con sé sua figlia. –Siete qui per mio marito, è così?- domandò ella in un sussurro. –In quali guai si è cacciato questa volta? L’avevo avvertito di lasciar stare la Fratellanza! È per questo che siete qui? O siamo noi che cercate?- si chinò all’altezza della bambina sollevandola in braccio. La piccola Maria si strinse amorevolmente al collo della madre e mormorò con vocina flebile: -Maman… Qui sont-ils?-.
C’era il terrore negli occhi arrossati della piccola Maria, ed Elena si sentì un mostro come se dal nulla qualcuno le avesse dato la licenza di quello che era: un assassino. Reietto a caccia di sangue.
-Non vi faremo del male, ma dovete lasciarci passare, senza allertare le guardie- intervenne Altair, ed Elena gli diede una gomitata.
-Rinfoderate l’arma!- digrignò la Dea.
Alla sola vista della lama che Altair aveva in mano, Maria si stringeva con più forza e vigore al collo della mamma.
L’assassino ricacciò la spada corta nel fodero e si guardò attorno circospetto. –Fa’ in fretta!- le mormorò all’orecchio. –Se vuoi avere tatto con questa gente, fai in fretta!- aggiunse.
Elena annuì. –Maestà, voi siete con o contro l’operato di vostro marito?- domandò schietta, rigida.
-Fate a Corrado ciò che volete- fece scocciata la donna. –Ma vi prego, lasciateci andare. Non fate del male alla mia bambina- le baciò una guancia.
-No, ma dovete indicarci la strada più breve per la sala dell’Incoronazione- insisté la Dea.
-Mi stavo giusto dirigendo lì, ma non posso garantirvi che se le guardie vi vedranno con me, non oseranno…- cominciò lei, ma Altair s’intromise.
-Non c’è bisogno che ci scortiate- fece duro. –Dateci solo le indicazioni, e cercate di non essere lì quando entreremo in azione- l’ammonì truce.
Isabella fece scendere la bambina dalle sue braccia e strinse la piccola manina nella sua. –Per di là, dietro quella porta, vi è un corridoio, ed infondo c’è una scala - indicò i battenti schiusi vicino a quelli dell’ingresso principale della stanza. –Vi condurrà sani e salvi fino al podio dell’Incoronazione, sul quale saremmo dovute salire io e la mia piccina- mormorò preoccupata avvicinando la bambina al suo fianco.
-Perché ritenete che Corrado…- proferì la ragazza, che venne bruscamente interrotta da una presa salda sul suo polso.
-Non c’è tempo, Elena!- gridò Altair spingendola nella direzione che aveva indicato Isabella. Varcarono l’uscio, ed un istante dopo che furono avvolti dal buio del corridoio, nella stanza che avevano appena lasciato si udì lo sbattere di una porta.
-Maestà, state bene?!- domandò una guardia mentre il suo drappello di uomini faceva irruzione nella camera.
Isabella annuì. –Ovvio, perché non dovrei?-.
-Gli assassini del padre di vostro marito si aggirano per il Palazzo e tenteranno di assassinare il vostro promesso! Li abbiamo visti entrare da quella finestra!-.
Isabella si strinse nelle spalle riprendendo in braccio la sua bambina. La futura Regina sedette su uno sgabello di fronte allo specchio da tavolo e prese a pettinare i capelli di Maria. –Di qui non è passato nessuno. Ora, se potete scusarmi. Dobbiamo prepararci alla cerimonia- scoccò affettuosamente un bacio sulla guancia arrossata della bimba.
Maria si voltò ad osservare i cavalieri che ricevevano congedo e lasciavano la stanza, ma prima che l’ultimo di loro potesse varcare quella soglia, la bimba gridò:
-Sono andati di lì! Vogliono ammazzare papà!- indicò il portone che conduceva alla sala.
-Marie!- Isabella la strinse a sé con violenza.
-Presto, di qua!- il generale crociato chiamò a rapporto i suoi uomini e si gettarono all’inseguimento nel corridoio.
-Marie, pur-quoi?- domandò la donna dandole un piccolo schiaffo.
-Papà…- mormorò la bambina scendendo dalle ginocchia della madre e avviandosi di corsa verso i battenti schiusi.
-No, Maria!- la sgridò Isabella strattonandola. –Papà è un uomo cattivo- si chinò alla sua altezza per abbracciarla.
-No, no… loro sono cattivi!- ribadì la bimba graffiando le spalle della donna con le unghie.

-Eccoli, li vedo!-.
Una freccia partì inaspettata, il fruscio giunse lieve alle sue orecchie, ed Elena non ebbe il tempo di realizzare cosa stesse accadendo.
-Dannazione!- Altair la tirò a sé avvolgendola tra le sue braccia, riparandola dal dardo che andò a perforare di striscio la manica della veste all’altezza della spalla. Il dardo scivolò poi al suolo privo perdendosi tra le ombre.
All’assassino sfuggì uno straziante lamento di dolore, seguito dal rumore di passi in corsa dei soldati.
Ripresero a fuggire, e nel mentre puntavano diritti verso la meta ignota di quel corridoio senza fine, Altair si tastò il punto leso riconoscendo al tatto il taglio profondo della lama della freccia che aveva lesionato la pelle fortunatamente in superficie. Ma il taglio pulsava terribilmente e in modo anomalo.
Il suo maestro rallentò il passo d’un tratto, come strafatto dalla quasi assenza di energie. Spossato, si posò alla parete con una mano fermandosi del tutto.
La ragazza, che aveva corso per qualche altro metro avanti, si voltò e tornò indietro.
-Scordatevelo! Non vi lascio qua!-.
Elena gli cinse un fianco aiutandolo a camminare e per un breve tratto Altair si lasciò soccorrere, incombendo su di lei una minima parte del suo peso.
-Sono vicinissimi, stanno sfuggendo dietro l’angolo! Prendeteli, Cristo!-.
Gli scagliarono addosso altre frecce, ma i due svoltarono rapidi imboccando un corridoio differente.
Raggiunsero una piccola sala poco spaziosa e si nascosero nella penombra di un arazzo.
Fuori dalle finestre era quasi pienamente giorno. Il cielo spumeggiante del suo azzurro perfetto e ogni stella cancellata completamente. Restava solo la luna, bianca come fosse una nuvola dalla forma perfetta.
Celati nell’ombra, l’assassina strinse le braccia attorno al busto del suo maestro così da sorreggerne il peso che andava aumentare. Altair si appoggiò pienamente a lei affondando il volto nell’incavo del suo collo. Il respiro affannato della ragazza s’infrangeva sulla sua pelle leggermente imperlata di sudore, mentre Altair l’attanagliava in un abbraccio disperato, imprecando a denti stretti.
Egli teneva la bocca aperta e la mascella serrata, concentrato nel tentativo di regolarizzare il battito accelerato del cuore.
-State bene?- domandò la sua allieva in un sussurro, e con un’occhiata fugace scorse il taglio rossastro già infetto sulla spalla dell’uomo.
Altair non rispose. Eventuale cenno che quello non fosse il momento migliore per discuterne.
-Dove sono andati?- s’interrogò una guardia.
-Proviamo di qua!-.
-No, eccoli! Vedo un’ombra!- ruggì un altro.
Altair la strinse con più forza a sé, quasi con rabbia, e il suo respiro irregolare e instabile mischiato al sudore che gli traversava la fronte, erano chiari segni di ciò che meno avrebbe sperato.
-No! Siete stato…- Altair le poggiò una mano sulla bocca, facendola tacere.
Il gruppo di guardie li oltrepassò guardandosi attorno circospetti.
-Saranno andati più avanti!- disse uno.
-Ma non andranno comunque molto lontano!- gioì un secondo. –Sono sicuro di averlo colpito, quel bastardo!-.
-Se è davvero come dici, lo troveremo steso a terra cinquanta passi in là!- ridacchiò la guardia, e le loro figure corazzate della cotta di maglia si persero nell’ombra dei corridoi.
-No, no!- gemé Elena quando percepì il corpo del suo maestro perdere improvvisamente vigore e accasciarsi su di lei. –No, vi prego! Ditemi che non era veleno, ditemelo!- lo abbracciò con foga, tentando di risollevarlo, ma Altair si lasciò scivolare giù con la schiena alla parete.
-Io… io temo di sì, Elena- mormorò interrotto da singhiozzi, e finalmente sedette a terra rilassando i muscoli contratti del corpo.
-No, vi prego…- una lacrima le passò sul volto mentre gli gettava le braccia al collo. –Non fatemi questo, non lasciatemi ora!- strillò.
-Elena!- la chiamò, e la ragazza si scostò violentemente.
Altair le sorrise accarezzandole la guancia e asciugandole quell’unica lacrima. –Non sto morendo, e non morirò se non dopo averti visto compiere ciò che devi-.
-Cosa?…- sibilò incredula.
-Stupida ragazzina. C’è una sacca, dietro alla mia cintura. Vi è una boccetta trasparente con del liquido biancastro. Prendila, spicciati!- le ordinò sereno, ma il tremore che aveva sulle mani tradiva quella sua allegria. Afferrò da una seconda sacchetta un liquido differente e più pastoso che applicò superficialmente al taglio.
-Va bene- tirò su col naso dandosi mille volte della stupida. Si allungò a cercare nella piccola sacchetta nera cucita alla cintura del suo maestro e vi trovò all’interno diverse fiale. Individuò quella giusta, la stappò coi denti.
-E adesso?- chiese confusa.
-Dammi qua- Altair gliela sfilò di mano e ne rovesciò il contenuto dritto in gola, tutto d’un sorso.
-Che cos’era?- domandò.
-Terrà buona l’avanzata del veleno finché non torneremo alla Dimora, ma sappi che ho i minuti contati-.
Elena gli cinse il fianco con un braccio aiutandolo ad alzarsi, ma Altair le prese il polso allontanandola da lui. –No. Devi lasciarmi qui- disse solo, in un sussurro. –Prima che l’antidoto faccia effetto, parte dei miei muscoli si addormenteranno-.
La ragazza, terrorizzata da quelle parole, non seppe che dire. –No! Non vi lascerò qui! Mai, voi verrete con me! Forza, posso farcela anche a portarvi in braccio, io…-.
-Elena, devi andare avanti senza di me!- ruggì serio. -So che puoi farcela, so che ce la farai, e sono certo che ci rivedremo…- le sorrise. –Io me la caverò, te lo prometto. Ma tu devi andare, o non raggiungerai Corrado in tempo prima…-.
Non gli lasciò aggiungere altro e  lo abbracciò con foga, travolta dalla disperazione. –Mentite, sapete bene che se vi lasciassi qui in balia delle guardie, non trovereste altro modo di fuggire! Non posso lasciarvi, non voglio abbandonarvi al vostro destino! Se morirò, sarà accanto a voi! E se sarete voi a morire, vorrò almeno aver combattuto per impedirlo!- singhiozzò.
-Che razza di testona- borbottò l’assassino con fare allegro. –Basta, prendilo come un mio ordine, non come una richiesta! Avanti, va’… troverai l’anticamera della Sala della Cerimonia più avanti- la scostò via da sé delicatamente, ed Elena fece per alzarsi quando, sull’ultimo, le sue lacrime parvero asciugarsi da sole, mentre il suo viso si abbassava all’altezza di quello del suo maestro per lasciargli un lungo bacio sulle labbra che sapevano di medicinale.
-Avete promesso- mormorò ella intrecciando la sua mano a quella di lui. –Avete promesso che ci rivedremo, l’avete promesso!- ribadì più seria.
-Non infrangerei per nulla al mondo questa promessa- proferì gioioso.
Elena si sollevò in piedi e mosse un passo verso la direzione da prendere, ma Altair la chiamò e la ragazza si volse, come se non stesse aspettando altro.
Il suo maestro la guardava con un immenso dispiacere, la schiena poggiata alla parete, un ginocchio tirato al petto e l’altro disteso. Parlò, ma quando lo fece la sorprese di un tono di voce tutto nuovo.
-Ormai è troppo tardi, non troverai Corrado nell’anticamera della Sala. Egli avrà già avuto tempo di ripassare il suo discorso cento volte, pertanto dovrai agire durante la Cerimonia. Ci saranno gli ospiti, ci saranno i cavalieri, ci saranno civili, donne, bambini e vecchi. Tu ignorerai tutte queste persone e raggiungerai il podio della Sala. Se tutto andrà come da me previsto, Corrado sarà lì a tenere il suo discorso prima di venire incoronato, ma quando ti vedrà non esiterà a richiamare all’appello ogni singolo crociato lì dentro. Le guardie ti accerchieranno, ma tu non combatterai loro. Ti ordino io di ignorarle e correre dritta dietro la tua unica preda. Perché devi sapere che nel vedere la sua morte prossima, Corrado fuggirà e sarà allora che, troppo lento, tu lo ammazzerai. Focalizza ogni tuo briciolo di concentrazione su di lui e la sua fuga, e nulla andrà storto. Ora va’-.
-Maestro- ella chinò il capo, facendo tesoro di quell’ordine. Indietreggiò ancora, finché non si voltò e cominciò a correre perdendosi nel buio del corridoio, lasciandosi alle spalle il suo maestro che, osservandola con un sorriso soddisfatto in volto, restò immobile dov’era.

Traversò una saletta angusta ornata di cuscini e qualche divano e fece per gettarsi nel corridoio subito dopo, quando un colpo improvviso infertole all’altezza del costato la spiazzò a terra piegata dal dolore.
Si diffuse una risatina acuta per tutta la stanza, e Minha saltò giù dal cornicione della porta atterrando leggera sul pavimento, ancora avvolta da quella tenebrosa mantella nera che metteva in risalto i boccoli rossi e gli occhi verdi, ora accesi di un insolito ardore.
-Vai da qualche parte?- domandò la rossa.
Elena si tirò su a fatica, trascinandosi all’indietro e traballante sulle sue stesse ossa. –Perché, Minha?!- strillò. –Perché tradirci?! Lasciami andare, e metterò una buona parola con Tharidl per…-.
La donna arrestò la sua risata isterica e si mise a braccia conserte. –Pensi che me ne importi qualcosa di quel vecchiaccio? Lui mi ha rovinato la vita! Corrado me ne ha offerta una nuova e bellissima!- gioì mostrando la dentatura bianca e perfetta.
-Cosa ti ha promesso in cambio dei tuoi servigi, sentiamo!- ruggì Elena portando lesta una mano alla spada corta. –I suoi uomini hanno ammazzato Asaf senza alcun ripugno! Senza nessuna pietà! Ti sei schierata dalla parte sbagliata, stupida!- le rinfacciò.
Minha, profondamente irritata da tali affermazioni, scattò in avanti e le afferrò il polso girandoglielo con violenza.
Elena perse la presa sulla sua arma che cozzò al suolo, mentre la rossa dai capelli di fiamma le contorceva il braccio dietro la schiena immobilizzandola e facendola inginocchiare. –Tu dai della stupida a me?!- digrignò. –L’unica scema qui sei tu, ragazzina! Quello che fanno gli assassini è sbagliato, quello che facevo come Dea è sbagliato, quello che la setta persegue è più sbagliato ancora! Vuoi sapere cosa mi spinge a fare tutto questo? Benissimo, prima di spargere il tuo sangue su questo pavimento, voglio che tu sappia una cosa! I Poteri del Frutto sono illimitati, Elena! Sì, Corrado mi promise che Asaf sarebbe tornato tra le mie braccia! Ed è così, mia cara Elena! Chiedi a chiunque dei tuoi compagnucci di andare a scavare nella sua fossa, e non lo troveranno mai! Perché lui è qui, al mio fianco!-.
-Io non lo vedo…- blaterò la ragazza.
Minha irrobustì la presa e dalle labbra di Elena fuoriuscì un sibilo di dolore. –Non è qui perché ora veglia sul Frutto e su tuo padre ad Acri! Ah, ecco un’altra interessante novità! Tuo padre è vivo, Elena, ma dopo questo scherzetto, non credo che Corrado sarà più tanto clemente con lui!-.
-Perché non l’ammazzò a suo tempo, quando tentò di corrompermi?!- domandò Elena confusa e spaurita.
-Fu tuo padre ad indirizzare le mie ricerche sui testi che servivano a Corrado. Non solo dalle vostre biblioteche trassi le Cronache dell’assassino di suo padre, ma Kalel mi diede utili informazioni su dove trovare le pergamene che narravano dei Frutti! Fu egli stesso, Kalel, una volta che portai ad Acri quegli scritti, a decifrare gli enigmi in esso e ad indirizzare gli uomini di Corrado in Egitto! Casualità, lì trovarono ad attenderli anche tuo fratello Gabriel e l’altro Falco, se non erro! Ecco che il Potere del mio Signore cresce a dismisura! Con un Tesoro dei Templari per mano e la Corona di Gerusalemme sulla sua testa, Corrado governerà questo Regno e il mondo intero, ed io, non tu, avrò l’onore di assistere alla Rinascita di una Nuova Era!- la sua voce acuta si gonfiò di fierezza.
-Parli come loro! Come i Templari!- sbraitò la Dea.
-Dopotutto- Minha si chinò alla sua altezza. –Sono una di loro- le sibilò all’orecchio, pungente come una serpe. –E ora, muori- ridacchiò la rossa estraendo un pugnale che aveva alla cintura.
Elena serrò la mascella e irrobustì i muscoli. Con uno scatto rapido e fulmineo, sbilanciò in avanti il suo peso facendo inciampare Minha su di lei, e la donna si rovesciò al suolo nel clangore delle armi.
Elena sfuggì alla sua presa e si alzò estraendo la spada lunga dal fodero. –Combatti, se ne sei ancora in grado!- strillò ferocie.
-Mi hai stufato, bimba!- Minha si alzò con un balzo ed estrasse due lame corte da dei foderi nascosti sulla schiena.
La Dea rabbrividì. Non aveva mai contrattaccato un avversario che avesse simili armi, e Minha non esitò con l’anticipare ogni sua mossa.
La rossa la fece indietreggiare con piccoli e ben diretti colpi bassi che Elena parava con difficoltà. La sua spada corta era scivolata al suolo poco distante e le pareva l’arma adatta per contrastare i fendenti di Minha che, abile, padroneggiava i suoi movimenti con la solita grazia ed estrema agilità dedite ad una Dea.
La ragazza si piegò sulle ginocchia e balzò in avanti penetrando la sua guardia, e Minha, colta in contro piede, lasciò la presa su una delle due lame che si conficcò nel centro di un arazzo.
-Risparmierò al mio signore di vedere lo scempio delle tue carni! Morirai in questa sala, preparati!-  Minha le scagliò contro la sua seconda lama, ma Elena la deviò posizionando obliqua la spada e il contatto fu breve e un’esplosione di scintille.
Minha, a corto di armi, si avventò su di lei con una ruota così da confonderla, ed Elena ricevette una ginocchiata ben assestata all’altezza del ventre.
La Dea tenne a stento l’equilibrio e Minha, in un perfetto baricentro, la colpì ancora e ancora in una serie di giravolte che si concludevano con un dolore immenso ad una qualsiasi ed inaspettata parte del corpo.
Ma quella volta aveva la dote necessaria per contrastarla, e non poteva permettersi altro tempo o addio Corrado! Doveva agire, alla svelta, scattante, immaginando di essere vittima di uno degli spietati addestramenti che aveva passato con Leila. E la cosa funzionò.
Nel bel mezzo di una ruota, Elena afferrò la caviglia della donna disarcionandola, e Minha si ribaltò al suolo. Quando si alzò scattante, le fu di nuovo addosso, ma Elena schivò il pugno e andò a colpo sicuro con una testata.
Minha indietreggiò traballante, ma dopo poco si riebbe piegandosi sulle ginocchia e le fece lo sgambetto, così da farla inciampare a terra.
Elena rotolò di lato ed evitò il pugno poderoso dritto allo stomaco, strinse il braccio magro della donna e la tirò al suo fianco. Le due si ribaltarono più volte, con l’una le mani strette ai gomiti dell’altra pur di avere la meglio. Sembrava di assistere ad un incontro di lotto libera senza esclusioni di colpi, e così fu.
Elena la colpì di nuovo, con una bella craniata che lasciò disorientata persino lei. Minha perse il senso dello spazio per alcuni istanti, e la Dea ne approfittò, capovolgendo i loro corpi e facendo scattare la lama nascosta nel suo polso.
Fu un attimo, un istante che però parve durare in eterno.
La lama penetrò nella sua gola, e Minha dilatò gli occhi perdendo lentamente colore nella pelle. Le labbra schiuse e arrossate dalle quali non proveniva altro suono se non il gorgoglio del sangue che le saliva lungo la carotide tranciata.
Fu uno spettacolo orribile quando un fiotto di liquido rosso le scivolò fuori dall’angolo della bocca, ed un istante dopo la presa della rossa sulle sue ossa, Elena l’avvertì affievolirsi fino ad annullarsi del tutto. I muscoli tesi le si rilassarono, distese gambe e braccia. Perse la vita.
Richiamò la lama nel guanto, ed essa rientrò nel suo fodero colorata di sangue.
Era morta, la traditrice e spia Minha era morta per mano sua, ma non aveva tempo per auto lodarsi.
Si sollevò dal gelido pavimento e allontanò la vista da quel corpo cadaverico, indietreggiando fino a toccare la parete di spalle. Improvvisamente ricordò il loro primo incontro. Era stata un’innocente svista nella mensa della fortezza. Si erano parlate, si erano sorrise, e vedere un’espressione… morta stampata sul volto fanciullesco e affascinante di quella donna le fece salire al cuore una moltitudine di pene.
Si disse che aveva ucciso un innocente. Si disse che aveva tradito uno dei principi della setta, perché quella donna era una totale sconosciuta incontrata per caso. Si diede della stupida, della sciocca, lottando contro sé stessa per quello che aveva fatto. Combattuta tra due estremità. Da una parte, vi era il sorriso di una donna che rivoleva solo stringere tra le sue braccia il suo amato Asaf, e che per ottenere i suoi scopi aveva trovato luogo in quelli di Corrado. Dall’altra, vi era la donna che le aveva reso la vita impossibile.
Ma che prezzo chiesero i suoi pensieri, le sue continue perdite di tempo? Semplice.
-Eccola!- gridò una voce, ed Elena scattò fulminea fuori da quella stanza.
-Ma dov’è l’altro?!-.
-Presto! Sta scappando!-.
La ragazza corse a perdifiato, giungendo in prossimità di una vasta gradinata. La salì tutta e raggiunse il secondo piano, controllato da una continua ronda di guardie a parte quelle che le erano ormai alle calcagna.
Si sentì afferrare per un braccio, trascinata nell’ombra del vasto corridoio che stava percorrendo. Per un attimo ebbe paura e chiuse gli occhi, battendo la testa contro quella che le parve una colonna a base tonda. Quando la presa insisté sul suo polso e la tirò via di corsa, Elena li riaprì di botto.
-Hani!- strillò inchiodando e strattonandolo di fronte a sé.
-Sssh!!!- sibilò lui guardandosi attorno. –Dobbiamo andarcene, e alla svelta! Questo posto sta brulicando di crociati! Dov’è Altair?!- domandò mentre stava per riavviarsi di corsa, ma Elena restò immobile dov’era.
-Ragazzina, avanti! Stupida, non vedi che cosa sta succedendo!? In questi casi si scappa! Si rimanda la missione ormai fallita!- sbraitò collerico e, in parte, terrorizzato.
-No, Hani- proruppe lei seria. –Io resto, tu va’ se vuoi- gli indicò il corridoio sfuggendo alla sua presa attorno al braccio. –Ma Corrado morirà oggi. Quel bastardo non camperà un secondo di più!- digrignò trattenendo a stento la rabbia.
-No, Elena! Allora sei davvero sciocca quanto credevo!- Hani tentò a vano di trascinarla con sé. –Elena, ti prego! Ti ammazzeranno! Ci ammazzeranno entrambi! Ti prego, Elena!- la implorò quasi piangendo.
La ragazza restò una statua. –Hani- disse più calma, sorridendogli. –Hani, guardami-.
Egli si voltò, lentamente. –Ti guardo, e sai cosa vedo? Un ragazza che merita di vivere oltre la fine di questa giornata!- alzò gli occhi al cielo. –Se restiamo ci ammazzano!- ribadì. –Guardati attorno! Guarda quante guardie!- strillò.
Elena gli andò incontro gettandosi ad abbracciarlo. –Non cercare di fermarmi, non ci riusciresti- ridacchiò la ragazza, ed Hani rimase imperterrito di quella manifestazione d’affetto. –Ma ti prego, se credi che sia tanto rischioso allora fuggi, perché mi saresti solo d’intralcio. Ma io non posso, capisci? Altair… - mormorò flebile percependo le braccia del ragazzo stringerla per i fianchi, così da ricambiare l’abbraccio. –Altair… lui si trova ancora qui e non so che fare! Ho paura, ma sento che l’unica cosa sensata cui posso dedicarmi ora è l’assassinio di Corrado- dichiarò fiera scostandosi da lui, muovendo un passo addietro verso la direzione dalla quale era venuta di corsa.
Hani levò il mento. –Dove si trova lui?- chiese.
-L’hanno avvelenato ed ha dovuto fermarsi…- cominciò la ragazza.
-Sì, sì! Conosco i rimedi ai veleni. Avanti, vieni con me-.
-Ho detto di no!- sibilò ella sfuggendo alla sua mano aperta.
-Sciocca- sospirò Hani. –Lascia almeno che ti scorti nella sala dell’Incoronazione. O vuoi arrivarci da sola giusto per fare la grande entrata trionfale?- la derise.
-Da dove hai preso tutto questo coraggio?-.
-Dalla nostra grande amicizia-.
Elena gli strinse la mano. –Di qua!- gli indicò la via e sgattaiolarono nel buio.

Era una sala enorme, luminosa, e i partecipanti la riempivano delle loro chiacchiere confuse. Le vetrate colorate delle navate filtravano raggi di luce azzurrognoli e rossastri, altri dorati. Vi erano tanti posti a sedere da ospitare l’intera Gerusalemme, e a presiedere su un trono sull’alto dell’altare vi era un uomo dallo sguardo fiero e il portamento retto. La veste gli era stata ricamata di dettagliati motivi dorati e argentati su uno sfondo celeste, mentre sulle spalle ospitava una lunga mantella rossa porpora. Egli era Corrado che ammirava il suo futuro popolo mentre dal fondo della sala, si apprestava a raggiungere il podio traversando la navata, un corteo di crociati e Templari, due dei quali affiancavano Isabella e la figlioletta Maria.
I presenti tacquero e si alzarono nel veder comparire la Regina, e subito dietro di ella vi era l’onorevole uomo di Chiesta che avrebbe reso alla Cristianità l’evento.
Corrado, seduto bello sul suo scranno, era contornato dei suoi generali più fidati e guardava tutti con estrema superbia.
Elena strinse i pugni portando il mignolo al meccanismo della lama nascosta.
-Ferma- le fece Hani. –Aspetta almeno che abbia indossato la corona! Quando le sue guardie s’inchineranno lasciandoti libero il passaggio- le suggerì.
Si trovavano su una delle terrazze interne che affacciavano sull’androne. Da lì avevano una vista sull’intera camerata centrale, e dove adesso vi erano appostati loro, un tempo vi era stato un arciere che ora riposava bello che morto ai loro piedi, con un braccio a penzoloni fuori dal parapetto.
-No!- digrignò la ragazza. –Non gli lascerò neppure la soddisfazione dell’oro tra i suoi capelli!- e detto quello, prese a scalare la parete che scendeva nell’ombra fino alla navata di destra.
-Ti copro le spalle- le sussurrò Hani guardandosi attorno. Sulle facciate del lato opposto della sala vi erano appostati altri arcieri, e il ragazzo gli eliminò con cura sfoderando i sufficienti coltellini da lancio. Fu un lavoro pulito, e quand’ebbe finito, riconobbe la sua amica nascosta tra un gruppo di monaci dalla veste bianca.
-Perfetto- disse Hani tra sé e sé sorridendo.

I monaci l’accompagnarono fino al centro perfetto della navata. I loro passi lenti, calmi traversavano la sala in direzione del palco ed Elena era perfettamente parte del silenzio che perseguivano. Aveva fatto sue le loro movenze e la loro neutralità. Poteva essere adocchiata senza venir riconosciuta, ed andava fiera di quel grande insegnamento che le aveva lasciato il suo maestro.
Corrado era in piedi dinnanzi alla moglie che teneva per mano la piccola Maria. Il sacerdote prese la Corona d’oro dal cuscino di velluto che teneva un suo caro e si avvicinò allo scranno del futuro Re.
-Corrado del Monferrato muore oggi come Proprietario delle terre di Acri, ma nasce come Re del Regno di Gerusalemme!- pronunciò con fierezza l’uomo di chiesa. Una moltitudine di antichi canti latini si levavano alle spalle dell’interessato. Vi era un coro di anziani vestiti di bianco e rosso che cantavano assorti e dediti le litanie antiche per benedire quel giorno Sacro.
Elena si staccò dal gruppo di monaci, che proseguirono oltre tra la folla, attirando su di lei l’attenzione della sua preda.
-Non è possibile…- sibilarono le labbra di Corrado mentre questo si apprestava a sfoderare la spada dal suo fianco. –Non mi avrai prima di essere diventato ciò che sono!- digrignò l’uomo.
Elena estrasse lesta un pugnale da lancio e arrestò le braccia di Corrado prima che questo potesse solo sfiorare con un dito la Corona d’oro stretta tra le mani del sacerdote.
Egli lasciò che il diadema si rovesciasse a terra e, spaventato, intraprese la fuga come la gran parte dei presenti.
Il suo piccolo pugnale penetrò nel polso di Corrado traforandogli la pelle e alcune delle vene. Sulla sua manica bianca comparve una grossa macchina purpurea. Il Sovrano gridò di dolore, nel frattempo che Isabella scortava la figlia con sé fuori da quell’Inferno che fu.
Chi non correva via terrorizzato erano i cavalieri che emersero dai posti a sedere e si fecero largo tra la calca a mo’ di spintoni e gomitate, mentre la folla scappava urlante verso le uscite.
Elena, ancor prima di estrarre un qualsiasi tipo di arma, si lanciò alla carica sulle scale e scostò con uno strattone chiunque si parasse dinnanzi a lei.
Una volta di fronte alla sua preda, premette l’innesco della lama e si avventò contro di lui, ma…
Corrado trasse la sua lama dal fodero e deviò il suo braccio colpendo le placche di metallo sul guanto. Elena si ritrasse, rotolò sulle scale e, quando si alzò, notò con stupore che le guardie la stavano accerchiando. Erano Crociati e no, i diversi ordini di cavalieri erano ospiti alla cerimonia e le ringhiavano contro da tutte le parti.
-Uccidetela!- e nel frattempo Corrado e la sua famiglia fuggirono via per una piccola porticina dietro l’altare.
Elena approfittò del caos e si mescolò alla folla, così da aggirare gli uomini che le venivano incontro con le spade sguainate. I loro volti eran celati dagli elmi come il suo era nascosto dal cappuccio. Pareva uno scontro alla pari se non fosse stato per l’incredibile inferiorità numerica che aveva la sua parte. Ben presto si trovò costretta al duello. Gli uomini di Corrado la strinsero con le spalle al muro nella navata di sinistra, ed ella tentò di scappare via più volte.
Le ultime parole del suo maestro le tuonavano nella testa. Le aveva chiesto, ordinato di non badare alle guardie, di inseguire Corrado se mai avesse intrapreso la fuga. E così avrebbe fatto, o meglio: aveva tentato di fare, ma pareva impossibile divincolarsi a quella situazione.
Se le grida della gente in corsa verso le uscite dalla cappella le fecero venire il mal di testa, Elena si trovò costretta a stringere i denti per via del suono delle campane che venne dal campanile della Chiesa. L’allarme stava suonando, la missione era ormai compromessa, quando una figura incappucciata si calò dal balcone del piano di sopra e atterrò con un balzo proprio davanti a lei.
-Hani!- strillò la ragazza provando a tirarlo indietro, ma egli si scagliò a tutta velocità sul primo dei cavalieri che gli capitò a tiro, intraprendendo un duello con la maggior parte degli uomini di Corrado.
Il suo amico le stava aprendo la strada, stava dando se stesso in quello scontro pur di farla arrivare a Corrado. Sbaragliava un crociato dopo l’altro, e la sua maestria in combattimento la lasciò sbigottita alcuni istanti.
-Va’, Elena! Ammazzalo!- sentì gridare, e ad Hani si affiancò un secondo assassino.
-Rauf?!- domandò ella sbigottita.
Rauf si volse e le fu affianco dopo aver scagliato un piccolo pugnale da lancio nel petto di un cavaliere. –Perdonami, perdonami! Voglio rimediare, ho sbagliato! Voglio un’ultima possibilità per riscattarmi! È stato stupido, sono uno stupido!- trafisse con la lama corta un uomo che tentò di avvicinarsi a loro e un istante dopo riprese la sua litania. –Sono stato uno stupido! Tharidl mi metterà una taglia sulla testa per cosa ho fatto! Ma ora voglio aiutarti, voglio aiutare te, Hani e il maestro Altair! Se sopravvivrò, ne riparleremo! Vattene, qui ci pensiamo noi! Ammazza quel bastardo anche per me!-.
Ancora incredulo, la ragazza scartò di lato scivolando via dalla parete della navata. Senza voltarsi, raggiunse il passaggio nascosto che avevano intrapreso Corrado e i suoi familiari per svignarsela dalla sala e varcò la soglia, trovandosi a correre per un buio corridoio di pietra grezza.
Al termine di esso, Elena si trovò a salire una scala a chiocciola che correva lungo il muro di una piccola torre, fino a raggiungere l’ingresso ad un immenso salone decorato di mobili pregiati e da vaste finestre. I vetri affacciavano sulla caotica Gerusalemme con la vista sul quartiere medio della città. Il suono delle campane entrava dai vetri spalancati e si diffondeva per il palazzo accompagnato alle grida di terrore dei paesani (che giungevan fin lì), assieme ad un venticello gelido insolito.
Elena si guardò attorno, quando i suoi occhi pieni di ardore e coraggio, intravidero una figura dal lungo mantello bruno che si spostava di corsa verso una prossima sala.
Era Corrado. Ella riconobbe il luccichio della sua armatura e l’imponenza della sua figura ora chinata dalla paura. Con egli non vi erano la moglie e la figlia, segno che probabilmente le avesse accompagnate in un luogo più sicuro.
Elena lo seguì, scivolando tra le ombre del corridoio e pedinandolo con passo svelto fino in una stanzina di sola pietra adornata di qualche affresco. Era un’angusta Cappella fatta di cemento e pietre, adornata di alcune panche e un unico lungo tappeto rosso che giungeva dinnanzi al Crocifisso alto sulla parete di fondo.
Corrado s’inginocchiò svelto di fronte al piccolo altare e giunse le mani. Vederlo costretto ad un qualcuno che era più superiore di lui, ovvero Dio, ad Elena parve strano, come stonante. Perché si era riturato in quel luogo? Come e dove aveva trovato tanta stupidità?
Ella gli si avvicinò, estraendo la spada. Nessuna pietà, alcun rimorso. Quell’uomo meritava la morte e la morte lo accoglieva a braccia aperte. Probabilmente egli si accorse del leggero fruscio della sua lama estratta dal fodero, ma non si voltò, giungendo invece le mani e intonando una litania. Quand’ebbe finito, il suo viso si sollevò di poco dal pavimento e le sue ginocchia lo alzarono in tutta la sua maestosità. Il mantello gli cadeva sulle spalle e il suo sguardo vagava sui decori di quella sala magnifica, semplice, e perfetta dove morire pensò Elena.
-Ti senti realizzata, ragazzina?- sospirò l’uomo.
Elena, interdetta, indietreggiò di un passo.
Corrado si volse, portando una mano all’elsa della spada che aveva al fianco. Il suo polso sinistro era fasciato di un bendaggio buttato alla svelta attorno alla carne, un tempo tagliata dalla mira infallibile della Dea.
-Ti senti soddisfatta di ciò che stai facendo?- riprese lui. -Sei contenta di questo? Hai rovinato tutto, e sappi che non lascerò nulla in sospeso. Ti affronterò, e sono certo che tutta questa messa in scena sarà stata inutile. Sarai tu a morire, sei stata tu a giocare col fuoco, e alla fine ti sei scottata! Non proverò alcun rimorso, non lo sto provando neppure ora. Mi sento come te, esattamente allo stesso modo! Siamo più simili di quanto credi, dopotutto… ogni essere umano è simile all’altro! Siamo sulla stessa barca, come si dice!- rise isterico. –Eppure, scordatelo di avermi così facilmente! Oggi, chi morirà in questa sala non sarò io! Ho combattuto per ottenere ciò che ho e per vedere crescere in me ciò che sono! Non abbandonerò tutto questo senza combattere! E in te brucia il mio stesso ardore… assassina…- digrignò traendo la lama dal fodero. –Questa spada ha spezzato le vite di molti di voi, quand’ero ancora generale al servizio di mio padre! Ma la tua oggi non spezzerà la mia e quella della mia famiglia! Sei solo un’ingenua, non sai cosa voglia dire l’onore! Nessuno della tua razza lo sa! Siete i parassiti della nostra società costruita con sangue della fronte, non con quello della gola alla quale colpite! Siete indegni di accostarvi alla nostra grande civiltà! Voi che ne avete fondata una tutta vostra e pretendete di poter aggiustare ogni cosa col solo filo delle vostre lame! Vi sbagliate, vi sbagliate di grosso! E questo mio padre lo sapeva! Guglielmo e chiunque della Fratellanza lo sa! Sa che quello che fate è sbagliato e azzardato e porterà il nostro mondo alla rovina! Ma noi siamo nati per impedirvelo, la nostra congrega è cresciuta nel vostro sangue per impedire tutto questo! Pensa bene a ciò che fai, pensa a cosa fai e cosa farai quando nulla potrà tornare sui suoi passi! E…-.
-Basta!- gridò d’un tratto, riuscendo ad ammutolire la voce di Corrado che tuonava e rimbombava tra le pareti della stanza.
Lei socchiuse gli occhi, mettendo a fuoco sull’uomo che aveva di fronte. –Non mi frega un cane di cosa state dicendo! Se è vero ciò che pronunciate, bhé non mi riguarda! È vero, il nostro ardore è simile, combattiamo per lo stesso ideale, ma cosa me ne dovrebbe importare di questo mondo se a breve verrà, come dite voi, spazzato via?! Un piffero! Ebbene, Corrado, oggi sono qui per sostare agli ordini di chi mi ha dato l’occasione di pensare a me e a me soltanto! Oggi vi ammazzo perché è anche un mio grande desiderio dal giorno in cui fuggii dalla mia città per mano vostra!- strillò su tutte le furie. –Basta, basta! Facciamola finita!!!- scagliò un pugnale da lancio senza preavviso, ma il Sovrano lo deviò con la sua lama.
-Se intendi accorciare la storia…- ridacchiò lui avvicinandosi. –E sia. Credevo che potesse farti piacere campare qualche ultimo secondo!- scattò in avanti e diede un affondo dritto e impeccabile che Elena parò con difficoltà. Ella indietreggiò, di nuovo, fin quando non trovò un varco nella guardia avversaria e colpì all’altezza del fianco con l’impugnatura dell’arma. Corrado avvertì forse solo un solletico di quel colpo, ma Elena insisté col menare senza tregua nei punti più esposti quali spalle e gambe.
Uno scontro alla pari che si andava concludere velocemente con la stupefacente abilità che la ragazza aveva acquistato dai suoi più cari maestri. Si assottigliò in una scattante ruota e azzardò una ginocchiata, ma Corrado le afferrò la caviglia disarcionandola dal suo equilibrio.
-Vi chiamate Dee, non è così!?- sbottò l’uomo scagliandosi su di lei con la lama al cielo.
Elena rotolò di lato, e la spada avversaria cozzò al suolo in un’esplosione di scintille.
-Vi fate chiamare così!- aggiunse lui.
La giovane non rispose. Il fiato le mancava, la forza nei suoi muscoli si esauriva col passare del tempo che scorreva troppo lentamente. Se sapeva che avrebbe vinto, perché Corrado non gettava le armi?! Era stupido pensare che egli potesse cavarsela, Corrado non aveva speranze contro di lei che era dieci volte la sua agilità e venti la sua astuzia in duello! Combatterono allungo, senza mai interrompere con altre parole quel frangente che si avviava alla fine.
Era difficile stabilire, arrivati ad un certo punto, chi dei due fosse in vantaggio. Parevano entrambi sfiniti, stremati quando Corrado si stanziò da lei celando la sua spossatezza dietro il solito sguardo fiero e il portamento eretto. –Quando questa storia sarà conclusa, farò ammazzare vostro padre!- godé nel dirlo, ridendo da solo.
-No!- Elena si lanciò su di lui e lo gettò al suolo, sovrastandolo, ma ambedue si trovarono senza le rispettive armi. La ragazza  trasse la lama nascosta dal polso, ma Corrado premeva contro la forza del suo braccio tenendo la punta dell’arma lontana dalla sua gola. Elena osservò allungo il ghigno distorto del suo avversario, come la fierezza di Corrado perdeva ogni sua sfumatura quando guardava in faccia la morte. Ed ella era la morte.
In quella posa di stallo per diversi istanti, finché egli non ribaltò i loro corpi e riuscì a storcere il gomito della ragazza che gridò dal dolore.
-Pensavi di potermi battere?!- lui l’afferrò per il cappuccio sbattendole la testa con violenza al suolo. –Credevi davvero di poter riuscire?!- insisté tirandola poi per i capelli. –Sei solo una sciocca! E da sciocca morirai!- proruppe assaporando la vittoria.
Con forza disumana, la sollevò da terra e la scagliò contro la parete.
Elena batté la tempia e si rovesciò sul pavimento nel sonno dei suoi sensi. La vista le si appannava, la forza nelle gambe e nelle braccia era sufficiente a sollevare una piuma ma non il suo corpo. Quello che vide fu solo gli stivali di Corrado avvicinarsi a lei e il bagliore di una lama che riluceva tra le luci soffuse della Cappella.
-No!- poi, d’un tratto, si sentì questo grido euforico e rabbioso e la figura imponente di Corrado venne come spazzata via da una seconda presenza. E fu così che il suo maestro si mostrò sul confine tra la vita e la morte, spingendo via Corrado prima che questi potesse calare la spada sulla testa della sua allieva.
I due si rotolarono al suolo fin quando Corrado non si stanziò dall’assassino e si alzò in piedi di scatto. –Bastardo infame!- stridettero i suoi denti nel mentre si chinava a raccogliere la sua spada.
Altair era allo stremo delle forze. Tentò di alzarsi, ma in lui l’assopimento causato dal veleno premeva ancora e non gli permise di sollevarsi. Se era intervenuto in tempo per salvare ad Elena la vita, era stato perché in quel momento aveva consumato ogni suo ultimo briciolo di forze. Accasciato a terra, nel tentativo di sollevarsi e combattere.
Elena lo vide, ribellandosi alla forza che premeva in lei e la implorava di chiudere gli occhi. Ma lei non l’avrebbe fatto. Cercò a tentoni, appoggiandosi alla parete, di tirarsi su, ma quel che videro poi le sue profonde pupille fu uno spettacolo al quale assistere fu più che doloroso.
Corrado si avventò sul corpo stracciato di Altair e lo afferrò per il cappuccio, tirandolo di sua forza in piedi, così da guardarlo negli occhi. –Ancora tu? Ma non è possibile!- ridacchiò il Sovrano. –E così…- egli si volse poi ad adocchiare lei, l’allieva. –E così, se vi ritrovo qui oggi a combattere con così tanta foga, ci dev’essere qualcosa di grosso a muovere entrambi… tanto ardore può nascere da una cosa soltanto!- rise piegando la testa del suo maestro all’indietro, così da mostrare per bene la sua gola, sulla quale pelle si arrampicavano goccioline di sudore.
L’assassino respirava con affanno, sopraffatto dal veleno che quel curativo non aveva tenuto abbastanza lontano dalle sue vene. Era così che aveva speso le sue ultime energie: per darle l’occasione di…
-Scappa…- sibilarono le sue labbra.
Elena si piegò in avanti, in ginocchio sul pavimento. In sé aveva trovato un qualcosa che le aveva risvegliato il corpo, ma ciò che ascoltavano in quel momento le sue orecchie, era inaccettabile da comprendere.
-Scappa…- pronunciò ancora confusamente Altair; gli occhi socchiusi dall’immenso dolore che provava, la bocca asciutta e lo sguardo che la incantava, la implorava di dare ascolto alle sue parole. –Scappa, Elena, scappa…-.
Corrado afferrò la collottola della veste dell’assassino e l’avvicinò al suo volto. –Ma come?!- gli alitò in faccia. –Non voi che la tua amata assista alla tua fine?! Mi deludi, assassino. Vi facevo entrambi meno privi di etica…- ridacchiò isterico.
-Elena, non ascoltarlo…- Altair si voltò, ignorando del tutto il viso di Corrado. –Scappa, vattente, salvati…- sussurrò stremando.
La ragazza si sollevò in piedi traballante.
-Basta! Se c’è qualcuno che deve pagare con la vita, oggi sei tu!- sbottò Corrado poggiando il filo della lama sulla sua gola, e Altair inghiottì. –Mio padre non ti meritava abbastanza…- sussurrò Corrado al suo orecchio. –Le tue ultime parole?- gioì il cavaliere.
Altair prese un gran respiro e la guardò di nuovo.
Elena tremava tanto quanto lui. Interrogarsi su cosa fare era tanto stupido quanto inutile. Sapeva bene di dover scappare via, di dover fuggire e che non era in grado di proseguire la missione, già fallita da tempo. Avrebbe ritentato, ma era alquanto probabile che in futuro l’avrebbe accompagnata qualcun altro… stava morendo. Il veleno che gli scorreva nel sangue lo stava ammazzando. Stava ammazzando il suo maestro. Nonostante ciò, Corrado premeva la spada alla sua gola minacciandolo, rivendicando la morte di Guglielmo con quella sciocca accusa. Ed egli ci godeva. Corrado godeva nel vederli entrambi in quello stato. Si dilettava nell’assaporare le loro sofferenze, nel percepire in loro un legame che si sarebbe spezzato per sempre ad opera sua, reclamando la sua vendetta. In qualunque modo si sarebbe conclusa quella faccende, Altair voleva che si salvasse e che tornasse quando sarebbe stata più in grado di ritentare. Era il volere del suo maestro, non poteva disobbedire… e mai l’aveva fatto.
Elena indietreggiò di uno, due passi fino a poter toccare con mano la porta di legno scuro della Cappella.
Corrado insisté. –Allora? Quali sono le tue ultime parole, avanti! Sono proprio curioso!- strillò scuotendolo, ma Altair ancora la fissava.
Il pozzo profondo dei suoi occhi neri si perdevano sulla figura della sua allieva, a cercare l’azzurro immensamente triste e sopraffatto delle sue iridi. Quando lo trovò, quando i loro sguardi l’uno più rassegnato dell’altro s’incrociarono…
-Che ci fai ancora qui?- mormorò Altair con un mezzo sorriso sulle labbra. Sembrava arridere di quella situazione, sembrava cogliere l’ilarità di quella sua battutina fuori luogo.
-Benissimo!- persino Corrado ridacchiò divertito. –Ma adesso mi avete davvero scocciato…-.
Elena s’irrigidì.
Era tutto troppo simile. Quante volte aveva passato una simile situazione? Troppe, e in tutte quante non aveva fatto nulla per opporsi senza peggiorare però le cose. Pensò al Templare di quel giorno e alla sua fuga disperava verso la Dimora abbandonata, mentre il suo maestro se la cavava da solo. Pensò a quella stessa mattina, quando non aveva fatto nulla per opporsi se non impietosire Corrado stesso che si era ribellato all’idea di dover svolgere lui un certo incarico.
E ancora Altair la guardava, aspettando una sua reazione, attendendo che si voltasse e levasse i tacchi da quella Cappella. Paziente, egli sperava che Elena facesse tutto ciò, ma probabile che non la conoscesse abbastanza da poter interpretare il sorriso bieco che le si stampò in volto.
Codarda.
Stupida.
Innamorata.
Elena estrasse il pugnale da lancio, quello bello con il manico intarsiato di decori d’argento e lo scagliò a tutta velocità. Questo scivolò nell’aria e raggiunse la mano di Corrado stretta attorno all’elsa della spada che, una frazione di secondo più tardi, si rovesciò al suolo nel clangore del metallo contro la pietra.
-Dannata!- sbraitò Corrado dopo aver lasciato la presa dalla veste di Altair che invece, ricadde prima in ginocchio e poi completamente disteso, assente di ogni forza anche solo per restare a guardare.
Elena avanzò. –La questione doveva essere la nostra…- sibilò lei debolmente.
-Ma certamente!- Corrado si chinò a riafferrare la sua lama. –Con nessuno dispiacere, my lady Elena!-.
-No… Elena…- proferì agonizzante il suo maestro.
-Sta’ zitto tu!- Corrado infierì su di lui con un calcio, e l’assassino rantolò giù dalle basse gradinate dell’altare finendo dolorante e rannicchiato in una posa innaturale nell’angolo della Cappella.
Gli scappò un gemito, e il suo volto era imperlato di sudore e stretto in un ghigno di sopportazione. Il suo maestro non si alzò da lì per tutto il tempo che venne dopo.
-Fatti sotto, avanti!- la chiamò Corrado scendendo giù dalle scale.
Elena estrasse la lama corta dal fodero e si avvicinò al suo avversario insicura sui suoi passi, traballante e con la testa che le pulsava per via di quel colpo.
Ripresero lo scontro, più accanito di prima, ma nonostante l’estrema difficoltà di Elena a parare i suoi colpi, Corrado trovava altrettanto arduo il compito di respingere i suoi rari e ben piazzati affondi. Tornarono ben presto alla pari.
Corrado abbassò la lama con violenza, ma Elena schivò il colpo e la spada andò a frantumare lo schienale di legno della panca. –Dove fuggi?!- strillava l’uomo in preda alla rabbia.
Elena salì sull’altare e, da quella posizione sopraelevata, gli scagliò contro un pugnale che Corrado deviò alla svelta.
-Giochi sporco?! E va bene! Ci sto!- ridacchiò il sovrano raggiungendola e spingendole contro tutto il tavolo.
La ragazza si gettò a terra di lato, evitando di venir schiacciata dal peso dell’oggetto. Ancor più debole, tentò di rialzarsi, ma Corrado le venne incontro aprendole uno squarto piuttosto profondo sul braccio, all’altezza del gomito.
Gemé, ma trovò la forza necessaria per schivare il secondo affondo, piegarsi sulle ginocchia e azzardare uno sgambetto.
Lui e tutta la sua armatura cozzarono al suolo cadendo giù dalle gradinate, ed Elena approfittò per appoggiarsi alla parete e riprendere fiato nel frattempo che egli impiegava le sue fatiche nel tirarsi su.
-Bastarda! Non ti arrendi proprio!- strillò collerico.
Elena si portò una mano al taglio e, quando aprì il palmo davanti al suo naso, si accorse della marea di sangue che correva tra le sue dita. Il taglio era profondo, bruciante, e la rendeva più invalida di quanto non fosse già. La carne attorno alla ferita aveva assunto un colorito violaceo, e sulla pelle le si allungavano delle ramificazioni violacee come fossero radici sottocutanee, dalla forma delle vene. La linfa purpurea andò ad inchiostrare la manica della sua veste, e sul suo volto si disegnarono i segni del dolore, mentre le sue labbra si schiudevano per far venire dalla sua gola un grido stentato.
-Bastardo!- si volse lei. –Veleno! Sulla vostra spada! Bastardo!- ribadì a denti stretti.
Corrado rise di gusto, facendo scivolare le dita della mano dal polso fasciato sulla lama. –A mali estremi…- sorrise maligno –estremi rimedi- concluse.
Elena serrò i pugni e gettò a terra la sua spada.
Corrado interpretò quello come un gesto di resa e le si avvicinò risalendo sull’altare. –Di già? Non immaginavo- proferì tranquillo chinandosi ad afferrare la lama corta della ragazza che, nel frattempo, chinò la testa da un lato appoggiandosi alla parete.
Quella maledetta ferita bruciava come il fuoco. Ardeva come se le ceneri di un braciere le fossero state lanciate addosso proprio dove la carne rossa era più scoperta.
Lanciò un’occhiata al corpo del suo maestro accasciato oltre le gradinate, in un angolo della sala, e quella vista bastò a donarle un ultimo barlume di speranza.
Finse quando le gambe le cedettero, e finse anche quando si raggomitolò su sé stessa ansimando.
Corrado, cadde nella trappola e si chinò su di lei, così da poterla guardare negli occhi.
-Farà effetto a breve se tutto va bene- ridacchiò lui. –Ma nel frattempo, sono ancor più contento che tu possa…-.
Non terminò la frase che Elena alzò un braccio e si scagliò contro di lui rovesciandolo a terra, mentre un ruggito di rabbia le risaliva il petto.
Uno scatto, un sibilo, e la lama penetrò nel collo della sua preda.
Dapprima, gli occhi di Corrado si spalancarono di stupore, poi, lo stesso dolore che Elena sentiva sulla sua pelle, egli lo avvertì dritto in gola, mentre fiumi di sangue si rovesciavano sul pavimento e tra le dita di lei, strette al suo collo.
E in nell’istante in cui Elena percepì i suoi muscoli assopirsi sotto di lei, Corrado morì.
In modo disperato, quasi piangendo e ansimando dal dolore, la Dea scivolò via dal suo corpo morto stendendosi al suo fianco. Si prese qualche istante infinito o troppo corto per realizzare solamente cosa e come aveva fatto… ma tutte le volte che si ripeteva che ce l’aveva fatta, che Corrado era morto, in lei si apriva la porta con su scritto: “non è possibile…”
Stava vivendo un sogno e un incubo al tempo stesso. Ma d’un tratto si ricordò e scattò in piedi, portandosi una mano alla ferita sul braccio così da bloccare l’emorragia.
Altair era ancora lì, steso a terra in quella posa innaturale e sofferente, quasi se lo stessero ancora prendendo a calci.
Elena scivolò in ginocchio accanto a lui e lo girò delicatamente. Le sue palpebre erano abbassate come stesse solo dormendo. Il suo respiro… non era neppure certa che ci fosse, e questo pensiero bastò per poggiargli una mano sul petto e stendere un braccio dietro la sua nuca, sollevandolo lentamente e adagiandolo contro il muro.
-Avevate promesso…- mormorò, e una lacrima trasparente le solcò la guancia cadendo troppo in fretta sul pavimento. Una volta che le sue spalle furono alla parete, Elena si gettò ad abbracciarlo soffocando i suoi singhiozzi sulla veste inzozzata e lurida di polvere del suo maestro. –L’avevate promesso!- gridò terrorizzata, tremando.
Non doveva. Non poteva essere morto. Con quale scusa, poi, pretendeva di abbandonarla così? Aveva paura che risiedere in un’ultima speranza le sarebbe costata la vita, dato che un gran numero di guardie stavano pattugliando tutto il palazzo, ora avvolto nel caos più caotico.
Il suono delle campane divenne una litania distante quando, abbracciata con foga a lui, Elena percepì un tocco flebile sulla sua schiena.
Scostandosi appena da lui e dal suo corpo freddo, intravide un leggero bagliore provenire dai suoi occhi, adesso semi schiusi e volti a guardarla.
-Maestro!- gemé lei abbracciandolo di nuovo, con più forza.
In un primo momento egli restò immobile, sorbendosi tutto il calore proveniente dalla sua allieva, carezzandole amabilmente i capelli. Poi, nel riacquistare familiarità con le articolazioni, ricambiò quell’abbraccio con trasporto.
-Perché mi avete spaventata così?- domandò ella nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
-Speravo- cominciò lui con voce soave –che ti ricordassi che fossi sotto anestetici…- le sussurrò all’orecchio sorridendo.
-Avrei dovuto capirlo prima… che non potevate muovervi…- singhiozzò lei.
-Basta- Altair l’allontanò sa lui con delicatezza. –Asciuga le lacrime, Elena, e andiamocene da qui- fece per sollevarsi e la sua allieva gli diede una mano. Ma quando furono entrambi in piedi, ella azzardò un brusco movimento della gamba dato la scossa di dolore che la percorse da cima a fondo.
-Cosa…- mormorò sbigottito il suo maestro con una mano poggiata alla parete e l’altra protesa a sorreggerla.
-Corrado…- intervenne lei. –Ha impiegato del veleno sulla sua spada! E sono stata… ferita!- strillò agonizzante.
-Adesso non c’è tempo, devi resistere- l’abbracciò incamminandosi.
Elena s’irrigidì, rallentando il passo e parve riflettere su alcune cose.
-Fermo!- disse lei d’un tratto tornando indietro, portando una mano alla sacchetta legata alla cintura. Raggiunse il corpo steso al suolo di Corrado e si chinò su di esso. Trasse dalla sacca la piuma e la passò sulla gola insanguinata dell’uomo, macchiandone metà.
Nascose di nuovo l’oggetto nella sacchetta e tornò affianco al suo maestro. –Ora possiamo andare- proferì fiera, tradendo però quel momento pieno di gloria con la sua voce incrinata dalla sopportazione del dolore.
Altair la prese sottobraccio. –Sono fiero di te…- le mormorò con immensa gioia, e detto ciò lasciarono quella stanza che puzzava ormai troppo di sangue e veleno.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: cartacciabianca