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Autore: Gagiord    06/08/2016    1 recensioni
Aoko Nakamori, la prescelta. La ragazza, ormai diciassettenne, aspettava, seppure inconsciamente, l'arrivo di qualcosa. Qualcosa che le avrebbe cambiato la vita.
Ginzo Nakamori, il padre della giovane, sapeva tutto. Tuttavia, finché il potere in lei non si fosse svegliato, non poteva dirglielo. E, comunque, non ne avrebbe avuto l'occasione: stava giorno e notte fuori, ormai, alla caccia di Kaito Kid. Ebbene, il ladro era ancora costretto a rubare, determinato a trovare Pandora, quella gemma tanto importante per l'Organizzazione che si era promesso di distruggere. Eppure, non si era mai accorto che quel tanto ambito gioiello l'aveva sempre avuto sotto i propri occhi...
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Aoko Nakamori, Gin, Ginzo Nakamori, Kaito Kuroba/Kaito Kid
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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"No, Keiko! Io non lo metto 'sto coso!" Prese la tuta in ecopelle con due dita, come se fosse la cosa più disgustosa del mondo. Il viso era paonazzo: era imbarazzata, ma allo stesso tempo infuriata.
La bionda rise ancora un po', divertita dal suo atteggiamento. "Allora cosa vuoi fare? Vuoi andare a rubare con jeans e maglietta?"
La viaggiatrice lanciò il costume sul suo letto, gesticolando, indemoniata. "Sarebbe decisamente meglio!" sbottò.
L'altra si tolse gli occhiali, asciugando le lacrime delle sue risa. "Dai!" la spronò. "Poi mando una foto a Kaito." Le fece l'occhiolino, continuando a ridere.
Se possibile, il volto di Aoko divenne ancora più vermiglio. "Keiko!" S'impose l'autocontrollo, inspirando ed espirando lentamente per qualche secondo: non poteva pensare continuamente a lui, avevano cose più importanti da fare. "Mmh... Ma che scarpe dovrei indossare?"
L'amica parve ponderare, ed alzando l'indice, si picchiettò il mento. "Ci starebbero bene dei bei tacchi a spillo, però..."
"Io non so neppure camminare sui tacchi, figurati andare a rubare!" la interruppe, lasciandosi cadere, esasperata, sul materasso.
"Eh, appunto..." Poi, sembrò illuminarsi, e con lei, anche i suoi occhi. "Ce li hai degli stivali alti?"
"Uhm..." Pensò per qualche attimo, guardando il soffitto e poggiando le mani ai lati dei suoi fianchi. "Dovrei avere degli stivali neri invernali."
"Perfetto!" esclamò, briosa, saltellando da una parte all'altra. Poi, si voltò a guardarla, con occhi supplichevoli. "Dimmi che sono comodi, ti prego."
La moretta annuì, mentre sul suo viso si faceva strada un sorriso compiaciuto. "Sì, almeno quelli sì" ridacchiò.
Lei la osservò, stranita, piegando la testa da un lato. "Mi stai dicendo che la tuta non è comoda?"
"No, no!" Alzò le mani, agitandole leggermente. "Anzi, sembra una seconda pelle. Ma è proprio questo il problema..." Abbassò lo sguardo, imbarazzata al solo pensiero di dover indossare quel vestito tanto succinto.
"Macché!" obiettò Keiko, sedendosi accanto a lei e cingendole le spalle con un braccio, scrollandole un po'. "Sarai una femme fatale perfetta!" Sogghignò, immaginando la sua migliore amica flirtare con gli agenti di polizia.
La viaggiatrice si scansò, alzandosi, contrariata. "Io non sarò proprio nulla!"
'Non posso che darle ragione, tesoro!' Certo, Johanne non poteva mancare.
L'espressione della biondina si fece d'un tratto più seria. "Comunque... hai già parlato con tuo padre per la strategia?"
Aoko si abbandonò nuovamente sul letto, sospirando. "Sì... più o meno."
"Come 'più o meno'!?" proruppe l'amica, afferrandole entrambe le spalle con le mani. "Mancano due ore al furto e tu mi dici 'più o meno'?"
La mora agitò una mano, quasi volesse scacciare un fastidioso insetto. "Non farmici pensare. Mio padre ha detto che funzionerà."
"Cosa dovrai fare?"
La sua migliore amica sospirò ancora una volta. "Sai che ho fatto pattinaggio per sette anni e ginnastica ritmica per tre, no?"
L'occhialuta annuì, sciogliendo la presa sulla schiena della compagna.
"Ecco, lui mi ha detto che potrebbero andare a mio favore... Cioè, potrei fare rovesciate, salti o cose così."
Gli occhi di Keiko brillarono, e lei riprese a saltellare nella stanza della sua amica. "Tuo padre è un genio!" affermò, ridendo. "Puoi scappare da tutti i poliziotti, i tuoi pivot e i tuoi ejambeé sono imbattibili!"
Il suo sorriso si allargò. "Sì, come no." Si alzò dal letto, cominciando a svestirsi. "Dai, mi devo preparare, ché è tardi."
 

Quella mattina, il suo adorato compagno - sia di scuola che, purtroppo, di avventure - non aveva fatto che lanciarle occhiate e sogghignare beffardo.
Kaito - con cui non aveva parlato per tutta la giornata -, che aveva ormai notato quelle occhiate fugaci, li osservava, insospettito, passando gli occhi da una figura all'altra.
Lei, invece, si era concentrata il più possibile sul suo test di lingua giapponese, cercando di trattenersi dal dare dei bei colpi di straccio in testa ad entrambi.
Il pomeriggio - come ogni giorno, ormai - era andata alla torre dell'orologio, ritrovandosi catapultata in chissà quale epoca, sullo stesso divano blu, a studiare per il suo imminente compito di educazione civica.
Appena ritornata dal suo viaggio di ben tre ore e mezza, era ritornata a casa con suo padre, ed un'aura di fuoco che la circondava: era venuta a conoscenza che "quel deficiente di Katashi" - come lo aveva nominato lei -, benché avesse già ottenuto la sua gemma e fosse già stata posizionata nel meridian, continuava a dilettarsi nei suoi finti furti. Non ne trovava il motivo, dato che la sua tormalina l'aveva già trovata cinque mesi prima, dopo un mese dal suo primo viaggio. Aveva dovuto fare appello a tutto il suo autocontrollo per non spegnergli quell'insopportabile ghigno con un pugno.
Che poi, si era chiesta, perché non si trovava in galera? Certo, non erano vere e proprie rapine, ma, se fosse stato per questo, nemmeno Kaito Kid rubava. Si divertiva a schernire la polizia, proprio come l'ultimo Mugen. Cos'avevano, quindi, di diverso?
Ah, certo, Kid. Avrebbe avuto anche lei un ispettore tutto per sé? Di sicuro non poteva andarne fiera. Però, considerando che la ladra 'immortale' Johanne non si faceva viva da più di venti anni, ne dubitava.
Solo ora, in macchina con suo padre, si rese conto che di paura ne aveva fin troppa. Il suo cuore palpitava più velocemente del solito, e per un attimo ebbe il timore che esso potesse uscire dal suo piccolo sterno. Certo, era anche eccitata, ma nelle sue vene circolava più ansia che sangue. E se non ce l'avesse fatta? Se non fosse riuscita a scappare? Stava cominciando a diffidare anche delle sue capacità di ginnasta agonista. Avrebbe dovuto lasciare la palestra: dove avrebbe trovato il tempo di allenarsi? Avrebbe dovuto lasciare una delle sue più grandi passioni. Sebbene non si allenasse da ormai giorni, aveva riscaldato i muscoli della schiena, delle gambe e delle spalle a casa, poco prima di uscire; aveva notato con soddisfazione che la scioltezza non l'aveva lasciata.
E ora si trovava lì, accanto ad una Keiko trepidante e fin troppo esaltata, con il cuore che le martellava nel petto, le gambe che le tremavano e le mani sudate, solo ad un'ora di distanza dal suo show. Il furto si sarebbe svolto alla Tokyo Tower, al terzo piano; da lì avrebbe potuto saltare senza problemi. Si era accorta solo dopo aver indossato la tuta che essa conteneva una cintura interna, da cui si potevano trarre una marea di vantaggi; ma ciò che le interessava maggiormente era il filo in fibra d'acciaio, avvolto in una piccola rotella al fianco destro, lungo ben 100 m. Inoltre - con grande stupore e meraviglia sua e di Keiko - era possibile far attivare un arpione, nel caso dovesse agganciarsi a qualche palazzo. Se doveva essere sincera, quella situazione le sapeva molto di Tarzan moderno. I dubbi la stavano divorando, e certe volte le veniva anche da chiedersi se sarebbe morta schiacciata contro la finestra di qualcuno. Era da un quarto d'ora che non faceva altro che porsi domande così - che, tra l'altro, persino lei considerava idiote. Puntualmente, però, sopraggiungeva la voce di Johanne, che le confermava, con voce dolce e comprensiva, che ci sarebbe stata lei. Ciononostante, Aoko si sentiva stanca e prostrata. Chissà, si diceva, se una volta entrata nella sua parte si sarebbe ridestata?
"Aoko? Dai, è da più di un minuto che stai lì dentro" le giunse la voce della sua migliore amica, leggermente preoccupata.
Lei alzò il capo - che prima teneva chino, con lo sguardo sulle sue gambe - di scatto, trascinata via da quel vortice di pensieri ed incertezze che l'intrappolava. Vide la sua migliore amica e il padre che la osservavano con aspettativa, con la testa lievemente curvata da un lato.
"Dai" ripeté il padre. "Tra un'ora devi andare." Le porse la mano, che lei prontamente prese, scendendo dall'automobile grigia. Poi proseguì: "Ti devi cambiare e devi riscaldarti meglio, se vuoi toccare il Blue Hope." Virò lo sguardo a sinistra, verso la torre, e la figlia poté scorgervi inquietudine.
Solo alle parole dell'ispettore, la moretta si ricordò che non era uscita col costume; almeno quello gliel'aveva concesso, dato che avrebbe destato troppi sospetti. Poi, seguì la traiettoria degli occhi del poliziotto, e per poco non le uscirono gli occhi dalle orbite: almeno una cinquantina di persone - da liceali a cinquantenni - erano raggruppate intorno alla Tokyo Tower, con cartelli e striscioni in cui una sola scritta prevaleva: JOHANNE. Urlavano e gridavano per l'imminente arrivo della ladra, emozionati ed agitati.
"S-sono... sono qui per... m-me?" Era decisamente incredula. Come potevano così tante persone supportare il suo nuovo alter ego, se non si faceva vivo da più di venti anni?
Il padre le sorrise debolmente, prendendo il borsone in cui avevano riposto il vestiario - se così poteva esser definito - di Aoko, chiudendo l'anta posteriore della macchina.
L'amica, invece, le poggiò un braccio sulle spalle, scuotendola un po'. "Certo che sono qui per te! Visto? Hai già un sacco di fan!"
"E non sono solo questi" aggiunse Ginzo, leggermente nervoso, incamminandosi verso l'entrata. 
Le due ragazze lo seguirono, ma la viaggiatrice era ancora troppo ansiosa per camminare senza barcollamenti, quindi non si scansò dall'abbraccio della bionda.
"Che significa?" C'erano altre persone? No, sarebbe morta dall'imbarazzo.
'Non ti preoccupare, sono qui per me' soggiunse, fiera, la vera ladra. 'E, giuro che è l'ultima volta che te lo ripeto, ti aiuterò io. Fidati di me!'
"Facile dirlo" mugugnò ancora lei, attirando un'occhiata incuriosita di Keiko.
"Significa che nella sala ce ne saranno almeno un'altra cinquantina." E lo sapeva bene. Ricordava di tutte le rapine della moglie, in cui gli ammiratori erano almeno il triplo di questi.
Se avesse potuto, la mascella di Aoko si sarebbe ritrovata a terra.
Nel frattempo, avevano raggiunto l'ingresso della torre, entrando, mentre l'ispettore aveva già chiamato l'ascensore.
"Ma ti rendi conto? Sei già famosa!" La strattonò ancora un po' Keiko, ridendo.
"Mmmh, meraviglioso" commentò sarcastica l'altra, ma non riuscì a reprimere un radiante sorriso.
Sì, era ansiosa, ma la sua migliore amica sapeva sempre come stemperare la tensione, e anche in quel momento, ci stava riuscendo.
L'ascensore arrivò e, insieme ad una decina di persone, salirono.
Un uomo selezionò la fermata a tutti piani; tuttavia, soltanto le due compagne e il poliziotto uscirono dall'elevatore al terzo piano. Si resero conto appena entrati del perché: la sala era gremita di fan e agenti, così tanti che era difficile addirittura farsi strada.
Un uomo robusto e alto, con capelli rasati a zero, li fermò, sbarrando loro la via; si accorse solo un attimo dopo chi c'era in quel gruppetto.
"Salve, ispettore Nakamori" lo salutò, educato, seppure la sua voce era così baritonale da mettere quasi paura. Si scansò, rendendo loro libero il passaggio. "Potete passare."
Aoko ridacchiò un po', insieme alla sua amica. "Ecco la fortuna di avere un ispettore come padre."
Lui le lanciò uno sguardo divertito, mentre camminava, provando a non dare spintoni alle persone circostanti.
La mora si avvicinò a Ginzo, sussurandogli: "C'è un ispettore anche per Johanne?"
"Ai tempi di tua madre sì, ora non so se sia ancora in servizio" rispose, pensieroso.
"Certo che sono ancora in servizio."
La viaggiatrice andò a sbattere contro un uomo piuttosto basso e grasso, con piccoli occhi azzurri e i capelli - quei pochi che ancora aveva - neri. Sembrava sulla cinquantina, e aveva entrambe le mani posate sui larghi fianchi. Aveva un grande sorriso soddisfatto che gli accentuava le rughe, ma ad Aoko fece tenerezza.
"M-mi scusi..." provò lei, ma l'uomo non sembrava prestarle la minima attenzione.
"Ciao, Ginzo! Da quanto tempo, eh?" Dovette urlare per farsi sentire dal collega, a cui strinse la mano e diede una forte pacca sulla spalla.
La ragazza non s'interessò più di tanto alla scena, poiché cominciò a guardarsi attorno, in cerca di qualcosa che le sarebbe potuto essere utile: oltre a tutti quegli ammiratori, la ragazza notò che - fortunatamente - le pareti consistevano in pannelli di vetro, che potevano lasciar vedere tutto il paesaggio sottostante; gli uomini dell'ispettore - il quale nome, Koichiro Gamano, le era giunto alle orecchie di sfuggita - erano posti davanti ai divisori, ed altri intorno alla teca al centro della stanza; l'unica luce che subentrava era quella dell'illuminazione della torre, e così risultava fioca e soffusa.
"Questa è mia figlia, Aoko Nakamori, mentre lei è una sua amica, Keiko Momoi" le presentò il poliziotto, indicando rispettivamente la figlia e l'amica.
"Piacere" dissero all'unisono, benché la mora avesse altre cose da fare, anziché salutare colui che le avrebbe dato la caccia per mesi, se non per anni.
Decise di inventare una scusa banale per fuggire da quel posto. "Papà, io sto andando in bagno." Fece l'occhiolino al suddetto e alla bionda, attenta a non farsi scorgere dal suo nuovo rivale.
Keiko le sorrise incoraggiante, stringendo un pugno ed alzando il pollice. L'altra le sorrise a sua volta, mentre captava il labiale del padre: "Stai attenta".

 

'Lasciati andare.'
"Eh?" fece lei, al limite del palazzo.
'Lasciati andare' ripeté.
Era salita sul tetto di un edificio abbandonato a pochi metri di distanza dalla torre, cambiandosi nei vestiti del suo alter ego. Aveva cominciato a provare slanci, ejambeé, biche à bouchle, rovesciate e pivot; non poteva far altro che essere compiaciuta di se stessa. Le sue gambe, né tantomeno la sua schiena la stavano tradendo: ore ed ore passate ad allenarsi le erano state davvero d'aiuto, e lei non ne era stata nemmeno a conoscenza.
Ora si trovava in procinto di lanciare il suo rampino dalla "rotellina" - che, con suo immenso sconcerto, si poteva trasformare in una piccola pistola per sparare, appunto, il gancio -, per poi andare a trovare un punto debole del vetro del terzo piano della Tokyo Tower, provando a perforarlo.
La sua paura si era presto tramutata in adrenalina e la sua ansia in eccitazione. Era pur vero che sarebbe dovuta presentarsi davanti ad un centinaio di persone, ma quella non era lei, era Johanne. Johanne avrebbe dovuto appurare se quella fosse stata la gemma, Johanne avrebbe dovuto fare i suoi show, Johanne sarebbe dovuta fuggire dalla polizia. Ma, a quanto pareva, alla vera Johanne, questi pensieri non andavano bene.
"Certo! Ora mi butto, stanne certa" sbottò, sardonica, cercando di maneggiare quell'astruso aggeggio che si ritrovava in mano.
'Non intendevo in quel modo.'
Ad Aoko venne quasi da ridere. "Ci mancherebbe." Si stava innervosendo: non aveva mai usato una pistola, figurarsi una pistola lancia arpioni; come poteva usarla e prendere la mira?
'Non sarà Johanne a rubare' esordì, con voce ferma, che non tradiva alcun dubbio. 'E nemmeno Aoko Nakamori; saremo una persona sola.'
L'appellata arricciò le labbra in una smorfia stizzita, sia per le parole della donna che per l'oggetto che stava tentando di adoperare. "Mmh... Johanne Nakamori non suona bene, sai?"
'Aoko! Sii seria!'
"Senti da che pulpito viene la predica" bofonchiò, quando finalmente riuscì a far scattare la "sicura" - si chiese a cosa servisse una sicura in una pistola falsa, visto che le sembrava ancora più inutile di andar a rubare per conto di un estraneo.
'Dai, ascoltami: devi lasciare che io entri nel tuo essere. Sarà perché riesci a sentirmi, ma... non riesco a fondermi con te senza il tuo consenso. Lasciati andare. Va bene, piccola?' La sua voce sembrava quella di una madre - soave e benevola -, e non quella di un'amica che non fa altro che sfottere per la cotta dell'altra - come aveva prevalentemente fatto da quando il potere della sua ospite si era destato.
Lei sbuffò, non avendo compreso appieno la questione. "Se tu la pianti di chiamarmi piccola, va bene."
'Dai, bambina' continuò lei, caparbia, ad appellarla con quei nomignoli.
Nonostante ciò, Aoko fece come le era stato richiesto. Posò la pistola a terra, chiudendo gli occhi, e restò immobile; si concentrò in qualcosa che non sapeva neppure dove avesse appreso. Era come se una seconda linfa vitale, un secondo tipo di sangue, una seconda persona si fossero integrati nel suo corpo, nella sua anima, nel suo essere. Percepì scorrere nelle proprie vene qualcosa oltre la semplice emoglobina: era energia. Si sentiva più forte, su tutti i fronti: le sembrava di esser capace di tutto, come se non avesse alcun limite, sia fisicamente sia psicologicamente.
"Visto?"
Era la voce di Johanne. Era forte e chiara: tutti avrebbero potuto udirla. Pareva quasi una melodia, per quanto fosse bella. E nemmeno lei poteva crederci: non parlava in modo vero e proprio da quando era stata accorpata nelle Kouno. Avvertì l'impulso di abbracciare la sua amata ospite: le voleva bene, sul serio. Non era più sola dopo secoli e secoli; quella ragazza riusciva a sentirla, ed ora era stata in grado di farle sentire la sua stessa voce, limpida e cristallina. Ed era felice. Non sapeva nemmeno lei da quanto non provava la felicità; da quando aveva finito la sua vita terrestre, forse. Certo, aveva nutrito gioia, ma non era felice da secoli. Nel vero senso della parola.
Dal canto dell'altra, invece, era tutto un caos; un caos piacevole, ma pur sempre immane. Percepiva una strana sensazione: come se, insieme a Johanne, fosse anche lei felice, piena di energie e briosa come mai. Avrebbe potuto cominciare a saltellare - proprio come aveva fatto la sua amica Keiko qualche ora fa -, se non fossero mancati solo dieci minuti all'ora prestabilita. Tuttavia, era più che confusa.
"Ti voglio bene" le giunse ancora una volta quella voce argentina. C'era solo un problema: quelle parole erano uscite dalla sua bocca.
Si portò una mano tremante alle labbra, sfiorandole con un tocco lieve.
"J-johanne?" mormorò, e, anche stavolta, le labbra si mossero.
"Ti aiuterò io, ricordi?"
Un sorriso si formò sul viso di Aoko; era di ambedue le ragazze.
Due essenze, ma un solo corpo; entrambe non si erano mai sentite così. Così vive, così sincronizzate, in armonia, come se fossero una sola persona. E ora, non era solo Johanne ad avvertire la corrente di pensieri della viaggiatrice: pensavano allo stesso modo, le stesse cose. Provavano le stesse emozioni, quasi non ci fosse divisione.
La mora era già riuscita a capire i sentimenti dell'altra, ma le fece un immenso piacere sentirsele dire. Certo, era strano udire una voce che non fosse la sua uscire dalla sua bocca, delle parole rivolte a lei - e non dette da lei - varcare le sue labbra. Ma superati la sorpresa e il disorientamento, si fece avanti. Insieme a Johanne.
Come se si conoscessero da una vita; come se fossero una cosa sola.
 

Mai si stava divertendo come in quel momento: faceva rovesciate, saltava e girava. Le parve di essere una farfalla.
E si rallegrò ancor di più nel vedere le facce dei suoi ammiratori - e degli agenti stessi -, dipinte con espressioni meravigliate, stupefatte ed incantate. Anche le persone attorno alla torre potevano osservare tutta la sua maestria e la sua grazia.
Si accorse che, tra quella folla esultante, c'era anche il suo migliore amico: Kaito. Non poté far altro che restare compiaciuta e continuare a fare del proprio meglio, notando i suoi occhi luccicanti e il suo viso sbalordito.
Decise, dopo qualche altro ejambeé, di finire il suo show. Ora prendere la mira non sembrava più tanto difficile, così lanciò l'arpione in un punto preciso del palazzo in cui si trovava prima, facendolo agganciare alla balaustra del tetto. Non prestò nemmeno attenzione alle imprecazione che le stava scoccando l'ispettore Gamano, che subito fece riavvolgere il filo con cui si era cinta la vita, trasportandola verso l'edificio di fronte.
"Bye bye."
Non sapeva chi l'avesse detto: lei o Johanne? Sembrava un miscuglio tra le due voci; anche su quel fronte erano una cosa sola.
Diede le spalle alla Tokyo Tower, protendendo la mano libera - dato che l'altra aveva la presa salda sulla fune - verso la ringhiera. Stese le sue gambe in avanti, poggiando i piedi sul muro dell'edificio, e piegò le ginocchia, come se fosse una molla. Afferrò un pilastro del parapetto, sforzandosi di tirarsi su. Una volta scavalcato, si appoggiò ad esso, ansimando.
"Piccola, dobbiamo tornare come prima." Stavolta era solo Johanne.
Aoko annuì impercettibilmente. Avvertì una strana sensazione: sembrava quasi che il sangue avesse invertito il suo flusso circolatorio. Poi, lentamente, tutte le forze, le energie che sentiva di avere, si concentrarono nuovamente in un solo punto: il suo cuore.
Si accasciò a terra, ancora ansante, e priva della sua precedente vitalità e del suo vigore. Solo ora cominciava a percepire tutta la stanchezza e la debolezza accumulate.
'Aoko, stai bene?' le chiese la donna. Non era più la sua voce udibile, ma solo un flusso di pensieri nella mente della sua ospite.
"E me lo chiedi?" mormorò, boccheggiando. Sapeva che tutta quella spossatezza non era dovuta alla sua performance: non si era mai affaticata così tanto, nemmeno durante le sue tre ore giornaliere in palestra; ma allora cosa poteva essere?
'Penso che sia stata la nostra... unione.' Sebbene la sua voce non fosse forte e chiara, si poteva notare una nota di preoccupazione in essa.
"Unione?"
'Come la vuoi chiamare? Fusione? Sincronizzazione?' Parve pensarci un attimo, per poi continuare: 'Sì, sincronizzazione mi piace. Che te ne pare?'
Si alzò, avanzando verso il borsone, contenente i suoi vestiti: di lì a poco sarebbero arrivati gli agenti, non poteva farsi trovare nelle vesti di ladra.
"Sì, sì, va bene."
Barcollò un po', abbassandosi e prendendo lo zaino cilindrico blu. Si diresse verso un magazzino all'ultimo piano, pieno di utensili per la pulizia e pullulante di scarafaggi e topi.
'Ma mi ascolti?' le domandò, sbuffando.
Aoko, per tutta risposta, si limitò a sospirare rumorosamente, scendendo dalle polverose scale. Raggiunse il magazzino nel giro di pochi secondi, dato che aveva affrettato il passo: se non avesse voluto ritrovarsi dietro le sbarre, avrebbe dovuto muoversi. Si cambiò al più presto possibile, sia per l'incombente arrivo della polizia sia per non tornare a casa con qualche morso di topo.
Si premurò di scendere altre quattro rampe di scale e di uscire dalla porta di emergenza, che dava su un cortile scolastico. Virò il proprio corpo verso la torre, notando agenti correre qua e là, ma si rincuorò, notando anche il padre e l'amica. Fece un giro largo, sperando di non farsi scorgere.
Provava ancora quell'infinito senso di stanchezza, ma aveva solo due cose in mente: una doccia calda ed il suo comodo letto.
Ginzo e Keiko si accorsero della ragazza, raggiungendola a grandi falcate.
"Quindi non era quella la gemma, eh?" ovviò la bionda, abbracciando l'amica.
"Non posso mica essere fortunata come quell'Hirawata." Sbuffò, per poi simulare la sua voce arrogante e orgogliosa: "Ho trovato la mia tormalina verde al solo quinto furto".
La migliore amica sogghignò, sottraendosi momentaneamente dalla stretta, e l'ispettore non riuscì a trattenere un sorrisetto.
"Sei stata comunque fenomenale!" Le buttò nuovamente le braccia al collo, facendo indietreggiare e ridacchiare la moretta. "Erano tutti a bocca aperta!" proseguì, adulandola.
Il padre le si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla. "Si è fatto tardi" osservò, con voce assonata. "Non sei stanca?"
Le due ragazze sciolsero l'abbraccio, mantenendosi, comunque, una accanto all'altra.
"Puoi dirlo forte."
"Allora andiamo, forza" le incalzò.
Prese il borsone dalla spalla della figlia, caricandoselo sulla propria, e avanzò verso la propria automobile, seguito dalle due amiche.

 

"Signore, qui vi sono le informazioni su di lei." Il giovane uomo porse un involucro al più vecchio, per poi continuare: "Questa sera ha avuto il suo primo furto".
L'anziano prese la busta, esaminandola per qualche secondo tra le sue mani grandi e raggrinzite. Poi alzò gli occhi - neri come la pece -, fissandoli in quelli del subordinato, il quale venne percosso da un violento brivido; forse, tra i primi della sua vita.
"Il prossimo furto del mago, invece?" domandò, con voce apparentemente calda, ma che celava freddezza e perfidia.
Il più giovane trasalì, deglutendo: perché non gli aveva chiesto come fosse andato il furto della ladra?
"D-domani, signore."
"Bene" sentenziò, mentre un sorriso maligno si faceva strada sul suo viso incartapecorito, evidenziando ancor di più i segni provocati dal tempo. "Fategli una visita; ne sarà allietato."


Ehi, ehi! Sono qui con un nuovo capitolo, anche se un po' in ritardo.
La nostra povera Aoko non vuole mettere il "vestito"... Del resto, come biasimarla? x'D
Abbiamo, poi, tutti i sentimenti della viaggiatrice e di Johanne, per arrivare alla sincronizzazione; vi consiglio di fare attenzione alle emozioni della cara vocina, serve ad inquadrare meglio la storia del personaggio ;)
Cosa ne pensate, invece, del cambio di umore di Aoko? Non vi preoccupate, è solo momentaneo (e no, Johanne non è una sostanza stupefacente x'D) 
Infine, c'è questa bella conversazione tra il "signore" ed il subordinato... Penso che abbiate capito chi è questo misterioso ladro, eh? :P
Per ultima cosa, vi dico di tenere a mente i colori (non vi posso dire di cosa, o sarebbe troppo facile); c'entrano con i fantomatici bolli ^^
Ringrazio sempre Shinichi e Ran amore, che non si perde mai nemmeno un capitolo; ma ringrazio anche i lettori silenziosi! xD
Al prossimo chappy! ;)

Baci
Shizuha

 

  
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